IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  de1  procedimento  penale n. 3585/05 R.G. n. R.
contro  Ilieva Daniela Petrova, nata a Pleven (Bulgaria) il 29 maggio
1980,  imputata  del  reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, primo
periodo,   come  modificato  dalla  legge  12 novembre  2004  n. 271,
perche',   cittadina  straniera  destinataria  di  provvedimento  del
Questore  di  Torino,  (notificatole  il  24 giugno 2004 a seguito di
decreto  di  epulsione  del  Prefetto  fondato sui motivi di cui alla
lettera  b) dell'art. 13, comma 2, d.lgs. citato), con intimazione di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperita.
  Accertato in Volpiano il 23 febbraio 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputata,  tratta  in  arresto  in  data  23  febbraio 2005 per
violazione  all'art. 14,  comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato  dall'art. 1,  commi,  5-bis  e  6 della legge 12 novembre
2004,  n. 271,  veniva  presentata  dal  pubblico  ministero,  per la
convalida  dell'arresto  ed  il  conseguente  giudizio  direttissimo,
all'udienza  del  24 febbraio 2005. Convalidato l'arresto e rigettata
la  richiesta  del  p.m.  di  adozione  della custodia in carcere nei
confronti   della   Ilieva,   la   medesima   presentava  istanza  di
applicazione pena ex art. 444 c.p.p. cui seguiva il consenso del p.m.
    All'esito  della  discussione  questo  giudice  riteneva di dover
sollevare incidente di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
5-bis  legge  citata,  nella  parte  in  cui  prevede  la  pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che  senza
giustificato  motivo  si  trattiene  nel  territorio  dello  Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis   in   riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione,  pena  edittale  che  consente  anche  l'adozione delle
misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse  pervenire alla applicazione nei confronti della Ilieva della
pena  concordata  dalle parti, sarebbe comminata la sanzione prevista
dalla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita ed al cui
riguardo si svolgono i seguenti rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario   dell'art. 14,   d.lgs.   25  luglio  1998,  n. 286,  era
sprovvista  di  specifica  sanzione, pur essendo controverso se fosse
sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui
all'art. 650  c.p. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una
fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con l'arresto da sei
mesi  ad  un  anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua
espulsione  eseguita tramite accompagnamento coattivo alla frontiera.
Caduta  la porzione della norma che prevedeva l'arresto, obbligatorio
per  effetto  della  sentenza  della  Corte costituzionale in data 15
luglio    2004,    n. 223,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli
articoli 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto»  interveniva il legislatore conla
legge  12 novembre  2004,  n. 271,  operando un ampio rimaneggiamento
della   norma   e   reintroducendo   l'arresto  obbligatorio  per  le
fattispecie trasformate in delitto. Tale intervento ha determinato un
effetto   pirotecnico  nel  magma  indifferenziato  della  previgente
fattispecie,   che   sanzionava   in   modo  identico  le  permanenze
ingiustificate  nel  territorio  in  violazione dei provvedimenti del
questore   che   davano  esecuzione  a  provvedimenti  di  espulsione
ministeriali  o prefettizi. Ora la stessa condotta diventa un delitto
ovvero rimane una contravvenzione ovvero non configura alcun illecito
penale     (esiste     soltanto     la     sanzione    amministrativa
dell'accompagnamento  alla  frontiera)  a seconda della provenienza e
della   natura   dell'espulsione   presupposta.   Pertanto,   permane
l'illiceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal prefetto
cui  e'  data  esecuzione  da  parte  del  questore. Se essa e' stata
disposta  per  ingresso  illegale  sul territorio nazionale «ai sensi
dell'art. 13,  comma  2,  lettere  a) e c)» ovvero per aver omesso di
richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge, il reato di
inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del questore e'
un  delitto  punito  con  la  reclusione da uno a quattro anni; se il
motivo  che  ha  determinato l'espulsione e' la mancata richiesta del
rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni,
resta  l'illecito  contravvenzionale punito con l'arresto da sei mesi
ad  un  anno.  Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una
espulsione  disposta dal Ministro dell'interno, «per motivi di ordine
pubblico  o  di  sicurezza  dello Stato» (es. espulsione per i motivi
suddetti  di  donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e,
pertanto,    non    suscettibile    di   esecuzione   immediata   con
accompagnamento alla frontiera), la sua inosservanza non e' assistita
dalla  tutela  penale  in quanto le ragioni dell'espulsione avvengono
per tipologie non omologhe a quelle per le quali e' dato ricorrere da
parte  del  prefetto  (cui  nell'esempio  citato  sarebbe precluso il
rinvio  della  straniera  allo  Stato  di  appartenenza), ne' e' dato
avvalersi  di  operazioni  ermeneutiche basate sull'analogia, vietata
nel campo penale.
    Il  reato  per  cui  e'  stata  tratta  in arresto Ilieva Daniela
Petrova e per il quale il p.m. ha proceduto con giudizio direttissimo
configura,   in   base  alla  nuova,  normativa,  una  delle  ipotesi
delittuose che hanno avuto un notevole inasprimento di pena e che, ad
avviso di questo giudice, presenta profili di incostituzionalita' con
riferimento ai citati articoli della costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di   un  tertium  comparationis  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  286/1998,  l'altro  con  fattispecie  non  contemplate  dalla
disciplina sull'immigrazione.
      Con  riferimento  al  primo  profilo si osserva che la norma in
esame non mira a reprimere la semplice clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero'  nel  territorio  dello Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria penale, gia' non si' comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  60  giorni  successivi  alla  scadenza,  fruisce  di  un  doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il  territorio  nazionale  entro  15  giorni  dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Viceversa lo straniero che sia stato espulso o perche' entrato in
Italia  sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera  e  non  e'  stato
respinto, o perche' si e' trattenuto nel territorio dello Stato senza
aver  chiesto  il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo
che  il  ritardo  sia  dipeso  da  forza  maggiore,  ovvero quando il
permesso  di  soggiorno  e'  stato  revocato  o  annullato  o perche'
appartiene  a taluna delle categorie indicate nell'art. 1 della legge
27  dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3
agosto  1988,  n. 327,  o  nell'art. 1  della  legge  31 maggio 1965)
n. 575,  come  sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982,
n. 646 e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. Ne discende
che  condotte  analoghe  a  quella  contravvenzionale  in  precedenza
indicata  sono  sanzionate,  non solo a titolo di delitto, ma con una
pena  il  cui minimo e' parametrato al massimo dell'unica fattispecie
rimasta   di  natura  contravvenzionale.  Ora,  se  il  principio  di
uguaglianza  esige  che  la  pena  sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia,
nel  contempo, alla funzione di difesa sociale, ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali»  (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989),
tutte  le  condotte  di  trattenimento dello straniero nel territorio
italiano ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E',
infatti,  dalla  inosservanza  dell'ordine  del  questore di lasciare
entro   cinque  giorni  il  territorio  nazionale  che  prende  avvio
l'aggressione  al  bene  giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la
colpevolezza   dell'autore   del   fatto.   Differenziare   identiche
fattispecie  (talune  penalmente  indifferenti,  altre punite in modo
lieve,  altre  in modo estremamente pesante) in base a situazioni che
precedono  la  condotta  e non rivelano una reale dannosita' sociale,
significa disancorare il giudizio di offensivita' (che costituisce la
sintesi  della  relazione  sussistente tra il bene giuridico protetto
dalla  norma  incriminatrice e il fatto) dal fatto stesso; significa,
in  ultima  analisi,  sanzionare  in  modo  differenziato, e percio',
arbitrario ed irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e punita con l'arresto da uno
a  sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata
in  vigore  del  d.l.  30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza si
fosse  posto  il  problema se l'inosservanza da parte dello straniero
della  intimazione  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato  fosse
rapportabile   alla   violazione  dell'art. 650  c.p.  e  si  dovesse
applicare  la  pena  prevista  da  tale  norma. La risposta era stata
negativa  sol  perche'  si  era  osservato  che per la violazione era
prevista  la  sanzione  amministrativa dell'immediato accompagnamento
alla  frontiera  ai  sensi  dell'art. 7, comma 9 del del d.l. citato,
disposizione  speciale,  rispetto  alla  generica  previsione  di cui
all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229). Tutto
cio'  dimostra  la stretta parentela esistente tra la norma contenuta
nel   codice   penale   e   quella   speciale   prevista   nel  campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della   sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27,  comma  3  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva   rispetto   al  disvalore  dell'illecito  «produce...  una
vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27
co.  3  Costituzione, che di quella liberta' costituisce una garanzia
istituzionale  in  relazione  allo stato di detenzione» (sentenza 343
del  1993).  A  fronte  di  cio',  occorre  domandarsi: a due anni di
distanza   dall'emanazione   della   legge   189/2002   il  sensibile
inasprimento  di  pena  per  molte delle ipotesi di inottemperanza da
parte  dello straniero all'ordine del questore e' almeno giustificato
da  finalita'  generalpreventive? La risposta pare essere negativa se
si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione  clandestina  nella  sua
dimensione  storica  (e  comunque i mutamenti sanzionatori non paiono
rapportabili  all'eventuale modesto incremento dei flussi migratori).
In ogni caso non va dimenticato quando osservato, in via generale, da
codesta  Corte  e  cioe' che il principio di proporzionalita' ... nel
campo   del  diritto  penale  equivale  a  negare  legittimita'  alle
incriminazioni  che,  anche  se  presumibilmente idonee a raggiungere
finalita'  statuali  di  prevenzione,  producono, attraverso la pena,
danni  all'individuo  (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa'
sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da
quest'ultima  con  la  tutela dei beni e valori offesi dalle predette
incriminazioni» (sentenza n. 409 del 1989).
    Peraltro,   leggendo   la   relazione  all'emendamento  del  d.l.
241/2004,  che ha introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota come
i   relatori  giustifichino  la  modifica  legislativa  soltanto  con
riferimento  alla  necessita'  di adeguarsi alla sentenza della Corte
costituzionale  n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente
illegittimo  l'art. 14,  comma 5 della legge sull'immigrazione «nella
parte  in  cui  stabilisce  che  per  il  reato  previsto  dal  comma
5-quinquies   del   medesimo   art. 14   e'   obbligatorio  l'arresto
dell'autore  del  fatto»  per  la  manifesta  irragionevolezza  della
previsione di una misura precautelare non suscettibile di sfociare in
alcuna  misura  cautelare in base al vigente ordinamento processuale.
In  altri termini la trasformazione in delitto e l'aumento di pena e'
stato  dettato  dal solo scopo di ripristinare l'arresto obbligatorio
ritenuto  illegittimo  dalla  Corte;  non  a caso' il limite edittale
massimo  della  pena  e'  fissato  in  quattro  anni  di  reclusione,
presupposto minimo per l'adozione della custodia cautelare in carcere
(art. 280,  comma  2  c.p.p.).  Pertanto la risposta sanzionatoria e'
stata   scollegata   dal  grado  di  offensivita'  della  condotta  e
strumentalizzata  ad  una  finalita' meramente processuale, quella di
giustificare  l'arresto  obbligatorio  in flagranza e di garantire lo
svolgimento  del  giudizio  direttissimo in tutte le ipotesi previste
dal  codice  di procedura penale. Ora, se si ritorna al raffronto tra
la  disciplina  dell'ingiustificato  trattenimento  in  Italia  dello
straniero  e l'inosservanza del provvedimento di rimpatrio si osserva
un  differente ed incomprensibile trattamento del bene della liberta'
personale  nel  caso in cui i destinatari siano le persone pericolose
di  cui  all'art. 1, legge 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte
abbia  affermato  che  «per  quanto  gli interessi pubblici incidenti
sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.