IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale n. 5634/05 R.G. n. R.
contro  Ilioi  Gavril,  imputato  del reato di cui all'art. 14. comma
5-ter  primo  periodo,  come modificato dalla legge 12 novembre 2004,
n. 271,  perche',  cittadino straniero, destinatario di provvedimento
del  Questore  di  Roma,  (notificatogli il 7 marzo 2003 a seguito di
decreto  di  espulsione  del  prefetto fondato sui motivi di cui alla
lettera  b)  dell'art. 13, comma 2 d.lgs. citato), con intimazione di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperito.
    Accertato in Torino il 15 marzo 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputato,   tratto  in  arresto  in  data  15  marzo  2005  per
violazione  all'art. 14,  comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12 novembre 2004,
n. 271,  veniva  presentato  dal pubblico ministero, per la convalida
dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del
17  marzo  2005.  Convalidato  l'arresto  e  disposta  la liberazione
dell'arrestato  non  avendo  il  p.m.  richiesto l'adozione di alcuna
misura  cautelare,  in base alla richiesta dell'imputato si procedeva
con  rito  abbreviato.  All'esito  della  discussione  questo giudice
ritiene  di  dover sollevare incidente di legittimita' costituzionale
dell'art. 1,  comma  5-bis legge citata nella parte in cui prevede la
pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   in   riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma  della
Costituzione,  pena  edittale  che  consente  anche  l'adozione delle
misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La rilevanza della questione risiede nel fatto che, se si dovesse
pervenire   ad   un  giudizio  di  colpevolezza  dell'Ilioi,  sarebbe
comminata   la  pena  prevista  dalla  norma  della  cui  legitimita'
costituzionale  si  dubita  ed al cui riguardo si svolgono i seguenti
rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine  di  permanenza  esecuzione  dell'espulsione  nel  testo
originario dell'art. 14, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, era sprovvista
di  specifica sanzione, pur essendo controverso se fosse sanzionabile
penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui all'art. 650
c.p.  La  legge  30 luglio 2002, n. 189 ha introdotto una fattispecie
contravvenzionale  ad  hoc  punibile  con l'arresto da sei mesi ad un
anno,  con  arresto  obbligatorio del contravventore e sua espulsione
eseguita  tramite  accompagnamento coattivo alla frontiera. Caduta la
porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio per effetto
della  sentenza  della  Corte  costituzionale in data 15 luglio 2004,
n. 223,    che    ha   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 14,  comma  5-quinquies  per contrasto con gli artt. 3 e 13
Cost.  «nella  parte  in cui stabilisce che per il reato previsto dal
comma   5-ter   del   medesimo   art. 14  e'  obbligatorio  l'arresto
dell'autore  del  fatto»,  interveniva il legislatore con la legge 12
novembre  2004, n. 271, operando un ampio rimaneggiamento della norma
e   reintroducendo   l'arresto   obbligatorio   per   le  fattispecie
trasformate  in  delitto.  Tale  intervento ha determinato un effetto
pirotecnico  nel  magma indifferenziato della previgente fattispecie,
che  sanzionava  in  modo  identico  le permanenze ingiustificate nel
territorio  in  violazione  dei provvedimenti del questore che davano
esecuzione  a  provvedimenti di espulsione ministeriali o prefettizi.
Ora   la  stessa  condotta  diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una
contravvenzione  ovvero  non  configura alcun illecito penale (esiste
soltanto   la   sanzione   amministrativa  dell'accompagnamento  alla
frontiera) a seconda della provenienza e della natura dell'espulsione
presupposta.  Pertanto,  permane  l'illiceita'  penale  nel  caso  di
espulsione  pronunciata  dal prefetto cui e' data esecuzione da parte
del  questore.  Se  essa  e' stata disposta per ingresso illegale sul
territorio  nazionale  «ai  sensi dell'art. 13, comma 2, lettere a) e
c)» ovvero per aver omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel
termine  di  legge,  il  reato  di inottemperanza, senza giustificato
motivo,   all'ordine  del  questore  e'  un  delitto  punito  con  la
reclusione  da  uno  a  quattro anni; se il motivo che ha determinato
l'espulsione  e'  la  mancata  richiesta  del rinnovo del permesso di
soggiorno  scaduto  da  piu'  di  sessanta  giorni,  resta l'illecito
contravvenzionale  punito  con  l'arresto  da sei mesi ad un anno. Se
l'ingiunzione  del  questore  e' attuativa di una espulsione disposta
dal  Ministro  dell'interno  «per  motivi  di  ordine  pubblico  o di
sicurezza dello Stato» (es. espulsione per i motivi suddetti di donna
incinta   di   cui   si  ignora  la  nazionalita'  e,  pertanto,  non
suscettibile   di   esecuzione  immediata  con  accompagnamento  alla
frontiera),  la sua inosservanza non e' assistita dalla tutela penale
in  quanto  le  ragioni  dell'espulsione  avvengono per tipologie non
omologhe  a  quelle  per  le  quali  e'  dato  ricorrere da parte del
prefetto  (cui  nell'esempio  citato sarebbe precluso il rinvio della
straniera  allo  Stato  di  appartenenza),  ne'  e' dato avvalersi di
operazioni  ermeneutiche  basate  sull'analogia,  vietata  nel  campo
penale.
    Il reato per cui e' stato tratto in arresto Ilioi Gavril e per il
quale  i1  p.m.  ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in
base  alla  nuova  normativa,  una delle ipotesi delittuose che hanno
avuto  un  notevole  inasprimento  di pena e che, ad avviso di questo
giudice,  presenta  profili di incostituzionalita' con riferimento ai
citati articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di   un  tertium  comparationis  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatrici  poste  a  tutela  degli stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14. comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  l'altro  con  fattispecie non contemplate dalla
disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  60  giorni  successivi  alla  scadenza,  fruisce  di  un  doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il  territorio  nazionale  entro  15  giorni  dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art. 1  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito
dall'art.  2  della  legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della
legge  31  maggio  1965,  n. 575,  come sostituito dall'art. 13 della
legge 13 settembre 1982 n. 646 e' punito con la reclusione da uno a 4
anni. Ne discende che condotte analoghe a quella contravvenzionale in
precedenza indicata sono sanzionate, non solo a titolo di delitto, ma
con  una  pena  il  cui  minimo  e' parametrato al massimo dell'unica
fattispecie rimasta di natura contravvenzionale. Ora, se il principio
di  uguaglianza esige che «la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia,
nel  contempo,  alla  funzione  di  difesa sociale a quella di tutela
delle  posizioni  individuali»  (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989),
tutte  le  condotte  di  trattenimento dello straniero nel territorio
italiano ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E',
infatti,  dalla  inosservanza  dell'ordine  del  questore di lasciare
entro   cinque  giorni  il  territorio  nazionale  che  prende  avvio
l'aggressione  al  bene  giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la
colpevolezza   dell'autore   del   fatto.   Differenziare   identiche
fattispecie  (talune  penalmente  indifferenti,  altre punite in modo
lieve,  altre  in modo estremamente pesante) in base a situazioni che
precedono  la  condotta  e non rivelano una reale dannosita' sociale,
significa disancorare il giudizio di offensivita' (che costituisce la
sintesi  della  relazione  sussistente tra il bene giuridico protetto
dalla  norma  incriminatrice e il fatto) dal fatto stesso; significa,
in  ultima  analisi,  sanzionare  in  modo  differenziato, e percio',
arbitrario ed irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2,
della  legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e punita con l'arresto da uno
a  sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata
in  vigore  del  d.-l.  30 dicembre 1989, n. 416 la giurisprudenza si
fosse  posto  il  problema se l'inosservanza da parte dello straniero
della  intimazione  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato  fosse
rapportabile   alla  violazione  dell'art.  650  c.p.  e  si  dovesse
applicare  la  pena  prevista  da  tale  norma. La risposta era stata
negativa  sol  perche'  si  era  osservato  che per la violazione era
prevista  la  sanzione  amministrativa dell'immediato accompagnamento
alla  frontiera  ai  sensi  dell'art. 7,  comma  9  del  d.l. citato,
disposizione  speciale  rispetto  alla  generica  previsione  di  cui
all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229). Tutto
cio'  dimostra  la stretta parentela esistente tra la norma contenuta
nel   codice   penale   e   quella   speciale   prevista   nel  campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della pena, ricavabile dall'art. 3 della Costituzione, e la finalita'
rieducativa  della  sanzione criminale sancita dall'art. 27, comma 3,
della   Costituzione,   finalita'   non   limitata   alla  sola  fase
dell'esecuzione,  essendo  «una  delle qualita' essenziali e generali
che   caratterizzano   la   pena  nel  suo  contenuto  ontologico,  e
l'accompagnano  da  quando nasce, nell'astratta previsione normativa,
fino  a  quando  in  concreto  si estingue: tale finalita' implica un
costante  principio  di  proporzione  tra  qualita' e quantita' della
sanzione,  da  una  parte, e offesa, dall'altra» (sentenza n. 313 del
1990).  Pertanto  e'  stato affermato che «la palese sproporzione del
sacrificio  della  liberta'  personale» provocata dalla previsione di
una  sanzione  penale  manifestamente eccessiva rispetto al disvalore
dell'illecito  «produce  ...  una  vanificazione del fine rieducativo
della  pena prescritto dall'art. 27, comma 3, della Costituzione, che
di   quella   liberta'  costituisce  una  garanzia  istituzionale  in
relazione allo stato di detenzione» (sentenza 343 del 1993). A fronte
di  cio',  occorre domandarsi: a due anni di distanza dall'emanazione
della  legge  n. 189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte
delle  ipotesi  di inottemperanza da parte dello straniero all'ordine
del  questore  e' almeno giustificato da finalita' generalpreventive?
La   risposta   pare  essere  negativa  se  si  osserva  il  fenomeno
dell'immigrazione   clandestina   nella  sua  dimensione  storica  (e
comunque   i   mutamenti   sanzionatori   non   paiono   rapportabili
all'eventuale  modesto incremento dei flussi migratori). In ogni caso
non  va  dimenticato  quanto  osservato,  in via generale, da codesta
Corte  e cioe' che «il principio di proporzionalita'.., nel campo del
diritto  penale  equivale  a  negare legittimita' alle incriminazioni
che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali
di  prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo
(ai  suoi  diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza   n. 409   del   1989).  Peraltro,  leggendo  la  relazione
all'emendamento  del  d.-l.  n. 241/2004, che ha introdotto una cosi'
elevata  sanzione,  si nota come i relatori giustifichino la modifica
legislativa  soltanto  con  riferimento  alla necessita' di adeguarsi
alla  sentenza  della  Corte costituzionale n. 223 del 2004 che aveva
ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 14, comma 5-quinquies,
della  legge sull'immigrazione «nella parte in cui stabilisce che per
il   reato   previsto   dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'
obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto»  per  la  manifesta
irragionevolezza  della  previsione  di  una  misura precautelare non
suscettibile  di  sfociare  in  alcuna  misura  cautelare  in base al
vigente  ordinamento  processuale. In altri termini la trasformazione
in  delitto  e  l'aumento  di pena e' stato dettato dal solo scopo di
ripristinare l'arresto obbligatorio ritenuto illegittimo dalla Corte;
non  a  caso  il  limite  edittale  massimo  della pena e' fissato in
quattro  anni  di reclusione, presupposto minimo per l'adozione della
custodia cautelare in carcere (art. 280, comma 2 c.p.p.). Pertanto la
risposta  sanzionatoria e' stata scollegata dal grado di offensivita'
della   condotta   e  strumentalizzata  ad  una  finalita'  meramente
processuale,   quella   di  giustificare  l'arresto  obbligatorio  in
flagranza  e di garantire lo svolgimento del giudizio direttissimo in
tutte  le ipotesi previste dal codice di procedura penale. Ora, se si
ritorna   al   raffronto   tra   la   disciplina  dell'ingiustificato
trattenimento   in   Italia  dello  straniero  e  l'inosservanza  del
provvedimento    di   rimpatrio   si   osserva   un   differente   ed
incomprensibile  trattamento  del  bene  della liberta' personale nel
caso  in  cui  i  destinatari  siano  le  persone  pericolose  di cui
all'art. 1, legge n. 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte abbia
affermato  che  «per  quanto  gli  interessi pubblici incidenti sulla
materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per  quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.