Ricorso promosso dalla Regione del Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale autorizzato mediante deliberazione della Giunta stessa 14 giugno 2005, n. 1400, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Romano Morra del Foro di Venezia e Andrea Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, via F. Confalonieri n. 5; contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, via dei Portogesi, 12 - Roma, avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Veneto 21 aprile 2005, n. 1735, per la dichiarazione che non spetta allo Stato, e nello specifico al Tribunale amministrativo regionale Veneto, affermare che e' implicitamente abrogata la legge regionale Veneto n. 27 del 1993. Fatto e diritto 1. - Con la sentenza 21 aprile 2005, n. 1735 il Tribunale amministrativo regionale del Veneto decideva due distinti ricorsi proposti dalla societa' Panizzon Bruno & Figli per l'annullamento, con il primo, del provvedimento dirigenziale di diniego di concessione edilizia e della delibera consiliare di adozione della variante generale al P.R.G. del comune di Schio (Vicenza) e, con il secondo, del provvedimento dirigenziale di diniego di permesso di costruire: nell'accogliere il secondo dei due sopra menzionati ricorsi, il Tribunale amministrativo regionale, assumendo di far applicazione del disposto di cui all'art. 10 della legge n. 62 del 1953, dichiarava che «a seguito dell'entrata in vigore della legge quadro n. 36 del 2001 completata a regime con l'emanazione del d.P.C.m. 8 luglio 2003 per quanto riguarda i valori soglia per le emissioni elettromagnetiche, la normativa da applicare doveva essere quella nazionale, non residuando alcuna possibilita' di applicazione per la pregressa normativa regionale, come tale, per il principio sopra richiamato, da ritenersi implicitamente abrogata». Nel dichiarare l'abrogazione della normativa regionale, il Tribunale amministrativo regionale ha leso l'autonomia della Regione del Veneto, operando uno sconfinamento assoluto dalla giurisdizione, in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione. 2. - Al fine di comprendere la questione posta dalla Regione del Veneto con il presente ricorso si rende indispensabile ripercorrere i termini della vicenda svoltasi davanti al Tribunale amministrativo regionale. La societa' ricorrente affermava di essere proprietaria di un lotto di terreno edificabile nel comune di Schio, appartenente alla lottizzazione residenziale e di aver presentato istanza per il rilascio della concessione edilizia. Essendo l'area della lottizzazione attraversata da un elettrodotto con cavo aereo di tensione pari a 132 kv, il Comune disponeva l'accertamento da parte dell'ARPAV di Vicenza dell'entita' dei campi magnetici provocati dall'elettrodotto insistente sull'area di proprieta'. Nel frattempo, il comune approvava la variante generale al P.R.G. con la quale venivano introdotte fasce di rispetto degli elettrodotti con inedificabilita' assoluta di ml. 50, con l'esplicito richiamo alle prescrizioni vigenti in materia di valori di emissione. Il dirigente del Servizio Edilizia Privata respingeva la richiesta della concessione a costruire dato che, a seguito degli accertamenti effettuati, l'area sulla quale era stato chiesto il rilascio del provvedimento risultava compresa nella fascia di rispetto, cosi' come individuata dalla cartografia di cui alla variante generale, e risultavano superati i limiti di induzione magnetica, stabiliti dalla legge regionale Veneto n. 27 del 1993. Il primo ricorso, dunque, veniva proposto avverso quest'ultimo provvedimento adducendo, tra l'altro, la violazione di legge con riguardo all'art. 16 della legge statale n. 36 del 2001 e l'eccesso di potere per difetto di presupposto. La societa' ricorrente sosteneva, infatti, che laddove si ritenesse che il diniego comunale derivi direttamente dalla legge regionale n. 27 del 1993, la quale ha stabilito determinati valori limite per le emissioni elettromagnetiche nell'ambito della prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati dagli elettrodotti, il provvedimento comunale si porrebbe in palese contrasto con la nuova disciplina introdotta dalla legge-quadro n. 36 del 2001 sulla protezione dall'esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Nelle more dell'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'art. 4, comma 2, lett. a) della legge-quadro, con cui dovevano essere introdotti i parametri, la legge statale, infatti, prevede l'applicabilita' delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 1992, che stabiliva dei limiti di campo elettromagnetico superiori a quelli fissati dalla normativa regionale. La ricorrente riteneva che non potessero trovare applicazione i valori limite piu' restrittivi contenuti nella normativa regionale: per effetto dell'entrata in vigore della legge statale a carattere generale, accompagnata da normative di attuazione, si sarebbe prodotta l'implicita abrogazione della normativa regionale di dettaglio previgente. Nell'ipotesi in cui le disposizioni della legge della Regione del Veneto non si fossero ritenute abrogate, la difesa della ricorrente eccepiva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge regionale n. 27 del 1993 per violazione dell'art. 117 della Costituzione, conseguente al contrasto con i principi fondamentali di cui alla legge n. 36 del 2001. Con il secondo ricorso la societa' proprietaria dell'area impugnava anche il successivo provvedimento di diniego, rilevando, tra l'altro, la violazione e falsa applicazione della legge n. 36 del 2001 e degli artt. 3 e 4 del d.P.C.m. dell'8 luglio 2003 con cui, in applicazione della stessa legge n. 36, vengono fissati i valori limite. La difesa della ricorrente richiamava le osservazioni fatte con il primo ricorso in riferimento all'avvenuta abrogazione della legislazione regionale, dai limiti piu' restrittivi, a seguito dell'intervento del legislatore nazionale, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953. Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto, come si e' anticipato supra, con la sentenza 21 aprile 2005, n. 1735 ha respinto il primo e accolto il secondo dei ricorsi proposti, risolvendo la questione dell'applicabilita' dei valori soglia individuati dalla legislazione regionale ovvero quelli individuati dal legislatore nazionale per effetto della disposizione contenuta nell'art. 16 della legge n. 36 del 2001. Quanto al periodo antecedente l'entrata in vigore del d.P.C.m. 8 luglio 2003, il Tribunale amministrativo regionale ha ritenuto che l'operativita' della nuova disciplina statale dovesse avvenire soltanto a seguito del completamento dell'impianto normativo avviato dalla legge n. 36 del 2001 e cioe' proprio con l'approvazione del decreto richiamato dall'art. 4, comma 2, della stessa legge. All'epoca dell'adozione del primo diniego, - si osserva nella sentenza in oggetto - non essendosi ancora completata la disciplina introdotta dalla legge quadro statale con l'introduzione dei nuovi limiti, basati sui valori di emissione e valevoli per tutto il territorio nazionale, la legislazione regionale doveva ritenersi ancora vigente, operando al fine del perseguimento degli obiettivi di tutela della salute umana, al pari di quella statale (con cio' richiamando la pronuncia n. 328 del 1999 di codesta ecc.ma Corte). Come si e' anticipato, il tribunale amministrativo regionale veneto ha accolto, invece, il secondo ricorso presentato dalla ricorrente avverso il diniego nuovamente espresso dopo l'entrata in vigore del d.P.C.m. 8 luglio 2003. Il Tribunale amministrativo regionale, richiamando la sentenza n. 307 del 2003 di codesto ecc.no Collegio, ha rilevato che nell'ambito della fissazione dei valori soglia dell'inquinamento elettromagnetico la potesta' legislativa delle Regioni e' di tipo concorrente, come tale subordinata al rispetto dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale e ne ha dedotto l'inapplicabilita' della legge regionale veneta n. 27 del 1993. Tale legge - si afferma nella pronuncia del Tribunale amministrativo regionale - «deve, pertanto ritenersi superata ed automaticamente abrogata nei limiti in cui essa si pone in termini incompatibili con quanto ha disposto il legislatore statale», cio' «in applicazione del principio generale di cui all'art. 10 della legge n. 62/1953», per cui il sopravvenire della disciplina statale di principio comporta l'abrogazione delle disposizioni regionali incompatibili». Il Tribunale amministrativo regionale Veneto, dunque, risolve la questione concludendo che «a seguito dell'entrata in vigore della legge quadro n. 36/2001 completata a regime con l'emanazione del d.P.C.m. 8 luglio 2003 per quanto riguarda i valori soglia per le emissioni elettromagnetiche, la normativa da applicare doveva essere quella nazionale, non residuando alcuna possibilita' di applicazione per la pregressa normativa regionale, come tale, per il principio sopra richiamato, da ritenersi implicitamente abrogata». 3. - Con la pronuncia che si e' ora richiamata nei suoi passaggi piu' significativi il Tribunale amministrativo regionale, dichiarando l'avvenuta abrogazione della normativa regionale, in tutta evidenza ha posto in essere uno sconfinamento dalla giurisdizione in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione, cosi' ledendo l'autonomia regionale. Il giudice amministrativo, dubitando della legittimita' costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993, contrastante con la legge-quadro statale, avrebbe dovuto sollevare la questione davanti a codesta ecc.ma Corte costituzionale - e sospendere il giudizio - non decidere i ricorsi semplicemente dichiarando l'abrogazione, come invece ha fatto. Nel quadro dei principi del nostro sistema costituzionale risulta assolutamente paradossale che un Tribunale amministrativo regionale possa dichiarare abrogata una legge regionale in vigore a seguito dell'emanazione di un d.P.C.m., atto di natura regolamentare, per quanto attuativo della legge quadro della materia. La legge n. 36 del 2001, del resto, all'art. 4, comma 5, prevede che le Regioni «adeguino la propria legislazione ai limiti di esposizione» previsti dai decreti di cui al comma 2 dello stesso art. 4, con cio' semplicemente imponendo alle Regioni di porre in essere una normativa conforme al dettato statale, il che, ovviamente, esclude che l'antinomia creatasi tra fonti possa risolversi con l'implicita abrogazione della legislazione regionale. Anche a non voler considerare le osservazioni critiche ora formulate - che appaiono difficilmente superabili e' utile chiedersi se la legge Scelba, applicata dal giudice amministrativo veneto, sia ancora in vigore. Infatti, nella sentenza n. 1735 del 2005 del Tribunale amministrativo regionale del Veneto che, violando la sfera di autonomia regionale costituzionalmente garantita, ha dato origine al presente conflitto l'abrogazione della normativa regionale viene fatta operare richiamandosi all'art. 10 della legge n. 62 del 1953, in forza del quale, come e' noto, «le leggi della Repubblica», che modificano i principi fondamentali nelle materie di competenza legislativa concorrente, «abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse». Pur sottolineando come anche la legge Scelba faccia discendere l'abrogazione della normativa regionale unicamente all'entrata in vigore di disposizioni di rango legislativo e non gia' regolamentare, si impongono alcune considerazioni in ordine alla compatibilita' di questa disciplina con l'attuale quadro costituzionale. L'art. 10 della legge n. 62 del 1953, della cui costituzionalita' si era a lungo dubitato in passato, appare certo in diretto contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo V della nostra Costituzione a seguito delle modifiche operate con la legge costituzionale n. 3 del 2001. e con la normativa ordinaria di adeguamento. La novella costituzionale ha indubbiamente voluto ampliare l'autonomia legislativa riconosciuta alle Regioni, ridisegnando tutto l'ambito e la natura delle competenze statali e regionali e i loro rispettivi rapporti. Non e' necessario, naturalmente, ricordare quali siano le significative novita' poste dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 in materia di potesta' legislativa regionale anche di tipo concorrente; la difesa della Regione del Veneto ricorda solo come codesta ecc.ma Corte, nell'interpretare il nuovo testo dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, abbia avuto modo di chiarire come i principi fondamentali della materia possano essere ricavati dalla legislazione statale gia' in vigore, qualora non ne vengano dettati di nuovi (cfr. sentenze n. 282 del 2002, n. 201 e 353 del 2003 - in conformita', sotto questo profilo, alla propria giurisprudenza elaborata in sede di prima attuazione dell'ordinamento regionale previsto dal Titolo V della Costituzione nella sua originaria formulazione -, fermo restando che la nuova formulazione dell'art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell'art 117, primo comma, esprime l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina». Anche la potesta' legislativa concorrente delle Regioni va, dunque, intesa in modo tale da valorizzare il mutato rapporto con la potesta' legislativa statale, dovendo entrambe essere esercitate, ai sensi dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, «nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». A tal fine e' utile ricordare che l'entrata in vigore del novella costituzionale ha determinato la necessita' di adottare una legge - la n. 131 del 2003, c.d. legge La Loggia - che dettasse disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge cost. n. 3 del 2001. In particolare, l'art. 1 della legge La Loggia ha ad oggetto proprio l'«attuazione dell'art. 117, primo e terzo comma della Costituzione, in materia di legislazione regionale.». Si tratta, dunque, di una disciplina di carattere generale necessariamente destinata a sostituirsi alla vecchia disciplina, - quale la legge Scelba - dettata nei primi tentativi di attuazione dell'ordinamento regionale. La legge n. 131 del 2003 si occupa, infatti, proprio del passaggio dal sistema di competenze previsto dall'originario testo costituzionale all'attuale. Il comma secondo della legge ora citata stabilisce, nel primo periodo, che «le disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna Regione, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia, fermo quanto previsto al comma 3, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale» e nel secondo periodo che «le disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte costituzionale». Particolarmente significativa, in questa sede, risulta anche la disposizione dell'art. 1, comma 3, della legge La Loggia, che, in conformita' all'orientamento di, codesta ecc.ma Corte, prevede testualmente: «nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potesta' legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti». Come si puo' agevolmente notare, nessuna delle norme ora richiamate ha riprodotto il testo dell'art. 10 della legge Scelba o vi ha fatto rinvio. Al contrario, quando la legge n. 131 del 2003 ha voluto stabilire limiti all'applicazione della normativa regionale a seguito dell'entrata in vigore della competente legislazione statale lo ha fatto esplicitamente, come nella seconda parte del comma 2, dedicato alle materie appartenenti alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. L'art. 10 della legge n. 62 del l953 - per quanto si e' detto - e' da ritenersi abrogato, dunque, a seguito dell'introduzione del nuovo testo del Titolo V della Costituzione o, a tutto concedere, a partire dall'entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131, che ha ridisciplinato la materia. La conseguenza necessaria di questo ragionamento e' che il Tribunale amministrativo regionale veneto non aveva il potere di ritenere abrogata la normativa regionale relativa ai valori soglia per le emissioni elettromagnetiche, e che, come si e' gia' anticipato, il giudice amministrativo avrebbe al limite solo potuto sollevare la questione di legittimita' costituzionale. Dichiarando abrogata la disciplina regionale, dunque, il Tribunale amministrativo regionale del Veneto ha esercitato un potere che non gli spettava - essendosi determinato uno sconfinamento assoluto di giurisdizione -, cosi' ledendo l'autonomia regionale riconosciuta dagli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione. Qualora, per altro, l"ecc.ma Corte costituzionale non ritenesse operata l'abrogazione della disposizione di cui all'art. 10 della legge n. 62 del 1953 ne' a seguito della novella costituzionale del 2001 ne' a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 131 del 2003, la difesa della Regione del Veneto chiede che Ella sollevi la questione di legittimita' costituzionale del medesimo art. 10 della legge Scelba avanti a se' stessa per contrasto con gli artt. 5, 114 e 117 della Costituzione.