ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1-bis  del
decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18 (Disposizioni urgenti in materia
di  giudizio  necessario  secondo  equita),  introdotto,  in  sede di
conversione, dalla legge 7 aprile 2003, n. 63, promosso dal Tribunale
di  Torre  Annunziata,  con ordinanza del 5 agosto 2004, sull'appello
proposto  da  RAS Riunione adriatica di sicurta' s.p.a. contro G. A.,
iscritta  al  n. 891  del  registro ordinanze 2004 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 46,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 4 maggio 2005 il giudice
relatore Francesco Amirante.
    Ritenuto  che  nel corso del giudizio di appello nei confronti di
una  sentenza  emessa  dal  Giudice di pace di Torre Annunziata - che
aveva  condannato  una societa' assicuratrice a restituire all'attore
la  somma  di  euro  85,53 a titolo di indebito aumento del premio di
assicurazione  -  il  Tribunale  di  quella  citta'  ha sollevato, in
riferimento    all'art. 24    Cost.,    questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 1-bis  del  decreto-legge  8 febbraio 2003,
n. 18 (Disposizioni urgenti in materia di giudizio necessario secondo
equita),  introdotto,  in  sede  di conversione, dalla legge 7 aprile
2003, n. 63;
        che  il  remittente  premette che l'art. 1 del d.l. n. 18 del
2003  ha modificato l'art. 113 cod. proc. civ. nel senso di sottrarre
al  giudizio  di equita' del giudice di pace le cause che, pur avendo
valore  inferiore a 1.100 euro, siano derivanti da rapporti giuridici
relativi   a   contratti   conclusi   secondo  le  modalita'  di  cui
all'art. 1342  cod. civ., mentre il successivo art. 1-bis, introdotto
in  sede  di  conversione,  ha  disposto  che tale regola si applichi
esclusivamente  ai  giudizi  instaurati  con citazione notificata dal
10 febbraio 2003;
        che il giudice a quo rammenta, inoltre, che l'art. 339, terzo
comma, cod. proc. civ. rende inappellabili le sentenze del giudice di
pace  emesse secondo equita' e che, secondo «orientamento consolidato
della  giurisprudenza  di  legittimita',  tale  da costituire diritto
vivente»,  le disposizioni processuali si applicano anche ai processi
in   corso,   ove   la  legge  non  ponga  una  specifica  disciplina
transitoria;
        che  il  Tribunale  di  Torre  Annunziata  specifica  che  il
giudizio   di  cui  si  tratta  e'  stato  introdotto  con  citazione
notificata  il  23 dicembre  2002,  che la sentenza di primo grado e'
stata   depositata   il  24 febbraio  2003  ed  e'  stata  notificata
all'odierno  appellante  in  data 27 febbraio 2003 e che l'appello e'
stato notificato il successivo 28 marzo 2003;
        che  la  controversia,  pertanto,  pur  rientrando tra quelle
derivanti  dai  contratti  di  cui  all'art. 1342  cod. civ., avrebbe
dovuto  essere  decisa  in  primo grado secondo diritto, come risulta
essere  effettivamente  avvenuto;  d'altra  parte, nel momento in cui
l'appello e' stato proposto non era ancora entrata in vigore la norma
transitoria  di  cui al menzionato art. 1-bis, sicche' la sentenza di
primo grado doveva ritenersi appellabile;
        che  in  pendenza  del  giudizio  d'appello, invece, la norma
impugnata e' intervenuta a stabilire che la soppressione del giudizio
di  equita',  con la conseguente appellabilita' delle sentenze, valga
per  i  soli  giudizi  introdotti  dopo  il  10 febbraio 2003, con la
conseguenza  che,  essendo stato il giudizio in oggetto introdotto in
epoca  precedente,  la parte appellata ha eccepito l'inammissibilita'
dell'appello;
        che   il  Tribunale  di  Torre  Annunziata  dichiara  che  la
questione di legittimita' costituzionale dell'impugnato art. 1-bis e'
rilevante  ai  fini  della  decisione sulla suddetta eccezione ed e',
altresi',  non  manifestamente  infondata  in riferimento all'art. 24
Cost., poiche' la disposizione censurata, introdotta soltanto in sede
di conversione del d.l. n. 18 del 2003, ha determinato la lesione del
diritto  di  difesa  dell'appellante  il quale, pur avendo proposto a
tempo  debito  l'unica  forma  di  impugnazione in quel momento a lui
consentita,  «si  vede  di  fatto  privato  del mezzo di impugnazione
esperito  nonche' della facolta' di proporre ricorso per cassazione»,
essendo  ormai  scaduti  i  termini  per  il  ricorso  e  non essendo
applicabile in materia di impugnazioni l'istituto della rimessione in
termini;
        che    la    norma    impugnata,   quindi,   viene   ritenuta
costituzionalmente  illegittima  nella  parte  in  cui prevede che le
disposizioni  di  cui  al d.l. n. 18 del 2003, convertito nella legge
n. 63  del  2003, si applicano solo ai giudizi introdotti con atto di
citazione  notificato  dal  10 febbraio  2003 e non a tutti i giudizi
comunque  pendenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto
medesimo; ed in subordine nella parte in cui non fa salvi gli effetti
delle   decisioni  e  delle  impugnazioni  proposte  ai  sensi  della
normativa contenuta nel predetto decreto-legge;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la questione venga dichiarata inammissibile o
manifestamente infondata;
        che,  secondo  l'Avvocatura, la sentenza resa secondo diritto
in  primo grado e', nel caso specifico, comunque appellabile, poiche'
per  le  impugnazioni  vale  il  principio tempus regit actum, con la
conseguenza  che nel giorno in cui venne notificato l'atto di appello
(28 marzo 2003) non era stata ancora disposta la conversione in legge
del  d.l.  n. 18 del 2003, sicche' in base al sistema vigente in quel
momento  l'appello era l'unica impugnazione possibile e nessun valore
potrebbe avere, ai fini della vicenda in esame, l'art. 1-bis del d.l.
n. 18  del  2003,  introdotto  dalla  citata  legge  n. 63  del 2003,
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale del 10 aprile 2003 ed entrata in
vigore il successivo 11 aprile.
    Considerato  che  il  giudice  remittente  dubita, in riferimento
all'art. 24  della  Costituzione,  della  legittimita' costituzionale
dell'articolo 1-bis   del   decreto-legge   8 febbraio   2003,  n. 18
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  giudizio  necessario secondo
equita), introdotto in sede di conversione dalla legge 7 aprile 2003,
n. 63, che stabilisce che la norma dell'art. 1 dello stesso decreto -
la  quale  prescrive  che  siano decise secondo diritto e non secondo
equita'  le  cause relative a contratti conclusi secondo le modalita'
di   cui   all'articolo 1342  cod.  civ.  -  si  applichi  solo  alle
controversie  iniziate  con  citazione  «notificata  dal  10 febbraio
2003»;
        che secondo il remittente tale norma, introdotta con la legge
di  conversione, in quanto di natura processuale sarebbe di immediata
applicazione,  ma  in  quanto valevole anche nei giudizi svoltisi nel
vigore  del  testo  originario  del  decreto-legge, non contenente la
suindicata limitazione temporale, e quindi decisi secondo diritto con
sentenze  appellabili, finirebbe con il rendere ex post inammissibile
l'appello, con lesione del diritto di difesa;
        che  il  remittente chiede in via principale la dichiarazione
di  illegittimita'  costituzionale  della  norma  censurata nella sua
globalita'  ed  in  via  subordinata  in quanto essa non prevede «che
siano  salvi  gli effetti delle impugnazioni proposte nella vigenza e
secondo la disciplina del decreto-legge»;
        che  va  premesso  che le contraddizioni sulle date di alcuni
atti  processuali  in  cui e' incorsa l'ordinanza di rimessione (come
data dell'atto introduttivo a volte e' indicato il 23 dicembre 2002 a
volte  erroneamente  il  23 dicembre 2003 e quella del deposito della
sentenza  impugnata  a  volte e' fatta risalire al 24 febbraio 2003 a
volte  erroneamente al 24 febbraio 2004, ferma restando la data della
notifica   della   sentenza,   indicata  nel  27 febbraio  2003)  non
impediscono   la   reale   ricostruzione   temporale   della  vicenda
processuale,  ne'  la ricostruzione del percorso logico-giuridico del
remittente,  le  cui argomentazioni non sono condivisibili perche' si
fondano su di un presupposto erroneo;
        che   l'affermazione,   in   caso  di  successione  di  norme
processuali,  della  loro  immediata  applicabilita' non ne comporta,
contrariamente  a  cio' che apoditticamente si ritiene nell'ordinanza
di  rimessione,  l'applicazione anche agli atti gia' compiuti ed alle
situazioni gia' esaurite;
        che   il   giudice  remittente  e'  convinto  di  dover  fare
applicazione  in  grado  di appello della norma censurata, introdotta
solo  dalla legge di conversione e quindi entrata in vigore (art. 15,
comma 5,  della  legge 23 agosto 1988, n. 400) quando non soltanto la
controversia  in  primo  grado  era  stata  decisa  nella vigenza del
sistema  normativo  di  cui al testo originario del decreto-legge, ma
era   addirittura   spirato   il  termine  breve  per  l'impugnazione
(appello), ritualmente proposto secondo detto sistema;
        che  siffatto ragionamento postula l'applicazione della norma
sopravvenuta ad atti gia' compiuti ed a situazioni gia' esaurite;
        che,   pertanto,  non  puo'  in  alcun  modo  verificarsi  il
paventato  effetto di privazione di un mezzo impugnazione validamente
esperito  dalla  parte  e di conseguente passaggio in giudicato della
sentenza  di  primo  grado  a  causa dello spirare dei termini per la
proposizione del ricorso per cassazione;
        che  da  tanto  consegue  l'implausibilita' della motivazione
sulla rilevanza della questione e la manifesta inammissibilita' della
medesima.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.