ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 180, comma 1,
del  decreto  legislativo  24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle
disposizioni  in  materia  di  intermediazione  finanziaria, ai sensi
degli  articoli 8  e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), promosso
con  ordinanza del 7 maggio 2004 dalla Corte d'appello di Brescia nel
procedimento  penale  a  carico di E. G. ed altro, iscritta al n. 943
del  registro  ordinanze  2004  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 48, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto l'atto di costituzione di E. G;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 maggio 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che con l'ordinanza in epigrafe - emessa nel corso di un
processo  penale,  in  grado  di  appello,  nei  confronti di persone
imputate  del  reato  previsto  dalla  norma  impugnata  -  la  Corte
d'appello  di  Brescia ha sollevato, in riferimento all'art. 76 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 180,
comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico
delle  disposizioni  in  materia  di  intermediazione finanziaria, ai
sensi  degli  articoli 8  e  21  della legge 6 febbraio 1996, n. 52),
nella  parte  in  cui prevede per il delitto di abuso di informazioni
privilegiate una pena notevolmente superiore a quella precedentemente
comminata dall'omologa disposizione contenuta nell'art. 2 della legge
17 maggio  1991,  n. 157  (Norme  relative  all'uso  di  informazioni
riservate  nelle  operazioni  in  valori mobiliari e alla Commissione
nazionale per le societa' e la borsa);
        che,  ad  avviso  del  giudice rimettente, l'incremento della
pena  edittale  di  tale  delitto,  attuato  dalla  norma  denunciata
(reclusione  fino  a  due anni e multa da venti a seicento milioni di
lire),     non     troverebbe     fondamento     nella    legge    di
delegazione 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per l'adempimento di
obblighi   derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  comunita'
europee. Legge comunitaria 1994);
        che  l'art. 8  di  tale legge, sulla cui base il d.lgs. n. 58
del  1998  e'  stato emanato, delegava infatti il Governo ad emanare,
entro  due  anni  dall'entrata  in  vigore della legge stessa, «testi
unici  delle disposizioni dettate in attuazione della delega prevista
dall'articolo 1»  -  finalizzata,  a propria volta, al recepimento di
determinate  direttive  comunitarie - «coordinandovi le norme vigenti
nelle  stesse  materie, ed apportando alle medesime le integrazioni e
modificazioni necessarie al predetto coordinamento»;
        che,  a fronte di tale previsione - prosegue il giudice a quo
-   il  legislatore  delegato  ha  quindi  apportato  modifiche  alla
descrizione  della  fattispecie  criminosa dell'abuso di informazioni
privilegiate,  precedentemente  contemplata  dall'art. 2  della legge
n. 157  del  1991:  e  cio'  con riferimento, ad esempio, all'oggetto
degli  scambi  (individuato,  in  linea  con  la  terminologia  delle
direttive  comunitarie  in  materia,  negli  «strumenti  finanziari»,
anziche'  nei  «valori  mobiliari»);  al  concetto  di  «informazione
privilegiata»  (che  sostituisce quello di «informazione riservata»);
ed   al   requisito   dell'idoneita'   della  stessa  ad  influenzare
sensibilmente i prezzi;
        che   fra  le  integrazioni  e  modificazioni  necessarie  al
coordinamento,   che  l'art. 8  della  legge  delega  autorizzava  ad
attuare,    non    sarebbe   tuttavia   possibile   includere   anche
l'aggravamento del trattamento sanzionatorio della figura delittuosa;
        che  il  citato art. 2 della legge n. 157 del 1991 comminava,
infatti,  per  il  «reato  base», la pena della reclusione fino ad un
anno  e della multa da dieci a trecento milioni di lire, prevedendone
il raddoppio per il reato proprio degli azionisti di controllo, degli
amministratori,  liquidatori, direttori generali, dirigenti o sindaci
della  societa',  commesso  dopo  la  convocazione  del  consiglio di
amministrazione,  o  organo  equivalente,  e  prima  che  la relativa
deliberazione fosse resa pubblica;
        che   la   scelta  del  legislatore  delegato,  in  punto  di
allineamento   del   trattamento   sanzionatorio   della  fattispecie
all'ipotesi  che  in  precedenza  era  considerata piu' grave - e che
peraltro e' scomparsa nella nuova norma incriminatrice - non solo non
rifletterebbe  alcuna  esigenza  di coordinamento con le disposizioni
sopraggiunte;   ma   non  sarebbe  neppure  imposta  dalle  direttive
comunitarie in materia - ed in particolare dalla direttiva 89/592/CEE
-  le  quali  si  limitavano a richiedere la comminatoria di sanzioni
«sufficientemente dissuasive»;
        che nel senso dell'esclusione di qualsiasi aggravamento della
pena  militerebbe anche la previsione dell'art. 21 della legge delega
n. 52  del  1996,  ove  si  stabiliva  che  -  in  sede riordinamento
normativo,  da attuare ai sensi dell'art. 8 della stessa legge, delle
materie   concernenti   gli  intermediari,  i  mercati  finanziari  e
mobiliari  e  gli  altri  aspetti  comunque  connessi  - «le sanzioni
amministrative  e  penali  potranno essere coordinate con quelle gia'
comminate  da  leggi  vigenti  in  materia bancaria e creditizia, per
violazioni che siano omogenee e di pari offensivita»;
        che,  ad avviso del giudice rimettente, in sede di attuazione
della  delega,  si  e'  presumibilmente  ravvisata  la  necessita' di
adeguare  la  risposta  punitiva alla pericolosita' dei comportamenti
incriminati,  anche  a  fronte della accresciuta sensibilita' sociale
per  il  fenomeno  regolato:  ma  una  simile valutazione non avrebbe
potuto  essere  operata autonomamente dal Governo, rimanendo affidata
in via esclusiva al Parlamento;
        che   la  questione  assumerebbe,  d'altra  parte,  specifico
rilievo  nel  giudizio  a  quo,  avendo  il  giudice  di  primo grado
quantificato  la  pena  in misura corrispondente al massimo di quella
prevista dalla vecchia disposizione;
        che si e' costituito nel giudizio di costituzionalita' E. G.,
imputato  appellante nel processo a quo, il quale ha svolto deduzioni
adesive  alle  tesi  del giudice rimettente, chiedendo l'accoglimento
della questione.
    Considerato  che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e'
intervenuta   la   legge  18 aprile  2005,  n. 62  (Disposizioni  per
l'adempimento  di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza dell'Italia
alle  comunita'  europee.  Legge  comunitaria 2004), pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  del  27 aprile 2005, serie generale, supplemento
ordinario  n. 96, il cui art. 9 - novellando il d.lgs. n. 58 del 1998
-   ha   integralmente   ridisegnato   la  disciplina  dell'abuso  di
informazioni  privilegiate,  in  attuazione della direttiva 2003/6/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa
all'abuso  di  informazioni  privilegiate  e  alla  manipolazione del
mercato  (abusi  di  mercato),  e delle direttive di attuazione della
Commissione 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/1972/CE;
        che,  a  seguito  di  tale  intervento  normativo,  la figura
criminosa  de qua - contemplata dal nuovo art. 184 del citato decreto
legislativo - risulta modificata sia in rapporto alla descrizione del
fatto incriminato che con riguardo alla risposta punitiva;
        che,  sul  primo  versante  -  al  di la' del mutamento della
formula  identificativa  dei  soggetti  attivi  del reato (alinea del
comma 1  del citato art. 184); dell'estensione dell'incriminazione ad
ulteriori  categorie di soggetti (comma 2); delle modifiche apportate
alla descrizione delle singole condotte penalmente rilevanti (lettere
a),  b)  e  c)  del  comma 1);  e  delle  precisazioni  relative agli
strumenti  finanziari di riferimento (comma 4) - viene in particolare
rilievo  la  piu'  puntuale  ed analitica definizione del concetto di
«informazione  privilegiata»,  offerta  dal nuovo art. 181 del d.lgs.
n. 58 del 1998;
        che detta disposizione specifica, tra l'altro, la valenza dei
requisiti del «carattere preciso» e dell'idoneita' dell'informazione,
ove  resa  pubblica,  ad  influire  in  modo  sensibile sui prezzi di
strumenti finanziari (c.d. price sensitivity): enunciando, a tal fine
-  in  linea  con  le  previsioni  delle direttive comunitarie dianzi
citate  -  parametri  di  identificazione delle notizie tutelate, che
sono   invece  assenti  nella  disciplina  anteriore  (commi  3  e  4
dell'art. 181);
        che,   sul   secondo   versante   -  quello  del  trattamento
sanzionatorio - la pena risulta notevolmente inasprita (reclusione da
uno  a sei anni e multa da euro ventimila a euro tre milioni: comma 1
del  nuovo  art. 184  del  d.lgs.  n. 58  del  1998),  con  parallelo
ampliamento  del  potere  del  giudice  di  aumentare  la  multa, ove
ritenuta   inadeguata   anche  se  applicata  nel  massimo  (comma  3
dell'art. 184);  inoltre,  l'abuso di informazioni privilegiate viene
sanzionato    anche   in   via   amministrativa,   facendo   peraltro
espressamente  «salve  le sanzioni penali quando il fatto costituisce
reato» (nuovo art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998);
        che  si impone, di conseguenza, la restituzione degli atti al
giudice  a  quo per un nuovo esame della rilevanza della questione: e
cio'  non  tanto  in  rapporto  al diverso regime sanzionatorio della
figura   criminosa   (essendo   evidente   che  la  nuova  disciplina
legislativa,  se  vale  senz'altro a sanare per il futuro il supposto
eccesso   di   delega   denunciato  dal  rimettente,  resta  comunque
inapplicabile  ai fatti anteriori, trattandosi di modifica in peius);
quanto   piuttosto  in  relazione  ai  sopravvenuti  mutamenti  nella
descrizione  del  fatto  tipico,  e  segnatamente  alla  nuova e piu'
specifica   definizione   dell'informazione   oggetto   degli   abusi
incriminati:  mutamenti a fronte dei quali si rende necessario che il
rimettente  verifichi  se  la  fattispecie concreta sottoposta al suo
esame resti o meno tuttora penalmente significativa.