IL GIUDICE DI PACE Letti gli atti del procedimento penale n. 7/05 R.G. GDP e n. 697/05 R.G.PM scaturito dal ricorso immediato al giudice depositato il 5 febbraio 2005 da Scissione Romano nei confronti di De Rosa Giuseppe; Visto il parere contrario all'emissione del decreto di convocazione delle parti espresso dal P.M. ai sensi dell'art. 25, comma 2, lett. g), d.lgs. n. 274/2000, poiche' l'atto depositato presso il suo ufficio non «contiene i documenti di cui si chiede l'acquisizione» (ex artt. 21, comma 2, lett. g), e 24 d.lgs. n. 274/2000); Posto che il giudice qualora non ritenga di condividere tale parere, ne' di provvedere ai sensi dell'art. 27, d.lgs. n. 274/2000, deve necessariamente convocare davanti a se' le parti in udienza emettendo decreto ai sensi dell'art. 27, comma 1, e che tale decreto deve essere notificato alle parti almeno «venti giorni prima dell'udienza», art. 27, comma 4, d.lgs. n. 274/2000; Si impone di sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale per i seguenti motivi: 1) contrasto con l'art. 3 Costituzione dell'art. 27, comma 1, d.lgs. n. 274/2000 nella parte in cui non prevede che in caso di parere contrario o in assenza di richieste del p.m. il giudice non possa ordinare l'imputazione coattiva cosi' come previsto in caso di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione dall'art. 17, comma 4, nonche' nella parte in cui lo stesso art. 27, al conima 2 lett. d), non preveda la trascrizione dell'imputazione «formulata dal p.m.»; 2) contrasto con gli artt. 3 e 111, comma 1 e 2, Cost. dell'art. 27, comma 1, d.lgs. n. 274/2000 laddove, in caso di mancato accoglimento della prima questione, non preveda che il giudice debba convocare le parti in udienza davanti ad altro giudice; 3) contrasto con gli artt 3, 24, 111, comma 1 e 3, Cost. dell'art. 27, comma 4, d.lgs. n. 274/2000 ove non preveda termini di comparizione superiori o almeno di trenta giorni come per la citazione a giudizio disposta dalla p.g.; Le questioni sono rilevanti in quanto decisive ai fini della prosecuzione del procedimento per le considerazioni che seguono; O s s e r v a Punto 1. Ritiene il giudice che il ricorso immediato depositato non e' inammissibile, ne' manifestatamene infondato, ne' ricorrono i casi di cui all'art. 26. Di conseguenza occorre necessariamente convocare le parti in udienza emettendo decreto di convocazione, ex art. 27, comma 1, d.lgs. n. 274/2000 che deve, tra l'altro, contenere la «trascrizione dell'imputazione» cosi' come recita l'art. 27, comma 2, lett. d). Tale formula vaga e' stata amputata, nelle more dell'approvazione del testo da parte del Consiglio dei ministri e la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, essendo scomparso, in riferimento all'atto imputativo, la frase «formulato dal pubblico ministero» rimanendo solo l'espressione «la trascrizione dell'imputazione». Cio' pone una serie di questioni a cui necessariamente occorre dare una risposta: a) il giudice non ha il potere di formulare l'imputazione. Lo stesso testo letterale dell'art. 27, comma 2, lett. d), gli impone la «trascrizione dell'imputazione» ovvero la trascrizione di un testo gia' preesistente. b) Tale testo da chi deve essere gia' stato formulato stante l'opposizione o l'inerzia del p.m.? c) Tale obbligo non incombe sul ricorrente che ha il dovere della «descrizione, in forma chiara e precisa del fatto ... con l'indicazione degli articoli violati» (art. 21, comma 2, lett. f) ma nessun obbligo di formulare il capo d'imputazione. d) La dottrina ritiene che il giudice debba recepire l'addebito formulato dalla parte privata nel ricorso, ma se non e' stato formulato? La scelta di recepire l'addebito formulato dalla parte privata, sempre che questa lo abbia formulato, comporta un palese contrasto con l'art. 3 Cost., per disparita' di trattamento nei confronti dell'indagato che vede vagliata la sua posizione da una parte portatrice di interessi quale e' quella ricorrente rispetto all'imputato nei cui confronti viene emesso atto di citazione a giudizio dalla p.g. dopo che il p.m., parte estranea a qualsiasi rapporto di natura personale, ha esercitato l'azione penale formulando l'imputazione. Si potrebbe superare tale ostacolo solo prevedendo l'attivazione dello stesso istituto di cui all'art. 17, comma 4, d.lgs. n. 274/2000 (analogo al 409, comma 5, c.p.p.) ovvero quello dell'imputazione coattiva prevista oggi solo in caso di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione. Ossia il giudice dovrebbe dispone con ordinanza che il p.m. entro dieci giorni formuli l'imputazione. La Corte di cassazione ha ritenuto che oggi al giudice «non e' consentito impone una imputazione coattiva analoga a quella fissata dall'art. 409, comma quinto, c.p.p. la quale determinerebbe una variante della procedura che e' incompatibile con la necessita' di rispettare, in ogni caso le forme speciali del ricorso immediato rispetto a quelle ordinarie» (Sez. 4, sent. 33675 del 5 agosto 2004). (Ritiene la S.C. nella stessa sentenza che il giudice in caso di diniego o inerzia del p.m. non puo' emettere decreto, ma rimettere gli atti al p.m. perche' proceda nelle forme ordinarie, ma cio' non risponde alla lettera degli art. 21 e segg.). L'accoglimento di tale soluzione comporterebbe la previsione della trascrizione dell'imputazione «formulata dal p.m.», formula da aggiungere al dettato della lettera d), comma 2, dell'art. 27, d.lgs. n. 274/2000. Punto 2. Qualora non si ritenesse accoglibile quanto sopra, si presenta un'altra questione. Per prassi della giurisprudenza di merito, il giudice trascrive l'imputazione formulata dalla P.O. ricorrente, sempre se e' stata formulata. Ma mentre in tale fase il giudice dovrebbe pervenire a una delibazione meramente processuale circa la necessita' di dare ingresso alla fase del giudizio non dovendo il decreto di convocazione scaturire da una valutazione di merito, invece, la formulazione degli artt. 21 e seguenti, obbligano il giudice ad adottare l'atto convocativo: di conseguenza si impone non un mero controllo di regolarita' dell'atto, ma un'attivita' di attenta disamina della rilevanza penale dei fatti esposti nel ricorso e la loro attribuibilita' al soggetto indicato quale autore. Il giudice e' tenuto ad esaminare il contenuto del ricorso per valutare l'aderenza del fatto narrato con quello da contestare ed esercitando, di fatto, un potere imputativo cori ripercussioni su uno dei principi fondamentali del nostro processo ovvero quello della separazione delle funzioni dell'accusa da quelle del giudizio. Anche in tale situazione, oltre al caso in cui il p.m. ha formulato l'imputazione, il giudice che ha emesso il decreto di convocazione delle parti sara' il medesimo davanti al quale verra' celebrato il giudizio. Ne consegue il verificarsi di un aperto contrasto con gli artt. 3 e 111, comma 1 e 2, Cost. per disparita' di trattamento e per l'insorgenza di una incompatibilita' sopravvenuta, in corso di procedimento, per effetto di una valutazione gia' operata dal giudice. Ben puo' ritenersi sussistente, infatti, il rischio di condizionamento derivante dalla «forza della prevenzione» ossia nella naturale tendenza a mantenere fermo il giudizio gia' assunto in un precedente momento decisionale, fase nella quale non c'e' stata una mera conoscenza di atti ma la loro valutazione da parte del giudice al fine della decisione di emettere il decreto di convocazione e quindi una valutazione di merito. E' di tutta rilevanza la lesione delle garanzie di «terzieta» ed «imparzialita» del giudice e il timore da parte dell'imputato di veder leso il diritto alla tutela giurisdizionale dinanzi a un giudice dotato delle «prerogative proprie della giurisdizione» cioe' la naturale imparzialita'. Va sollevata questione di legittimita' in riferimento all'art. 111, comma 1 e 2, Cost. nella parte in cui in caso di mancato accoglimento della prima questione (punto 1), l'art. 27, comma 1 d.lgs. n. 274/2000 non preveda, come caso di incompatibilita', quello del giudice che ha emesso il decreto di convocazione con quello che dovra' condurre la fase del giudizio. Punto 3. L'art. 27, quarto comma, prevede termini di comparizione di soli venti giorni. Nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica nel caso di citazione diretta a giudizio, i termini sono di sessanta giorni, tenuto conto che l'imputato ha gia' ricevuto l'avviso del 415-bis c.p.p. con discovery delle fonti di prova prima dell'emissione della stessa citazione. Nel procedimento davanti al giudice di pace, nel caso di citazione a giudizio disposta dalla p.g., i termini sono di trenta giorni. E' evidente che l'imputato chiamato in giudizio ai sensi degli artt. 21 e seguenti del d.lgs. n. 274/2000, non e' messo in condizione di esercitare il diritto alla prova nei tempi adeguati o di porre in essere condotte riparatorie. Basti considerare che tra il ricevimento del decreto e la presentazione della lista dei testi, l'imputato ha solo tredici giorni per prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo e svolgere eventuali indagini difensive. La disposizione in esame pone seriamente il problema di una ingiustificata disapplicazione della regola stabilita dall'art. 111, comma 1 e 3, Cost, da considerarsi norma precettiva e non programmatica, e di un palese contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. e conseguente disparita' di trattamento dell'imputato citato tramite decreto di convocazione, rispetto a quello citato tramite «Citazione a giudizio disposta dalla p.g». Si verifica una rilevante lesione del diritto di difesa che si risolve in un difetto di tutela giurisdizionale impedendo «lo svolgimento di un giusto processo» e creando uno squilibrio tra le parti. In conclusione, il sistema delineato dall'art. 27, d.lgs. n. 274/2000, nelle parti indicate, viola i principi costituzionali richiamati e non sembra superare, comunque, il controllo di conformita' al canone generale di ragionevolezza, nella specie particolarmente stringente.