ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 1,
lettera a), del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti
per  il  risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle
aree  depresse),  convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo
1995,   n. 85,   promosso  con  ordinanza  del  10 marzo  2004  dalla
Commissione  tributaria  provinciale  di  Grosseto nella controversia
vertente  tra  Teodoro Giarnieri e l'Agenzia delle entrate Ufficio di
Grosseto,   iscritta   al  n. 1029  del  registro  ordinanze  2004  e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 giugno 2005 il giudice
relatore Franco Gallo.
    Ritenuto   che,   nel   corso  di  un  giudizio  promosso  da  un
contribuente  nei  confronti  dell'Agenzia  delle  entrate avverso il
silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso della ritenuta
d'acconto  effettuata ai fini dell'IRPEF dal suo datore di lavoro, la
Commissione  tributaria  provinciale  di  Grosseto  ha  sollevato, in
riferimento  agli  artt. 1,  2,  3,  4,  35,  36,  37,  38 e 53 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32,
comma 1,   lettera a),  del  decreto-legge  23 febbraio  1995,  n. 41
(Misure  urgenti  per  il  risanamento  della  finanza pubblica e per
l'occupazione  nelle  aree  depresse), convertito, con modificazioni,
dalla  legge  22 marzo  1995,  n. 85,  con  il  quale il regime della
tassazione  separata  previsto dall'articolo 16, comma 1, lettera a),
del  d.P.R.  22 dicembre  1986,  n. 917 (Approvazione del testo unico
delle  imposte  sui redditi), nel testo in vigore fino al 31 dicembre
2003,  viene  esteso  ai  redditi  riguardanti  «le  somme e i valori
comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a
titolo  risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito
di provvedimenti dell'autorita' giudiziaria o di transazioni relative
alla risoluzione del rapporto di lavoro»;
        che  il giudice rimettente premette che il contribuente aveva
stipulato  con il suo datore di lavoro una transazione concernente la
risoluzione  del rapporto di lavoro, in forza della quale erano state
attribuite al lavoratore, a titolo di risarcimento, somme sulle quali
il  datore  di  lavoro,  quale  sostituto d'imposta, aveva operato la
ritenuta d'acconto ai fini dell'IRPEF;
        che  la  Commissione  tributaria  ha  ritenuto  rilevante  la
sollevata  questione,  «poiche'  ove  la  norma  di cui sopra venisse
dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  non  vi  sarebbe  alcun
titolo  per  l'Ufficio  a  ritenere le somme detratte a suo tempo dal
sostituto   di  imposta  per  il  semplice  motivo  che  l'indennita'
attribuita   [...]   a   titolo  risarcitorio  non  sarebbe  comunque
imponibile  e per l'effetto non e' quindi possibile decidere la causa
indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale,  essendo  proprio questa la questione prospettata dal
ricorrente e l'unico motivo di ricorso»;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il    giudice    rimettente   assume   che   la   norma   denunciata,
nell'assoggettare  ad imposta le somme percepite quale ristoro per un
licenziamento  illegittimo, si porrebbe in contrasto: a) con le norme
della  Costituzione che tutelano il lavoro (artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36,
37, 38); b) con le norme di legge che esentano il processo del lavoro
da imposte e tasse; c) con il principio di capacita' contributiva, di
cui  all'art. 53  Cost.,  data  la natura risarcitoria di tali somme,
«versate  quale  ristoro  di  una perdita (del posto di lavoro, della
relativa retribuzione, ecc...»;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per l'inammissibilita' o comunque per la manifesta
infondatezza della sollevata questione;
        che    la    difesa    erariale,    quanto   alla   manifesta
inammissibilita'  della  questione,  osserva:  a) che l'imponibilita'
delle  somme  transattivamente  percepite  dal  lavoratore dipendente
quale  risarcimento di un danno da lucro cessante ed a definizione di
una controversia concernente la cessazione del rapporto di lavoro non
e'  stata  introdotta  dalla  norma  denunciata,  ma  e' prevista dal
combinato disposto degli artt. 6, comma 2, e 48 del d.P.R. n. 917 del
1986,  che  non forma oggetto di censura; b) che l'accoglimento della
questione  non  inciderebbe  sul disposto del parimenti non censurato
art. 16,  comma 1,  lettera i),  del  d.P.R.  n. 917  del  1986,  che
assoggetta  a  tassazione separata, in via generale, anche i proventi
specificamente elencati nella norma denunciata;
        che,   quanto   alla   manifesta  infondatezza,  l'Avvocatura
generale   dello   Stato  deduce:  a)  che  le  somme  oggetto  della
transazione  in  esame, attenendo al ristoro del lucro cessante e non
del   danno   emergente,  conservano,  sul  piano  dell'idoneita'  ad
esprimere  una  capacita'  contributiva,  la  medesima  natura  delle
retribuzioni  percepite  per  effetto  della regolare prestazione del
lavoro,  senza  che,  pertanto,  il  loro  assoggettamento ad imposta
comporti alcuna violazione dell'art. 53 della Costituzione; b) che le
norme  che  esentano  il  processo  del lavoro da imposte e tasse non
costituiscono un idoneo tertium comparationis, perche' tali esenzioni
riguardano  imposte  d'atto  concernenti  l'esercizio  del diritto di
agire   in   giudizio,  mentre  il  giudizio  a  quo  ha  ad  oggetto
l'imposizione   diretta   di   un  reddito  di  lavoro  od  a  questo
assimilabile.
    Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Grosseto
dubita,  in  riferimento  agli  artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38 e 53
della  Costituzione,  della legittimita' costituzionale dell'art. 32,
comma 1,   lettera a),  del  decreto-legge  23 febbraio  1995,  n. 41
(Misure  urgenti  per  il  risanamento  della  finanza pubblica e per
l'occupazione  nelle  aree  depresse), convertito, con modificazioni,
dalla  legge  22 marzo  1995,  n. 85,  con  il  quale il regime della
tassazione  separata  previsto  dall'articolo 16, comma 1, lettera a)
del  d.P.R.  22 dicembre  1986,  n. 917 (Approvazione del testo unico
delle  imposte  sui redditi), nel testo in vigore fino al 31 dicembre
2003,  viene  esteso  ai  redditi  riguardanti  «le  somme e i valori
comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a
titolo  risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito
di provvedimenti dell'autorita' giudiziaria o di transazioni relative
alla risoluzione del rapporto di lavoro»;
        che il giudice a quo e' chiamato a decidere sull'impugnazione
del silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso, formulata
da  un lavoratore nei confronti dell'erario, della ritenuta d'acconto
ai  fini  dell'IRPEF effettuata dal datore di lavoro, quale sostituto
d'imposta,  sulla somma dallo stesso corrisposta in via transattiva a
titolo  di  risarcimento  del  danno  per  la  chiusura  di  una lite
concernente il rapporto di lavoro;
        che  il  rimettente  ha motivato la rilevanza della sollevata
questione  affermando che, ove la norma denunciata venisse dichiarata
costituzionalmente  illegittima,  «non  vi  sarebbe  alcun titolo per
l'Ufficio  a  ritenere le somme detratte a suo tempo dal sostituto di
imposta»,   in   quanto   «l'indennita'  attribuita  [...]  a  titolo
risarcitorio non sarebbe comunque imponibile»;
        che  tale affermazione e' errata, in quanto l'assoggettamento
all'IRPEF  delle  somme  percepite a titolo di risarcimento del danno
consegue  non dalla norma censurata, bensi' dall'articolo 6, comma 2,
primo   periodo,   del  d.P.R.  n. 917  del  1986  -  il  quale,  nel
classificare   i  redditi  imponibili,  stabilisce  che  «i  proventi
conseguiti   in   sostituzione  di  redditi  [...]  e  le  indennita'
conseguite,  anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di
danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti
da  invalidita'  permanente  o  da morte, costituiscono redditi della
stessa categoria di quelli sostituiti o perduti» - integrato, secondo
la  prevalente giurisprudenza di legittimita', dall'art. 48, comma 1,
primo  periodo,  dello  stesso  d.P.R.,  nel  testo in vigore fino al
31 dicembre  2003,  il  quale  a sua volta prevede che «il reddito di
lavoro  dipendente  e'  costituito  da  tutte  le somme e i valori in
genere,  a  qualunque  titolo  percepiti nel periodo d'imposta, anche
sotto  forma  di  erogazioni  liberali,  in  relazione al rapporto di
lavoro»;
        che  la  disposizione  denunciata,  come  sopra osservato, si
limita  ad  estendere  il  piu'  favorevole  regime  della tassazione
separata  alle  somme  corrisposte a titolo risarcitorio, considerate
imponibili  dal  combinato  disposto  dei citati articoli 6, comma 2,
primo  periodo,  e  48, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 917 del
1986;
        che,  pertanto,  l'accoglimento della sollevata questione non
avrebbe  alcuna  incidenza  nel  giudizio  a  quo  ed in particolare,
contrariamente   a   quanto  ritenuto  dal  giudice  rimettente,  non
comporterebbe   il  rimborso  della  ritenuta  d'acconto  chiesta  in
restituzione all'erario;
        che,   di   conseguenza,   la   questione  e'  manifestamente
inammissibile  per  difetto  di  rilevanza (v., ex plurimis, sentenza
n. 372 del 2003 e ordinanza n. 297 del 2000).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.