ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 82, comma 2,
del  decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle
leggi  in  materia  bancaria  e  creditizia)  e 202 del regio decreto
16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento, del concordato
preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della liquidazione
coatta  amministrativa),  promosso con ordinanza del 26 febbraio 2003
dal Tribunale di Cosenza nel procedimento civile vertente tra la s.c.
a r.l. Banca di credito cooperativo di Cosenza e la s.c. a r.l. Banca
di   credito   cooperativo   di   Cosenza   in   liquidazione  coatta
amministrativa  ed  altro, iscritta al n. 1008 del registro ordinanze
2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, 1ª
serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti gli atti di costituzione della s.c. a r.l. Banca di credito
cooperativo  di  Cosenza  in  liquidazione coatta amministrativa e di
Marcello  Maggiolini  nonche' l'atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2005 il giudice relatore
Franco Gallo;
    Uditi   gli   avvocati   Alfonso  Maria  Cosentino  per  Marcello
Maggiolini,  Gianluca  Brancadoro per la s.c. a r.l. Banca di credito
cooperativo  di  Cosenza  in  liquidazione  coatta  amministrativa  e
l'avvocato   dello  Stato  Giovanni  Lancia  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale  di  Cosenza,  nel  corso  di un giudizio di
opposizione  promosso  dalla s.c. a r.l. Banca di credito cooperativo
di  Cosenza  nei  confronti  del commissario liquidatore della stessa
banca  avverso la sentenza con la quale il tribunale aveva dichiarato
lo  stato  di  insolvenza della banca, gia' sottoposta a liquidazione
coatta amministrativa, ha sollevato - in riferimento all'art. 3 della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale del combinato
disposto   degli   artt. 82,   comma   2,   del  decreto  legislativo
1° settembre  1993,  n. 385  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia
bancaria  e creditizia) e 202 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  nella  parte  in  cui  prevede che la dichiarazione
giudiziale   dello   stato  d'insolvenza  successiva  al  decreto  di
sottoposizione  a  liquidazione  coatta  amministrativa  di una banca
possa  essere pronunciata anche dopo il decorso di un anno dalla data
di emissione di tale decreto.
    Il  giudice  rimettente  premette, in punto di fatto: a) che, con
decreto  del «19 maggio 2000», il Ministro del tesoro, del bilancio e
della  programmazione  economica  ha  disposto la liquidazione coatta
amministrativa  della s.c. a r.l; b) che il Tribunale di Cosenza, con
sentenza  n. 992  del  30 maggio  2001,  ha  dichiarato  lo  stato di
insolvenza della stessa s.c. a r.l.
    Il  Tribunale  rileva  poi,  in punto di diritto, che, poiche' le
norme  denunciate  non  prevedono  un  termine  di  decadenza  per la
consumazione  del  potere  del commissario liquidatore o del pubblico
ministero   di   richiedere  l'accertamento  giudiziale  dello  stato
d'insolvenza, rimarrebbe cosi' indeterminato il tempo in cui potrebbe
trovare  applicazione  la  disciplina  degli effetti prodotti da tale
accertamento  sugli  atti  pregiudizievoli  ai  creditori,  ai  sensi
dell'art. 203  della legge fallimentare (cioe' del citato r.d. n. 267
del  1942),  ed  in  particolare  la  data  di decorrenza del termine
quinquennale  di  prescrizione  per  la  proposizione delle azioni di
revocatoria  fallimentare.  In  tal  modo,  secondo il giudice a quo,
mentre   nel  fallimento  l'atto  compiuto  nel  cosiddetto  «periodo
sospetto»   (due  anni  od  un  anno  prima  della  dichiarazione  di
fallimento, a seconda che si versi nell'ipotesi di cui al primo od al
secondo comma dell'art. 67 della legge fallimentare) consolida i suoi
effetti con il decorso del termine quinquennale di prescrizione dalla
data  del fallimento, ove il curatore non abbia agito in revocazione,
viceversa,  nella liquidazione coatta amministrativa, l'atto compiuto
nel   «periodo   sospetto»   anteriore  al  decreto  che  la  dispone
consoliderebbe   i   suoi  effetti  con  riferimento  ad  un  termine
prescrizionale  il  cui  dies a quo rimarrebbe incerto sino all'esito
della procedura concorsuale. Siffatta incertezza riguardante la sfera
giuridica  dei terzi in ordine ad atti non qualificabili, di per se',
come  illeciti  contrasterebbe,  per  il Tribunale, con l'esigenza di
salvaguardare  il  generale  principio  di  certezza delle situazioni
giuridiche  posto  dal  legislatore  a  base degli artt. 10, 11 e 147
della  legge  fallimentare,  nella  portata  precettiva  risultante a
seguito  delle  sentenze  della Corte costituzionale n. 66 del 1999 e
n. 319  del  2000,  secondo le quali tale principio sarebbe vulnerato
dall'inesistenza  di  un  limite  temporale normativamente prefissato
(nella  specie,  di  un  anno)  entro  il quale il soggetto che abbia
cessato   l'attivita'   d'impresa  ovvero  il  socio  illimitatamente
responsabile  che  abbia  cessato  di appartenere all'impresa sociale
collettiva  deve,  a  pena  di  decadenza, essere dichiarato fallito.
Oltre  a cio', sempre per il rimettente, la mancanza di un termine di
decadenza  per l'emanazione della sentenza accertativa dello stato di
insolvenza  comporterebbe  che  il momento consumativo dei reati lato
sensu  di bancarotta commessi in relazione all'impresa assoggettata a
liquidazione coatta amministrativa (in cui e' elemento costitutivo la
sentenza    dichiarativa    dell'insolvenza)   potrebbe   avere   una
collocazione   temporale  anormalmente  distante  dal  momento  della
realizzazione   della   condotta  materiale  e  dell'offesa  al  bene
giuridico  tutelato ed irragionevolmente subordinata all'arbitrio dei
soggetti   legittimati   a   richiedere  l'accertamento  dello  stato
d'insolvenza.
    Dalla   ritenuta   lesione  dei  principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza  provocata dalla denunciata disciplina, nella parte in
cui  non  limita  ad  un  anno  a  decorrere  dalla  sottoposizione a
liquidazione  coatta amministrativa il termine per la pronuncia della
sentenza  accertativa  dello  stato  di insolvenza, e dal rilievo del
decorso  di  piu'  di un anno, nella specie, tra la data di emissione
del  decreto di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa e
la  data della sentenza di accertamento dello stato di insolvenza, il
Tribunale  di  Cosenza  fa  dunque  derivare, rispettivamente, la non
manifesta infondatezza e la rilevanza della sollevata questione.
    2. - Nel giudizio di legittimita' costituzionale si e' costituito
Marcello  Maggiolini (volontariamente intervenuto nel giudizio a quo,
quale  socio  e componente del disciolto consiglio di amministrazione
della  banca),  insistendo  per  la  dichiarazione  di illegittimita'
costituzionale delle norme denunciate.
    In  ordine  alla  rilevanza  della  sollevata questione, la parte
sottolinea:   a)   che  la  Banca  d'Italia,  con  provvedimento  del
«18 maggio  2000»,  aveva  revocato alla s.c. a r.l. l'autorizzazione
all'attivita'   bancaria  e  l'aveva  sottoposta  alla  procedura  di
liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell'art. 80 del decreto
legislativo  n. 385  del 1993; b) che il «20 maggio 2000» era cessata
ogni  attivita' di impresa della societa', con la cessione alla Banca
Popolare  di Calabria, da parte del commissario liquidatore, di tutte
le  attivita'  e  passivita'  della  Banca  di credito cooperativo di
Cosenza;  c)  che  lo stato di insolvenza della s.c. a r.l. era stato
dichiarato  dal  Tribunale  di  Cosenza, su richiesta del commissario
liquidatore  presentata  il  22 gennaio  2001,  solo con sentenza del
«30 maggio  2001»,  pronunciata, pertanto, ad oltre un anno sia dalla
messa   in   liquidazione   della   societa',  sia  dalla  cessazione
dell'attivita' d'impresa.
    In  ordine  alla  non  manifesta infondatezza della questione, il
Maggiolini  osserva:  a) che «il diritto vivente» non individua alcun
limite  temporale  per  l'accertamento  dello stato di insolvenza, ai
sensi  degli  artt. 202  della  legge fallimentare e 82, comma 2, del
decreto  legislativo n. 385 del 1993; b) che, pertanto, sussisterebbe
una  evidente  ed  ingiustificata  disparita'  di  trattamento tra la
disciplina   sul   fallimento  e  quella  sulla  liquidazione  coatta
amministrativa,  perche',  nel  primo  caso, v'e' il limite temporale
posto  alla  dichiarazione  di  fallimento  dagli artt. 10 e 11 della
legge  fallimentare e dalle sentenze della Corte costituzionale n. 66
del  1999  e n. 319 del 2000, mentre, nel secondo caso, l'inesistenza
di  un  limite  temporale  pregiudicherebbe l'interesse generale alla
certezza  delle  situazioni  giuridiche;  c)  che  tale disparita' di
trattamento  verrebbe  meno  solo  ove  si ritenesse (in applicazione
analogica  dell'art. 10  della legge fallimentare) che anche lo stato
di  insolvenza dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa sia
accertabile  giudizialmente  con pronuncia da emettersi entro un anno
dalla  effettiva  cessazione  dell'attivita' imprenditoriale; d) che,
nella  prospettiva  di  una  tale  interpretazione  adeguatrice  alla
Costituzione,   il   dies   a  quo  del  termine  per  l'accertamento
giudiziario  dello stato di insolvenza non potrebbe identificarsi ne'
nella  pubblicazione  della cessazione dell'attivita' imprenditoriale
sul registro delle imprese, ne' nella cancellazione della societa' da
tale  registro: non dalla iscrizione della cessazione dell'attivita',
perche'    i    creditori   dell'impresa   in   liquidazione   coatta
amministrativa  non  sono  legittimati  a  richiedere  l'accertamento
giudiziale  dello  stato  di  insolvenza e sono comunque edotti della
procedura  a  seguito dell'annotazione sul registro delle imprese del
decreto  che  la dispone; non dalla cancellazione, perche' questa non
solo  deve  essere  richiesta  dallo  stesso  commissario liquidatore
legittimato   a  richiedere  l'accertamento  giudiziario  (cosi'  che
verrebbe  meno  ogni  garanzia  e  certezza  per  gli  altri soggetti
interessati),  ma  presuppone  il  completamento di tutta l'attivita'
liquidatoria  (cosi'  che  potrebbe  intervenire  anche  dopo decenni
dall'avvio   del   procedimento);   e)  che  solo  con  la  pronuncia
dichiarativa  dello  stato di insolvenza la procedura liquidatoria si
trasformerebbe   in   una   procedura   concorsuale  assimilabile  al
fallimento,  consentendo l'esercizio delle revocatorie fallimentari e
rendendo  configurabili le ipotesi di reato di cui al titolo VI della
legge  fallimentare  (artt. 203  e  237);  f) che la fissazione di un
limite  temporale  per  la  dichiarazione  giudiziaria dello stato di
insolvenza  apparirebbe tanto piu' necessaria in considerazione delle
conseguenze che da tale dichiarazione discendono, non solo per chi ne
e'  colpito,  ma  anche  per  i  terzi  che  con lui siano entrati in
rapporto;   g)   che  tali  esigenze  di  certezza  delle  situazioni
giuridiche   non  potrebbero  ritenersi  soddisfatte  soltanto  dalla
qualita'   dei   soggetti   legittimati   a  chiedere  l'accertamento
giudiziario  dello  stato  di  insolvenza  della  banca  sottoposta a
liquidazione  coatta  amministrativa  (il commissario liquidatore; il
pubblico  ministero;  il  giudice, d'ufficio), perche' il commissario
liquidatore  non  e' soggetto soltanto alla legge, ma prevalentemente
all'autorita'  che  lo ha scelto, appartenente al potere esecutivo, e
perche'   una   analoga  situazione,  nel  caso  dell'estensione  del
fallimento  al  socio  a  responsabilita' illimitata, non ha impedito
alla  Corte  costituzionale di fissare il limite temporale di un anno
dalla cessazione della qualita' di socio illimitatamente responsabile
(sentenze n. 319 del 2000 e n. 66 del 1999).
    3.   -   Si  e'  costituito  in  giudizio  anche  il  commissario
liquidatore  della banca (s.c. a r.l. Banca di credito cooperativo di
Cosenza  in  liquidazione  coatta  amministrativa),  sostenendo,  con
diverse  argomentazioni,  l'infondatezza della sollevata questione di
legittimita' costituzionale.
    In primo luogo, la societa' in liquidazione coatta afferma che il
limite   temporale   stabilito  dagli  artt. 10  e  147  della  legge
fallimentare  non  puo' estendersi analogicamente all'ipotesi oggetto
della  causa  a quo, data l'essenziale diversita' di presupposti e di
esigenze  da  tutelare,  tanto  piu'  se si consideri che la sentenza
dichiarativa  dello  stato di insolvenza intervenuta nei confronti di
una  banca  gia'  sottoposta  a liquidazione coatta amministrativa si
inserisce  in  una  procedura  concorsuale,  nella  quale gli effetti
diretti  del concorso (nei confronti dell'imprenditore, dei creditori
e   dei   contraenti)  si  sono  determinati  tutti  sin  dalla  data
dell'insediamento degli organi liquidatori, ai sensi degli artt. 83 e
85 del t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia.
    In  secondo  luogo, la difesa del commissario liquidatore osserva
che  la divaricazione temporale tra il decreto di liquidazione coatta
amministrativa  e  la successiva sentenza declaratoria dello stato di
insolvenza  sarebbe  irrilevante ove - contrariamente all'assunto del
rimettente  -  si  ritenesse  che  il  termine  di  prescrizione  per
l'esperimento   delle   azioni  revocatorie  decorra  dalla  data  di
sottoposizione  alla liquidazione e non dalla successiva declaratoria
dello stato di insolvenza.
    In  terzo  luogo,  la  banca in liquidazione coatta rileva che la
posposizione del momento consumativo del reato di bancarotta rispetto
alla  condotta materiale, allorche' la declaratoria di insolvenza sia
successiva  alla sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa,
non e' ipotesi eccezionale nell'ambito dei reati fallimentari.
    In   quarto   luogo,  oppone  che  la  revocabilita'  di  atti  e
l'imputabilita'  per  bancarotta  sono  effetti  solo eventuali della
declaratoria dello stato di insolvenza, con conseguente insussistenza
dell'invocata  e non ben definita necessita' di tutela della certezza
delle situazioni giuridiche.
    In  quinto  luogo,  infine,  deduce  che, contrariamente a quanto
asserito  dal  giudice a quo, l'eventuale divaricazione temporale tra
l'avvio  della  procedura  di liquidazione coatta amministrativa e la
declaratoria  dello  stato  di  insolvenza non puo' ritenersi rimessa
all'arbitrio  del  commissario  liquidatore e del pubblico ministero,
valendo  il  principio  della  doverosita'  dell'agire  del  pubblico
ufficiale  per  attivare  il  giudizio di accertamento dello stato di
insolvenza,  principio garantito da un'adeguata tutela per il caso di
sviamento del potere.
    4.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, eccependo l'inammissibilita' e l'infondatezza della questione.
      La  difesa  erariale  osserva che erroneamente il giudice a quo
ritiene   che   il   decreto   che  dispone  la  liquidazione  coatta
amministrativa  abbia  comportato la cessazione dell'impresa, effetto
che  invece  si  realizzerebbe  con  la  disgregazione  del complesso
aziendale  e,  quindi, solo all'esito della procedura di liquidazione
coatta  amministrativa,  con  la  cancellazione  della  societa'  dal
registro   delle   imprese  (artt. 213,  ultimo  comma,  della  legge
fallimentare  e 92, comma 6, del t.u. delle leggi in materia bancaria
e  creditizia).  Da cio' deriverebbe, per l'Avvocatura generale dello
Stato,  da  un  lato, che non v'e' alcuna esigenza di fissare, per la
dichiarazione  dello  stato  di  insolvenza,  un termine di decadenza
annuale decorrente dalla data di sottoposizione a liquidazione coatta
amministrativa;  dall'altro,  che  nella  specie  -  in  cui  sarebbe
pacifica  la  mancata cancellazione della societa' dal registro delle
imprese - non e' rilevante la diversa e non sollevata questione circa
la  mancata  previsione  legislativa  di  un  limite temporale per la
dichiarazione   dello   stato   di  insolvenza  successivamente  alla
cancellazione dal registro delle imprese.
    5.  - Con memorie tempestivamente depositate nell'imminenza della
pubblica  udienza,  il  Maggiolini  e la banca in liquidazione coatta
ribadiscono le proprie posizioni.
    5.1.  -  In particolare, il Maggiolini insiste nella richiesta di
declaratoria   della   illegittimita'   costituzionale   delle  norme
denunciate,    illustrando    ulteriormente   le   gia'   prospettate
argomentazioni  ed osservando che l'interpretazione prospettata dalla
difesa  avversaria  circa  la  decorrenza del termine di prescrizione
quinquennale  per l'esercizio delle azioni revocatorie dalla data del
provvedimento di sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa,
benche'  sostenuta  da  parte  della  giurisprudenza  di  merito, non
sarebbe conciliabile con il principio di cui all'art. 2935 cod. civ.,
tenuto  conto  che  altro  e' il momento di decorrenza del periodo di
sospetto,  ai  sensi dell'art. 678 della legge fallimentare, ed altro
e' il momento di decorrenza del suddetto termine prescrizionale.
    5.2.  -  La  banca  di credito cooperativo in liquidazione coatta
chiede  la  declaratoria  di inammissibilita' o di infondatezza della
sollevata  questione di illegittimita' costituzionale, deducendo, tra
l'altro: a) che il termine massimo di un anno per la dichiarazione di
fallimento   dell'impresa  collettiva,  indicato  dal  rimettente  --
tramite  il richiamo della sentenza della Corte costituzionale n. 319
del  2000 -- quale tertium comparationis, decorre dalla cancellazione
dell'impresa   collettiva   dal   registro   delle  imprese,  con  la
conseguenza che, nella specie, il termine non sarebbe ancora decorso,
posto  che,  nella  liquidazione  coatta  amministrativa, la societa'
viene  cancellata  dal  registro  delle  imprese solo all'esito della
procedura;  b)  che,  ai  fini  della fissazione di un termine per la
declaratoria  dello  stato di insolvenza, un dies a quo riferito alla
data di effettiva cessazione dell'attivita' imprenditoriale, anziche'
alla  data  della  cancellazione  della  societa'  dal registro delle
imprese,  non  soddisferebbe  le esigenze di certezza e definitivita'
invocate  dal  rimettente  e  poste a base della giurisprudenza della
Corte  costituzionale in materia; c) che la procedura di liquidazione
coatta   amministrativa   e'   concorsuale  anche  in  assenza  della
dichiarazione  di  insolvenza (in considerazione dello spossessamento
del  soggetto  sottoposto  alla  procedura,  degli effetti preclusivi
delle azioni individuali dei creditori, degli effetti per i creditori
e sui rapporti giuridici pendenti, dell'applicazione delle regole del
concorso  attraverso  la formazione dello stato passivo) e, pertanto,
la  sopravvenuta  declaratoria  dello  stato  di  insolvenza non puo'
essere assimilata alla declaratoria di fallimento.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 992 del 2001, ha
dichiarato lo stato di insolvenza di una banca di credito cooperativo
gia'  sottoposta  a  procedura di liquidazione coatta amministrativa.
Nel   corso  dell'opposizione  avverso  tale  sentenza,  il  medesimo
Tribunale ha sollevato - in riferimento all'art. 3 della Costituzione
-  questione  di legittimita' costituzionale del «combinato disposto»
degli  artt. 82,  comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993,
n. 385  (Testo  unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e
202   del   regio  decreto  16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del
fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
controllata  e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte
in   cui   consente  che  la  dichiarazione  giudiziale  dello  stato
d'insolvenza  successiva  al decreto di sottoposizione a liquidazione
coatta amministrativa di una banca sia pronunciata dopo un anno dalla
data di emissione del decreto.
    Quanto  alla  rilevanza della questione, il giudice a quo precisa
che, nella specie, la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza
della  banca era stata pronunciata oltre un anno dopo l'emissione del
decreto  di  sottoposizione  a liquidazione coatta amministrativa. Ne
deriva,  per  il Tribunale, la rilevanza della questione, perche', in
caso  di dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale delle norme
denunciate,   ne   conseguirebbe  la  tardivita'  della  sentenza  di
accertamento    dello    stato   di   insolvenza   e   l'accoglimento
dell'opposizione proposta.
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
Tribunale  afferma  che  la  normativa denunciata viola i principi di
ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,
perche',   consentendo   senza   limiti  di  tempo  la  dichiarazione
giudiziale  dello  stato  di  insolvenza di una impresa gia' posta in
liquidazione coatta amministrativa : a) contrasterebbe con l'esigenza
di  salvaguardare  il generale principio di certezza delle situazioni
giuridiche  garantito,  per  l'analoga  ipotesi  di fallimento, dagli
artt. 10,  11  e  147  della  legge  fallimentare,  quali risultano a
seguito  delle  sentenze  della Corte costituzionale n. 66 del 1999 e
n. 319  del  2000;  b) protrarrebbe indefinitamente, a differenza del
regime previsto dalla legge per la procedura fallimentare, il termine
iniziale  di  decorrenza della prescrizione quinquennale delle azioni
di  revocatoria  fallimentare,  posto  che  tale  termine iniziale si
identifica  con  la  data della pronuncia della sentenza dichiarativa
dello  stato  di  insolvenza;  c)  renderebbe  possibile  una anomala
divaricazione   temporale  tra  il  momento  di  realizzazione  della
condotta  materiale  dei reati lato sensu di bancarotta ed il momento
consumativo di essi, considerato che quest'ultimo e' costituito dalla
data  della  pronuncia  della  sentenza  dichiarativa  dello stato di
insolvenza, emessa all'esito di un procedimento la cui attivazione e'
rimessa   all'arbitrio   dei   soggetti   legittimati   a  richiedere
l'accertamento dello stato d'insolvenza.
    2. - La questione non e' fondata.
    Occorre  preliminarmente  ribadire  che  il  thema  decidendum e'
circoscritto  alla  questione  sollevata  dall'ordinanza  del giudice
rimettente,  il  quale censura le norme denunciate nella parte in cui
consentono  che  la dichiarazione giudiziale dello stato d'insolvenza
della  banca sia pronunciata dopo un anno dalla data di emissione del
decreto con il quale questa e' stata sottoposta a liquidazione coatta
amministrativa.  Non  possono, percio', essere esaminate le diverse e
non   consequenziali   questioni   prospettate  da  una  delle  parti
costituite nel presente giudizio.
    Parimenti,  va sottolineato che l'esame della questione posta dal
rimettente  dovrebbe, a rigore, essere limitato all'art. 82, comma 2,
del  decreto  legislativo  n. 385  del  1993,  perche' la fattispecie
oggetto  del  giudizio  principale,  in quanto concernente una banca,
risulta   interamente   regolata  da  tale  norma,  relativa  appunto
all'accertamento  giudiziale  dello  stato  di  insolvenza di banche.
Questa  disposizione, infatti, costituisce legge speciale che prevale
sulla  disciplina  generale  dettata,  sul punto, dall'art. 202 della
legge  fallimentare, in tema di «accertamento giudiziario dello stato
di  insolvenza»  delle altre imprese sottoposte a liquidazione coatta
amministrativa.  Tuttavia,  poiche'  le  due norme hanno un contenuto
sostanzialmente   identico,   la   valutazione   della   legittimita'
costituzionale  dell'indicata  norma del testo unico bancario involge
necessariamente quella corrispondente della legge fallimentare.
    2.1.   -   Sotto   un   primo  profilo,  il  rimettente  denuncia
l'ingiustificata  disparita' di trattamento derivante dalla normativa
oggetto della sollevata questione rispetto alla disciplina dei limiti
temporali per la dichiarazione di fallimento, quale risulta sia dagli
artt. 10, 11 e 147 della legge fallimentare, sia dalle sentenze della
Corte  costituzionale n. 66 del 1999 e n. 319 del 2000 (pronunce alle
quali  possono qui aggiungersi quelle di cui alle ordinanze nn. 361 e
11 del 2001; nn. 131 e 321 del 2002; n. 36 del 2003).
      La  censura  non  e' fondata, per l'evidente non comparabilita'
delle  situazioni  messe  a  raffronto  dal  rimettente.  Il punto di
partenza  del percorso argomentativo del giudice a quo e' costituito,
infatti,  dalla  ritenuta sostanziale corrispondenza delle situazioni
considerate  dalla  indicata giurisprudenza costituzionale in tema di
limiti  temporali  per la dichiarazione di fallimento alla situazione
correlata  all'emissione  del decreto di messa in liquidazione coatta
amministrativa.    Ma    proprio    tale    presupposta   sostanziale
corrispondenza  non  sussiste,  come  emerge  dall'esame  della sopra
citata giurisprudenza costituzionale in materia.
    Il   rimettente,   richiamando   in   modo  non  pertinente  tale
giurisprudenza,  pone  a  raffronto  situazioni  eterogenee allorche'
assimila   all'emissione   del   decreto   di   liquidazione   coatta
amministrativa  sia  l'iscrizione  nel  registro  delle imprese della
cessazione dell'attivita' d'impresa individuale, sia la cancellazione
dal  registro  delle  imprese  della  societa'  esercente una impresa
collettiva,  sia  la pubblicizzazione della perdita della qualita' di
socio  illimitatamente  responsabile  di  una  societa'  fallita.  In
particolare,  in  tali ultimi tre casi viene portato a conoscenza dei
terzi   un   fatto   che   esclude  la  sussistenza  di  un'attivita'
imprenditoriale  o  che  fa  venir meno l'imputabilita' alla societa'
dell'attivita'  di  impresa e delle correlative situazioni giuridiche
soggettive  o che fa cessare la responsabilita' illimitata del socio.
Nel  caso,  invece,  della liquidazione coatta amministrativa si apre
una  procedura concorsuale (cosi' testualmente definita dall'art. 80,
comma  6,  del  t.u.  bancario)  che  non provoca alcuno dei suddetti
effetti,   ma   e'   solo  diretta  alla  liquidazione  dei  rapporti
dell'impresa   e   puo'   eventualmente   condurre,  all'esito  delle
operazioni  di  liquidazione,  alla  cancellazione della societa' dal
registro  delle  imprese  (v.  l'art. 92, comma 6, del t.u. bancario,
che,  stabilendo  l'applicabilita' degli artt. 2456 e 2457 cod. civ.,
corrispondenti  agli  attuali  artt. 2495 e 2496 dello stesso codice,
include  la  cancellazione  della societa' dal registro delle imprese
tra gli «adempimenti finali» della procedura).
    Nella liquidazione coatta amministrativa, dunque, la sopravvenuta
sentenza  dichiarativa  dello  stato  di insolvenza interviene in una
procedura  concorsuale gia' aperta e riguarda una societa' ancora non
cancellata  dal registro delle imprese. Ne consegue che le situazioni
e  le  norme indicate dal rimettente come tertia comparationis per il
dies  a quo dell'auspicato termine annuale per la dichiarazione dello
stato  di  insolvenza  non sono omogenee alla fattispecie oggetto del
giudizio  principale,  rispondono  a  diverse  rationes  legis  (come
esattamente  rilevato  dalle  difese  dell'Avvocatura  generale dello
Stato  e  della  banca in liquidazione) e non possono essere prese in
considerazione  a  sostegno  della  dedotta censura di illegittimita'
costituzionale.
    2.2.  -  Sotto  un  secondo  profilo,  il  rimettente denuncia la
intrinseca  irragionevolezza delle norme censurate, perche' sarebbero
inidonee  a  salvaguardare  il generale interesse alla certezza delle
situazioni  giuridiche,  in riferimento ad un duplice aspetto: a) per
l'indefinita protrazione del termine di decorrenza della prescrizione
delle  azioni  di  revocatoria  fallimentare, in quanto il dies a quo
corrisponde  alla  data  della  pronuncia della sentenza dichiarativa
dello  stato  di insolvenza, emettibile senza limiti di tempo; b) per
la   possibile,   anomala  divaricazione  temporale  tra  momento  di
realizzazione  della  condotta  materiale  dei  reati di bancarotta e
momento   consumativo  di  tali  reati,  in  quanto  quest'ultimo  si
identifica  nella  data  della  pronuncia della sentenza dichiarativa
dello stato di insolvenza, emettibile senza limiti di tempo.
      Il  profilo  appare  infondato,  in riferimento ad entrambi gli
aspetti denunciati.
    2.2.1.  - Quanto  alla decorrenza della prescrizione delle azioni
revocatorie fallimentari, nell'ipotesi di sentenza dichiarativa dello
stato di insolvenza emessa successivamente al decreto di liquidazione
coatta,  va  premesso  che  e'  plausibile  l'assunto del rimettente,
secondo  cui  il dies a quo e' costituito dalla data di tale sentenza
(assimilabile, a questo riguardo, alla sentenza di fallimento), e che
il  «periodo  sospetto»  -  e  cioe'  il  periodo  nel  quale  l'atto
pregiudizievole  ai  creditori e' revocabile - va computato a ritroso
dal  decreto  di messa in liquidazione coatta amministrativa. Proprio
perche'   la   sentenza   dichiarativa   dello  stato  di  insolvenza
costituisce  il  presupposto giuridico necessario per l'esperibilita'
delle   azioni   revocatorie   fallimentari,  non  appare  arbitrario
sostenere che il principio di cui all'art. 2935 cod. civ. (contra non
valentem  agere  non  currit praescriptio), inteso come riferibile ai
casi  di impossibilita' giuridica di esercitare il diritto, impedisce
di   aderire   all'interpretazione   secondo   la  quale  il  termine
prescrizionale  decorrerebbe  dalla  data  della  liquidazione coatta
amministrativa e non da quella della successiva sentenza dichiarativa
dello stato di insolvenza.
    Tuttavia,   anche   ad   accogliere   tale   interpretazione  del
rimettente,  da  cio'  non  deriva la denunciata lesione del generale
interesse alla certezza delle situazioni giuridiche.
    La  sentenza  dichiarativa  dello  stato  di insolvenza, infatti,
interviene  in  una  situazione  in  cui  la societa' in liquidazione
coatta  non  e'  estinta: sotto questo limitato aspetto, l'ipotesi e'
analoga  a  quella  della liquidazione della societa' volontariamente
disposta dai soci ovvero prevista come obbligatoria dal codice civile
e per la quale il fallimento puo' intervenire fino ad un anno dopo la
cancellazione della societa' dal registro delle imprese.
    Se  si  considera,  poi,  che  la societa' in liquidazione coatta
amministrativa  non  e' cancellata dal registro delle imprese (v., al
riguardo,  il  citato  art. 92,  comma  6,  del  t.u. bancario) e che
l'accertamento della sussistenza dello stato di insolvenza al momento
del  decreto  di  liquidazione  coatta amministrativa ben puo' essere
basato  su  indagini  effettuate  dal commissario liquidatore (che e'
portatore   anche   degli   interessi   dei  creditori),  appare  non
irragionevole  la  scelta  del  legislatore di consentire, durante la
pendenza  della  procedura  di  liquidazione  coatta  amministrativa,
l'emissione  -  senza  limiti di tempo - di una sentenza dichiarativa
dello stato di insolvenza.
    2.2.2.   - Quanto  alla  possibile  divaricazione  temporale  tra
momento  di  realizzazione  della  condotta  materiale  dei  reati di
bancarotta  e  momento  consumativo  di  tali  reati,  si  tratta  di
situazione  consequenziale  alla scelta discrezionale del legislatore
di  configurare  la  sentenza  di fallimento (o di accertamento dello
stato di insolvenza di impresa) o come elemento costitutivo del reato
(secondo  la  prevalente giurisprudenza), o come condizione obiettiva
del  reato,  ovvero  come  condizione  per  la produzione dell'evento
costituito  dalla lesione o messa in pericolo dell'interesse tutelato
dalla norma penale (secondo diverse impostazioni della dottrina). Ne'
pare  esatto  affermare  -  come  fa  il  rimettente  -  che,  per il
fallimento,  l'ampiezza  della  divaricazione  sarebbe  stata ridotta
dalla  richiamata  giurisprudenza  costituzionale  in  tema di limiti
temporali   per   la   dichiarazione   di  fallimento,  perche'  tale
dichiarazione  puo'  comunque  intervenire  anche a distanza di molto
tempo  dalla realizzazione della condotta del reato, ove non si siano
verificate  le  peculiari  vicende societarie o personali considerate
dalla  stessa  giurisprudenza costituzionale. Pertanto, la disciplina
penale  in  esame,  riguardo alla liquidazione coatta amministrativa,
non   solo   non   differisce   significativamente   da   quella  dei
corrispondenti  reati  fallimentari, ma neppure supera i limiti della
ragionevolezza   e   della  non  arbitrarieta',  se  si  tiene  conto
dell'intento   del  legislatore  di  impedire  un  tipo  di  condotta
attribuendo  ad  essa  carattere  di  illiceita' penale solo se e nel
momento   in  cui  sia  dichiarato  il  fallimento  (o  lo  stato  di
insolvenza).