ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge
27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale   e  pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria  2003),
modificato dall'art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282
(Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali,
di  riscossione  e  di  procedure di contabilita) nel testo integrato
dalla  legge  di  conversione 21 febbraio  2003, n. 27 e dell'art. 1,
comma 2-decies,    del    decreto-legge    24   giugno 2003,   n. 143
(Disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione di tributi,
di  Fondazioni bancarie e di gare indette dalla Consip S.p.a. nonche'
di  alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello
Stato),  comma  aggiunto  dalla  legge di conversione 1° agosto 2003,
n. 212,  promosso  con  ordinanza del 14 aprile 2004 dal Tribunale di
Varese  sull'istanza proposta da Pezzino Vincenzo, iscritta al n. 761
del  registro  ordinanze  2004  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 41, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 aprile 2005 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Varese, con ordinanza emessa il
14 aprile  2004,  ed  iscritta  al  n. 761 del reg. ord. del 2004, ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della
legge  27 dicembre  2002,  n. 289 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003),
modificato   dall'art. 5-bis   del  decreto-legge  24 dicembre  2002,
n. 282,   convertito   in   legge,  con  modificazioni,  dalla  legge
21 febbraio   2003,   n. 27,   e   dell'art. 1,  comma 2-decies,  del
decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143 (Disposizioni urgenti in tema di
versamento e riscossione di tributi, di Fondazioni bancarie e di gare
indette   dalla   Consip   S.p.a.  nonche'  di  alienazione  di  aree
appartenenti  al  patrimonio e al demanio dello Stato), convertito in
legge,  con  modificazioni,  dalla  legge  1° agosto 2003, n. 212, in
relazione agli artt. 3, primo comma, 27, terzo comma, 79 e 111, primo
comma, della Costituzione;
        che  l'art. 12  della  legge  n. 289  del 2002 stabilisce che
«relativamente ai carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e
affidati  ai  concessionari del servizio nazionale della riscossione,
fino  al  31 dicembre  2000,  i debitori possono estinguere il debito
[...]  con  il  pagamento:  a)  di una somma pari al 25% dell'importo
iscritto a ruolo» e «b) delle somme dovute al concessionario a titolo
di rimborso per le spese sostenute».
        che  l'art. 1,  comma 2-decies,  del decreto-legge n. 143 del
2003,  con norma di interpretazione autentica, stabilisce che ai fini
dell'applicazione dell'art. 12 della legge n. 289 del 2002, per ruoli
emessi  da  ufficiali statali si intendono quelli relativi ad entrate
sia di natura tributaria che non tributaria;
        che  la  norma, ad avviso del rimettente, avrebbe dissipato i
dubbi   in   ordine   alla   applicabilita'  del  «condono»  previsto
dall'art. 12  della  legge finanziaria anche alle pene pecuniarie, di
talche'   tali   disposizioni   renderebbero  possibile  il  prodursi
dell'effetto estintivo invocato dal ricorrente del giudizio a quo;
        che per tale ragione, inoltre, il tribunale - che si dichiara
a  conoscenza  del  fatto  che  e'  gia' stata sollevata questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 12 della legge n. 289 del 2002
-  ritiene  di  dover  censurare  anche l'art. 1, comma 2-decies, del
decreto-legge n. 143 del 2003;
        che,  in ordine alla rilevanza della questione, il rimettente
osserva  che  attraverso  l'applicazione  delle  norme  censurate, il
ricorrente,  avendo  gia'  effettuato  il pagamento in misura ridotta
della   somma  dovuta  a  titolo  di  sanzione  pecuniaria,  dovrebbe
beneficiare della dichiarazione di estinzione della pena;
        che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo
osserva   che   le   disposizioni   in   questione   contrasterebbero
innanzitutto   con   l'art. 79   Cost.,   in  quanto  introdurrebbero
un'ipotesi  di  «condono  occulto»,  dal  momento che sarebbero state
approvate  senza  la procedura prevista dalla Costituzione e senza la
previsione del termine di cui al secondo comma dell'art. 79;
        che  risulterebbe  altresi'  violato  l'art. 27, terzo comma,
Cost., sia perche' la rinuncia «unilaterale ed immotivata [...] dello
Stato  all'esecuzione  della  pena  cosi'  come  irrogata dal giudice
penale» determinerebbe il venir meno della funzione rieducativa della
pena,  sia  per  il  fatto che l'estinzione delle pene prevista dalle
disposizioni  censurate  si  estenderebbe  anche alle pene pecuniarie
derivanti   da  sostituzione  ex  artt. 53  e  seguenti  della  legge
24 novembre  1981,  n. 689,  e  che  ai  fini  di  tale sostituzione,
l'art. 58 rinvia «a principi di prevenzione speciale ed alla funzione
rieducativa della pena»;
        che,   inoltre,   le   disposizioni   censurate  violerebbero
l'art. 3,   primo   comma,   Cost.,   in   quanto   irragionevolmente
equiparerebbero  la  disciplina  del  debitore  fiscale  a quella del
condannato  penale  i  cui  debiti «hanno fonte, titolo e ragione del
tutto  diversa»:  il  debito  fiscale  infatti, troverebbe il proprio
fondamento  nell'art. 53  Cost.,  mentre  l'esecuzione  penale  negli
artt. 27, terzo comma, e 111, primo comma, Cost;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il  quale  ha  chiesto  che le questioni vengano rigettate in
quanto infondate;
        che,  secondo  la  difesa  erariale,  il recupero delle somme
dovute  a  titolo di pena pecuniaria inflitta con sentenza penale non
sarebbe  regolato dalla norma impugnata, ma da disposizioni speciali,
in  conseguenza  della  diversa  natura di tali crediti rispetto agli
ordinari crediti erariali;
        che  tale  conclusione  troverebbe  conferma, da un lato, nel
fatto  che  l'art. 5-bis  del  decreto-legge  n. 282 del 2002 avrebbe
limitato soggettivamente la norma all'amministrazione finanziaria, e,
dall'altro,  nella  circostanza che la precisazione fatta dalla norma
di  interpretazione  autentica, secondo la quale ai fini dell'art. 12
della  legge  n. 289  del  2002 per ruoli emessi da uffici statali si
intendono  «quelli  relativi  ad entrate sia di natura tributaria che
non  tributaria»,  interverrebbe  in  un contesto soggettivo riferito
alla sola amministrazione finanziaria dello Stato;
        che, secondo la difesa erariale, si dovrebbe quindi escludere
che  qualunque credito, per il solo fatto di essere iscritto a ruolo,
sia condonabile;
        che  il contesto in cui la norma e' inserita, nel Capo II del
Titolo  II  della  legge  n. 289 del 2002 dedicato solo al concordato
fiscale,    nonche'    una   lettura   costituzionalmente   orientata
dell'art. 12, indurrebbero ad escludere che si sia «voluto falcidiare
per  tre  quarti  qualsiasi  credito dello Stato percio' solo che sia
iscritto  a  ruolo»,  dal  momento  che  una  diversa interpretazione
consentirebbe una sorta di esproprio senza indennizzo di crediti;
        che,  da  ultimo, secondo l'Avvocatura dello Stato, l'art. 12
si  riferirebbe  ai  soli carichi fiscali non strettamente tributari,
secondo  la  definizione  datane  dall'art. 16 della legge n. 289 del
2002,  intendendosi  per  tali  quelli  che vengono in considerazione
nelle liti dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario
in cui e' parte l'amministrazione finanziaria dello Stato.
    Considerato  che il Tribunale di Varese ha sollevato questioni di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 12  della  legge  27 dicembre
2002,  n. 289  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale   dello  Stato  -  legge  finanziaria  2003),  modificato
dall'art. 5-bis   del   decreto-legge   24 dicembre   2002,   n. 282,
convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003,
n. 27,   e   dell'art. 1,   comma 2-decies,   del   decreto-legge  24
giugno 2003,  n. 143  (Disposizioni  urgenti  in tema di versamento e
riscossione  di  tributi,  di  Fondazioni  bancarie e di gare indette
dalla  Consip  S.p.a.  nonche' di alienazione di aree appartenenti al
patrimonio  e  al  demanio  dello  Stato),  convertito  in legge, con
modificazioni,  dalla legge 1° agosto 2003, n. 212, in relazione agli
artt. 3,  primo  comma, 27, terzo comma, 79 e 111, primo comma, della
Costituzione;
        che,  successivamente  all'ordinanza  di  rimessione,  questa
Corte  ha  deciso analoga questione concernente l'art. 12 della legge
n. 289 del 2002 con l'ordinanza n. 433 del 2004;
        che,   con   tale   ordinanza,  questa  Corte  ha  dichiarato
manifestamente  infondata  la  questione  allora sollevata, in quanto
devono  intendersi  escluse  dall'ambito di applicazione dell'art. 12
della  legge  n. 289  del  2002  -  quale  risulta  anche  a  seguito
dell'interpretazione autentica fornitane dall'art. 1, comma 2-decies,
del   decreto-legge   n. 143  del  2003,  convertito  in  legge,  con
modificazioni,  dalla  legge n. 212 del 2003 - le pene pecuniarie, le
quali non possono essere equiparate alle altre entrate dello Stato;
        che,  pertanto,  anche  le  questioni  in  esame, fondate sul
medesimo   presupposto   interpretativo  di  quella  gia'  dichiarata
manifestamente  infondata  con  la  citata ordinanza n. 433 del 2004,
devono ritenersi manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.