ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 35, comma 5,
della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2003), promosso con ordinanza del 9 luglio 2004 dal Tribunale di Roma
nel  procedimento  civile  vertente  tra  Bellucci  Carlo  ed altri e
Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, iscritta
al  n. 894  del  registro  ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 46, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 giugno 2005 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.

                          Ritenuto in fatto

    1.-  Nel  corso  di  un  giudizio,  promosso  nei  confronti  del
Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca da alcuni
insegnanti dichiarati permanentemente inidonei allo svolgimento della
funzione  di  docente  per  motivi  di  salute  e utilizzati in altri
compiti,  volto  all'accertamento  del  diritto, in ragione di quanto
previsto  dai contratti collettivi di settore, alla conservazione del
rapporto di impiego, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 9 luglio
2004,   ha   sollevato   questione   di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 35,   comma 5,   della   legge   27 dicembre  2002,  n. 289
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato - legge finanziaria 2003), per violazione degli artt. 3,
35 e 36 della Costituzione.
    1.1.-   La  norma  sospettata  di  illegittimita'  costituzionale
dispone  che  «il  personale docente dichiarato inidoneo alla propria
funzione  per  motivi  di  salute,  ma idoneo ad altri compiti, dalla
commissione  medica  operante  presso  le  aziende  sanitarie locali,
qualora  chieda di essere collocato fuori ruolo o utilizzato in altri
compiti,  e'  sottoposto  ad  accertamento medico da effettuare dalla
commissione   di   cui   all'articolo 2-bis,   comma 2,  del  decreto
legislativo  30 aprile  1997, n. 157, come modificato dall'articolo 5
del   decreto  legislativo  29  giugno 1998,  n. 278,  competente  in
relazione  alla  sede  di  servizio.  Tale  commissione e' competente
altresi'  ad  effettuare  le  periodiche visite di controllo disposte
dall'autorita' scolastica. Il personale docente collocato fuori ruolo
o  utilizzato  in altri compiti per inidoneita' permanente ai compiti
di    istituto    puo'    chiedere    di    transitare    nei   ruoli
dell'amministrazione  scolastica o di altra amministrazione statale o
ente  pubblico.  Il predetto personale, qualora non transiti in altro
ruolo,  viene  mantenuto in servizio per un periodo massimo di cinque
anni  dalla  data  del provvedimento di collocamento fuori ruolo o di
utilizzazione in altri compiti. Decorso tale termine, si procede alla
risoluzione  del  rapporto  di  lavoro  sulla base delle disposizioni
vigenti.  Per il personale gia' collocato fuori ruolo o utilizzato in
altri  compiti,  il  termine  di  cinque  anni  decorre dalla data di
entrata in vigore della presente legge».
    Il  giudice  a  quo premette che l'accertamento della inidoneita'
permanente   risale,   per  tutti  i  ricorrenti,  a  data  anteriore
all'entrata   in   vigore   della   legge   n. 289  del  2002  e  che
l'utilizzazione  del  personale  docente,  inidoneo  allo svolgimento
delle  proprie  funzioni,  e'  disciplinata  dal contratto collettivo
nazionale  di  lavoro  (CCNL)  del  comparto  scuola, sottoscritto il
4 agosto  1995, dal contratto collettivo decentrato nazionale (CCDN),
stipulato  il  1° febbraio  1996 e modificato dal successivo CCDN del
24 ottobre   1997,   nonche'   dal  contratto  collettivo  decentrato
provinciale  (CCDP),  sottoscritto  il  18 marzo 1999; disciplina che
riguarda,  altresi',  anche  il  personale  amministrativo, tecnico e
ausiliario (personale ATA), nonche' i dirigenti.
    La norma censurata, ad avviso del rimettente, introduce una causa
di   «licenziamento  in  futuro»,  peraltro  diversa  dalla  generale
previsione di legge del licenziamento per giusta causa o giustificato
motivo, per la sola categoria docente cui appartengono i ricorrenti.
    Tale  norma, quindi, comporterebbe un danno economico legato alla
perdita della progressione economica di carriera, con conseguenze sul
trattamento  pensionistico  e  sulla  indennita'  di  liquidazione  e
discriminerebbe  il  personale docente inidoneo rispetto al personale
scolastico dirigente ed amministrativo, analogamente inidoneo, per il
quale non e' previsto alcun transito ad altra amministrazione, ne' la
risoluzione del rapporto di lavoro.
    Vi sarebbe, altresi', una disparita' di trattamento nei confronti
del  personale  docente  per mancata applicazione delle tutele di cui
agli  artt. 33  e  34  del  decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(Norme  generali  sull'ordinamento  del  lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), relativi alla gestione delle eccedenze di
personale  e alla mobilita' collettiva. La norma violerebbe, inoltre,
il  principio  di  tutela delle posizioni lavorative dei portatori di
handicap,  di  cui all'art. 39 del d.lgs. n. 165 del 2001, in base al
quale  le pubbliche amministrazioni ne devono promuovere l'assunzione
e non il licenziamento.
    La   disposizione   censurata  contrasterebbe,  quindi,  con  gli
artt. 3, 35 e 36 della Costituzione, in quanto verrebbe ad introdurre
una disciplina svantaggiosa per i soli docenti e non per le altre due
categorie  di personale che operano nel mondo della scuola (dirigenti
e personale ATA).
    2.- E' intervenuto in giudizio, con il patrocinio dell'Avvocatura
generale  dello  Stato,  il Presidente del Consiglio dei ministri, il
quale ha dedotto preliminarmente la inammissibilita' della questione,
attesa la carenza di adeguata motivazione sulla rilevanza e sulla non
manifesta infondatezza della stessa.
    2.1.-  Secondo  la  difesa  erariale,  l'ordinanza  di rimessione
risulterebbe,  infatti,  priva  di  argomentazione  circa gli effetti
della  invocata  pronuncia  di incostituzionalita' rispetto all'esito
del  giudizio a quo, del quale non viene neanche indicato chiaramente
il  contenuto  della  domanda e, in particolare, il tipo di pronuncia
richiesto.   Cio'  anche  in  ragione  della  circostanza  che  manca
qualsiasi  provvedimento  che  incida  sul  rapporto  di  lavoro  dei
ricorrenti.  Deduce  la difesa dello Stato, quindi, come lo scopo del
giudizio  a quo appaia proprio il conseguimento della declaratoria di
illegittimita'   costituzionale,   circostanza  che,  per  l'appunto,
renderebbe  inammissibile,  per  difetto  di  rilevanza  nel giudizio
principale, la questione stessa.
    Il  giudice  a  quo  si  sarebbe  poi  limitato solo ad affermare
apoditticamente  la  sussistenza  del  requisito  della non manifesta
infondatezza,   mediante   il  semplice  rinvio  alle  argomentazioni
prospettate  dalla difesa dei ricorrenti. Dovrebbe, pertanto, trovare
applicazione  la  giurisprudenza  di questa Corte secondo la quale la
questione    di   legittimita'   costituzionale   e'   manifestamente
inammissibile  nei  casi in cui il giudice a quo si limiti a rinviare
per  relationem  al  contenuto  di  un atto della parte privata senza
esplicitare  le  ragioni  che  lo  hanno  indotto  a  dubitare  della
legittimita'  costituzionale della norma censurata e senza descrivere
la fattispecie sottoposta alla Corte.
    2.2.-  Nel  merito,  l'Avvocatura  chiede  che  la  questione sia
dichiarata  non  fondata.  Essa  deduce, al riguardo, come non sembri
sufficiente,  per  ritenere  che la norma denunciata abbia violato il
parametro   costituzionale   della  parita'  di  trattamento  sancito
dall'art. 3   della   Costituzione,  il  confronto  con  la  distinta
disciplina  prevista  dalla  contrattazione  collettiva  per tutte le
categorie  del  personale  scolastico  (personale  docente, personale
amministrativo, tecnico e ausiliario e dirigenti, vale a dire presidi
e  direttori  didattici);  disciplina  che, a seguito dell'entrata in
vigore della norma in esame, continuerebbe ad applicarsi al personale
diverso  da  quello  docente.  Secondo  la  difesa erariale, infatti,
l'appartenenza  di  tutte  le  categorie  di personale sopra indicato
all'amministrazione  scolastica  non  e'  sufficiente  a  superare le
profonde differenze esistenti nei profili professionali del personale
docente,  da  una  parte,  e  di  quello  amministrativo,  tecnico ed
ausiliario,  nonche'  di  quello  dirigente,  dall'altra. In realta',
mentre  e'  possibile  ipotizzare che il soggetto dichiarato inidoneo
all'insegnamento,  ma idoneo ad altri compiti, possa essere utilmente
impiegato  in  altri  settori della stessa amministrazione o di altra
amministrazione   statale   o  ente  pubblico,  di  converso  non  e'
facilmente  ipotizzabile  una soluzione simile anche per il personale
scolastico dirigente o amministrativo dichiarato inidoneo, per motivi
di   salute,   a   svolgere  le  mansioni  previste  dal  profilo  di
appartenenza.   L'Avvocatura   ricorda,  altresi',  come  il  comma 6
dell'art. 35  della  legge  n. 289  del  2002  stabilisca che «per il
personale  amministrativo, tecnico e ausiliario dichiarato inidoneo a
svolgere  le  mansioni  previste  dal  profilo di appartenenza non si
procede  al  collocamento  fuori  ruolo.  I  collocamenti fuori ruolo
eventualmente  gia' disposti per detto personale cessano il 31 agosto
2003».  Infine,  la  difesa  dello  Stato  deduce  come  non si possa
sostenere  che  la norma censurata leda il principio della tutela del
lavoro  ed  il diritto alla retribuzione dei lavoratori, riconosciuti
rispettivamente  dagli artt. 35 e 36 della Costituzione, in quanto la
risoluzione  del  rapporto  di lavoro viene individuata, come estrema
ratio,  nell'ipotesi  in  cui  il  docente  dichiarato  inidoneo alla
propria  funzione  per  motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti,
non  intenda  chiedere,  nel  termine  massimo  di  cinque  anni,  di
transitare  nei  ruoli  dell'amministrazione  scolastica  o  di altra
amministrazione   statale   o   ente  pubblico.  In  questo  caso  la
risoluzione  del  rapporto  di  lavoro  discende  direttamente  dalla
mancata  volonta'  del  dipendente  di trovare, comunque, nel settore
pubblico  ed  in  tempi  sicuramente ragionevoli, una nuova ed idonea
collocazione lavorativa confacente al proprio stato di salute.
    2.3.-  Con  successiva  memoria,  l'Avvocatura ha insistito nelle
richieste gia' formulate ribadendo le difese svolte.
                       Considerato in diritto.
    1.- Il Tribunale di Roma, adito con ricorso da alcuni insegnanti,
dichiarati  permanentemente  inidonei allo svolgimento della funzione
di  docente  per  motivi di salute e utilizzati in altri compiti, per
l'accertamento  del  diritto  degli  stessi  alla  conservazione  del
rapporto   di   lavoro,   dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 35,   comma 5,   della   legge   27 dicembre  2002,  n. 289
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato - legge finanziaria 2003), per violazione degli artt. 3,
35 e 36 della Costituzione.
    1.1.-  La  norma  in  questione dispone che il personale docente,
dichiarato  inidoneo  alla  propria funzione per motivi di salute, ma
idoneo   ad   altri  compiti,  collocato  fuori  ruolo  o  utilizzato
diversamente,    puo'    chiedere    di    transitare    nei    ruoli
dell'amministrazione  scolastica o di altra amministrazione statale o
ente  pubblico;  qualora non transiti in altro ruolo, viene mantenuto
in  servizio  per  un  periodo  massimo di cinque anni dalla data del
provvedimento di collocamento fuori ruolo o di utilizzazione in altri
compiti  e,  decorso  tale  termine,  si procede alla risoluzione del
rapporto di lavoro sulla base delle disposizioni vigenti.
    L'ultimo  inciso dell'art. 35, comma 5, contiene una disposizione
transitoria,  in ragione della quale, per il personale gia' collocato
fuori ruolo o utilizzato in altri compiti (e' questa la condizione in
cui si trovano i ricorrenti nel giudizio a quo), il termine di cinque
anni decorre dalla data di entrata in vigore della legge medesima.
    Ad  avviso  del  rimettente, la norma in esame contraddice quanto
previsto  dalla  normativa  contrattuale  di settore, arreca un danno
economico  ai  ricorrenti  e  viola  il  principio della tutela delle
posizioni  lavorative  dei portatori di handicap (art. 39 del decreto
legislativo   30 marzo   2001,   n. 165,  che  reca  «Norme  generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche»).
    La  disposizione censurata sarebbe, quindi, lesiva degli artt. 3,
35  e  36  della Costituzione, in quanto introdurrebbe una disciplina
svantaggiosa  per  i soli docenti e non per le altre due categorie di
personale  che  operano nel mondo della scuola (dirigenti e personale
amministrativo, tecnico e ausiliario - personale ATA).
    Si  realizzerebbe,  in particolare, una disparita' di trattamento
nei  confronti del personale docente per la mancata applicazione, nei
confronti dello stesso, delle tutele previste dagli artt. 33 e 34 del
d.lgs. n. 165 del 2001.
    Il  Tribunale  ha  osservato,  in  ordine  alla  rilevanza  della
questione,  che la risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi della
disposizione  impugnata,  in  ragione  delle  condizioni  oggettive e
soggettive  in  cui  si  trovano  i ricorrenti, potrebbe avvenire «in
qualsiasi momento e comunque entro gennaio 2008».
    2.-  Cio' precisato, occorre darsi carico, preliminarmente, della
eccezione   di  inammissibilita'  della  questione,  per  carenza  di
motivazione   in   ordine   alla   rilevanza  e  alla  non  manifesta
infondatezza, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato.
    L'eccezione non e' fondata.
    2.1.-  Il  giudice rimettente ha esplicitato, con motivazione non
implausibile  (cfr.  sentenze  n. 147 del 2005 e n. 339 del 2004), le
ragioni  della  rilevanza  e  della  non manifesta infondatezza della
questione,   chiarendo,  in  particolare,  come  il  giudizio  a  quo
sostanzialmente  abbia  ad  oggetto  una  domanda di accertamento del
diritto  alla conservazione del rapporto di impiego, diritto di cui i
ricorrenti prospettano la lesione per effetto dell'applicazione della
norma sospettata di illegittimita' costituzionale.
    3.- La questione, pero', deve essere dichiarata inammissibile per
la  parte che riguarda l'indicazione, quali parametri che si assumono
violati,  degli  artt. 35  e  36  della Costituzione, in quanto viene
enunciata  dal  rimettente  senza  alcuna  motivazione  specifica (ex
multis, ordinanze n. 149 del 2005, n. 318 e n. 156 del 2004).
    4.-  Con riferimento, dunque, al solo parametro dell'art. 3 della
Costituzione, ai fini dell'esame nel merito della questione sollevata
dal  giudice  a quo, e' opportuno procedere ad una ricognizione della
disciplina che regola la fattispecie, con la precisazione che restano
estranee  allo  scrutinio  di  costituzionalita'  tutte  le questioni
relative   alla   disciplina  della  materia  contenuta  in  atti  di
contrattazione  collettiva  per le varie categorie di personale della
scuola,  quale  che sia la funzione svolta o il profilo professionale
di appartenenza.
    4.1.-  La  norma  sospettata  di illegittimita' costituzionale si
inserisce  nell'ambito  della  disciplina della dispensa dal servizio
per   assoluta  e  permanente  inidoneita'  fisica  o  incapacita'  o
persistente  insufficiente  rendimento  del  personale  docente e dei
dirigenti,  di  cui  all'art. 512  del  decreto legislativo 16 aprile
1994,   n. 297  (Approvazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di
ogni ordine e grado). Analoga disposizione, di carattere generale per
tutto il personale del pubblico impiego, e' contenuta nel decreto del
Presidente  della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  lo  statuto  degli  impiegati civili dello
Stato),  il  quale  all'art. 71  stabilisce  che,  scaduto il periodo
massimo   di  aspettativa  per  infermita'  previsto  dall'art. 68  o
dall'art. 70 dello stesso decreto, l'impiegato che risulti non idoneo
per  infermita'  a  riprendere  servizio  e'  dispensato  ove non sia
possibile  utilizzarlo,  su  domanda, in altri compiti attinenti alla
sua qualifica.
    Per  il  comparto  della scuola (docenti, dirigenti e impiegati),
per  effetto  degli  artt. 514  e  579 del d.lgs. n. 297 del 1994, il
personale dichiarato inidoneo all'espletamento della propria funzione
per  motivi  di  salute  puo',  a domanda, essere utilizzato in altri
compiti.
    Va,  inoltre,  ricordato  che gli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165
del  2001,  richiamati  dal  giudice a quo come parametri interposti,
hanno disciplinato, rispettivamente, le «eccedenze di personale» e la
«mobilita'  collettiva»  (art. 33),  da  un  lato, e la «gestione del
personale in disponibilita» (art. 34), dall'altro.
    Dette  norme, in connessione anche con il successivo art. 34-bis,
dispongono, tra l'altro, che:
        a) la riduzione del personale eccedente puo' avvenire secondo
una procedura, che coinvolga le organizzazioni sindacali, rigidamente
disciplinata; procedura che si conclude - ove il personale in esubero
non  possa  essere  impiegato diversamente nell'ambito della medesima
amministrazione ovvero ricollocato presso altre amministrazioni - con
il   collocamento   in   disponibilita'  per  la  durata  massima  di
ventiquattro mesi;
        b) il  personale  in  disponibilita'  e' iscritto in appositi
elenchi  (art. 34,  comma 1)  tenuti  dal Dipartimento della funzione
pubblica  per  i  dipendenti  lato  sensu  statali  (comma 2) e dalle
strutture  regionali  e  provinciali,  di  cui al decreto legislativo
23 dicembre  1997,  n. 469  (Conferimento  alle  regioni  e agli enti
locali  di  funzioni  e  compiti  in materia di mercato del lavoro, a
norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59) per gli altri
dipendenti  pubblici;  entrambe  le  suindicate  strutture  hanno  il
compito  di  provvedere  alla  riqualificazione  professionale  dello
stesso  personale  ed  alla  ricollocazione  degli interessati presso
altre amministrazioni, collaborando e coordinandosi tra loro;
        c) decorso  infruttuosamente il periodo di ventiquattro mesi,
il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto.
    4.2.-  Quanto  alla  giurisprudenza di questa Corte, va ricordato
che  con  sentenza  n. 3  del  1994, nel pronunciare l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 132,  primo comma, del d.P.R. n. 3 del 1957
(nella parte in cui non prevedeva la riammissione in servizio per chi
fosse  stato  dispensato per motivi di salute), la Corte ha affermato
che  «la dispensa per motivi di salute si fonda su una situazione (lo
stato  di  infermita) la quale (...) e' ovviamente indipendente dalla
volonta'   dell'interessato   -   per   cui   certamente   esula  dal
provvedimento    una    valutazione    negativa   del   comportamento
dell'impiegato  (e  comunque  qualsiasi  profilo  sanzionatorio)». Va
ricordato,  altresi', come la Corte, con la sentenza n. 212 del 1983,
nell'esaminare  gli  effetti dell'assenza dal servizio per infermita'
del  docente  non di ruolo, ha affermato che «in tutto l'ambito della
pubblica  amministrazione  non  e'  mai riconosciuto all'impiegato il
diritto  ad  un'assenza illimitata dal servizio a causa d'infermita';
e' sempre stabilito, invece, un periodo piu' o meno lungo, decorso il
quale, ove l'impiegato non sia in grado di riprendere servizio, si fa
luogo  alla  cessazione del rapporto d'impiego, applicando, secondo i
casi,  gli  istituti  all'uopo preordinati (collocamento a riposo per
motivi  di  salute,  dispensa  dal  servizio  per  inabilita' fisica,
licenziamento, ecc.)».
    Va  ricordato,  infine  che, con sentenza n. 388 del 2004, questa
Corte ha avuto modo di affermare che «l'art. 34 del d.lgs. n. 165 del
2001  enuncia  esplicitamente  il  principio  per cui il personale in
esubero  presso  pubbliche  amministrazioni,  sia statali che locali,
deve  poter essere ricollocato durante il periodo di mobilita' presso
altre  amministrazioni  sia  per evitare la cessazione definitiva del
rapporto  di  lavoro sia anche per realizzare, in termini globali, un
contenimento della spesa per il personale».
    4.3.- Dall'esame delle richiamate disposizioni normative, dunque,
e  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  emerge con chiarezza che
sussiste   un   principio  generale,  nell'ordinamento  del  pubblico
impiego,  in  forza  del  quale il personale inidoneo al servizio per
ragioni  di  salute,  prima  di  essere dispensato, deve essere posto
nelle  condizioni di continuare a prestare servizio nell'assolvimento
di  compiti e funzioni compatibili con le sue condizioni di idoneita'
fisica.   Soltanto   nel   caso   in   cui  non  sia  possibile  tale
utilizzazione,  o  per  ragioni  di  carattere oggettivo o per scelta
dell'interessato,   ne   e'   disposto   il   collocamento  a  riposo
d'autorita'.
    5.-  Tanto  rilevato,  deve  essere  esaminata  la  questione  di
legittimita'   costituzionale  della  norma  impugnata  per  asserita
violazione   dell'art. 3   della   Costituzione   in   ragione  della
ingiustificata  disparita'  di  trattamento  che sussisterebbe tra il
personale   docente,   da   un  lato,  e  il  personale  dirigente  e
amministrativo, tecnico ed ausiliario, dall'altro.
    Secondo,  infatti,  la prospettazione formulata dall'ordinanza di
rimessione,  tale  disparita'  di  trattamento  deriverebbe sia dalla
impossibilita'  di  applicare  al  personale  docente le disposizioni
degli artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 165 del 2001, sia dalla sussistenza
-  in ordine al medesimo personale - di una disciplina differenziata,
in  senso  sfavorevole,  rispetto a quanto previsto per i dirigenti e
per il personale ATA.
    5.1.- La questione non e' fondata.
    5.2.- Quanto al primo profilo, si puo' osservare che gli artt. 33
e  34  del  d.lgs.  n. 165  del  2001  attengono ad istituti diversi,
strutturalmente e funzionalmente, rispetto a quello interessato dalla
norma sospettata di illegittimita' costituzionale.
    5.3.- In merito poi alla denunciata disparita' di trattamento del
personale docente rispetto al personale dirigente e al personale ATA,
in  ragione  della  previsione solo per i primi della risoluzione del
rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 35, comma 5, della legge n. 289
del 2002, va osservato che le indicate tipologie di personale versano
in   una   situazione   di   stato  giuridico  che  non  ne  consente
l'assimilazione in una unica categoria, con la conseguenza che non e'
irragionevole la previsione di una diversa disciplina in materia.
    Il  Titolo I della Parte III del d.lgs. n. 297 del 1994 (artt. da
395  a  541),  la  cui  rubrica  reca  Personale  docente, educativo,
direttivo  e  ispettivo,  agli  artt. 395  e 396 definisce in maniera
specifica  la  funzione  docente (intesa come esplicazione essenziale
dell'attivita'  di  trasmissione  della  cultura,  di contributo alla
elaborazione  di  essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a
tale   processo   e  alla  formazione  umana  e  critica  della  loro
personalita),  rispetto  alla  funzione  direttiva  (prevedendosi per
questa   che   «il  personale  direttivo  assolve  alla  funzione  di
promozione  e  di  coordinamento  delle  attivita'  di  circolo  o di
istituto;  a  tal  fine  presiede  alla  gestione  unitaria  di dette
istituzioni,  assicura  l'esecuzione delle deliberazioni degli organi
collegiali   ed   esercita   le   specifiche   funzioni   di   ordine
amministrativo,  escluse  le  competenze  di  carattere contabile, di
ragioneria   e   di  economato,  che  non  implichino  assunzione  di
responsabilita'  proprie  delle  funzioni di ordine amministrativo»).
L'art. 25  del  d.lgs. n. 165 del 2001, al comma 1, prevede, poi, che
nell'ambito  dell'amministrazione  scolastica periferica e' istituita
la  qualifica  dirigenziale  per  i  capi  di  istituto preposti alle
istituzioni  scolastiche  ed educative alle quali e' stata attribuita
personalita'  giuridica  ed  autonomia a norma dell'articolo 21 della
legge  15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di
funzioni  e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica  Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e
successive modificazioni ed integrazioni. I dirigenti scolastici sono
inquadrati  in  ruoli  di  dimensione  regionale  e  rispondono, agli
effetti  dell'articolo 21,  per  i  risultati  conseguiti,  che  sono
valutati  tenuto conto della specificita' delle funzioni e sulla base
delle  verifiche  effettuate  da  un  nucleo di valutazione istituito
presso l'amministrazione scolastica regionale.
    Quanto  alla  disciplina  del personale amministrativo, tecnico e
ausiliario  (personale  ATA),  essa  e' contenuta nel Titolo II della
Parte III (artt. da 542 a 580) del d.lgs. n. 297 del 1994.
    In   particolare,  per  il  personale  in  questione  l'art. 579,
comma 1,   prevede  che  «gli  impiegati  appartenenti  al  personale
amministrativo,    tecnico    ed    ausiliario,    se    riconosciuti
permanentemente  non  idonei  agli  specifici  compiti  del  ruolo di
appartenenza,  possono  essere trasferiti, a domanda, con decreto del
provveditore  agli  studi,  su  parere  favorevole  del  consiglio di
amministrazione  provinciale,  sempre  che  vi  sia disponibilita' di
posti,  in  altro  profilo  professionale  della  medesima  qualifica
funzionale  per  i  cui  compiti  sia loro riconosciuta la necessaria
idoneita».
    Alla  luce  delle  citate disposizioni e' palese che il giudice a
quo   muove  dall'erroneo  convincimento  che  le  tre  categorie  di
personale,  che  operano  nel  mondo della scuola (personale docente,
dirigente  e  ATA), siano riconducibili ad una medesima disciplina di
stato  giuridico,  con  la conseguenza che sarebbe ingiustificata una
diversa  regolamentazione  in ordine alle modalita' e alla durata del
trattenimento  in  servizio  in  caso di riconosciuta inabilita' allo
svolgimento  delle  rispettive  funzioni  di  istituto  per motivi di
salute.
    Il  presupposto  di  tale  convincimento  non corrisponde al dato
normativo, il quale si caratterizza per discipline di stato giuridico
distinte  per  le tre categorie. Si tratta, infatti, di categorie che
presentano  sostanziali  diversita'  di funzioni, che giustificano la
differenziata  valutazione  operata  dal  legislatore  -  con  scelta
discrezionale  non  irragionevole  -  in ordine al collocamento fuori
ruolo  e  all'assegnazione  a compiti diversi da quelli inerenti alla
qualifica  di  appartenenza  originaria.  Non  puo',  quindi,  essere
affermata  l'esistenza  di quella identita' di situazioni giuridiche,
rispetto  alle quali la disciplina impugnata sia idonea a determinare
una  disparita'  di  trattamento  rilevante  agli effetti dell'art. 3
della Costituzione.
    Inoltre,   in   un   complessivo  quadro  di  misure  volte  alla
razionalizzazione   delle   risorse   finanziarie  per  la  scuola  e
nell'ambito  di  una  politica  generale di contenimento della spesa,
trovano    giustificazione   norme   dirette   alla   piu'   proficua
utilizzazione del personale che, pur non idoneo per ragioni di salute
all'espletamento   della   funzione   docente,   puo'  essere  ancora
proficuamente utilizzato in altre funzioni, previo il transito presso
altre strutture organizzative pubbliche. Ne' e' senza significato che
il  comma 6  dello  stesso  art. 35 oggetto di censura stabilisca che
«per  il  personale  amministrativo,  tecnico e ausiliario dichiarato
inidoneo  a svolgere le mansioni previste dal profilo di appartenenza
non  si  procede  al  collocamento fuori ruolo» e che «i collocamenti
fuori  ruolo  eventualmente gia' disposti per detto personale cessano
il 31 agosto 2003».
    Alla  luce,  pertanto,  delle  considerazioni che precedono, deve
essere  dichiarata  la non fondatezza della questione di legittimita'
costituzionale   sollevata  dal  giudice  rimettente  in  riferimento
all'art. 3 della Costituzione.