ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di   legittimita'   costituzionale  dell'art. 1  del
decreto-legge  30 settembre  1992,  n. 394  (Disposizioni concernenti
l'istituzione  di  un'imposta  sul  patrimonio  netto delle imprese),
convertito,  con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1992, n. 461,
e   dell'art. 1   del   decreto-legge   30 settembre   1994,   n. 564
(Disposizioni   urgenti   in   materia   fiscale),   convertito,  con
modificazioni,   dalla   legge   30 novembre  1994,  n. 656,  nonche'
dell'art. 3,  comma 110, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure
di  razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza
datata  16 settembre  2003  e  depositata  il  3 dicembre  2003 dalla
Commissione  tributaria  regionale della Puglia - sezione staccata di
Lecce  nella  controversia  vertente  tra  l'Agenzia  delle  entrate,
ufficio  di Lecce, nei confronti della s.r.l. Poliresine, iscritta al
n. 434  del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale   della   Repubblica,   edizione  straordinaria,  1ª  serie
speciale, del 3 giugno 2004.
    Visti  l'atto  di  costituzione  della  s.r.l. Poliresine nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2005 il giudice relatore
Franco Gallo;
    Udito  l'avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un giudizio di appello avverso la
sentenza  di  primo  grado che aveva accolto l'impugnazione, proposta
dalla  contribuente s.r.l. Poliresine, del silenzio-rifiuto formatosi
sulla richiesta di rimborso di quanto versato dalla societa' a titolo
di imposta sul patrimonio netto dell'impresa per gli anni dal 1992 al
1996,  la  Commissione  tributaria  regionale  della Puglia - sezione
staccata   di   Lecce   ha   sollevato   questione   di  legittimita'
costituzionale: a) dell'art. 1 «della legge 26 novembre 1992, n. 461»
(recte:   del   decreto-legge   30 settembre  1992,  n. 394,  recante
«Disposizioni  concernenti l'istituzione di un'imposta sul patrimonio
netto  delle  imprese»,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge
26 novembre 1992, n. 461), in riferimento agli artt. 3, 47 e 53 della
Costituzione;  b)  dell'art. 1 della «legge 30 novembre 1994, n. 549»
(recte:   del   decreto-legge   30 settembre  1994,  n. 564,  recante
«Disposizioni   urgenti   in   materia   fiscale»,   convertito,  con
modificazioni,    dalla    legge    30 novembre   1994,   n. 656)   e
dell'«art. 110»  (recte:  art. 3,  comma 110) della legge 28 dicembre
1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), in
riferimento  ai  principi  di ragionevolezza, di tutela del legittimo
affidamento e di certezza del diritto;
        che,   in   relazione  alla  questione  sub  a),  il  giudice
rimettente  deduce  l'illegittimita'  della  norma denunciata perche'
questa,  escludendo dall'imposta sul patrimonio netto solo l'utile di
esercizio   e   non   anche  le  riserve  di  utili,  discriminerebbe
illegittimamente  le  societa'  che  accantonano  a riserva gli utili
prodotti,    sottoposti   all'imposta,   rispetto   a   quelle   che,
distribuendoli, li sottraggono alla medesima imposizione;
        che  la  questione  sarebbe  rilevante, per il giudice a quo,
perche', «in particolare negli anni 1993 e 1994, essendosi verificata
una perdita d'esercizio di notevole entita' a carico» della societa',
quest'ultima  «e'  risultata  non  aver  proceduto alla distribuzione
degli   utili,   accantonandoli   nelle  riserve»  e  rendendoli,  di
conseguenza, soggetti all'imposta sul patrimonio netto;
        che,  in relazione alle questioni sub b), il medesimo giudice
rimettente   ritiene   che  la  natura  transitoria  e  straordinaria
dell'imposta  sul  patrimonio  netto  delle  imprese, originariamente
prevista per un solo triennio, contrasti con le due proroghe disposte
dalle  norme  denunciate,  le quali avrebbero leso i principi evocati
come parametri;
        che   tali   questioni   sarebbero   rilevanti,   secondo  la
Commissione   tributaria   regionale,  perche'  l'imposta  chiesta  a
rimborso riguarda anche i periodi oggetto delle suddette proroghe;
        che  si  e'  costituita  in  giudizio  la contribuente s.r.l.
Poliresine,  chiedendo  l'accoglimento  delle  sollevate questioni ed
adducendo  a  sostegno  della  richiesta:  a)  l'illegittimita' della
doppia  imposizione sul capitale sociale, prima sottoposto ad imposta
di   registro   al   momento  del  conferimento  e  poi  assoggettato
all'imposta  sul  patrimonio netto dal 1992 al 1996, quale componente
del  patrimonio  netto,  ai  sensi  dell'art. 2424  cod.  civ;  b) il
contrasto   dell'imposta   sul   patrimonio  netto  con  il  disposto
dell'art. 10   della   direttiva   del   Consiglio   17 luglio  1969,
n. 69/335/CEE,  che  vieta  l'imposizione  sotto  qualsiasi  forma di
imposte  indirette sulla raccolta di capitali e consente di applicare
una  sola  volta  un'imposta  sui  conferimenti  con  un'aliquota non
superiore  all'1%;  c) la violazione dell'art. 53 Cost., per l'iniqua
doppia   tassazione  del  capitale  sociale;  d)  la  violazione  del
principio  di  uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., per la disparita'
di trattamento dei contribuenti in riferimento alle singole capacita'
contributive,  con  conseguente  effetto  distorsivo  sul  diritto di
proprieta'   (il  quale  subirebbe,  con  l'imposta  denunciata,  una
«decurtazione  espropriativa»);  e) la violazione del principio della
tutela  del  risparmio,  per la diversita' di trattamento fiscale del
«risparmio  sotto  forma  di  distribuzione  degli  utili  ai  soci»,
rispetto  al  risparmio  sotto forma di utili reinvestiti in capitale
sociale;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, adducendo l'inammissibilita' o l'infondatezza delle questioni;
        che    la    difesa    erariale   eccepisce   preliminarmente
l'inammissibilita'   della   questione   concernente   l'art. 1   del
decreto-legge  n. 394  del  1992, quale convertito dalla legge n. 461
del  1992,  per  un triplice motivo: sia, in generale, per la mancata
motivazione,   da   parte   del   rimettente,   della  non  manifesta
infondatezza;  sia,  in particolare, per la mancata specificazione se
la    denunciata    disparita'    di   trattamento   fiscale   derivi
dall'esclusione  degli utili di esercizio dall'imposta sul patrimonio
netto  oppure  dall'assoggettamento  a questa delle riserve di utili;
sia,  infine,  perche'  la  censura  del rimettente non ha ad oggetto
l'indebita  attribuzione  legislativa di un beneficio fiscale - come,
sempre  secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  sarebbe stato
legittimo   -   ma   la  mancata  estensione  del  beneficio  fiscale
dell'esclusione  dall'imposta sul patrimonio netto ad ipotesi diverse
da quelle per le quali il beneficio e' previsto;
        che  l'Avvocatura  generale  dello  Stato deduce, nel merito,
l'infondatezza  della  stessa  questione, osservando: a) in relazione
all'art. 3  Cost.,  che  non  sussiste  la  denunciata  disparita' di
trattamento,  perche'  l'imposta  sul  patrimonio netto delle imprese
colpisce  il  patrimonio e non il reddito, con la conseguenza che non
sono  omogenee  le situazioni poste a raffronto dal rimettente; b) in
relazione  all'art. 53  Cost., che rientra nella discrezionalita' del
legislatore,  nel  limite della non arbitrarieta', individuare i beni
patrimoniali  da  utilizzare  quali  indici  rivelatori  di capacita'
contributiva;  c) in relazione all'art. 47 Cost., che questo contiene
solo  un  principio  programmatico  e  pertanto, come precisato dalla
Corte  costituzionale  con la sentenza n. 143 del 1995, non impedisce
al  legislatore  ordinario  «di  emanare  [...]  norme  [...] volte a
disciplinare  il gettito delle entrate, con l'unico limite della vera
e propria contraddizione o compromissione dell'anzidetto principio»;
        che  la  difesa  erariale  deduce, infine, l'infondatezza nel
merito  delle  altre  questioni,  perche'  il legislatore, prorogando
l'imposta al fine di salvaguardare il superiore interesse pubblico al
mantenimento del livello complessivo del gettito fiscale, avrebbe non
irragionevolmente  disposto  per  il  futuro,  e quindi, alla stregua
della  giurisprudenza  costituzionale, non avrebbe leso l'affidamento
dei  cittadini, non essendo tale lesione configurabile in relazione a
leggi  che  disciplinino  non  irragionevolmente,  anche  se in senso
sfavorevole  agli  interessati, «rapporti di durata» (sentenze n. 446
del  2002  e  n. 393  del 2000), od in relazione a scelte legislative
ampiamente  discrezionali  o che non abbiano acquisito un sufficiente
grado di consolidamento (sentenze n. 374 del 2002 e n. 390 del 1995),
o  che  non  si risolvano in un regolamento irrazionale di situazioni
sostanziali  fondate  su leggi precedenti (sentenze nn. 446 e 374 del
2002).
    Considerato  che la Commissione tributaria regionale della Puglia
- sezione staccata di Lecce dubita della legittimita' costituzionale:
a)   dell'art. 1   del   decreto-legge   30 settembre   1992,  n. 394
(Disposizioni  concernenti l'istituzione di un'imposta sul patrimonio
netto  delle  imprese),  convertito,  con  modificazioni, dalla legge
26 novembre   1992,   n. 461;   b)   dell'art. 1   del  decreto-legge
30 settembre  1994, n. 564 (Disposizioni urgenti in materia fiscale),
convertito,  con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656,
nonche'  dell'art. 3, comma 110, della legge 28 dicembre 1995, n. 549
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);
        che,  secondo il giudice rimettente, il denunciato art. 1 del
decreto-legge  n. 394  del 1992 violerebbe gli artt. 3, 47 e 53 della
Costituzione  perche',  escludendo  dall'imposta sul patrimonio netto
solo   l'utile  di  esercizio  e  non  anche  le  riserve  di  utili,
discriminerebbe   illegittimamente  le  societa'  che  accantonano  a
riserva gli utili prodotti, sottoposti all'imposta, rispetto a quelle
che, distribuendoli, li sottraggono alla medesima imposizione;
        che,  per  il  medesimo  rimettente,  la natura transitoria e
straordinaria   dell'imposta  sul  patrimonio  netto  delle  imprese,
originariamente  prevista per un solo triennio, contrasterebbe con le
proroghe  disposte,  rispettivamente,  dall'art. 1  del decreto-legge
n. 564  del  1994  e  dall'art. 3,  comma 110, della legge n. 549 del
1995,   le   quali   avrebbero  leso  i  principi  costituzionali  di
ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza del
diritto;
        che  la censura concernente l'art. 1 del decreto-legge n. 394
del  1992,  nella  parte in cui assoggetta all'imposta sul patrimonio
netto  delle imprese le riserve di utili, presuppone, quale specifica
condizione  di  rilevanza,  che  la  contribuente abbia accantonato a
riserva  utili  nei  periodi  d'imposta  oggetto  della  richiesta di
rimborso, cioe' negli anni dal 1992 al 1996;
        che  tuttavia,  sul  punto,  il  giudice  a  quo si limita ad
asserire  che,  «in  particolare  negli  anni 1993  e 1994, essendosi
verificata  una  perdita  d'esercizio  di  notevole entita' a carico»
della  societa',  quest'ultima  «e' risultata non aver proceduto alla
distribuzione   degli   utili,   accantonandoli   nelle   riserve»  e
rendendoli,  di  conseguenza,  soggetti  all'imposta  sul  patrimonio
netto;
        che tale asserzione, ai fini della rilevanza: a) non fornisce
alcuna   informazione   circa   l'esistenza   di   riserve  di  utili
nell'anno 1992;   b)   e'  intrinsecamente  contraddittoria  per  gli
anni 1993  e  1994,  perche'  l'esistenza  di «perdite d'esercizio di
notevole  entita»  negli stessi anni e' incompatibile con l'esistenza
di  utili  d'esercizio  e  quindi, a fortiori, con l'accantonamento a
riserva   di   utili;  c)  non  fornisce  alcuna  informazione  circa
l'esistenza di riserve di utili per gli anni 1995 e 1996 e, comunque,
non specifica se gli eventuali utili di esercizio di tali anni (quali
componenti  positive del patrimonio netto) abbiano superato l'entita'
delle  menzionate  «notevoli perdite» degli anni precedenti portate a
nuovo   (componenti   negative   del   patrimonio   netto,  ai  sensi
dell'art. 2424  cod. civ.), cosi' da aver consentito l'accantonamento
di riserve di utili;
        che  le indicate carenze e contraddittorieta' di informazioni
sulla  formazione  di  riserve  di  utili  si traducono in difetto di
motivazione   sulla   rilevanza   della  questione,  con  conseguente
manifesta inammissibilita' di questa;
        che,   quanto   alle  censure  concernenti  gli  artt. 1  del
decreto-legge  n. 564 del 1994 e 3, comma 110, della legge n. 549 del
1995 (con i quali il legislatore ha prorogato, una prima volta per il
1995  ed  una  seconda  volta  per il 1996 ed il 1997, l'applicazione
dell'imposta  sul  patrimonio  netto  delle  imprese),  il rimettente
motiva  la  non manifesta infondatezza delle questioni limitandosi ad
affermare  che  la natura straordinaria e temporanea dell'imposta non
tollererebbe proroghe;
        che  tale  motivazione e' del tutto insufficiente, perche' la
Commissione   tributaria   regionale:   a)  in  ordine  alla  dedotta
violazione  del  principio  di  ragionevolezza,  incorre  in una mera
tautologia,  in  quanto  presuppone proprio cio' di cui dovrebbe dare
dimostrazione,  e  cioe' che la proroga per un triennio di un'imposta
straordinaria  e  temporanea  (di  durata  originariamente triennale)
comporta  di  per se' l'illegittimita' della norma che la dispone; b)
in  ordine  alla  dedotta  violazione  dei  principi  di  tutela  del
legittimo  affidamento  e  di  certezza  del  diritto,  non specifica
l'asserita   concreta   lesione   di   legittime   aspettative  della
contribuente  sul  non  assoggettamento  all'imposta,  specificazione
tanto  piu'  necessaria  in  quanto  le  norme  denunciate dispongono
entrambe  per  il  periodo di imposta successivo a quello in corso al
momento  della  loro  pubblicazione  e  non  incidono  su  situazioni
regolate dalla precedente normativa;
        che,  pertanto,  la  mancata  prospettazione di una specifica
censura  di  irragionevolezza  e di una concreta lesione di legittime
aspettative   in   relazione   alla   denunciata   proroga  triennale
dell'applicazione   dell'imposta   rende   le   sollevate   questioni
immotivate e, dunque, manifestamente inammissibili.