ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 9, commi 9 e
10, e 15, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni
per  la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
legge  finanziaria  2003),  promossi con due ordinanze del 12 gennaio
2004  dalla  Commissione  tributaria provinciale di Alessandria nelle
controversie vertenti tra la s.a.s Riceinvest di Fabio Franzosi & C.,
la  s.a.s.  Investriso  di  Fabio  Franzosi  &  C.  e l'Agenzia delle
entrate, uffici di Alessandria e di Tortona, iscritte ai numeri 552 e
553 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 25, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti di costituzione della s.a.s. Riceinvest di Fabio
Franzosi  &  C.  e  della  s.a.s.  Investriso di Fabio Franzosi & C.,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 aprile 2005 il giudice
relatore Franco Gallo.
    Ritenuto che con due ordinanze di identico contenuto (r.o. n. 552
del 2004 e n. 553 del 2004), la Commissione tributaria provinciale di
Alessandria,  nel corso di altrettanti giudizi promossi nei confronti
dell'Agenzia  delle  entrate  avverso  il  silenzio-rifiuto formatosi
sulle  istanze  di rimborso dell'IVA avanzate, rispettivamente, dalla
s.a.s. Riceinvest di Fabio Franzosi & C. e dalla s.a.s. Investriso di
Fabio  Franzosi & C., ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 41,
42 e 53 della Costituzione - questione di legittimita' costituzionale
degli  artt. 9,  commi 9 e 10, e 15, comma 1, della legge 27 dicembre
2002,  n. 289  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003);
        che, secondo quanto esposto nelle ordinanze di rimessione: a)
le  suddette  societa'  avevano  chiesto  il  rimborso  dell'IVA  per
l'anno 2001,   affermando   di  aver  effettuato  operazioni  passive
(consistenti  nell'acquisto  di  beni ammortizzabili), in ordine alle
quali   assumevano  di  aver  maturato  il  diritto  alla  detrazione
dell'imposta;   b)  l'Agenzia  delle  entrate  aveva  successivamente
disposto  un  accertamento globale nei confronti di tali contribuenti
ed aveva loro notificato il relativo processo verbale; c) nei giudizi
promossi  avverso  il  silenzio-rifiuto  formatosi  sulle  istanze di
rimborso, le ricorrenti avevano sostenuto di aver consolidato il loro
diritto  ai  rimborsi,  perche'  nelle  more  si  erano avvalse delle
disposizioni  sul  condono fiscale contenute negli artt. 9 e 15 della
legge  n. 289  del  2002; d) gli uffici dell'Agenzia delle entrate si
erano  opposti  alle domande delle ricorrenti, sia perche' ritenevano
che  le  operazioni  in  questione  fossero  inesistenti  - tanto che
avevano inoltrato alla competente Procura della Repubblica un esposto
per  i reati di cui agli artt. 2 e 8 del decreto legislativo 10 marzo
2000,  n. 74  (Nuova  disciplina  dei reati in materia di imposte sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25
giugno 1999,  n. 205)  -  sia  perche',  comunque,  nessun versamento
dell'IVA era stato effettuato dai soggetti coinvolti nelle operazioni
medesime;  e) le disposizioni concernenti il predetto condono fiscale
non  regolano  espressamente  l'ipotesi  di  emissione di fatture per
operazioni  inesistenti,  diversamente  dalla  disciplina del condono
contenuta  nella  legge  30 dicembre  1991,  n. 413 (Disposizioni per
ampliare   le  basi  imponibili,  per  razionalizzare,  facilitare  e
potenziare   l'attivita'   di   accertamento;   disposizioni  per  la
rivalutazione  obbligatoria  dei beni immobili delle imprese, nonche'
per  riformare  il  contenzioso  e  per  la definizione agevolata dei
rapporti  tributari  pendenti;  delega al Presidente della Repubblica
per  la  concessione  di amnistia per reati tributari; istituzioni di
centri  di  assistenza  fiscale e del conto fiscale), il cui art. 52,
comma 1, prevedeva per tale ipotesi condizioni particolari al fine di
accedere alla definizione agevolata dei rapporti tributari;
        che,  per  il  giudice  rimettente,  la mancanza di una norma
analoga a quella per ultima citata potrebbe comportare un grave danno
all'erario,  perche'  l'art. 9,  comma 9,  terzo periodo, della legge
n. 289  del  2002,  stabilendo  che  la  definizione automatica delle
imposte  «non  modifica  l'importo degli eventuali rimborsi e crediti
derivanti  dalle  dichiarazioni  presentate ai fini delle imposte sui
redditi  e  relative  addizionali,  dell'imposta sul valore aggiunto,
nonche' dell'imposta regionale sulle attivita' produttive», impone di
accogliere anche la richiesta di rimborso di imposte mai versate;
        che   pertanto,  sempre  secondo  la  Commissione  tributaria
provinciale,   sussisterebbe   una   contraddizione  tra  le  diverse
previsioni  del  citato  art. 9,  ed  in  particolare  tra quella che
preclude  ogni  accertamento  tributario  nei  confronti  di  chi  ha
richiesto il condono e dei soggetti coobbligati e quella che consente
di  procedere  penalmente  nei confronti dell'emittente delle fatture
per operazioni inesistenti;
        che,  sulla  scorta  di  tali  considerazioni,  il rimettente
afferma  che le norme censurate confliggono con gli artt. 3, 41, 42 e
53  della Costituzione e cioe': a) con il principio di ragionevolezza
di  cui  all'art. 3  Cost., in quanto creano, in caso di condono, una
disciplina   ingiustificatamente  diversa  da  quella  derivante  dai
principi  ricavabili dall'art. 52 della legge n. 413 del 1991 in tema
di emissione di fatture per operazioni inesistenti (che consentiva la
definizione  fiscale  in  favore  del  cedente  o del prestatore solo
allorche'  questi  avessero corrisposto per intero l'imposta; nonche'
in   favore  dell'acquirente  o  committente  solo  allorche'  questi
avessero  eliminati  gli  effetti  dell'indebita  detrazione),  ed in
quanto,  sempre  nel  caso  di  condono, da un lato, escludono la non
punibilita'  dell'ipotesi  di  emissione  di  fatture  per operazioni
inesistenti  prevista  dall'art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 9,
comma 10,  lettera  c,  della  legge  n. 289 del 2002) e, dall'altro,
contraddittoriamente, non solo precludono la punibilita' del reato di
dichiarazione  fraudolenta  mediante uso di fatture o altri documenti
per  operazioni inesistenti di cui all'art. 2 del citato d.lgs. n. 74
del  2000  (art. 9,  comma 10, lettera c, della indicata legge n. 289
del   2002)  ed  inibiscono  ogni  accertamento  tributario  (art. 9,
comma 10,  lettera  a,  della  stessa  legge),  ma,  nel  caso  di un
precedente  avvio  dell'attivita'  di  accertamento  da  parte  delle
agenzie  fiscali,  ammettono  la  definizione  tributaria  alla  sola
condizione   della   mancata   «formale   conoscenza»  da  parte  del
contribuente  dell'esercizio  dell'azione penale per i reati previsti
dal  d.lgs.  n. 74 del 2000 (art. 15, comma 1, della suddetta legge);
b)  con gli artt. 53 e 3 Cost., nonche' con i principi di eguaglianza
sostanziale  e solidarieta' sociale espressi da tali articoli, tenuto
conto  della  fittizieta'  del  presupposto  del  rimborso richiesto,
basato su fatture emesse per operazioni inesistenti, e considerata la
natura  fraudolenta  dell'attivita' da cui deriverebbe tale rimborso;
c)  con  i  principi  di utilita' e giustizia sociale, espressi dagli
artt. 41, secondo comma, e 42, secondo comma, Cost;
        che  il  giudice  a  quo  conclude  per  la  rilevanza  e non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
degli  indicati  artt. 9,  commi 9  e  10, e 15, comma 1, della legge
n. 289  del  2002,  nella  parte  in  cui  non  prevedono  una «norma
correttiva»   che   subordini  l'operativita'  dei  benefici  fiscali
concessi all'eliminazione delle detrazioni risultate indebite;
        che   nel  giudizio  di  cui  al  r.o.  n. 553  del  2004  e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la
sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale sia dichiarata
inammissibile  ovvero  infondata  ed illustrando la propria posizione
con successiva memoria;
        che  la difesa erariale deduce l'irrilevanza e l'infondatezza
della  questione,  relativamente  alle  denunciate disposizioni della
legge  n. 289  del 2002 concernenti gli effetti del condono sul piano
penale, nonche' l'inconferenza del riferimento del giudice rimettente
agli artt. 41 e 42 della Costituzione;
        che,   quanto   alle   altre   disposizioni   censurate,  con
riferimento agli altri parametri evocati, l'Avvocatura generale dello
Stato    sostiene    la    praticabilita'    di    un'interpretazione
«costituzionalmente  orientata»,  secondo cui la preclusione di «ogni
accertamento  tributario» prevista dal citato art. 9, comma 10, della
legge  n. 289  del  2002  riguarda  solo l'accertamento dei debiti di
imposta,  mentre il condono de quo rende immodificabili le precedenti
richieste  di  rimborso  dei  contribuenti  condonanti,  ma non rende
incontestabili i crediti da questi vantati, con la conseguenza che le
agenzie   fiscali  mantengono  integre  le  proprie  possibilita'  di
contestazione  e  difesa  con  riguardo alle richieste di rimborso, e
cio'  a maggior ragione per le richieste basate su condotte illecite,
come l'emissione di fatture per operazioni inesistenti;
        che  la  s.a.s.  Riceinvest  di  F. Franzosi & C. e la s.a.s.
Investriso  di  F.  Franzosi  &  C.  si sono tardivamente costituite,
rispettivamente,  nei  giudizi  registrati  al  n. 552 del 2004 ed al
n. 553 del 2004.
    Considerato   che   la   Commissione  tributaria  provinciale  di
Alessandria, con due ordinanze di identico contenuto emesse nel corso
di  due  diversi  giudizi,  dubita  della legittimita' costituzionale
degli  artt. 9,  commi 9 e 10, e 15, comma 1, della legge 27 dicembre
2002,  n. 289  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale  dello  Stato  -  legge finanziaria 2003), in riferimento
agli artt. 3, 41, 42 e 53 della Costituzione;
        che  i  giudizi  di  legittimita'  costituzionale,  avendo ad
oggetto  le stesse questioni, vanno riuniti per essere congiuntamente
decisi;
        che  il  dubbio  di  incostituzionalita'  investe  le  citate
disposizioni  in  relazione  alla  loro  incidenza  sia nella materia
penale che in quella tributaria in senso stretto;
        che, quanto all'aspetto penalistico, le norme sono denunciate
nella  parte  in cui prevedono: a) la definizione delle imposte ed il
perfezionamento   della   procedura   relativa   senza  escludere  la
punibilita'   del  reato  di  emissione  di  fatture  per  operazioni
inesistenti  di cui all'art. 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000,
n. 74,  recante «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui
redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25
giugno 1999, n. 205» (art. 9, comma 10, lettera c, della legge n. 289
del  2002);  b)  la  definizione  delle imposte ed il perfezionamento
della procedura relativa con effetti preclusivi della punibilita' per
il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri
documenti  per  operazioni  inesistenti  di cui all'art. 2 del d.lgs.
n. 74  del  2000 (art. 9, comma 10, lettera c, della legge n. 289 del
2002);
        che,  per il rimettente, tali norme violerebbero, infatti: a)
il  principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. in quanto, in
caso di condono, da un lato escludono la non punibilita' dell'ipotesi
di reato per emissione di fatture per operazioni inesistenti prevista
dall'art. 8  del  d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 9, comma 10, lettera c,
della  legge  n. 289  del  2002)  e dall'altro, contraddittoriamente,
precludono  la  punibilita' per il reato di dichiarazione fraudolenta
mediante  uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
di  cui  all'art. 2  del  d.lgs.  n. 74  del  2000 (art. 9, comma 10,
lettera  c,  della  citata  legge  n. 289  del  2002)  ed  inibiscono
qualsiasi accertamento tributario (art. 9, comma 10, lettera a, della
stessa  legge);  b)  gli  artt. 53  e  3 Cost., nonche' i principi di
eguaglianza  sostanziale  e  solidarieta'  sociale,  espressi da tali
articoli, tenuto conto della fittizieta' del presupposto del rimborso
richiesto,  basato  su  fatture  emesse per operazioni inesistenti, e
considerata  la  natura fraudolenta dell'attivita' da cui deriverebbe
il  rimborso; c) i principi di utilita' e giustizia sociale, espressi
dagli artt. 41, secondo comma, e 42, secondo comma, Cost;
        che,  quanto  all'aspetto  propriamente tributario, le stesse
norme  sono  invece censurate nella parte in cui prevedono: a) che la
definizione  automatica  delle  imposte «non modifica l'importo degli
eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate
ai   fini   delle   imposte   sui  redditi  e  relative  addizionali,
dell'imposta  sul  valore  aggiunto,  nonche'  dell'imposta regionale
sulle  attivita'  produttive»  (art. 9, comma 9, terzo periodo, della
legge  n. 289  del  2002);  b) che la definizione delle imposte ed il
perfezionamento    della    procedura   relativa   precludono   «ogni
accertamento tributario» nei confronti del dichiarante e dei soggetti
coobbligati  (art. 9,  comma 10,  lettera  a  della  stessa legge) ed
escludono  la  punibilita'  per il reato di dichiarazione fraudolenta
mediante  uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
di  cui  all'art. 2  del  d.lgs.  n. 74  del  2000 (art. 9, comma 10,
lettera c, della citata legge n. 289 del 2002); c) che la definizione
delle  imposte  ed  il  perfezionamento  della procedura relativa non
escludono  la  punibilita'  del  reato  di  emissione  di fatture per
operazioni  inesistenti  di  cui all'art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000
(art. 9, comma 10, lettera c, della legge n. 289 del 2002); d) che il
perfezionamento  della  definizione  delle  procedure di accertamento
fiscale  e'  ammesso  alla  condizione  della mancanza della «formale
conoscenza»  da  parte  del  contribuente  dell'esercizio dell'azione
penale  per  i  reati  previsti  dal  d.lgs. n. 74 del 2000 (art. 15,
comma 1, ultimo periodo, della legge n. 289 del 2002);
        che,   simmetricamente,   sempre   in  relazione  all'aspetto
propriamente  tributario,  il  giudice  a  quo  denuncia  le medesime
disposizioni, nella parte in cui non prevedono, nel caso di emissione
di  fatture  per  operazioni  inesistenti,  una  norma correttiva che
subordini  l'operativita'  del  citato condono all'eliminazione delle
detrazioni risultate indebite;
        che,   per   il   rimettente,   le   norme  cosi'  denunciate
violerebbero:  a)  il  principio  di ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.,  in  quanto,  nel  caso  di  condono,  creano  una  disciplina
ingiustificatamente   diversa   da   quella  derivante  dai  principi
ricavabili   dall'art. 52   della   legge  30 dicembre  1991,  n. 413
(Disposizioni  per  ampliare  le basi imponibili, per razionalizzare,
facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per
la  rivalutazione  obbligatoria  dei  beni  immobili  delle  imprese,
nonche'  per  riformare il contenzioso e per la definizione agevolata
dei   rapporti   tributari   pendenti;  delega  al  Presidente  della
Repubblica  per  la  concessione  di  amnistia  per  reati tributari;
istituzioni  di centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), in
tema   di  emissione  di  fatture  per  operazioni  inesistenti  (che
consentiva  la definizione fiscale in favore del cedente o prestatore
solo  allorche'  questi  avessero  corrisposto  per intero l'imposta;
nonche' in favore dell'acquirente o committente solo allorche' questi
avessero  eliminati  gli  effetti  dell'indebita  detrazione),  ed in
quanto,  sempre  nel  caso  di  condono, da un lato, escludono la non
punibilita'  dell'ipotesi  di  reato  per  emissione  di  fatture per
operazioni inesistenti prevista dall'art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000
(art. 9,  comma 10,  lettera  c,  della  legge  n. 289  del  2002)  e
dall'altro,  contraddittoriamente,  nel  caso  di un precedente avvio
dell'attivita'  di  accertamento  da  parte  delle  agenzie  fiscali,
ammettono  la  definizione  tributaria  alla condizione della mancata
«formale   conoscenza»   da  parte  del  contribuente  dell'esercizio
dell'azione  penale  per  i  reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000
(art. 15,  comma 1,  ultimo periodo, della legge n. 289 del 2002); b)
gli  artt. 53  e  3  Cost.,  i  principi di eguaglianza sostanziale e
solidarieta' sociale espressi da tali articoli, nonche' i principi di
utilita'  e giustizia sociale espressi dagli artt. 41, secondo comma,
e  42,  secondo  comma,  Cost.,  secondo le censure gia' sollevate in
ordine agli aspetti penalistici della disciplina censurata;
        che  le  sollevate  questioni  sono  in  parte manifestamente
inammissibili ed in parte manifestamente infondate;
        che  le  questioni  concernenti gli aspetti penalistici delle
norme   denunciate   sono   irrilevanti   e,  quindi,  manifestamente
inammissibili,  perche'  di  tali norme e con riguardo a tali aspetti
non  deve  fare  alcuna  applicazione  il  giudice  a quo, chiamato a
decidere  esclusivamente sulle impugnazioni proposte dai contribuenti
avverso  il silenzio-rifiuto formatosi sulle loro istanze di rimborso
dell'IVA;
        che,  del  resto,  sul  punto  della  rilevanza nei giudizi a
quibus  degli  indicati effetti penali della disciplina censurata, il
rimettente  ha  omesso  di fornire qualsiasi motivazione, rendendo le
questioni manifestamente inammissibili anche sotto tale profilo;
        che,   in  ordine  alle  questioni  concernenti  gli  aspetti
propriamente  tributari,  il  rimettente premette, in punto di fatto,
che  le  operazioni  fatturate  oggetto  dei  giudizi principali sono
inesistenti e che per esse non e' stata versata alcuna somma a titolo
di IVA dai soggetti coinvolti;
        che,  posta  tale  premessa,  il  giudice a quo interpreta le
denunciate  disposizioni nel senso che il perfezionamento del condono
precluderebbe  all'amministrazione  finanziaria  la  possibilita'  di
effettuare  accertamenti  tributari  per  contestare  la  debenza del
rimborso   e   renderebbe   incontestabili  le  somme  richieste  dai
contribuenti  quale  rimborso  dell'IVA, anche nell'ipotesi in cui il
rimborso  si  basi  sulla  fatturazione  di  operazioni inesistenti e
l'importo dell'IVA non sia mai stato versato;
        che   questo  presupposto  interpretativo  e'  manifestamente
erroneo,  in quanto: a) l'art. 9, comma 9, terzo periodo, della legge
n. 289  del  2002 si limita a stabilire che la definizione automatica
delle  imposte  «non  modifica  l'importo  degli eventuali rimborsi e
crediti  derivanti  dalle  dichiarazioni  presentate  ai  fini  delle
imposte  sui  redditi e relative addizionali, dell'imposta sul valore
aggiunto, nonche' dell'imposta regionale sulle attivita' produttive»;
b)   l'art. 9,  comma 10,  lettera a),  della  stessa  legge  dispone
soltanto la preclusione di ogni accertamento tributario nei confronti
del   dichiarante   e   dei   soggetti   coobbligati,   nel  caso  di
perfezionamento della definizione automatica delle imposte;
        che,  in  particolare, la prima delle due norme ora citate va
intesa   nel   senso   che  il  condono  non  influisce  di  per  se'
sull'ammontare   delle  somme  chieste  a  rimborso,  non  impone  al
contribuente  la  rinuncia  al  credito e non impedisce all'erario di
accogliere  tali  richieste,  allorche'  la  pretesa  di rimborso sia
riscontrata fondata;
        che  la  seconda  norma citata preclude bensi' l'accertamento
dei  debiti tributari dei contribuenti che hanno ottenuto il condono,
ma  non impedisce l'accertamento dell'inesistenza dei crediti posti a
base delle richieste di rimborso, data la natura propria del condono,
che  incide  sui  debiti  tributari  dei  contribuenti e non sui loro
crediti;
        che  pertanto,  nell'ipotesi di operazioni inesistenti per le
quali  non sia stata versata l'IVA e per le quali sia stato richiesto
il  rimborso  dell'imposta,  le  censurate disposizioni non impongono
affatto  all'erario di procedere al rimborso, nel caso di intervenuto
condono  fiscale,  ne'  inibiscono  accertamenti diretti a dimostrare
l'inesistenza dell'invocato diritto al rimborso;
        che  tale esito interpretativo non solo deriva dalla semplice
lettura  delle norme denunciate e dalla indicata natura dell'istituto
del  condono,  ma  risulta anche coerente con la giurisprudenza della
Corte  di cassazione, che in piu' occasioni ha affermato, da un lato,
che  la detrazione dell'IVA non e' ammessa, per difetto del requisito
dell'inerenza   all'impresa,  in  caso  di  operazioni  materialmente
inesistenti  (Cass.,  n. 14337  del  2002  e  n. 9665  del  2000)  e,
dall'altro,  che,  in  generale,  il  condono  non  vale di per se' a
consolidare  i  crediti  IVA  richiesti  a  rimborso  e  non vagliati
dall'Amministrazione  finanziaria  (Cass., n. 6429 del 1996 e n. 9646
del 1993);
        che,   poiche'   a   questa   interpretazione   si   perviene
indipendentemente  dall'esistenza di una espressa disposizione che la
imponga,  e'  irrilevante  che le norme denunciate non contengano una
disposizione  analoga  a  quella contenuta in una precedente legge di
condono (art. 52 della legge n. 413 del 1991, indicato dal rimettente
quale  tertium  comparationis),  secondo la quale il contribuente era
ammesso  a  godere  di  quel  condono  alla  condizione  della previa
eliminazione degli effetti provocati dall'operazione inesistente;
        che  alla manifesta erroneita' del presupposto interpretativo
da  cui  muove il rimettente consegue la manifesta infondatezza delle
corrispondenti questioni.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.