Ricorso  della  Regione  Veneto,  in  persona  dal Presidente pro
tempore  della  giunta  regionale, autorizzato mediante deliberazione
della  giunta  stessa n. 1458 del 14 giugno 2005 come integrata dalla
delibera  del 19 luglio 2005, rappresentata e difesa, come da procura
speciale  a  margine  del  presente  atto,  dagli  avv.  prof.  Mario
Bertolissi  di Padova a Luigi Manzi di Roma, eletto, agli effetti del
presente  giudizio,  presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via F.
Confalonieri n. 5;

    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente in carica, rappresentata a difesa dall'Avvocatura generale
dello  Stato,  per regolamento di competenza in relazione al giudizio
civile,  r.g. n. 24632/05, avviato con atto di citazione del 30 marzo
2005,  con  il  quale  il  consigliere regionale Gianfranco Bettin e'
stato  convenuto  in  giudizio  avanti  il Tribunale di Roma (I sez.,
giudice  dott.,  Salvi),  per  risarcimento  dei  danni, quale autore
dell'interrogazione  a  risposta  scritta  a  641  del 7 febbraio [ma
consegnata  il  4  febbraio]  2005 («Materiale radioattivo bruciato a
Porto  Marghera,  vogliamo  la  verita»)  e  dell'articolo intitolato
«Avevamo  ragione,  hanno bruciato uranio a Marghera e hanno mentito,
pubblicato il 4 febbraio 2005 sul sito internet del Gruppo consiliare
regionale  dei  Verdi  del  Veneto  (www.verdiveneto.it) con il quale
venivano,  in  buona  sostanza,  riportati  gli esiti di un'inchiesta
giornalistica,  a  firma di Riccardo Bocca («Uranio Rosso») contenuta
sulle  pagine  de  L'Espresso  in  edicola dalla mattina dello stesso
giorno,  relativamente  allo smaltimento di rifiuti radioattivi in un
inceneritore di Porto Marghera.

                              F a t t o

    Il 4 febbraio 2005 usciva nelle edicole il settimanale di cultura
politico-economica L'Espresso, il quale pubblicava, tra gli altri, un
articolo  intitolato «Uranio Rosso» a firma di Riccardo Bocca, avente
ad  oggetto  un traffico illegale di rifiuti radioattivi (uranio, per
l'esattezza) e tossici (tra gli altri, cobalto e stronzio) avvenuta a
cavallo tra il 1989 e il 1990 (v. doc. 1).
    Secondo  gli  esiti  dell'inchiesta  giornalistica,  la  motonave
«Jolly   Rosso»   dell'armatore  Ignazio  Messina  nel  1989  avrebbe
recuperato  a  Beirut  circa  duemila  tonnellate di rifiuti tossici,
scaricati  in  precedenza  da un'azienda lombarda; il materiale cosi'
trasportato  in  Italia,  sarebbe stato, poi, bruciato dalla societa'
Monteco  in  un  inceneritore  di Porto Marghera: l'intera operazione
(carico-scarico-smaltimento) avrebbe richiesto piu' di un anno.
    Le   contestazioni  venivano  avvalorate  attraverso  un  referto
dell'Unita'  Locale  Socio  Sanitaria  n. 36  di  Venezia,  datato 28
febbraio  1990  rimasto  segreto,  stando  al quale, nel corso di due
accertamenti  effettuati  il  19  gennaio e il 7 febbraio 1990, nella
condensa dei fumi del forno SG 31 di Marghera sarebbero state trovate
tracce  di uranio con una concentrazione, rispettivamente, di 0,005 e
una appena inferiore di 0,004 milligrammi per metro cubo.
    In  quegli  anni,  direttore del servizio di igiene pubblica alla
ULSS n. 36 di Venezia era il dott. Corrado Clini.
    Nel  corso dell'articolo, il nome del dott. Corrado Clini compare
in  ragione  della  carica allora ricoperta. In particolare, a) viene
ricordato  lo  scambio di accuse con gli ambientalisti, culminato con
un  «esposto alla Procura di Venezia» del dott. Clini - appunto - nei
confronti  dei  secondi,  del  21  novembre  1989;  b) si menziona la
relazione  sullo  smaltimento di fusti contenenti rifiuti tossici che
l'8  gennaio  1990  il  dott.  Clini  ebbe  ad  inviare  al Ministero
dell'ambiente   per   consentire  la  risposta  ad  un'interrogazione
parlamentare  presentata  alla  Camera;  si domanda; c) si domanda in
chiusura «perche' Corrado Clini non ha comunicato gli "inconvenienti"
che  si stavano presentando a Porto Marghera»; «perche' nessuno della
ULSS   36   ha   lanciato   l'allarme  per  l'emissione  di  sostanze
radioattive»; «che fine ha fatto il materiale radioattivo rimasto nei
sistemi di depurazione dei fumi dell'impianto Sg 31».
    A  seguito  di tale servizio, il consigliere regionale del gruppo
dei  Verdi  (nonche'  vicepresidente  nazionale  del gruppo medesimo)
Gianfranco  Bettin,  che del suddetto traffico di rifiuti gia' si era
occupato  all'epoca  dei fatti (1989-1990) nella veste di consigliere
circoscriziomale  di Marghera, si attivava in un duplice senso: da un
lato,  ponendo  a  premessa  circostanziata  gli esiti dell'inchiesta
giornalistica  de  L'Espresso,  presentava all'ufficio competente del
Consiglio  regionale  un'interrogazione a risposta scritta intitolata
«Materiale   radioattivo  bruciato  a  Porto  Marghera,  vogliamo  la
verita!»,   che  il  successivo  lunedi'  7  febbraio  sarebbe  stata
rubricata  (venerdi'  pomeriggio  era ormai troppo tardi) sub n. 641;
dall'altro,   lo   stesso   4   febbraio,   riproduceva  i  contenuti
dell'inchiesta sul sito internet del Gruppo consigliare regionale dei
Verdi  del  Veneto  (www.verdiveneto.it)  in  un  articolo intitolato
«Avevamo  ragione, hanno bruciato uranio a Marghera e hanno mentito»,
nel  quale,  nel  contempo,  comunicava la presentazione del suddetto
atto ispettivo (cfr. doc. 2).
    In  particolare,  con  l'interrogazione,  il  consigliere  Bettin
chiedeva  alla  Giunta  regionale  di  sapere «se e' a conoscenza dei
fatti;  qual  e'  l'entita' e la natura dell'inquinamento radioattivo
["combustibile   esaurito   dei   reattori",   "uranio   impoverito",
"combustibile  nucleare"];  come  intende rendere pubblico il referto
dell'ULSS citato dal settimanale L'Espresso» (doc. 3).
    Causa  a)  l'eco immediata che l'inchiesta de L'Espresso ebbe sui
giornali  locali;  b)  la  conferenza  stampa  congiunta tenuta il 22
febbraio  sui  fatti  medesimi  dal  giornalista  de  L'Espresso, dal
consigliere  Bettin,  dall'on.  Zanella;  c)  la  circostanza  che il
settimanale  tornava  sull'argomento  da li' a poco confermando nella
sostanza  quanto gia' scritto, il dott. Clini, dopo aver ribadito sui
quotidiani  locali  la propria estraneita' alla vicenda, conveniva in
giudizio  -  per  il 3 luglio 2005 - davanti al Tribunale di Roma, il
giornalista   Riccardo  Bocca  e  il  consigliere  Gianfranco  Bettin
(insieme  all'on.  Luana  Zanella,  a sua volta autrice, sempre sulla
scorta  del  citato  articolo  de  L'Espresso,  di  un'interrogazione
parlamentare  sul  tema)  per  essere risarcito dei danni materiali e
all'immagine,  sull'assunto  che  «la ricostruzione delle circostanze
poste  a  fondamento  della  campagna giornalistica e' manifestamente
inesatta,  infondata  e  per molti aspetti non veritiera» (p. 15 doc.
4).
    Con  nota  del  18  maggio 2005 (protocollata il 20, sub n. 545),
Bettin  chiedeva  alla Regione Veneto la tutela delle sue prerogative
di consigliere regionale (cfr. doc. 5).
    La   giunta  regionale  acquisiva  che  «...  il  Presidente  del
consiglio  regionale  evidenzia  che  l'attivazione  del procedimento
civile  incide  in  via  diretta  sull'autonomia  di  un  consigliere
regionale ed in via mediata sulla stessa autonomia costituzionalmente
garantita  della  regione,  violando  gli artt. 121 - 122 - 123 della
Costituzione  e,  piu'  in  generale,  sul principio secondo il quale
l'esercizio  delle  funzioni  di  consigliere  regionale  (stante  il
rilievo  costituzionale  dell'autonomia  regionale)  non  puo' essere
sindacato   da   organi   giurisdizionali»;  quindi,  deliberava  «di
autorizzare  il  Presidente della giunta regionale a proporre ricorso
per  conflitto  di attribuzioni avanti la Corte costituzionale contro
lo Stato» (doc 6).
    Nella  prima udienza civile di comparizione delle parti tenuta il
5  luglio  2005 (essendo, il 3 luglio, una domenica: v. artt. 168-bis
c.p.c.  e 82 disp. att. c.p.c.), il giudice istruttore (dott. Salvi),
nonostante   gli   atti   della  Regione  e  l'eccezione  diretta  ad
evidenziare  il  difetto  di giurisdizione ex art. 122, quarto comma,
Cost.  (cfr.  comparsa di costituzione e risposta, p. 2 - 7: doc. 8),
rinviava  l'udienza  di  trattazione al 15 novembre 2005, «assegnando
termini  per  la  comunicazione  di  comparse ai sensi dell'art. 180,
secondo  comma,  c.p.c.  e  per le eccezioni non rilevabili d'ufficio
fino a venti giorni prima» (cfr. verbale d'udienza: doc. n. 7).
    Preso   atto   che,   nella  predetta  sede  civile,  la  lesione
dell'autonomia   del   consigliere  Bettin  e  quindi  del  Consiglio
regionale usciva palesemente confermata avendo il giudice disposto la
prosecuzione  del giudizio secondo l'ordinaria tempistica di rito, la
giunta  regionale  integrava,  e  ribadiva,  con  nuova  delibera, la
sussistenza  della  prerogativa e l'autorizzazione a proporre ricorso
per conflitto di attribuzioni (cfr. doc. 9).
    Tutto  cio'  premesso  il  presente  ricorso  e'  per le seguenti
ragioni di

                            D i r i t t o

    Sull'ammissibilita' del conflitto
    1.  -  Mentre  non  desta  difficolta' dimostrare, nel merito (ma
profili di merito e profili di ammissibilita' si intrecciano), che la
fattispecie  sub  judice  configura la piu' classica delle violazioni
dell'art.  122,  quarto  comma, Cost. (v. infra), non si nasconde, in
limine  litis, che essa presenta, come riconosciuto nella delibera di
autorizzazione al ricorso, caratteri di assoluta singolarita'.
    Il   sottoscritto   patrocinio,  ovviamente,  non  ignora  che  i
conflitti  di  attribuzione ammessi al vaglio di codesta ecc.ma Corte
devono  intercorrere,  a  tacere d'altro, «tra lo Stato e le Regioni»
(art. 134  Cost.);  ne' che l'art. 39 della legge n. 87/1953 (recante
norme   sulla   costituzione   e   sul   funzionamento   della  Corte
costituzionale»  ha chiarito che «puo' produrre ricorso la Regione la
cui  sfera  di  competenza costituzionale sia invasa da un atto dello
Stato»  con  l'ulteriore precisazione che «il ricorso per regolamento
di  competenza  deve  ...  specificare l'atto dal quale sarebbe stata
invasa  la  sfera  di  competenza»;  ne',  infine,  che la tutela dei
consiglieri regionali attivata ex art. 122, quarto comma, Cost. viene
azionata,   classicamente,   contro  atti  di  un  giudice  o  contro
iniziative   assunte   dalla   magistratura   inquirente  penale  e/o
contabile,   anch'esse   riconducibili,   data   la  natura  pubblica
dell'accusa, allo Stato.
    Si  chiede,  oggi,  di far valere lo status consigliere regionale
non  nei confronti di un atto di esercizio della giurisdizione penale
o contabile bensi' di quella civile, come invero e' gia' e' accaduto,
in  pendenza,  tuttavia  del  relativo  giudizio  e in assenza di una
decisione di merito, foss'anche solo di primo grado.
    La  difficolta',  del  tutto  nuova,  consiste,  per  quanto  qui
interessa,  nel  definire il momento a partire dal quale, avviato con
un  atto  propulsivo  di  parte  privata  un giudizio civile, si puo'
ritenere   di   essere  in  presenza  di  un  atto  statale  invasivo
dell'autonomia  regionale  costituzionalmente  garantita,  contro  il
quale poter reagire per conflitto di attribuzioni.
    Il  dubbio  relativamente al quando i consiglieri regionali hanno
per  realizzare  le condizioni (condiciones juris) prescritte perche'
la  regione  possa  far  valere  davanti  al  giudice  dei  conflitti
l'irresponsabilita'  propria del loro status, lungi dal delineare una
questione  meramente teorica, e' di grande momento sul piano pratico,
stante la perentorieta' del termine assegnato per la proposizione del
relativo ricorso e, quindi, per azionare la specifica tutela.
    2.  -  Al  fine di circoscrivere l'area di incertezza e', innanzi
tutto  utile  fissare i punti fermi dai quali dedurre, in qualita' di
principi,  le regole che sovrintendono, in difetto della normativa di
attuazione,  il caso che ci occupa, o dai quali desumere, in qualita'
di  criteri  interpretativi, argomenti a sostegno dell'ammissibilita'
del presente conflitto.
    E'  insegnamento  di codesta Corte e, con l'avallo della migliore
dottrina, puo' considerarsi jus receptum che:
        a)  «l'esonero  da responsabilita' dei componenti dell'organo
[Consiglio  regionale]  (sulla  scia  di  consolidate giustificazioni
dell'immunita'  parlamentare)  e'  vista funzionale alla tutela delle
piu'  elevate funzioni di rappresentanza politica» (sent. n. 69/1985;
in dottrina, v. L. Paladin, Diritto regionale, Padova. 1997, 325, per
il  quale l'irresponsabilita' comune ai parlamentari e ai consiglieri
si  pone  a  «garanzia  che  tende  ad assicurare (tanto per lo Stato
quanto  per  le  Regioni)  l'indipendenza  funzionale  dell'organo in
questione»);
        b)   attraverso   la  lesione  delle  prerogative,  stabilite
dall'art. 122, quarto comma, rimangono violate ulteriori disposizioni
della   Costituzione:   quelle   degli   artt. 121   e  123,  poiche'
l'alterazione  delle  attribuzioni accordate dalla legge fondamentale
al consigliere regionale che esprime opinioni e da' voti si riverbera
sull'intera  organizzazione dell'ente e sull'esercizio delle relative
funzioni, entrambi costituzionalmente protetti;
        c)  le guarentigie di cui all'art. 122, quarto comma e quelle
previste  -  peraltro  in  una piu' ampia prospettiva - dall'art. 68,
primo  comma  Cost. costituiscono «eccezionali deroghe all'attuazione
della   funzione   giurisdizionale»:  queste  ultime  sono  poste  «a
salvaguardia  dell'esercizio  delle  funzioni  sovrane  spettanti  al
Parlamento»,  le  prime,  invece  pur  non esprimendosi «a livello di
sovranita»,   si   inquadrano   ...  nell'esplicazione  di  autonomie
costituzionalmente garantite» (sentt n. 81/1975; n. 382/1998);
        d) la prerogativa prevista dall'art. 68, primo comma, Cost. e
quella   di   cui   all'art.  122,  quarto  comma,  Cost.,  salva  la
summenzionata  differenza  (il  fatto  che  l'immunita',  in un caso,
inerisca alla sovranita' dello Stato, di cui il Parlamento e' organo;
nell'altro,   attenga   ad   aspetti  dell'autonomia  della  regione)
soggiacciono a principi analoghi, a fronte dell'identico tenore delle
disposizioni  che, rispettivamente, le regolano (in dottrina, cfr. R.
Tosi,  nota a Corte cost. sent. n. 81/1975, in Le Regioni, 1975, 765,
per  la quale «due disposizioni [l'art. 68, primo comma e l'art. 122,
quarto  comma,  Cost.]  che  sottraggono  al sindacato dell'autorita'
giudiziaria  i  membri  delle  Camere  e dei Consigli hanno lo stesso
contenuto:  i  problemi  che  si  pongono  per  l'una non possono non
interessare anche l'altra e allo stesso modo devono essere risolti»);
        e)  l'immunita'  (parlamentare  e)  dei consiglieri regionali
comporta  «la  carenza di potere giurisdizionale»: quindi, la pretesa
di  esercitare,  cio'  nonostante,  la  funzione  del  jus dicere «si
traduce  ...,  in  un'alterazione  dell'ordine  costituzionale  delle
competenze», in quanto «comporta l'invasione dalla sfera di autonomia
costituzionalmente   riservata   alla   Regione   ...,   alla   quale
esclusivamente  spetta  l'esercizio  delle  funzioni che i magistrati
hanno  inteso  condizionare»  (sent. n. 70/1985; in dottrina v. P. Di
Muccio,  L'insindacabilita'  dei  parlamentari: una introduzione allo
studio  dell'art. 68,  primo  comma, della Costituzione, in Diritto e
societa', 1986, 681 secondo cui tale prerogativa costituisce «un caso
di esenzione dalla giurisdizione»);
        f)  l'immunita'  (parlamentare  e)  dei consiglieri regionali
riguarda    ogni    tipo    di   responsabilita',   civile,   penale,
amministrativa,   contabile-erariale  (cfr.  sent.  n. 100/1986:  «di
questa  guarentigia  i  consiglieri  regionali  fruiscono anche nella
sfera  della  responsabilita'  patrimoniale»;  v. anche S. Bartole et
alii, Diritto regionale. Dopo le riforme Bologna, 2003, 93 e, seppure
a commento dell'art. 68, R. Moretti in V. Crisafulli - L. Paladini (a
cura  di)  Commentario  breve  alla  Costituzione, Padova, 1990, 410,
secondo  cui  «non  vi  e'  alcun  ragionevole  dubbio sull'ambito di
applicazione della prerogativa, essendo unanime il riconoscimento che
essa   opera   sia  nella  sfera  penale,  che  in  quella  civile  e
amministrativa»).   La  stessa  riforma  dell'art. 68,  primo  comma,
operata   con  legge  cost.  n. 3/1993,  nel  modificare  la  formula
originaria  (i  membri  del  Parlamento, per le opinioni espresse e i
voti  dati  nell'esercizio  delle  loro funzioni, «non possono essere
chiamati  a  rispondere  anziche'  non possono essere perseguiti») ha
chiarito  che  la prerogativa riguarda ogni tipo di responsabilita' e
non solamente quella penale;
        g) in particolare, benche' statuito a proposito dall'art. 68,
primo  comma Cost. si e' precisato che la norma costituzionale limita
la   possibilita'   di   far   valere   in   giudizio  una  ipotetica
responsabilita'   del   parlamentare   per   le   opinioni   espresse
nell'esercizio della funzione...
    Siffatta  limitazione  ...  vale egualmente in ordine a qualunque
sede  giurisdizionale  nella  quale  si  pretenda  di  far valere una
responsabilita'  del parlamentare, e dunque anche in sede di giudizio
civile» (sent. n. 265/1997, ma v. gia' sent. n. 1150/1988);
        h)  all'originaria  configurazione  soggettiva  del conflitto
(come  vindicatio  potestatis)  se ne e' aggiunta una oggettiva, piu'
ampia,  «riguardante  non la spettanza della competenza ma il modo di
esercizio (sostanziale e procedurale) di essa» (cosi' G. Zagrebelsky,
Giustizia  costituzionale, Bologna, 1988, 339): conseguentemente, «la
figura  dei  conflitti  di  attribuzione  non  si restringe alla sola
ipotesi  di  contestazione  circa l'appartenenza del medesimo potere,
che  ciascuno  dei  soggetti  contendenti  rivendichi  per se', ma si
estende  a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio
di  un  potere  altrui  consegna  la  menomazione  di  una  sfera  di
attribuzioni  costituzionalmente  assegnate  all'altro  soggetto» (v.
sent. n. 110/1970);
        i)  per  orientamento  costante (a partire dalla sent. n. 110
del  1970,  ribadita  in  successive pronunce: cfr. sentt. n. 211 del
1972,  178  del 1973, 289 del 1974, 75 del 1977, 183 del 1981, 70 del
1985),  «nulla  vieta che un conflitto di attribuzione tragga origine
da  un  atto giurisdizionale, se ed in quanto si deduca derivarne una
invasione della competenza costituzionalmente garantita alla Regione»
(sent.  n. 285/1990). Pertanto, «si sono ritenuti "idonei a dar luogo
a  conflitti  di  attribuzioni  tra  Stato  e  Regioni»"  "anche atti
giurisdizionali  o comunque strumentalmente inerenti all'esplicazione
di funzioni giurisdizionali" "quante volte si assuma che ridondino in
una    invasione    o   menomazione   della   sfera   di   competenza
costituzionalmente  garantita  alla  Regione  ricorrente"» (sent. n.
70/1985);
        l)  si  e'  proceduto via via ad ampliare la nozione di «atto
invasivo»,  riconoscendo  a  tal  fine  che  esso possa consistere in
«comportamenti  concludenti,  non  estrinsecantisi  in  atti formali»
(sent.  n. 40/1977;  v.  gia'  sent  n. 164/1963);  o in atti interni
(quali  le  circolari)  all'apparato  statale  o  regionale (v. sent.
n. 299/1974);  o  in  atti preparatori (cfr. sent. n. 171/1971); o in
comportamenti  omissivi,  purche'  si  traducano  in  una  lesione di
competenze  e l'ordinamento costituzionale delle attribuzioni imponga
viceversa  l'adozione  di  un  atto  (v.,  inter alios V. Crisafulli,
Lezioni ..., cit., 447 e C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico,
Padova, 1976, 1448).
    La  dottrina  ha cosi' osservato che «nella prassi instaurata non
tanto si richiede che il conflitto sia originato da un atto giuridico
vero  e proprio (e meno ancora da un atto esterno definitivo), quanto
pii  largamente  da un comportamento significante, posto In essere da
organi statali e, inversamente, regionali» (V. Crisafulli, Lezioni di
diritto  costituzionale, II, Padova, 1984, 447); o, ancora, che «alla
stregua  dell'ampio  atteggiamento  della  Corte,  il  conflitto puo'
assumere  il  significato  di  strumento  di  garanzia  anticipata  o
preventiva,  rispetto  alla  potenziale  lesione  temuta», salva solo
l'inammissibilita'  di  conflitti puramente virtuali (G. Zagrebelsky,
Giustizia costituzionale, cit., 346 - 347);
        m)  l'oggetto  dei  giudizi  sui  conflitti  non  e' tanto la
validita'  dell'atto  assentamente invasivo, quanto la competenza che
si  assume  violata  e  la  relativa  sentenza,  mentre  deve  sempre
dichiarare   la   competenza,   solo  eventualmente  sara'  anche  di
annullamento  dell'atto adottato dal soggetto o dall'organo giudicato
privo di potere.
    3.  -  Ora, il consigliere Bettin e' stato convenuto, con atto di
citazione,  davanti al giudice civile. E' stato chiamato a rispondere
per   dichiarazioni   per   le   quali,  dato  il  suo  status,  gode
dell'eccezionale   guarentigia  dell'irresponsabiita'  ex  art.  122,
quarto  comma,  Cost.  Richiesta  di riconoscere ed attivare siffatto
regime  di  immunita', la regione (recte: il Presidente del Consiglio
regionale  e  la  giunta  regionale:  v.  docc.  5, 6, 10), ritenendo
sussistenti    gli    estremi   dell'irresponsabilita',   ha   deciso
positivamente per l'applicazione dell'immunita'. Il giudice civile ha
esercitato  la  giurisdizione  nonostante,  da  un  lato,  il  parere
contrario  della regione, e, dall'altro l'eccezione fondata sull'art.
122,  quarto  comma  Cost.,  assumendo essere nella sua competenza il
poter giudicare.
    Pare arduo sottrarsi alla conclusione che il giudice, e per esso,
lo  Stato cosi' facendo, abbia violato la posizione di autonomia e di
indipendenza  costituzionalmente garantita ai componenti il Consiglio
regionale e, loro tramite, al Consiglio stesso.
    E'  sufficiente  attualizzare  al  caso  di  specie i punti fermi
poc'anzi  evidenziati,  per accorgersi che: a) si e' violata «la piu'
ampia   liberta'   di   valutazione  e  di  decisione»  riservata  ai
consiglieri   regionali   (per   dirla   con   T.  Martines,  Diritto
costituzionale, Milano, 1994, 294); b) si e' preteso di esercitare la
giurisdizione in carenza assoluta di potere; c) si e' invasa la sfera
di  autonomia  costituzionalmente  riservata  ai  consiglieri  e alla
Regione.
    Guardando,  per  comparazione,  ai  giudizi  penali  o  contabili
intentati  nei  confronti  di consiglieri regionali, correntemente si
conviene  che  l'atto  lesivo  della prerogativa di cui all'art. 122,
quarto  comma  Cost.  puo'  risiedere,  per  esempio, nel decreto del
g.i.p.  che  dispone  il  giudizio  (come  in  sent.  n. 391/1999); o
nell'avviso  di  conclusione  delle indagini preliminari emesso dalla
Procura  della Repubblica (come in sent. n. 276/2001) o nell'invito a
presentarsi  per essere interrogato in qualita' di persona sottoposta
ad indagini comunicato a cura della Procura della Repubblica (come in
sent.  n. 382/1998);  o  nell'atto  di citazione emesso dalla Procura
presso la Corte dei conti (come in sent. n. 100/1986).
    In  tali  casi  (che sono solo alcuni dei possibili), e' evidente
che ai fini dell'ammissibilita' del giudizio davanti a codesta Corte,
e'  sufficiente  il  solo  fatto  della  pretesa dell'esercizio della
giurisdizione  manifestato  da un organo statale (non necessariamente
un  giudice)  a  fronte  di  una situazione di immunita' ex art. 122,
quarto  comma  Cost., e che non e' affatto necessario che l'esercizio
della  giurisdizione  acquisti  la  forma  di  sentenza  o di un atto
altrimenti definitivo.
    Nel  giudizio  civile,  l'atto  di  citazione (recte: la notifica
della  citazione)  da'  inizio  al  processo,  ne  determina cosi' la
pendenza  e fa si' che il giudice debba pronunciare sulla domanda (A.
Attardi,  Diritto  processuale  civile. Parte generale, Padova, 1994,
57):  ma, a differenza degli atti di impulso promanati da un pubblico
ministero,  non  sono  direttamente  imputabili alla sfera soggettiva
dello Stato. In altre parole, la citazione in un giudizio civile, per
gli effetti che comporta, viola, di per se stessa, la prerogativa del
consigliere  regionale,  ma non consente ancora l'accesso alla Corte,
essendo i conflitti di attribuzione fra poteri dello Stato, tra Stato
e regioni, tra regioni.
    Se (e quando), tuttavia, l'atto di citazione fa si' che si svolga
attivita'  processuale  davanti a un giudice e da parte di un giudice
non  v'e'  chi non veda che non ci si trova pie' di fronte ad un mero
atto privato.
    Cosi',  nel  caso  di  specie,  nel  corso della prima udienza di
comparizione  delle  parti  davanti al giudice, questi (e, quindi, lo
Stato)  ha  esplicato  la  funzione  giurisdizionale  e l'ha fatto in
difetto  di  potere  nei confronti di chi, a quella giurisdizione e',
per deroga costituzionale, sottratto. Donde la sussistenza di un atto
statale   invasivo   della   competenza   regionale:   la  violazione
dell'immunita'  conciliare diviene ascrivibile allo Stato nel momento
in cui il giudice procede, indotto dall'attore privato, nonostante la
condizione di esenzione dalla giurisdizione.
    Piu'  precisamente,  il giudice istruttore, nell'aver disposto la
prosecuzione  del  giudizio secondo la tempistica del codice di rito,
ha  adottato  un  atto processuale formale (cfr. verbale del 5 luglio
2005;  v.  artt  127,  175,  176 c.p.c.) o, quanto meno, ha tenuto un
«comportamento  significante»  sintomatico della pretesa di giudicare
al   di   la'   dei   limiti  «esterni»  imposti  alla  giurisdizione
assegnatigli,  stabiliti  a  garanzia  dei compiti costituzionali dei
consiglieri  regionali: limiti che, a codesta Corte compete sindacare
(inter   alia,   sentt.   nn.  81/1975;  15/1977  285/1990;  27/1999;
276/2003).
    4.  -  A  scanso di equivoci, e' bene precisare che, nel radicare
l'ammissibilita'  del  presente  conflitto sull'assunto della carenza
del  potere  da  parte  di  chi  l'ha  esercitato  e sull'effetto del
pregiudizio   dell'autonomia   regionale,   non  si  intende  affatto
contestare,  qui  anziche'  davanti al giudice dell'impugnazione, gli
errori in Judicando commessi dal giudice laddove non ha dichiarato il
difetto  di  giurisdizione  o  non  ha sospeso il giudizio, come pure
avrebbe  dovuto:  si denuncia, piuttosto, l'illegittimo convincimento
che  ha  indotto il Tribunale di Roma ad esercitare un potere che non
gli  competeva  e non gli compete; e si nega in quel giudizio civile,
l'esistenza stessa del potere giurisdizionale.
    Se  si  vuole, l'errore di cui ci si duole e' «sui confini stessi
della giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa» (cfr. sent.
n. 285/1990);  non  si  chiede,  pertanto,  un  sindacato  sul merito
dell'attivita'  giurisdizionale,  quanto piuttosto di dichiarare come
l'esercizio   della   giurisdizione   sia   (stato)  lesivo  in  se',
indipendentemente  dal  quomodo,  delle competenze costituzionalmente
assegnate alla regione.
    E' stato chiarito, sin dalla sentenza n. 289 del 1974, che se, da
una  parte,  e'  inammissibile  l'impugnazione, mediante conflitto di
atti  giurisdizionali  quando  si chieda in sostanza la correzione di
eventuali  errori  in  iudicando  nei  quali  il giudice sia incorso,
mirando  ad  ottenere nel merito la revisione della sentenza, d'altra
parte  il  conflitto  e' pienamente ammissibile quando sia denunciata
una  lesione derivante «dal solo fatto di esercitare la giurisdizione
nei confronti di atti ... che si affermino ad essa sottratti da norme
costituzionali».
    Ne'  oggi,  si  puo'  piu' dire che la parte (asseritamente) lesa
dalle  opinioni espresse dal consigliere regionale rimane priva della
possibilita'  di  esercitare le proprie difese, dal momento che, come
noto,  e'  ammessa ad intervenire in sede di conflitto. Si osservato,
infatti,  che «qualora si rivendichi la sussistenza della eccezionale
guarentigia  di  non  perseguibilita'  sancita  dall'art. 122, quarto
comma,  della  Costituzione, e si neghi pertanto in radice il diritto
di  azione  in  capo  a  chi  pretende  di aver subito lesione da una
condotta   "scriminata"   dalla  garanzia  medesima,  la  valutazione
sull'esistenza della garanzia svolta dalla Corte in sede di conflitto
finirebbe   per  sovrapporsi  all'analoga  valutazione  demandata  al
giudice  del  processo  comune.  Ove  dunque  si  ritenesse  precluso
l'intervento  nel giudizio costituzionale, finirebbe per risultare in
concreto  compromessa la stessa possibilita' per la parte di agire in
giudizio a tutela dei suoi diritti» (sent. n. 76/2001).
    5.  -  L'esistenza,  nel  caso  di  specie,  di  un  atto statale
illegittimamente   invasivo   dell'auonomia   regionale  puo'  essere
affermata  anche  per  altra  via,  estendendo,  nel perdurante vuoto
normativo,   all'immunita'   dei  consiglieri  regionali  conclusioni
elaborate a proposito della parallela prerogativa dei parlamentari, e
che  a  costoro  per  «prassi» ci si ostina a riservare, senza alcuna
reale  giustificazione  stante l'identita' del dato normativo e della
dignita' costituzionale dei Consigli regionali e del Parlamento.
    Recuperando   le   fila   di   un   orientamento  che  e'  andato
consolidandosi   partire   dalla   sentenza   n. 1150/1988,   in  via
riassuntiva codesta Corte, nel 1997 (sent. n. 265) scriveva: «poiche'
una  tale  regola  [art. 68,  primo comma Cost.] di limitazione della
responsabilita' (o della possibilita' di farla valer in giudizio, che
non  e',  in  definitiva,  cosa diversa) e' dettata non solo a tutela
della  liberta'  di espressione del singolo membro delle Camere, ma a
tutela  attraverso  questa,  della piena liberta' di discussione e di
deliberazione  delle  Camere  stesse, e in definitiva a "tutela della
autonomia delle istituzioni parlamentari" (sentenza n. 379 del 1996);
e   poiche',   come   ha   ritenuto  questa  Corte,  "le  prerogative
parlamentari non possono non implicare un potere dell'organo a tutela
del  quale  sono  disposte"  (sentenze  n. 443  del 1993; n. 1150 del
1988),  ne  deriva  che la prerogativa in questione "attribuisce alla
Camera  di  appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata
ad  un  proprio  membro,  con l'effetto, qualora sia qualificata come
esercizio  delle  funzioni parlamentari, di inibire in ordine ad essa
una  difforme  pronuncia giudiziale di responsabilita', sempre che il
potere sia stato correttamente esercitato" (sentenze n. 129 del 1996;
n. 1150 del 1988). Pertanto e' solo l'esercizio in concreto, da parte
della   Camera   di  appartenenza  del  parlamentare,  della  propria
potesta',  che  produce  "l'effetto  inibitorio  dell'inizio  o della
prosecuzione  di  qualsiasi  giudizio  di  responsabilita',  penale o
civile per il risarcimento dei danni", discendendo direttamente dalla
norma   costituzionale  "l'obbligo  per  l'autorita'  giudiziaria  di
prendere  atto  della  deliberazione  parlamentare  e  di adottare le
pronunce conseguenti" (sentenza n. 129 del 1996) ...».
    Orbene, non e' peregrino concludere, pur nella consapevolezza che
la tesi e' assolutamente minoritaria, che, analogamente alla delibera
della  Camera,  anche gli atti con cui la regione interviene a tutela
del  consigliere  regionale  (come  quelli  adottati,  nel  caso  qui
rubricato,  dalla  Regione  Veneto)  hanno inefficacia inibitoria del
procedimento  giurisdizionale in corso. Sicche', se il giudice non ne
prende  atto, declinando la giurisdizione (o sollevando, a sua volta,
conflitto),  con  cio'  deborda  dai  limiti della propria competenza
spingendosi  in quanto gli e' costituzionalmente sottratto: in questo
senso,  l'atto  invasivo  dello  Stato  acquista la forma dell'omessa
presa d'atto dell'irresponsabilita' dichiarata dalla Regione.
    La  tesi  ha  oggi  qualche  argomento  aggiuntivo, rispetto alla
complessa  elaborzione «pretoria», e risiede nella legge n. 140/2003,
contenente,  tra  l'altro,  disposizioni per l'attazione dell'art. 68
della  Costituzione.  L'art. 3,  infatti, andando ben oltre il citato
bilanciamento  operato  in  via  giurisprudenziale  (secondo  le  due
massime: a) il potere di giudicare circa la sussistenza, in concreto,
dei presupposti per l'applicazione dell'immunita' spetta alla Camera,
la  cui decisione ha, per il giudice, effetto vincolante; b) cio' non
avviene, il giudice puo' proseguire il suo giudizio ed apprezzare lui
stesso   l'esistenza  dei  predetti  presupposti)  tende,  invece,  a
configurare  una  vera  e  propria  «pregiudizialita'  parlamentare».
Vengono,  infatti,  previsti a) l'obbligo per il giudice di investire
preliminarmente  la  Camera  della  decisione  circa l'applicabilita'
dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.,  qualora il parlamentare nei cui
riguardi  e' chiamato a pronunciarsi proponga in giudizio la relativa
eccezione,  sospendendo  il  giudizio  in corso e rimanendo vincolato
alla   decisione   da   quella  adottata;  b)  la  facolta',  per  il
parlamentare  che  assuma  che  il  fatto per il quale e' in corso un
procedimento giurisdizionale di responsabilita' nei suoi confronti e'
coperto  dall'immunita',  di  investire della questione la Camera, la
quale  puo'  chiedere  al  giudice  sempre con effetto vincolante, di
sospendere il procedimento.
    L'applicazione  analogica  (alle  regioni)  di  tali disposizioni
sarebbe,   tra  l'altro  giustificata  dal  fatto  che,  in  tema  di
immunita',  «soltanto il legislatore statale puo' assicurare, come e'
costituzionalmente  necessario,  una uguale protezione ai consiglieri
di  tutte le Regioni nell'esercizio delle medesime funzioni e perche'
soltanto  una  sua  scelta sarebbe conforme al principio di legalita'
che regge compiutamente il sistema penale» (sent. n. 69/1985).
    Se alla Regione spetta il potere di dichiarare l'insindacabilita'
dei  propri  consiglieri  con  l'effetto  di  inibire  l'inizio  o la
prosecuzione  di  un qualsiasi giudizio di responsabilita', si ha per
dimostrata,    nuovamente    in   seconde   grado,   la   menomazione
dell'autonomia  costituzionale  del Veneto, ad opera del Tribunale di
Roma,   nella   forma  «invasiva»  dell'esercizio  di  un  potere  di
giurisdizione assolutamente mancante.
    Anche  in  questo  caso,  con la precisazione (da leggere mutatis
mutandis)  che  «il giudice dei conflitti non e' chiamato, e non puo'
esserlo,  a  pronunciarsi direttamente sulla sindacabilita' o meno di
un'opinione  espressa da un parlamentare, cio' che e' compito, per un
verso,   dell'autorita'   giudiziaria   cui   spetta  far  valere  le
responsabilita'   e   dunque  anche  i  limiti  che  nell'ordinamento
incontrano  le  responsabilita'  medesime o il loro accertamento, per
altro  verso  della  Camera  di  appartenenza,  nell'esercizio  della
potesta'  connessa alla propria prerogativa. Ne' la Corte puo' essere
chiamata  a  rivedere  -  come un giudice dell'impugnazione - vuoi le
sentenze   pronunciate   dai   giudici,  che  abbiano  fatto  erronea
applicazione  dell'art.  68, primo comma, della Costituzione, vuoi le
decisioni  delle  Camere  che  abbiano  deliberato  in  assenza o con
erronea  o valutazione dei relativi presupposti. Da un lato, infatti,
il  controllo delle pronunce dei giudici, anche sotto questo profilo,
spetta  ai  giudici  delle  eventuali  impugnazioni  e  in definitiva
all'organo  di  nomofilachia; dall'altro lato, la deliberazione della
Camera  di  appartenenza  del  parlamentare,  espressione  della  sua
autonomia  costituzionale, non e' soggetta ad impugnazioni, e ad essa
il giudice e' normalmente vincolato. La Corte puo' essere chiamata ad
intervenire  solo  quando  sorga  un  contrasto  fra  la  valutazione
espressa  dall'organo  parlamentare ed il contrario apprezzamento del
giudice:  e,  dunque, il giudizio della Corte puo' intervenire solo a
posteriori  e per cosi' dire dall'esterno, in funzione di risoluzione
del  conflitto  in  tal  modo manifestatosi tra organo parlamentare e
giudice,    quindi    in   funzione   di   garanzia   dell'equilibrio
costituzionale  fra salvaguardia della potesta' autonoma della Camera
e  tutela  della sfera di attribuzioni dell'autorita' giudiziaria, su
cui  la  deliberazione  parlamentare  viene  ad  incidere  inibendone
l'esercizio (cfr. sentenza n. 1150 del 1988)» (sent. n. 265/1997).
    Sul merito della violazione dell'art. 122, quarto comma, Cost.
    6.  -  Il consigliere Bettin e' stato chiamato in giudizio avanti
al  Tribunale  di  Roma  per  la  presunta lesivita' di dichiarazioni
contenute  a)  in  una  interrogazione  consiliare a risposta scritta
presentata  alla  Regione  Veneto  (n. 641/2005)  e b) in un articolo
pubblicato,  lo  stesso  giorno,  sul sito internet istituzionale del
Gruppo consiliare regionale dei Verdi del Veneto.
    Orbene,  codesta Corte, «piu' volte ha affermato che l'esonero da
responsabilita',   previsto   dall'art.   122,  quarto  comma,  della
Costituzione  quale  salvaguardia  dell'autonomia  costituzionalmente
riservata  al Consiglio regionale, ricomprende tutte quelle attivita'
che costituiscono esplicazione di una funzione affidata a tale organo
dalla  stessa  Costituzione  o  da altre fonti normative cui la prima
rinvia» (cfr., ex plurimis, sentt. nn. 76/2001, 391/1999; 276/2001).
    Ha,  altresi',  precisato,  in  via  generale,  «che  le funzioni
legislative e di indirizzo politico, nonche' quelle di controllo e di
auto-organizzazione,     connotano    il    livello    costituzionale
dell'autonomia  garantita  alle  regioni  e  che l'esercizio di esse,
riservato al consiglio regionale, non puo' essere sindacato da organi
giudiziari  al  fine  di  accertare  l'eventuale  responsabilita' dei
soggetti deputati ad adempiere» (sent. nn. 69 e 70 del 1985).
    In  particolare,  sul  punto delle dichiarazioni contenute in una
interrogazione  consiliare,  «ha  considerato  ricomprese nel cennato
ambito  [dell'art. 122, quarto comma, Cost.], come risulta delimitato
dalla  Costituzione  e  dalle  leggi  statali,  anche  le funzioni di
indirizzo,  quelle  che,  comunque,  si  traducono  in  comportamenti
preordinati al controllo politico (sentenze nn. 209 del 1994 e 29 del
1966),  fra  i quali senza dubbio rientrano anche le interrogazioni e
le  interpellanze,  quali  atti  consiliari tipici, strumentali - per
l'appunto - al sindacato esercitato dal Consiglio nel confronti della
giunta» (sent n. 382/1998; v. anche sentt. nn. 274/1995; 391/1999).
    Sul punto delle dichiarazioni contenute in articoli divulgativi e
percio'  rilasciate al di fuori dell'esercizio di funzioni consiliari
tipiche,  per  giurisprudenza  consolidata,  l'immunita' in parola si
estende  anche  a  quei comportamenti che, pur non rientrando fra gli
atti  tipici,  siano  collegati  da  nesso funzionale con l'esercizio
delle  attribuzioni  proprie  dell'organo  di  appartenenza.  Onde va
ritenuta  ricompresa nella guarentigia la riproduzione all'esterno di
interpellanze  o  interrogazioni»  (cosi'  la  gia'  menzionata sent.
391/1999,   conformemente   alle   sentt.   nn. 274/1995;   329/1999;
n. 289/1998).  In  termini piu' rigorosi, per invocare la prerogativa
dell'irresponsabilita', «non basta la generica comunanza di argomenti
oggetto    della   attivita'   consiliare   tipica,   rispetto   alle
dichiarazioni   fatte   al  di  fuori  di  essa;  e'  sufficiente  la
riconducibilita'  di  queste  ultime  dichiarazioni  ad  un  medesimo
"contesto  politico".  Occorre,  invece,  che  la dichiarazione possa
essere  qualificata  come  espressione  della attivita' coperta dalla
menzionata  garanzia  costituzionale  di immunita' il che normalmente
accade   se   ed  m  quanto  sussistano  una  contestualita'  ed  una
sostanziale  corrispondenza  di significati tra le dichiarazioni rese
al   di  fuori  dell'esercizio  delle  funzioni  tipiche  svolte  nel
consiglio  regionale  e  le  opinioni  espresse nell'ambito di queste
ultime.   Il   carattere   divulgativo,   e   quindi  la  sostanziale
corrispondenza  in  uno  con  la contestualita', finiscono dunque per
rappresentare  il  criterio  in  forza  del  quale  le  dichiarazioni
"esterne"    godono    dello    stesso    regime    delle    opinioni
costituzionalmente  presidiate  a  norma dell'art. 122, quarto comma,
della Carta fondamentale» (cosi' sent. n. 276/2001, sulla scorta, tra
le altre, della sent. n. 76/2001).
    La  situazione  denunciata  dalla  Regione ricorrente risponde ai
richiamati principi.
    In  definitiva, il consigliere Bettin, non puo' esser, sottoposto
a   giudizio   ne'   in   ragione   delle   dichiarazioni   contenute
nell'interrogazione  consigliare,  in  quanto  atto  tipico  inerente
l'esercizio  delle  sue  attribuzioni;  ne'  in ragione dell'articolo
pubblicato  via internet, considerate la «sostanziale corrispondenza»
e  la  «contestualita»  siccome  dimostrate i atti, intercorrente tra
questo e quella.
    Ad   ulteriore  conferma  che  l'immunita'  opera  non  solo  con
riferimento  ad  una  serie di atti tipici, ma anche relativamente ad
atti non tipizzati purche' connessi alla funzione esercitata, vale la
pena  richiamare l'art. 3 della legge n. 140/2003: esso, nel definire
l'ambito  di efficacia, dispone che «l'art. 68, primo comma Cost. [e,
dunque,  con  i dovuti aggiustamenti, anche l'art. 122, quarto comma]
si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di
legge,  emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le
interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee
e  negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto
comunque  formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra
attivita'  di  ispezione,  di  divulgazione, di critica e di denuncia
politica,  connessa  alla  funzione  di parlamentare, espletata anche
fuori del Parlamento».
    Da  tutto  quanto  fin qui si esposto si evince, con evidenza, la
violazione   dell'art. 122,   quarto  comma  e,  suo  tramite,  degli
artt. 121  e  123  Cost.  di  disciplina  dell'organizzazione e delle
funzioni dei supremi organi regionali.