LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza n. 483/2004 nel giudizio di
pensione  iscritto al n. 24067 del registro di segreteria promosso ad
istanza  di  Mancuso Angela, rappresentata e difesa dall'avv. Ignazio
Montalbano, nei confronti della Regione siciliana.
    Visto l'atto introduttivo del giudizio depositato il 19 settembre
2001.
    Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
    Uditi  alla  pubblica  udienza del 5 novembre 2004 l'avv. Ignazio
Montalbano, per la ricorrente e l'avv. Vincenzo Farina per la Regione
siciliana.

                              F a t t o

    La  professoressa  Angela Mancuso, insegnante presso gli istituti
regionali  d'arte  della  regione siciliana, con istanza prodotta nei
termini   di   legge   ha   chiesto  di  essere  collocata  a  riposo
anticipatamente  ai  sensi  dell'art.  39,  della  legge regionale 15
maggio 2000, n. 10.
    La  predetta  norma, contenuta nel titolo VII della citata legge,
concernente  il  riordino  del  sistema  pensionstico  della  regione
siciliana,  dopo  aver  diposto,  nelle more del riordino del sistema
pensionistico  regionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, la
sospensione   dell'applicazione   delle   norme  che  consentivano  i
pensionamenti  di  anzianita',  faceva,  pero',  salva l'applicazione
dell'articolo  3, della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, per i
dipendenti  che  avessere maturato l'anzianita' di servizio utile ivi
prevista  o  che  tale anzianita' maturassero entro la predetta data,
nonche'  l'applicazione  dell'articolo  18  della  legge  regionale 3
maggio 1979, n. 73;
    Pertanto,  al  fine  dichiarato  di  creare condizioni favorevoli
all'avvio  della  riforma  burocratica e al completo decentramento di
funzioni, veniva stabilito che, in deroga a quanto disposto dal comma
1,  del  citato  art. 39,  i  dipendenti  regionali  in  possesso dei
requisiti  di  cui  all'articolo 2, della legge regionale 23 febbraio
1962, n. 2, potessero comunque conseguire l'anticipato collocamento a
riposo  entro  il limite del 45 per cento dei dipendenti in servizio,
in ciascuna qualifica, al 31 dicembre 1993.
    A  far data dal 1° gennaio 2004, inoltre, veniva stabilito che il
sistema  pensionistico  regionale  si  dovesse  adeguare  ai principi
fondamentali del sistema pensionistico vigente per i dipendenti dello
Stato, facendo salvi comunque i diritti quesiti.
    Il  collocamento  a  riposo di cui alla predetta normativa veniva
disposto,  infine,  a  partire  dalla data di entrata in vigore della
legge  per  contingenti  semestrali  pari  ad  un  sesto degli aventi
diritto.
    Per  effetto  dell'art. 5,  comma  4,  della l.r. n. 2/2002, poi,
veniva  disposto  che  i  dipendenti inclusi nei contingenti previsti
dalla  predetta  legge  fossero  collocati  a riposo con periodicita'
annuale,  anziche' semestrale, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004 e
che,  per  effetto  dell'art. 5,  comma  5,  della l.r. n. 2/2002, il
personale  di  ruolo  degli  Istituti regionali d'arte e delle scuole
materne  regionali  non  ancora  cessato  dal servizio ed incluso nei
contingenti  annuali  fosse  collocato  a  riposo  a decorrere dal 1°
settembre 2003 e dal 1° settembre 2005.
    In  esito  all'istanza  dell'odierna ricorrente l'amministrazione
regionale,  con  nota  n. 5412  del  22  giugno 2001, comunicava alla
predetta  dipendente  che,  sebbene  in  effetti  collocata utilmente
nell'ambito  del  contingente  da  collocare a riposo, avrebbe potuto
essere  cancellata  dai  ruoli,  ma  non  avrebbe  potuto ottenere il
diritto  a  pensione  in  quanto  inquadrata in ruolo a seguito della
legge  regionale n. 21/1986, personale al quale spetta il trattamento
pensionistico previsto per il corrispondente personale statale.
    Avverso il suddetto provvedimento l'interessata proponeva ricorso
con  atto depositato il 19 settembre 2001, con contestuale istanza di
sospensiva del provvedimento impugnato.
    Questa  sezione  con  ordinanza  n. 10/02  del  18  gennaio  2002
rigettava la richiesta di provvedimento cautelare.
    Con  memoria  depositata  il  31 ottobre 2001 si e' costituita la
Regione  siciliana  illustrando  i  motivi a sostegno della tesi gia'
esplicitata   in   sede   amministrativa   e   che   avevano  portato
all'emanazione del provvedimento qui impugnato.
    Alla  pubblica  udienza  di  trattazione  del  3  marzo 2003, non
rappresentata  la  Regione  siciliana,  l'avv.  Ignazio Montalbano ha
insistito per l'accoglimento del ricorso.
    Con  ordinanza  n. 105  del 6 marzo 2003 questo giudice sollevava
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 39,  comma  1,
secondo  periodo,  e  comma  2, della legge regionale 15 maggio 2000,
n. l0,  nella  parte  in cui, dopo avere sospeso l'applicazione delle
norme che consentivano i pensionamenti di anzianita' fa, pero', salva
l'applicazione  dell'articolo  3  della  legge  regionale 23 febbraio
1962,  n. 2  per  i  dipendenti  che abbiano maturato l'anzianita' di
servizio  utile  ivi prevista o che tale anzianita' maturino entro il
31  dicembre 2003, con le modalita' di cui al successivo comma 2, con
riferimento agli artt. 3 e 81, comma 4, della Costituzione.
    La  Corte  costituzionale con ordinanza n. 252 del 20 luglio 2004
dichiarava  la  manifesta inammissibilita' della questione ravvisando
alcune lacune argomentative che, a suo dire, le avrebbero impedito di
«svolgere   la   necessaria  verifica  circa  l'applicabilila'  della
normativa  impugnata e quindi in ordine all'incidenza della richiesta
pronuncia sulla individuazione soggettiva fatta valere in giudizio».
    Posto nuovamente a ruolo il giudizio, questo veniva discusso alla
pubblica  udienza  del  5  novembre  2004,  alla quale l'avv. Ignazio
Montalbano,  per  la  ricorrente, ha insistito per l'accoglimento del
gravame,  mentre  l'avv.  Vincenzo  Farina, per la Regione siciliana,
richiamandosi  ad un'ulteriore memoria depositata il 26 ottobre 2004,
ha chiesto che, alla luce dell'intervenuta abrogazione della norma in
questione  da  parte dell'art. 20 della l.r. 30 dicembre 2003, n. 21,
si prendesse atto della sopravvenuta carenza di interesse ad agire da
parte della ricorrente, con la consequenziale pronuncia in rito o, in
subordine, il rigetto nel merito.

                            D i r i t t o

    L'art. 20,  della  legge  regionale  30  dicembre  2003, n. 21 ha
disposto  che a decorrere dal 31 dicembre 2003 siano abrogati i commi
2,  3,  4, 5, 6 ed 8 dell'articolo 39 della legge regionale 15 maggio
2000,   n. 10   e   successive   modifiche  ed  integrazioni  di  cui
all'articolo  5  della  legge  regionale  26 marzo 2002, n. 2 ed alla
legge  regionale  8 agosto  2003, n. 11 ed ogni altra norma regionale
incompatibile.
    Cioe', in sintesi, e' stata abrogata la normativa (commi 2, 3, 4,
5,  6  ed  8  dell'articolo 39, della legge regionale 15 maggio 2000,
n. 10  e  successive  modifiche  ed  integrazioni) in base alla quale
l'odierna   ricorrente   aveva   ritenuto  di  potere  richiedere  il
collocamento  a  riposo anticipato, che avrebbe dovuto aver luogo dal
1° gennaio 2004.
    Si pone, quindi, in via preliminare, il problema di verificare se
il  venir  meno  della  normativa  suddetta  precluda  il  diritto al
collocamento a riposo dell'interessata e, quindi, per quanto riguarda
l'odierno giudizio, ne abbia fatto venir meno l'interesse ad agire.
    A  tale  risultato  non  puo'  pervenirsi  se  non attraverso una
corretta esegesi della normativa in questione.
    L'art. 39  della l.r. n. 10/2000 prevedeva che, al fine di creare
condizioni  favorevoli  all'avvio  della  riforma  burocratica  e  al
completo decentramento di funzioni i dipendenti regionali in possesso
dei requisiti di cui all'articolo 2 della legge regionale 23 febbraio
1962,  n. 2 avessero diritto a conseguire l'anticipato collocamento a
riposo  entro  il limite del 45 per cento dei dipendenti in servizio,
in  ciascuna  qualifica,  al  31  dicembre  1993 e che la domanda per
accedere  al  pensionamento  dovesse  essere  presentata  nel termine
perentorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
    L'art. 2,  della  l.r. n. 2/1962, prevedeva, poi, che l'impiegato
dimissionario  conseguisse  il  diritto  alla pensione qualora avesse
raggiunto  il  sessantesimo  anno  di eta' e contasse almeno quindici
anni  di  servizio  effettivo  oppure a qualunque eta' qualora avesse
prestato  almeno venticinque anni di servizio effettivo. L'impiegata,
poi, che aveva contratto matrimonio, o sia vedova con prole a carico,
poteva  presentare  le  dimissioni  con  il diritto al trattamento di
quiescenza  spettante alla data di risoluzione del rapporto d'impiego
ed  ai  fini  del  compimento  dell'anzianita' minima prevista per la
maturazione  del  diritto a pensione a lei era concesso un aumento di
servizio utile fino al massimo di 5 anni.
    Orbene,  e'  la legge regionale stessa a qualificare come diritto
quello  del  dipendente che intende risolvere il proprio rapporto, in
presenza  delle  condizioni ivi previste: ne', d'altronde, a conferma
di  tale  interpretazione, la legge prevede per l'Amministrazione una
qualche forma di discrezionalita' nell'accettazione della domanda, se
non sotto il profilo (ma qui di discrezionalita' non si tratta) della
verifica  della  capienza  della  percentuale  del  45  per cento dei
dipendenti in servizio, in ciascuna qualifica, al 31 dicembre 1993.
    Ne  consegue  che  si e' in presenza di un vero e proprio diritto
potestativo  del  dipendente ad essere collocato a riposo in presenza
delle  condizioni  contributive  richieste  e  purche' la domanda sia
stata presentata entro i termini di legge.
    Orbene,   il   diritto   potestativo  (nella  specie  diritto  al
collocamento  a  riposo con il relativo trattamento di quiescenza) si
consuma  con  il suo esercizio per cui, una volta che sia intervenuto
il  provvedimento  che  ad  esso si conforma e che siano prodotti gli
effetti  cui  esso  tende,  gli  stessi non possono essere rimessi in
discussione se non in presenza di una norma specifica, attributiva di
un  contrario  diritto  di  revoca  e  di  un consequenziale stato di
soggezione  da  parte  dell'amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 15
maggio 2002, n. 2596).
    Cio',  ovviamente,  vale per l'interessato ed, a maggior ragione,
per l'amministrazione.
    Ne  consegue che il diritto si perfeziona, dopo che l'interessato
lo  ha  fatto  valere, alla scadenza del termine previsto dalla legge
per   la   presentazione   delle   domande,   salvo   l'adozione  del
provvedimento  di collocamento a riposo con diritto al trattamento di
quiescenza  da  parte  dell'Amministrazione,  che,  pero' assume mero
contenuto ricognitivo dell'accertamento delle condizioni di legge.
    E  tale  provvedimento  risulta, comunque, effettivamente emanato
dall'Amministrazione regionale con decreto del dirigente generale del
Dipartimento  pubblica  istruzione  dell'Assesorato regionale BB. CC.
AA.  E P. I. del 17 luglio 2001 di approvazione delle graduatorie per
il  collocamento  a  riposo,  nel  cui  contesto  la  Mancuso risulta
utilmente collocata in graduatoria al n. 24.
    Ulteriore  conseguenza  ne  e' che su di esso il legislatore puo'
incidere  solo con l'emanazione di una legge con valore espressamente
retroattivo (atteso che la legge, ordinariamente, dispone solo per il
futuro)  -  con  tutti  i problemi di costituzionalita' che un simile
intervento potrebbe porre - retroattivita' che, nel caso dell'art. 20
della legge regionale 30 dicembre 2003, n. 21 e' espressamente negata
dallo  stesso  tenore  della  norma  che, addirittura, prevede solo a
decorrere  dal  31  dicembre  2003  (cioe'  un giorno dopo la data di
pubblicazione ed entrata in vigore della legge, pubblicata ed entrata
in  vigore il 30 dicembre 2003) l'abrogazione dei commi 2, 3, 4, 5, 6
ed  8  dell'articolo 39 della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 e
successive  modifiche ed integrazioni e di ogni altra norma regionale
incompatibile.
    Pertanto,  la  sopravvenuta  abrogazione  della  norma non appare
suscettibile di incidere sul diritto della ricorrente al collocamento
a  riposo  che e' e resta disciplinato dalle norme in vigore al tempo
del suo esercizio.
    Nel  merito,  la  professoressa Angela Mancuso, insegnante presso
gli  istituti  regionali d'arte della Regione siciliana inquadrata in
ruolo  a  decorrere  dal  l° settembre 1993, con istanza prodotta nei
termini   di   legge   ha   chiesto  di  essere  collocata  a  riposo
anticipatamente ai sensi dell'art. 39 della legge regionale 15 maggio
2000, n. 10.
    L'Amministrazione  regionale,  nonostante l'utile collocamento in
graduatoria  dell'interessata,  le  ha  comunicato  che  cio' avrebbe
determinato  solo  il suo collocamento a riposo, ma senza trattamento
di  quiescenza, atteso che alla Mancuso, inquadrata in ruolo ai sensi
della l.r. n. 21/1986, spettava il trattamento pensionistico previsto
per il personale statale e non quello per il personale regionale.
    L'art. 10   della   l.r.  n. 21/1986,  infatti,  prevede  che  il
trattamento  di  quiescenza  e  tutte  le  prestazioni  previdenziali
spettanti  al  personale  regionale  siano  disciplinati, a decorrere
dalla  entrata  in  vigore di quella legge, dalle norme relative agli
impiegati  civili  dello  Stato, restando ferma la competenza diretta
della  regione  per l'amministrazione dei relativi trattamenti e che,
nei   confronti  del  personale  regionale  in  servizio  o  gia'  in
quiescenza  alla  data  di  entrata in vigore della stessa legge, ivi
compreso  quello  contemplato  dalle leggi regionali 25 ottobre 1985,
n. 39  e  27  dicembre  1985,  n. 53,  che  verra'  immesso nei ruoli
regionali,  continuino  ad  applicarsi  le  disposizioni  della legge
regionale   23   febbraio   1962,  n. 2  e  successive  modifiche  ed
integrazioni,  cosi'  come  al personale assunto in esito ai concorsi
pubblici  i  cui  decreti di indizione siano stati adottati alla data
della sua entrata in vigore, ancorche' pubblicati in data successiva.
    Tra  le  categorie  esonerate  dall'applicazione della disciplina
pensionistica  statale si rinviene, pertanto, quella del personale in
servizio  alla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge regionale
n. 21/1986.
    Non  vi  e'  dubbio,  come  risulta  dagli  atti,  che  l'odierna
ricorrente  a quella data prestasse gia' servizio presso gli istituti
regionali  d'arte  della  Regione siciliana in qualita' di incaricata
annuale stabilizzata ai sensi dell'art. 4, della l.r. 21 agosto 1984,
n. 53,  il  quale  prevedeva che il personale di cui all'art. 2 della
legge  regionale  26  luglio  1982,  n. 69, gia' prorogato per l'anno
scolastico 1982/1983, ed il personale direttivo docente e non docente
cui  e'  stato  conferito  l'incarico  o  una supplenza di durata non
inferiore  a  180  giorni  nello  stesso  anno scolastico, nonche' il
personale  di  cui  alla legge regionale 26 luglio 1982, n. 68, fosse
confermato  anche  per l'anno scolastico 1983-84 e, comunque, fino al
riordino della materia.
    Quel  personale,  al quale appartiene anche l'odierna ricorrente,
e'  stato  poi  collocato  in ruolo in forza dell'art. 10, della l.r.
n. 34, del 1990 che ha definitivamente riordinato la materia.
    Orbene,  se  per  un verso non forma oggetto di contestazione che
per  il  personale  in  servizio presso gli Istituti d'arte regionali
(tra  i  quali  la  prof.ssa  mancuso)  spettasse  il  trattamento di
quiescenza,  previdenza  ed  assistenza regolato dalle nonne previste
per  il  personale  della  Regione  siciliana, ai sensi dell'art. 19,
della  l.r.  n. 7/1974,  nel  testo integrato dall'art. 12,della l.r.
n. 53/1976,   e'   pero'  in  dubbio  da  parte  dell'amministrazione
regionale  che  l'odierna  ricorrente, essendo stata immessa in ruolo
dal  1993,  potesse  ancora  farsi  rientrare  in  quella  previsione
scardinata, per tutto il personale regionale, dall'art. 10 della l.r.
n. 21/1986, con le sole eccezioni ivi previste.
    Come  gia'  sottolineato, pero', tra le eccezioni figurava quella
del  personale  in servizio alla data di entrata in vigore della l.r.
n. 21/1986  e  la  prof.ssa  Mancuso,  ad  avviso  di questo giudice,
rientra in tale previsione.
    La  ricorrente,  infatti,  a quella data prestava servizio presso
gli   istituti   d'arte  con  un  tipo  di  rapporto  che,  ancorche'
nominativamente    non   di   ruolo,   possedeva   pero'   tutte   le
caratteristiche  di  stabilita'  del  primo,  tant'e'  che,  dopo  la
stabilizzazione  ex  lege avvenuta nel 1984, e' stata definitivamente
immessa in ruolo nel 1993.
    Ne costituisce riprova l'art. 5, della stessa l.r. n. 53/1984, il
quale  prevedeva  che  l'Assessore  regionale per i beni culturali ed
ambientali  e  per la pubblica istruzione fosse autorizzato, anche in
eventuale  deroga alla normativa vigente in materia, a disciplinare e
disporre  con  proprio  provvedimento  l'utilizzazione  del personale
predetto, che non trovi possibilita' di impiego nelle rispettive sedi
scolastiche,  in  attivita'  amministrative  anche  in uffici ed enti
centrali  e  periferici, comunque vigilati e controllati, o che siano
delegati  alla  trattazione  di  affari  del  settore  della pubblica
istruzione   dall'Assessorato   regionale   dei   beni  culturali  ed
ambientali e della pubblica istruzione.
    E'   chiaro  che,  laddove  si  fosse  trattato  di  un  rapporto
caratterizzato  da precariato, una simile forma di tutela non avrebbe
avuto ragion d'essere, ben potendo l'amministrazione porre fine ad un
incarico del quale non ravvisava piu' la necessita'.
    Si puo' trarre, quindi, come conclusione, che la prof.ssa Mancuso
rientra   tra   i   destinatari  dell'art. 10,  comma 2,  della  l.r.
n. 21/1986  e,  quindi,  ad  essa si applicano le disposizioni di cui
all'art. 39, della l.r. n. l0/2000.
    Quest'ultima  norma,  contenuta nel titolo VII della citata legge
n. 10/2000,  concernente  il riordino del sistema pensionistico della
Regione  siciliana,  dopo avere disposto, nelle more del riordino del
sistema  pensionistico  regionale e comunque non oltre il 31 dicembre
2003, la sospensione dell'applicazione delle norme che consentivano i
pensionamenti  di  anzianita',  faceva,  pero',  salva l'applicazione
dell'articolo  3, della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, per i
dipendenti  che avessero maturato l'anzianita' di' servizio utile ivi
prevista  o  che  tale anzianita' maturassero entro la predetta data,
nonche'  l'applicazione  dell'articolo  18  della  legge  regionale 3
maggio 1979, n. 73.
    Ritiene  questo  giudice pero', preliminarmente, che la normativa
regionale  della quale deve fare applicazione al fine della soluzione
del  caso  di  specie,  e particolarmente l'art. 39, comma 1, secondo
periodo,  e  comma  2,  della  legge regionale 15 maggio 2000, n. 10,
nella parte in cui, dopo avere sospeso l'applicazione delle norme che
consentivano  i  pensionamenti  d'anzianita'  ha  fatto, pero', salva
l'applicazione  dell'articolo  3,  della  legge regionale 23 febbraio
1962,  n. 2  per  i  dipendenti  che abbiano maturato l'anzianita' di
servizio  utile  ivi prevista o che tale anzianita' maturino entro il
31  dicembre  2003,  con  le  modalita' di cui al successivo comma 2,
susciti  fondati  dubbi  di  costituzionalita'  in  riferimento  agli
artt. 3 e 81, comma 4, della Costituzione.
    La questione, gia' sollevata da questo giudice con l'ordinanza di
cui  in  narrativa  e  dichiarata  manifestamente inammissibile dalla
Corte  costituzionale  nei  termini  ivi  specificati,  atteso che la
pronuncia  del  giudice  delle  leggi  ha  riguardato  esclusivamente
aspetti  di  rito,  peraltro sanati ed integrati in questa sede, deve
essere qui riproposta.
    E'   noto   il   dibattito  politico,  sociale  ed  istituzionale
sviluppatosi  intorno all'assetto del nostro sistema pensionistico ed
all'opportunita' o meno di una sua riforma nel senso, in particolare,
dell'abolizione  delle  c.d.  pensioni  di anzianita', quelle, cioe',
conseguibili  al  raggiungimento  di  una  determinata  anzianita' di
servizio  (in specie 35 anni), a prescindere da quella anagrafica del
beneficiario.
    E'  altrettanto  noto come tale passaggio, laddove condiviso, sia
stato  suggerito  da  improcrastinabili  esigenze  d'equilibrio della
finanza  pubblica, di pareggio di bilancio e, in prospettiva, di vera
e propria garanzia dell'effettivita', nel tempo, della prestazione di
quiescenza.
    L'adesione  ad una simile riforma - ed e' agevole rilevarlo anche
dai  lavori  parlamentari della legge in esame - presuppone, sotto il
profilo   finanziario,   il  riconoscimento  della  fondatezza  delle
suddette   esigenze   e,   sostanzialmente,  dell'impossibilita'  del
mantenimento  di un sistema previdenziale non piu' compatibile con le
risorse  disponibili  nel  tempo,  e cio' non senza un costo sotto il
profilo politico, attesa l'eliminazione di un percorso sicuramente di
maggior favore per il lavoratore.
    Peraltro, a fronte d'ogni collocamento a riposo per anzianita' si
determinano,  a  carico  della  regione,  per un verso minori entrate
derivanti  dal  venir  meno delle ritenute previdenziali e, per altro
verso,  maggiori  spese  scaturenti dall'esigenza di coprire il posto
lasciato  libero  in organico, sommando, quindi, all'erogazione della
pensione,  sempre  a  carico  del  bilancio  regionale,  quella di un
ulteriore   trattamento  di  attivita'.  La  soluzione  adottata  dal
legislatore  regionale,  quindi,  non  appare  del  tutto  scevra  da
elementi   di   manifesta  illogicita',  nella  misura  in  cui,  pur
dichiarando  di  volerne sospendere l'applicazione, invece incentiva,
sottoponendone  l'esercizio  ai  termini  indicati  nella  legge,  il
ricorso  alle  pensioni  di  anzianita'  per coloro che ne hanno gia'
maturato  i  requisiti, oltre a sembrare contrastante con il precetto
di  cui  all'  art. 81, comma 4, della Costituzione, atteso che nella
legge  non  e' fatto alcun cenno ai mezzi di copertura correlati alle
minori  entrate  ed  alle  maggiori spese, nei vari esercizi, diretta
conseguenza di quella norma di legge.
    Tali dubbi sono vieppiu' alimentati, in quanto mostrano di essere
stati  pienamente condivisi dallo stesso legislatore regionale, dalla
riscontrata  esigenza,  manifestata nell'art. 5, della legge 26 marzo
2002,  n. 2, di disporre, a decorrere dal 1° gennaio 2002, un aumento
dei  contributi  di  quiescenza  e  previdenza a carico del personale
regionale   (peraltro   non  quantificato  dal  legislatore  nel  suo
effettivo  ammontare  complessivo),  cui si applicano le disposizioni
della legge regionale 23 febbraio 1962, n. 2, nella misura dello 0,50
per  cento  annuo  e  di  scaglionare  il  collocamento  a riposo dei
dipendenti  inclusi nei contingenti previsti dall'art. 39 della legge
regionale  15  maggio  2000, n. 10 con periodicita' annuale, anziche'
semestrale  e  con  decorrenza dall'l gennaio 2004, oltre a disporre,
per  il  personale  di  ruolo degli istituti regionali d'arte e delle
scuole  materne  regionali  non ancora cessato dal servizio e incluso
nei  citati contingenti annuali, il collocamento a riposo a decorrere
dal 1° settembre 2003 e dal 1° settembre 2005.
    Tali  misure, pero', non appaiono affatto risolutive dei dubbi di
legittimita'  qui  evidenziati,  ne' sotto il profilo della logicita'
ne' sotto quello della copertura finanziaria.
    Per un verso, infatti, ne' il modestissimo aumento dei contributi
di  quiescenza  e  previdenza  (limitato,  inoltre, al solo personale
interessato  alla  legge  n. 2/62),  ne'  la  maggiore diluizione dei
termini  di  scaglionamento  per  il  collocamento a riposo, appaiono
idonei  a  ricostituire  un  coerente e logico sviluppo della manovra
finanziaria   e   neppure   ad   offrire   un  pieno  soddisfacimento
dell'obbligo di cui all'art. 81, comma 4, della Costituzione.
    Ritiene,  peraltro,  questo giudice, che la portata dell'art. 81,
comma  4, Cost., debba essere correttamente letta in coerenza con gli
stessi   comportamenti   legislativi,   in  termini  dinamici  e  non
semplicemente statici.
    In  buona  sostanza, la predetta disposizione non potrebbe valere
solo  per  le maggiori spese o minori entrate generate ex novo con un
provvedimento  legislativo,  ma dovrebbe svolgere la propria funzione
di  limite  che il legislatore ordinario e' tenuto ad osservare nella
sua  politica  finanziaria  (Corte  costituzionale  n. 327  del  14 -
24 luglio 1998) tutte le volte in cui lo stesso legislatore, mediante
atti  normativi,  abbia  inequivocabilmente, come nel caso di specie,
introdotto  misure di compressione della spesa a fini di riequilibrio
di  bilancio,  con cio' dando atto in forma ufficiale dell'incapienza
di bilancio per spese gia' previste dall'ordinamento.
    Non  pare  revocabile in dubbio a questo giudice, infatti, che in
questi   casi   l'introdurre   misure  restrittive,  sul  presupposto
dell'insostenibilita'  della spesa gia' prevista, per poi mantenerla,
contestualmente,  con  diversa  articolazione  e motivazione, ed anzi
incentivandone  l'effettuazione  attraverso  la creazione di percorsi
agevolati  e  la  fissazione di un termine temporale entro il quale i
beneficiari  ne possano attivare la fruibilita', senza pero' indicare
con  quali  mezzi  finanziari, gia' riconosciuti insussistenti, farvi
fronte,  si  ponga  in  contrasto  con  l'obbligo di copertura di cui
all'art. 81.  comma  4,  Cost.  e  con  il  principio  di logicita' e
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
    Una  conferma  ai  dubbi di costituzionalita' sollevati in questa
sede  sembra  giungere dalla pur intempestiva abrogazione della norma
da   parte  del  Parlamento  regionale,  su  iniziativa  del  Governo
regionale,  nell'intento  di evitare, come riportato da dichiarazioni
rese  alla  stampa  ed  in  sede parlamentare da autorevoli esponenti
politici,  gli  effetti  devastanti  di  una  probabile  sentenza  di
incostituzionalita',  nella  consapevolezza,  anch'essa  in piu' sedi
manifestata, di un insopportabile onere finanziario derivante da quei
collocamenti a riposo anticipati.
    La   questione   e'  rilevante  al  fine  del  decidere,  poiche'
dall'accoglimento  della  questione  di costituzionalita' nei termini
qui  prospettati  deriverebbe il venir meno (retroattivo) della norma
invocata  dalla  ricorrente, con conseguente rigetto del ricorso che,
invece, in caso contrario, sembrerebbe apparire fondato.
    Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi dell'art. 23,
della  legge  11  marzo  1953,  n. 87  e  gli atti rimessi alla Corte
costituzionale per il giudizio di competenza.