IL TRIBUNALE Letti gli atti, a scioglimento della riserva che precede; Rilevato che con ricorso depositato il 17 dicembre 2004 la Fondazione Isabella di Gonzaga, in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore svolgeva opposizione avverso il decreto reso ex art. 28, legge n. 300/1970 con il quale era stata condannata a contrattare con il sindacato ricorrente la scelta del Contratto Collettivo Nazionale da applicare ai rapporti di lavoro con i dipendenti che aveva assunto dopo l'1 gennaio 2004, data in cui si era trasformata da IPAB, ente di diritto pubblico, a fondazione appunto, ente di diritto privato: affermava che la pronuncia del giudice del lavoro, resa all'esito della fase sommaria, era fondata sull'erroneo presupposto che tale contrattazione fosse imposta dal contratto collettivo nazionale UNEBA, associazione di categoria cui la fondazione aderiva e comunque dall'art. 18/13 della legge Regione Lombardia n. 1/2003 effettivamente imponeva tale contrattazione in sede decentrata ma che doveva ritenersi costituzionalmente illegittimo sotto piu' profili perche' contrastante con gli artt. 117, 39, 18 e 41 Cost.; chiedeva cosi' - fra l'altro - che fosse sollevata questione di legittimita' costituzionale avanti alla Corte costituzionale, con riferimento alla citata norma, peraltro di necessaria applicazione per la soluzione della controversia, dipendendo dalla sua vigenza o meno nell'ordinamento l'asserita antisindacalita' della sua condotta; si costituiva in giudizio la F.P. CGIL sindacato ricorrente nella fase sommaria ribadendo anzitutto l'antisindacalita' della condotta della Fondazione Isabella di Gonzaga; quest'ultima aveva infatti applicato ai dipendenti assunti dopo la sua trasformazione in ente di diritto privato il contratto collettivo nazionale UNEBA in modo unilaterale, senza cioe' avere contrattato la relativa decisione con il sindacato come la legge regionale le imponeva; affermava poi - a tale proposito - la pacifica conformita' della norma regionale al dettato costituzionale e chiedeva conseguentemente il rigetto della relativa istanza; Ritenuto che la questione di legittimita' costituzionale sollevata appare non manifestamente fondata e la relativa istanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale meritevole di accoglimento; recita, anzitutto, la norma in oggetto: «fino alla determinazione di un autonomo comparto di contrattazione, al personale delle IPAB che si trasformano in persona giuridiche di diritto privato, in servizio alla data di trasformazione, si applicano i Contratti in essere. Al personale assunto successivamente alla trasformazione, in sede di contrattazione decentrata, e' stabilita l'applicazione dei contratti in essere o di contratti compatibili con quelli applicati al personale gia' in servizio»; nella sua seconda parte prevede quindi che la scelta del contratto collettivo applicabile ai lavoratori assunti dopo la trasformazione della persona giuridica in ente di diritto privato sia concordata a livello decentrato con il sindacato; essa e' inserita nella citata legge regionale della Regione Lombardia n. 1/2003 che disciplina, fra l'altro, la trasformazione delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza (IPAB, appunto) in enti di diritto privato con finalita' socio assistenziali, fra cui le fondazioni, qual e' l'odierna ricorrente; cio' premesso, quanto alla rilevanza della questione nel presente giudizio, e' incontestato fra le parti - e comunque documentalmente provato - che la Fondazione Isabella di Gonzaga, ente con finalita' socio-assistenziale, sia divenuta tale l'1 gennaio 2004 in seguito a trasformazione da IPAB e che dopo quella data abbia compiuto alcune assunzioni di personale dipendente; e' con riferimento a tali assunzioni che la F.P. CGIL ha denunciato l'antisindacalita' della condotta della Fondazione Isabella di Gonzaga per non avere contrattato la scelta del contratto collettivo applicabile a quei rapporti di lavoro, cosi' come prescrive la norma; afferma invece a tale proposito la Fondazione (sia pure in via subordinata, svolgendo in via principale la questione di legittimita' costituzionale) di avere dato applicazione alla citata norma poiche' la contrattazione da essa prevista sarebbe avvenuta a livello nazionale con la conclusione del citato contratto UNEBA (alla cui stipulazione ha partecipato anche la CGIL); tale difesa non appare condivisibile; l'obbligo previsto dall'art. 18/13, legge regionale n. 1/2003 ha un oggetto differente dalla contrattazione che, a livello nazionale, ha portato le parti collettive alla stipulazione del contratto UNEBA; esso prevede una contrattazione a livello decentrato (e non nazionale) relativa alla scelta fra diversi contratti collettivi - questi si' - gia' stipulati a livello nazionale, tutti astrattamente applicabili ai rapporti di lavoro fra la Fondazione ed i suoi dipendenti, compreso quello applicabile ai lavoratori gia' dipendenti al momento della trasformazione (nella specie quello degli Enti locali); se cosi' e', non puo' ritenersi che la ricorrente abbia assolto all'obbligo imposto dalla norma, limitandosi a recepire il contratto UNEBA; afferma ancora la Fondazione Isabella di Gonzaga che e' lo stesso contratto collettivo UNEBA ex art. 1 a porsi quale unico contratto applicabile ai rapporti di lavoro oggetto di controversia; per tale motivo non sarebbe necessaria la contrattazione prevista dalla norma regionale, o meglio anche sotto questo profilo il contratto collettivo nazionale avrebbe integrato l'attivita' contrattuale richiesta dal citato art. 18/13; anche tale difesa appare infondata; e' vero infatti che il contratto UNEBA all'art. 1 stabilisce di essere l'unico contratto collettivo applicabile ai rapporti di lavoro di diritto privato nel settore assistenziale, sociale e socio-sanitario, ma tale previsione deve essere pur sempre intesa nei limiti dell'efficacia soggettiva dello stesso contratto delimitata dal medesimo art. 1, che fa riferimento per parte datoriale - secondo i principi generali - agli aderenti alla stessa UNEBA; il contratto UNEBA, insomma, non fa altro che ribadire il principio pacifico per cui - almeno di regola - i contratti collettivi vincolano le parti individuali aderenti alle organizzazioni collettive stipulanti, ma non pretende di essere l'unico contratto collettivo applicabile a tutti i rapporti di lavoro; anzi e' proprio la coesistenza di piu' contratti collettivi tutti astrattamente applicabili (gli stralci di alcuni dei quali sono stati prodotti in giudizio dal sindacato) che rende operante l'obbligo previsto dalla norma regionale; il sindacato, dal canto suo, riferisce anche del mancato avvio della contrattazione decentrata prevista dall'art. 5 del contratto che comunque la ricorrente non avrebbe nemmeno offerto di iniziare; e tuttavia tali affermazioni appaiono irrilevanti per la decisione della controversia; dalle inequivoche conclusioni del ricorso si evince che la condotta antisindacale denunciata e' solo quella posta in violazione della norma regionale che non puo' essere in alcun modo confusa con (e sovrapposta a) quella di cui al citato art. 5; quest'ultimo infatti prevede la contrattazione integrativa a livello aziendale relativa allo stesso contratto UNEBA, presupponendo necessariamente la sua applicazione; cio' che invece contesta il sindacato - lo si ripete - e' proprio il presupposto di tale applicazione, o meglio l'unilateralita' della scelta compiuta dalla Fondazione Isabella di Gonzaga, che avrebbe dovuto avviare la contrattazione decentrata per scegliere insieme il contratto collettivo nazionale applicabile ai dipendenti assunti dopo l'1 gennaio 2004 fra i vari esistenti astrattamente applicabili; altro e' scegliere a livello decentrato quale contratto collettivo nazionale applicare, altro e' avviare la contrattazione di secondo livello sulla base di un contratto collettivo nazionale gia' scelto; d'altra parte - come detto - lo stesso sindacato non svolge una specifica domanda su tale assenta omissione della Fondazione, anche perche' cio' presupporrebbe il ritenere applicabile il contratto collettivo nazionale UNEBA, in contraddizione con la lamentata antisindacalita' della condotta denunciata; e' infine incontestato fra le parti che non e' stato determinato un autonomo comparto di contrattazione, e cio' anche a prescindere dall'oggettiva oscurita' dell'espressione, essendo «il comparto di contrattazione» espressione tipica del rapporto di lavoro pubblico, gia' pubblico impiego, e non essendo chiaro il riferimento al settore del lavoro privato; da tutto cio' deriva quindi la necessita' dell'accertamento della legittimita' costituzionale della norma per la decisione della controversia; da un lato sussistono tutti i presupposti fattuali della sua applicazione al caso di specie: la qualita' soggettiva del datore di lavoro, l'assunzione dei lavoratori dopo la sua trasformazione in ente privato, la mancata contrattazione decentrata circa il contratto collettivo nazionale applicabile a quei rapporti, non potendo ritenersi tale ne' la stipulazione del contratto nazionale UNEBA ne' la contrattazione integrativa prevista dal medesimo contratto; dall'altro dalla vigenza o meno della norma nell'ordinamento dipende la sussistenza dell'antisindacalita' della condotta del datore di lavoro; delle due l'una: o la norma e' costituzionalmente legittima ed allora la mancata contrattazione decentrata integra una condotta antisindacale, non potendo revocarsi in dubbio che costituisca un comportamento tale da ledere il diritto del sindacato a partecipare alla scelta del contratto collettivo, o non lo e' ed allora tale antisindacalita' non e' in alcun modo ravvisabile, avendo il datore di lavoro fatto applicazione del contratto collettivo nazionale dell'associazione cui aderisce, ed alla cui stipulazione - fra l'altro - ha partecipato anche il sindacato ricorrente; e cio' introduce la questione della non manifesta infondatezza della questione; a tale proposito deve anzitutto rilevarsi che la materia oggetto della norma rientra nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 lett. m) Cost., cosi' come novellato dalla legge Cost. n. 1/2001 e che quindi non puo' essere oggetto di attivita' legislativa da parte delle regioni; essa attiene, in senso lato, alla disciplina del rapporto di lavoro ed in particolare alle modalita' di applicazione dei contratti collettivi ai singoli rapporti; la materia deve quindi farsi rientrare nell'ordinamento civile riservato dall'art. 117 Cost. allo Stato centrale, pur dopo la citata riforma della norma; la disciplina del rapporto di lavoro in senso stretto appartiene ancora alle regole del diritto civile - sia pure di un diritto civile speciale - avendo ad oggetto sostanzialmente il contenuto di un contratto, quello di lavoro appunto, e gli effetti sul rapporto di lavoro che da quel contenuto derivano; sotto questo profilo non pare dubitarsi che lo Stato abbia continuato a riservare a se' la disciplina civilistica in senso stretto dell'ordinamento, e dunque anche di quella del rapporto di lavoro; in tale senso si e' pronunciata la stessa Corte costituzionale, investita di singole specifiche questioni sotto la vigenza del gia' novellato art. 117 Cost. (fra le altre Corte cost. n. 359/2003, in relazione alla disciplina del danno al lavoratore sottoposto a mobbing, Corte cost. n. 50/2005 in relazione al rapporto di lavoro a tempo determinato e, sia pur indirettamente, Corte cost. n. 379/2004 con riferimento allo statuto della Regione Emilia-Romagna); a cio' occorre aggiungere che nell'ordinamento sindacale vigente il contratto collettivo e' contratto di diritto comune, senza alcun profilo pubblicistico stante la (voluta) inattuazione dell'art. 39 Cost.; e' un contratto disciplinato dalle regole del diritto civile, che ha la peculiare funzione di esercitare una funzione che un'autorevole dottrina ha definito «normativa» nei confronti di tutti i datori di lavoro che sono o diverranno parte dei singoli contratti di lavoro, con lo scopo di predeterminare il contenuto essenziale; ne' a tale natura osta il fatto che si applichera' a soggetti diversi da quelli che l'hanno concluso (i singoli datori di lavoro e lavoratori), in virtu' del meccanismo di rappresentanza volontaria che le singole parti conferiscono a quelle collettive aderendo ad esse; e se anche qualche autore revoca in dubbio lo schema tradizionale del mandato con rappresentanza per qualificare il rapporto fra singola parte e corrispondente parte collettiva, non puo' essere comunque messa in discussione la natura privata di tali contratti; la norma regionale si pone peraltro in contrasto anche con l'art. 39 Cost. sotto il profilo della violazione della liberta' sindacale, e dunque anche a prescindere dal fatto di essere contenuta in una legge regionale; a tale proposito deve osservarsi come la citata norma costituzionale affermi che l'organizzazione sindacale e' libera; oggetto della garanzia costituzionale e' proprio l'attivita' finalizzata all'organizzazione sindacale, e la liberta' e' tale sia come liberta' dalle interferenze dei pubblici poteri sia come liberta' di agire per la tutela dei diritti dei lavoratori; la liberta' di esplicazione dell'attivita' sindacale tutelata dall'art. 39 Cost. riguarda allora necessariamente anche l'organizzazione dell'attivita' di produzione contrattuale, essendo una delle espressioni tipiche di tale diritto di liberta'; essa ha poi una duplice titolarita', sia individuale (del singolo lavoratore) che collettiva (dell'organizzazione sindacale, appunto); e tale titolarita', a parere di chi scrive, deve ritenersi in capo anche ai datori di lavoro, e non solo ai lavoratori, secondo l'opinione dottrinale che appare preferibile e che trova conforto fra l'altro in alcune convenzioni internazionali, fra cui l'art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, oltre che nella giurisprudenza della Corte costituzionale (significativa, fra le altre, la sentenza n. 29/60 sulla serrata che ha ravvisato nell'art. 39 Cost. il fondamento della liberta' sindacale dei datori di lavoro); se cosi' e', la norma censurata appare lesiva di tale liberta'; essa infatti impone alle parti l'obbligo di contrattare la scelta del contratto collettivo applicabile a determinati rapporti di lavoro, in violazione della liberta' dei singoli datori di lavoro di aderire ad un'associazione di categoria, e cosi' fare proprie le statuizioni del contratto collettivo nazionale concluso da quell'associazione, e quindi la liberta' di applicare o meno un contratto collettivo, sempre in virtu' di una libera scelta, in conseguenza dell'efficacia soggettiva del contratto concluso dalla parte collettiva che lo rappresenta; al contrario essa obbliga il datore di lavoro ad applicare un contratto anche diverso da quello dell'associazione cui aderisce - e dunque senza che la parte collettiva lo rappresenti in alcun modo - proprio perche' la scelta deve essere concordata con il sindacato, cosi' come lo obbliga ad applicare comunque un contratto collettivo, fra quelli esistenti, pur se non aderisce ad alcuna organizzazione collettiva; la liberta' sui termini e sui modi della contrattazione collettiva sfugge invece ad ogni intervento eteronomo poiche' l'autosufficienza dell'ordinamento sindacale impone allo Stato di astenersi dal legiferare su di essa, se non per garantire la liberta' di esplicazione di tale attivita' sindacale, anche contrattuale; e se e' vero che non puo' ritenersi esistente in questa materia una riserva assoluta di competenza a favore delle parti contrattuali collettive, e cioe' un divieto assoluto di intervento da parte del Legislatore di regolare la materia, tale intervento deve ritenersi comunque eccezionale e concepito in modo tale da non ledere l'autonomia contrattuale delle parti nella libera esplicazione delle dinamiche sociali tutelate (anche) dall'art. 39 Cost. (cosi' Corte cost. n. 124/1991, peraltro in relazione al contenuto minimo contrattuale); presupposti, entrambi, che non paiono sussistenti nel caso di specie: l'apparente transitorieta' della norma resta oscura nella sua formulazione e senza alcuna certezza circa il termine e dall'esame della legge non emerge alcun elemento che possa far ritenere eccezionale la disciplina dei rapporti di lavoro degli enti socio-assistenziali dopo la loro privatizzazione; e se poi non si ravvisa il fondamento della liberta' dei datori di lavoro nell'art. 39 Cost., come sopra prospettato, analoghe considerazioni possono essere comunque ripetute con riferimento alla loro liberta' di associazione art. 18 Cost., in collegamento con quella di iniziativa economica privata ex art. 41 Cost.; poiche' infine la norma obbliga ad una contrattazione, imponendo sostanzialmente una decisione necessariamente concordata dell'applicazione di un contratto collettivo nazionale a determinati rapporti di lavoro, essa appare contraria alla Costituzione anche con riferimento alla sua intrinseca irrazionalita'; ed infatti la contrattazione decentrata e' imposta quale strumento per la scelta del contratto applicabile; ma la norma non prescrive nulla in caso di mancato accordo, se cioe' vi sia comunque un contratto collettivo applicabile, quale sia e da chi sia scelto; non disciplina, insomma, il caso in cui - presumibilmente non infrequente - le parti non trovino un accordo su quale contratto collettivo applicare; e tale lacuna non appare in alcun modo colmabile dall'interprete; analoga questione di legittimita' costituzionale sulla medesima norma e' stata peraltro sollevata anche dal Tribunale di Lecco con ordinanza del 26 luglio 2004; e' per tutti questi motivi che la seconda parte del comma 13 dell'art. 18 della legge regionale della Regione Lombardia n. 1/2003 pare non conforme alla Costituzione con riferimento agli artt. 39, 18, 41 e 117 Cost., oltre che al canone di razionalita' desumibile dall'art. 3 Cost. che deve presiedere all'esercizio dell'attivita' legislativa; in conseguenza di cio' deve essere rimessa la questione della sua legittimita' costituzionale alla Corte costituzionale per il relativo giudizio e deve essere conseguentemente sospeso il presente giudizio ex art. 23/2, legge n. 87/1953;