LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 610/2004 spedito il 22 ottobre 2004 avverso silenzio rifiuto istanza rimb. addiz. IRPEF 2003 contro Agenzia entrate ufficio Fano, Regione Marche, proposto dal ricorrente Pitzalis Antonio via Giove 8, Marotta - 61035 Mondolfo (Pesaro). Svolgimento del processo Con ricorso spedito a mezzo del servizio postale e pervenuto il 25 ottobre 2004 Antonio Pitzalis impugnava, dinanzi a questa commissione tributaria provinciale il rifiuto tacito da parte della Regione Marche e della Agenzia delle entrate di Fano della restituzione dell'importo di euro 500,00 riscosso dalla regione a titolo di addizionale regionale per l'anno 2003, in eccedenza rispetto al dovuto. Deduce il ricorrente che, nonostante il disposto di cui all'art. 4, comma 3-bis della legge n. 405/2001, da considerarsi norma eccezionale, introdotta nell'ordinamento allo specifico scopo di consentire la copertura dei disavanzi di gestione derivanti dall'aumento della spesa sanitaria, avesse espressamente una efficacia limitata al solo anno 2002, per cui, allo scadere di tale anno, doveva ritenersi venuta meno la possibilita' per l'ente di stabilire ed applicare aliquote superiori alla misura massima prevista dal d.lgs. n. 446/1997, come integrato dal d.lgs. n. 56/2000, gli era stata indebitamente applicata, per l'anno 2003, la stessa aliquota del 2002. Non avendo, quindi, la regione per tale anno deliberato alcuna maggiorazione entro i limiti consentiti, il sostituto d'imposta, con il CUD relativo all'anno 2003, ricevuto il 28 aprile 2004, avrebbe dovuto applicare, anziche' le aliquote del 2002, l'aliquota dello 0,90% prevista per l'anno 2001, conteggiando e trattenendo quindi l'importo di euro 393,33, anziche' di euro 893,37. Essendo decorsi i termini di legge dalla ricezione della domanda di rimborso, senza alcun riscontro da parte dei convenuti enti, chiedeva, pertanto, la restituzione della somma indebitamente trattenuta di euro 500,00. Nella contumacia della Regione Marche, pur ritualmente convenuta in giudizio, si costituiva l'Agenzia delle entrate di Fano rappresentando che il ricorso era pervenuto a quell'ufficio il 24 giugno 2004, con spedizione a mezzo posta avvenuta il 22 ottobre 2004, in busta chiusa, in violazione dell'art. 20 comma 2, del d.lgs. n. 546/1992. Eccepiva altresi' preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva reputando legittimata a resistere la Regione Marche, quale ente locale che non aveva provveduto ad emanare l'atto richiesto e cio' ai sensi del combinato disposto degli articoli 10 del citato d.lgs. n. 546/1992 e dell'art. 50 comma 6 del d.lgs. n. 446/1997, istitutivo dell'addizionale regionale. Contestava nel merito la pretesa del contribuente deducendo: per il periodo d'imposta oggetto di causa la legge 27 dicembre 2002 n. 289 (finanziaria 2003), con l'art. 3, primo comma lettera a), aveva disposto la sospensione degli aumenti dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche «che non (fossero) stati deliberati dopo il 29 settembre 2002» e «che non (fossero) confermativi delle aliquote in vigore per l'anno 2002». Pertanto, anche se, come fatto osservare dalla controparte, il d.l. n. 347/2001 disponeva gi aumenti limitatamente all'anno 2002 mentre la legge regionale n. 35 del 19 dicembre 2001 fissava i medesimi a decorrere dall'anno 2002, la citata «finanziaria 2003», ponendo di fatto le due suindicate precise condizioni per sospendere gli aumenti discorso, indirettamente legittimava per l'anno 2003 (in quanto confermativi) gli aumenti di aliquota deliberati per l'anno 2002. Nessun rimborso pertanto competeva al Ptzalis, segnalando che in ogni caso gli importi indicati nella relativa istanza non corrispondevano a quelli evidenziati in ricorso. Chiedeva pertanto il rigetto, in rito o nel merito, del ricorso medesimo, con vittoria di spese. La causa, previo rinvio ex art. 35/2 d.lgs. n. 546/1992, e' stata decisa in Camera di Consiglio il 21 marzo 2005. Motivi della decisione La rilevata dall'Ufficio violazione dell'art. 20 comma 2 d.lgs. n. 546/1992 per essergli il ricorso introduttivo del presente giudizio pervenuto tramite spedizione a mezzo posta in busta chiusa, anziche', come prescritto dalla suindicata normativa, a mezzo «plico raccomandato senza busta», costituisce una mera irregolarita' non comportante nullita' della notifica non essendo stato il contenuto della busta contestato dal destinatario (v. Cass., sent. n. 17702/2004). Contrariamente all'assunto dell'ufficio la legittimazione processuale, nel caso di specie, e' duplice potendo resistere al ricorso, quali interessati a contrastare la pretesa di rimborso del contribuente, sia l'ufficio tributario cui per legge (art. 50 comma 6 del d.lgs. n. 446/50) e' demandata la funzione di accertamento, liquidazione e riscossione del tributo, sia la regione del cui operato si discute, quale partecipe dell'attivita' istruttoria di liquidazione e accertamento in collaborazione con l'amministraziorie finanziaria. Cio' premesso, sussistono, ad avviso del Collegio, i presupposti per ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in via congiunta, della disposizione statale (art. 4, comma 3-bis della legge n. 405 del 16 novembre 2001), dell'art. l, comma 7 della legge della Regione Marche n. 35 del 19 dicembre 2001 e dell'annessa Tabella «A», per patente violazione degli artt. 3 e 119 della Costituzione. L'incremento dell'aliquota dell'addizionale IRPEF (comma 3-bis dell'art. 4 della legge n. 405/2001) introdotto dal Senato in sede di conversione del decreto-legge 18 settembre 2001 n. 347 recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, autorizza le regioni limitatamente all'anno 2002, ad aumentare l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF con propri provvedimenti da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 2001, in deroga ai termini e alle modalita' previsti dall'art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446. Il comma aggiuntivo, nella sua stiesura definitiva, prevede, poi che qualora la maggiorazione dell'aliquota di tale addizionale sia superiore allo 0,5%, tale maggiorazione debba essere stabilita con legge regionale. L'istituzione dell'addizionale regionale all'IRPEE e' stata disposta con l'art. 50, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446. Inizialmente tale decreto, al comma 3, fissava l'aliquota dell'addizionale nella misura dello 0,5%, con corrispondente diminuzione delle aliquote ordinarie, di spettanza dello Stato. In tale misura l'addizionale si configurava pertanto come compartecipazione al gettito IRPEF. Il d.lgs. n. 446 attribuiva inoltre alle regioni, a partire dal 2000, la facolta' di aumentare l'aliquota dell'addizionale fino ad un tetto massimo dell'1% per questa parte (0,5%) si trattava, quindi, di una vera e propria addizionale. Le modifiche al d.lgs. n. 446/1997, introdotte, da ultimo, con il d.lgs. 18 febbraio 2000 n. 56, hanno elevato, a decorrere dall'anno 2000, l'addizionale regionale di compartecipazione dallo 0,5% allo 0,9% e hanno portato all'1,4% il tetto massimo della misura dell'addizionale che ciascuna regione puo' stabilire. Al riguardo il secondo periodo del comma 3 dell'art. 50 del d.lgs. n. 446/1997 prevede, in particolare, che ciascuna regione possa maggiorare l'aliquota suddetta fino all'1,4% con proprio provvedimento, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 30 novembre dell'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce. Le disposizioni di cui al comma 3-bis in esame si riferiscono, pertanto, all'addizionale regionale all'IRPEF per la parte che costituisce una maggiorazione rispetto all'aliquota di compartecipazione; la decisione di prevedere tale maggiorazione e la sua determinazione quantitativa e' demandata alle singole regioni (senza che comunque essa sia compensata da una corrispondente riduzione delle aliquote erariali). Peraltro, fino al periodo d'imposta 2001, aveva avuto applicazione soltanto l'aliquota di compartecipazione dello 0,9%, nessuna regione avendo introdotto la maggiorazione dell'addizionale, consentita sino alla soglia dell'1,4%. La deroga, che il comma in questione prevede, riguardo ai termini e alle modalita' stabiliti dall'articolo 50, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 446/1997, concerne sia le scadenze temporali entro le quali le regioni possono deliberare la maggiorazione dell'aliquota dell'addizionale, sia la misura della maggiorazione medesima. In ogni caso la deroga in questione si applica espressamente solo al periodo d'imposta coincidente con l'anno 2002, riacquistando successivamente vigore le disposizioni derogate. Per quanto riguarda il profilo temporale, le regioni possono deliberare la maggiorazione dell'aliquota anche oltre il 30 novembre, purche' essa sia determinata con provvedimento della regione da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 2001. Per quanto concerne il profilo quantitativo le regioni possono (limitatamente al 2002) maggiorare l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF anche oltre il tetto massimo complessivo dell'1,4%; tuttavia se la maggiorazione dell'aliquota dell'addizionale e' superiore allo 0,5%, l'atto con cui la maggiorazione viene disposta deve essere una legge regionale. Nel caso ipotizzato, infatti, la maggiorazione oltrepassa il limite fissato dall'art. 50, comma 3, secondo periodo del d.lgs. n. 446/1997 limite dato dalla differenza tra il tetto massimo dell'1,4% e il valore, identico per tutte le regioni, dell'aliquota di compartecipazione, che e' pari allo 0,9%. Tal che la disposizione che impone il ricorso alla legge regionale pare rispondere alle prescrizioni dell'art. 23 Cost., che riserva alla legge (per quanto si tratti di riserva relativa di legge) l'imposizione di qualunque prestazione patrimoniale (oltre che personale). La lettura della norma di cui al comma 3-bis, con particolare riguardo al secondo periodo di tale disposizione, sembra pertanto autorizzare la maggiorazione dell'aliquota (pur sempre unica) senza alcun limite e cosi' e' stata letta ed intesa dalla Regione Marche, come si vedra' in prosieguo, a differenza di quella che e' stata l'interpretazione della maggior parte (la quasi totalita) delle altre regioni italiane (molte di esse o hanno conservato l'aliquota stabilita dallo Stato - 0,9% - ovvero si sono avvalse della possibilita' sancita dall'art. 50 d.lgs. n. 446 ed hanno stabilito la maggiorazione fino all'1,4%, unica eccezione essendo costituita dalla Regione Veneto che sembra aver inteso la disposizione siccome autorizzante un - ulteriore - aumento fino allo 0,5% ed ha pertanto provveduto ad elevare all'1,9% l'aliquota sui redditi maggiori, per ritornare peraltro sui propri passi - 1,4% - con riferimento alla determinazione dell'aliquota per l'anno 2003). Se e' cosi', la problematica di costituzionalita' riguarda, in primis et ante omnia, proprio la disposizione di legge statale in esame, in quanto la rinuncia dello Stato all'apposizione di limiti fa venir meno qualunque possibilita' di quel «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» sancito dal nuovo testo dell'art. 119 Cost., entrato in vigore (art. 5 legge cost. 18 ottobre 2001 n. 3, in Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001) - senza transizione -, l'8 novembre 2001, e quindi dieci giorni prima dell'entrata in vigore del citato art. 4, comma 3-bis legge n. 405 (18 novembre 2001). Per la parte che qui interessa la nuova norma costituzionale stabilisce che le regioni, nel quadro della loro «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; esse, inoltre, «dispongono di compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio». Nel richiamare tale ridefinizione del sistema finanziario e tributario degli enti locali risultante dal novellato art. 119 Cost., ha dato atto la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 37 del 2004, che l'attuazione di questo disegno costituzionale richiede come necessaria premessa l'intervento de legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l'insieme della finanza pubblica, deve non solo fissare i principi cui i legislatori regionali devono attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell'intero sistema tributario e definire gi spazi e i limiti entro i quali puo' esplicarsi la potesta' impositiva rispettivamente di Stato, regioni ed enti locali. Orbene, stante la natura di tributo indubitabilmente statale quale e' l'Irpef, destinato, nelle prospettive del legislatore statale, a modificazioni profonde (v. sentenze della Corte costituzionale nn. 37 e 381 del 2004) non e' chi non veda come, stante l'accessorieta' a tale imposta della relativa addizionale,spetti allo Stato, in attuazione dei principi di cui all'art. 119 Cost., dettarne la misura massima, il tetto massimo oltre il quale la regione non puo' avvalersi della facolta', attribuitale sempre dallo Stato, di aumentarne l'aliquota, anche al fine di evitare che un carico tributario eccessivo possa costituire stimolo all'evasione, mettendo a rischio la preponderante entrata triburaria erariale (e del resto un «tetto massimo» era stato stabilito nelle precedenti e sopra richiamate norme istitutive dell'addizionale). Si vuol dire in sostanza che essendo l'addizionale imposta parassitaria, che segue le sorti dell'imposta principale, la mancata statuizione, con l'art. 4 comma 3-bis n. 405/2001, di un tetto massimo della misura della relativa aliquota e la conseguente gia' enunciata rinuncia alla competenza statale di dettarne la misura massima, comporta l'indubbia violazione dell'art. 119 Cost.,e conseguentemente l'illegittimita' costituzionale della suindicata norma, con riguardo al richiamato parametro costituzionale di riferimento. Tutto cio', con gli evidenti riflessi sull'altro principio costituzionale, quello di uguaglianza tra i cittadini italiani di cui all'art. 3 Cost., stante la possibile disparita' di trattamento fiscale tra i predetti, a seconda della regione di appartenenza, configuratasi in maniera macroscopica nella Regione Marche, come qui di seguito si' andra' a dimostrare. Ed infatti al comma 7 dell'art. 1 della legge n. 35 del 19 dicembre 2001 la Regione Marche ha stabilito che «a decorrere dall'anno 2002» l'addizionale regionale all'IRPEF e' determinata applicando l'aliquota di reddito complessivo, secondo gli scaglioni indicati nella allegata Tabella «A» e precisamente: fino a euro 10329,14: 0,9%; oltre euro 10.329,14 fino a euro 15.493,71: 09%; oltre euro 15.493,71 fino a euro 30.987,41: 1,91%; oltre euro 30.987,41 fino a euro 69.721,68: 3,60%; oltre euro 69.721,68: 4%. Sembra evidente che la suindicata legge regionale, che ha fissato «a decorrere dal 2002» aliquote dell'addizionale regionale all'IRPEF superiori alla misura dell'1,4% previsto dall'art. 3 del d.lgs 18 febbraio 2000 n. 56 per i redditi superiori ad euro 15.493,71, tragga fondamento dall'art. 4,comma 3-bis della legge 16 novembre 2001 n. 405, teste' ritenuta viziata di incostituzionalita' secondo i richiamati parametri di riferimento. Diciamo «sembra», giacche' in realta' la normativa regionale non contiene alcun riferimento esplicito a quella statale (art. 4 comma 3-bis. n. 405/2001), ne' alle ragioni di intervento urgente in materia di spesa sanitaria e di copertura da parte delle regioni dei disavanzi di gestione in tale campo accertati o stimati (comma 3 della stessa legge) che ne avevano determinato la promulgazione. Mentre lo stesso espresso richiamo all'art. 50 del d.lgs. n. 446/1997 e successive modificazioni non consente di includere in queste ultime la norma statale in discorso essendo quest'ultima,al citato comma 3-bis, norma eccezionale non modificatrice, ma derogatrice, «limitatamente all'anno 2002», «ai termini ed alle modalita' dell'art. 50 comma 3, secondo periodo dell'art. 50 del d.lgs n. 446/1997». Sicche', in assenza altresi' della previsione temporale limitativa contenuta nella legge statale (la normativa regionale prevede la determinazione dell'addizionale regionale IRPEF con le sopra riportate aliquote «a decorrere dall'anno 2002» e non limitatamente a tale anno) l'unico aggancio alla normativa statale in discorso parrebbe consistere nella promulgazione della legge regionale il 19 dicembre 2001, entro cioe' quel limite temporale del 31 dicembre 2001 stabilito dal comma 3-bis anziche' «non oltre il 30 novembre dell'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce» statuito dal comma 3 dell'art. 50 del d.lgs. n. 446/1997. Vedra' il Giudice delle leggi se una interpretazione della normativa regionale nel senso che essa non tragga alcun fondamento da quella statale di cui all'art 4 comma 3-bis della legge n. 405/2001 svuoti di contenuto, per irrilevanza, la questione di legittimita' costituzionale della stessa (e della collegata legge statale) nei termini che piu' innanzi saranno prospettati, facendola rientrare nell'esercizio della facolta' consentita alle regioni di maggiorare l'aliquota dell'addizionale regionale (nel caso di specie a decorrere dall'anno 2002) non oltre pero' l'aliquota dell'1,4%, come previsto dal richiamato comma 3 dell'art. 50 del d.lgs n. 446/1997, come modificato, da ultimo dal d.lgs. n. 56/2000. Con ogni conseguenza, e' ovvio, di palese illegittimita' delle aliquote, superiori a tale «tetto», statuite per i redditi superiori ad euro 15.493,71. Il dubbio interpretativo induce pero' il Collegio ad accedere alla tesi individuante, pur nella palese equivocita' della redazione del provvedimento della Regione Marche, un collegamento quantomeno logico tra lo stesso e la norma statale di cui all'art. 4 comma 3-bis n. 405/2001, con conseguente «salvezza» della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale delle due normative. Cio' posto, un evidente vizio di costituzionalita' del comma 7 dell'art. 1 della legge regionale n. 35/2001 e' costituito dal riferimento temporale «a decorrere dall'anno 2002», che puo' solo significare che l'efficacia dell'intervento, con tale decorrenza, e' concepita senza limiti di tempo. Un tale disposto e' in rotta di collisione con la disposizione autorizzatrice che testualmente dispone «limitatamente all'anno 2002» ed il contrasto testuale evidenzia che, comunque, a partire dal 1° gennaio 2003, l'ultrattivita' della legge regionale (di cui si duole espressamente il ricorrente Pitzalis) esclude e nega, in patente violazione dell'art. 119 Cost., qualsiasi coordinamento con la finanza pubblica e particolarmente con quella statale e col sistema tributario nel suo complesso. Il contrasto tra la norma costituzionale e la legge regionale n. 35/2001 non e' peraltro sanato da quanto stabilito dall'art. 3 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) che, secondo gli assunti difensivi della Regione Marche, avrebbe autorizzato e legittimato l'ultrattivita' delle aliquote regionali superiori all'1,4% anche per gli anni successivi al 2002. Tale norma, in realta', sospendendo gli aumenti delle addizionali all'IRPEF deliberati dopo il 29 settembre 2002 che non fossero confermativi delle aliquote gia' approvate per il 2002, non appare applicabile alla fattispecie in esame e, per converso, non puo' essere interpretata in modo tale da farne conseguire effetti diametralmente opposti a quelli che il legislatore si era prefissato. L'art. 3 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 ha disposto la temporanea sospensione della potesta-accordata in via ordinaria alle regioni dall'art. 50 del d.lgs. n. 446/1997 cosi' come modificato dall'art. 3 del d.lgs. n. 56/2000, di incrementare l'addizionale IRPEF sino a che non fosse siglato l'accordo Stato-Regioni sulla base del quale l'Alta Commissione di studi dovrebbe indicare al Governo i principi generali della finanza pubblica e del sistema tributario ai sensi dei vigenti artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost. Detta norma e' stata concepita,quindi, al fine di assicurare la coordinata configurazione del nuovo sistema tributario, che, viceversa, singole iniziative regionali di incremento delle addizionali avrebbero potuto condizionare o pregiudicare nella fase transitoria. Si e' trattato, dunque, di un intervento normativo finalizzato a contenere i livelli tributari di derivazione locale e regionale fin tanto che non si fosse completato il complesso iter propedeutico alla definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale. La ratio della disposizione, gia' di per se' chiara, e' stata ulteriormente ribadita dalla circolare 11 febbraio 2003 n. 1, emanata dal Dipartimento politiche fiscali - Ufficio del federalismo fiscale, che ha espressamente evidenziato come l'art. 3 della legge n. 289/2002 fosse «caratterizzato dall'esplicito intento di non elevare la pressione fiscale a carico dei contribuenti». Ed appare appena il caso di precisare come la stessa Corte costituzionale abbia, con la gia' richiamata sentenza n. 381/2004, riconosciuto la legittimita' costituzionale della norma in questione opinando che essa si traduce «in una temporanea e provvisoria sospensione dell'esercizio del potere regionale in attesa di un complessivo ridisegno dell'autonomia tributaria delle regioni nel quadro dell'attuazione del nuovo art. 119 Cost., nonche' di una manovra che investe la struttura di un tributo indubitabilmente statale, qual e' l'IRPEF, destinato, nella prospettiva del legislatore statale, a modificazioni profonde ...». Date queste premesse, non appare condivisibile la tesi secondo cui una norma costruita proprio per contenere la pressione fiscale di origine regionale possa giustificare il perdurare nel tempo degli effetti «espansivi» dei poteri di imposizione tributaria eccezionalmente accordati alle regioni dall'art. 4, comma 3-bis, della legge 16 novembre 2001 n. 405. In conclusione, e al di la' di ogni ragionevole possibilita' di diversa interpretazione analogica, l'art. 3 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 ha sortito l'unico ed esclusivo effetto di sospendere tutti quei provvedimenti inerenti l'addizionale all'IRPEF adottati da regioni (e comuni) dopo il 29 gennaio 2002, che non fossero meramente confermativi delle aliquote previgenti. La disposizione, pertanto, non concerne la Regione Marche che presumibilmente confidando nell'ultrattivita' delle aliquote fissate con la legge regionale 35/2001 nel corso del 2002 ha omesso di assumere qualsivoglia determinazione in materia di addizionale regionale all' IRPEF. Altrettanto evidente e rilevante e' un'altra contraddizione con le disposizioni autorizzatici statali e,attraverso di esse,un'altra violazione dello stesso art. 119 Cost. Le disposizioni statali prevedono, infatti,una aliquota fissata dalla regione, entro certi limiti,non piu' aliquote, differenziate per fasce di reddito la Regione Marche, viceversa, ne ha stabilito, con riferimento a dette fasce, ben 4, fortemente differenziate. In tal modo e' stata costruita una progressivita' dell'addizionale in aggiunta alla progressivita' dell'IRPEF: ma nessuna norma (neppure l'art. 53 comma 2 Cost. ) consente di inserire nella stessa imposta una doppia progressivita',che e' scardinante rispetto al sistema, poiche' modifica in modo rilevante, su una porzione del territorio, il sistema («curva») delle aliquote. E poiche', inoltre, nella Regione Marche, in definitiva, «a decorrere dal 2002» si e' delineato un sistema in base al quale sia detto a titolo esemplificativo i titolari di redditi superiori a euro 69.721,68 sono stati tassati nel 2002 sulla base di un'aliquota pari al 49% (45% +4%),mentre in tutte le altre regioni italiane le medesime condizioni patrimoniali hanno dererminato l'applicazione di un'aliquota oscillante tra il 45,9% (45% +0.9%) e il 46,4% (45% +l,4%), e' altrettanto evidente che la legge regionale de qua viola il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., generando una grave disparita' di trattamento tributario a carico dei cittadini residenti nelle Marche. Le questioni di legittimita' costituzionale della norma statale e di quella regionale come sopra spiegate sono poi assolutamente rilevanti nel presente giudizio in quanto dalla decisione delle stesse dipende il contenuto della pronuncia che questa commissione tributaria si e' riservata di prendere sulle richieste di parte ricorrente.