IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa iscritta al
n. 920/2003,  riservata  in  decisione  all'udienza in data 15 luglio
2004  tra  Lanzi  Ivo,  residente  in  Viterbo,  ove elettivamente e'
domiciliato  in  via  Montello,  31,  nello  studio dell'avv. Carmelo
Ratano  che  lo  rappresenta  e  difende, giusta delega a margine del
ricorso  in  opposizione  all'esecuzione;  e  S.G.C.  S.r.l. Societa'
Gestione  Crediti,  con sede a Milano, viale Brenta 27/29, in persona
dell'amministratore   Philippe   Couturier,  nella  sua  qualita'  di
procuratore  speciale  della Spv Venezia S.p.A., giusta procura del 2
febbraio  2000  in  autentica  del  notaio  dott. Lorenzo  Stucchi di
Milano,  rep.  n. 126407,  racc. 35991,  rappresentata  e  difesa, in
virtu'  di delega a margine della comparsa di costituzione, dall'avv.
Antonio  U. Petraglia  con  studio  in Roma, via Aureliana, n. 2, sia
congiuntamente  sia disgiuntamente all'avvocato Ferdinando E. Abbate,
tutti elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, sito in
Orte (Viterbo), via dei Gladiatori n. 12;
    Premesso  con  ricorso  in data 3 aprile 2003, depositato in pari
data,   il   sig.   Lanzi  Ivo,  come  sopra,  proponeva  opposizione
all'esecuzione intrapresa, nelle forme del pignoramento presso terzi,
dalla  SGC  S.r.l.,  come  sopra,  per  un  preteso  credito  di Euro
325.366,40;
    Il   G.E.,   con  decreto  in  data  9  aprile  2003:  sospendeva
l'esecuzione;   fissava   l'udienza   del   2  luglio  2003,  per  la
comparizione delle parti innanzi a se'; fissava la data del 20 maggio
2003 per la notifica, ad opera del ricorrente, del ricorso e decreto;
    Alla  fissata  udienza,  il G.E., si riservava la conferma/revoca
del decreto di sospensione;
    A  scioglimento  della  riserva,  il  G.E. revocava il decreto di
sospensione  dell'esecuzione e rinviava, per trattazione, all'udienza
del 12 novembre 2003.
    A  sostegno  dell'opposizione, il ricorrente deduceva: carenza di
legittimazione  attiva  della societa' procedente; eccessivita' della
somma  pretesa,  dovuta  ad  una  capitalizzazione  degli  interessi,
operata  contra  legem;  assoluta  incertezza in ordine all'effettiva
entita' del credito azionato.
    Nel  costituirsi,  l'opposta  S.G.C. S.r.l. contestava in toto le
argomentazioni e le pretese dell'opponente, precisando che il credito
era  stato regolarmente ceduto dalla BNL a SPV Venezia S.p.A. in data
30  novembre  1999,  nel  contesto  di  una  piu' ampia operazione di
cessione  dei  crediti  in  blocco  e  di  cartolarizzazione  ex lege
n. 130/1999;  la SGC S.r.l. (gia' S.p.A.) aveva ottenuto, con procura
notarile,  la gestione anche giudiziale del credito ceduto (dalla BNL
alla  SPV  Venezia S.p.A.); tutto quanto sostenuto dal ricorrente, in
ordine  a  capitalizzazione  degli  interessi  ed  anatocisio, era da
ritenersi  del  tutto infondato, alla luce di diversa interpretazione
delle  norme  e  della giurisprudenza in materia. Chiesti e concessi,
con  le  rituali  cadenze,  i  termini di cui agli artt. 183 - quinto
comma - e 184 c.p.c., il giudice, all'udienza fissata per l'eventuale
ammissione delle prove, si riservava di provvedere;
    A  scioglimento  della  riserva,  il giudice, con ordinanza del 5
maggio 2004: non disponeva la CTU contabile richiesta dall'opponente,
«apparendo   fondate  le  argomentazioni  sviluppate  dalla  societa'
opposta  nelle  memorie e repliche ex art. 184 c.p.c.»; rinviava, per
la  precisazione  delle  conclusioni, all'udienza del 15 luglio 2004,
quando,  concessi  i termini di cui all'art. 190 c.p.c., la causa era
trattenuta  in  decisione;  avveniva,  poi,  che,  per un disguido di
cancelleria,  il  fascicolo  fosse  consegnato  al giudice solo il 28
maggio 2005.
    Il giudice letti gli atti di causa e le deduzioni delle parti;

                            O s s e r v a

    La  contestazione  di  parte  opponente  circa  la legittimazione
attiva  della S.G.G. S.r.l., induce ad una riflessione in ordine alla
costituzionalita'  della  disciplina della cessione del credito cosi'
come  prevista  dagli  artt. 1260  segg.  c.c.;,  l'opposizione,  tra
l'altro,  fa  espresso  riferimento  all'art. 41  d.l.  385/1993  che
consente,  in  subiecta  materia,  di  procedere all'esecuzione senza
previa   notifica  del  titolo  esecutivo,  cosi'  come,  in,  invece
previsto,  in  via  generale,  dall'art. 479  c.p.c.;  l'un rilievo e
l'altro    appaiono   rilevanti,   alla   luce   delle   contrapposte
argomentazioni   difensive,  come  sopra  riassunte,  di  talche'  il
giudizio   di   opposizione  all'esecuzione  non  pare  possa  essere
definito,  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione di
legittimita'   che   viene   sollevata  d'ufficio,  cosi'  rendendosi
superfluo qualsivoglia accenno alla non manifesta infondatezza;
    Ritiene   sussistenti   i  presupposti  per  sollevare  d'ufficio
questione di legittimita' costituzionale:
        1.  -  dell'art. 1260 c.c. per contrasto con gli artt. 2, 3 e
41  Costituzione, in relazione al disposto degli articoli: 1 legge 31
dicembre  1996  n. 675;  2,  comma  1,  d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196;
43-bis  e  43-ter del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (come integrati
dal d.m. 30 settembre 1997 n. 384); 1262, 1406 c.c.;
        2.  -  dell'art. 58 - commi 2, 3, 4 - del d.lgs. 1° settembre
1993  n. 385,  nonche'  dell'art. 4 - comma 1 - della legge 30 aprile
1999  n. 130  (che  recepisce  le citate disposizioni dell'art. 58 in
questione),  per  contrasto con gli artt. 3, 41, 111 Costituzione, in
relazione al disposto degli artt. 1263, 1264 c.c.;
        3. - dell'art. 41, comma 1, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385,
per  contrasto  con  gli  artt. 3,  41  e  111 Cost., in relazione al
disposto dell'art. 479 c.p.c.;
    1)  La  previsione  della  cessione  del  credito  anche senza il
consenso  del  debitore  fa  dubitare  della  compatibilita' di detta
disposizione  - nell'inciso evidenziato in corsivo - con gli articoli
2, 3 e 41 della Carta costituzionale.
    Per  quanto  attiene  all'art. 2, i diritti inviolabili dell'uomo
sembrerebbero non garantiti da disposizioni di legge, come quelle che
andremo  esaminando,  il risultato delle quali e' rappresentato dalla
impossibilita',  per il debitore, di controllare, in qualche modo, il
destino  della  propria  posizione  debitoria,  non  scindibile dalla
condizione della persona umana.
    L'art. 3    e'   richiamato   quale   elemento   sintomatico   di
irrazionalita'  della  disposizione denunciata oltre che per rilevare
che la cessione del credito, attuata ad nutum del creditore, non pare
rimuovere  gli  ostacoli  di ordine economico che possono limitare di
fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini.
    In  contrasto,  la  denunciata  disposizione,  anche  con  quanto
previsto dall'art. 41 della Costituzione.
    Quest'ultimo  dispone, infatti, che la libera inziativa economica
privata  non  puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o in
modo  da  recare  danno  alla sicurezza, alla liberta', alla dignita'
umana.
    Se si pensa che, in attuazione dell'art. 41 Cost. e' stata varata
la   legge  10  ottobre  1990  n. 287  (norme  per  la  tutela  della
concorrenza   e   del   mercato),  si  deve  convenire  che,  per  il
legislatore,  il  quivis de populo vale meno, molto meno, a confronto
delle  imprese, tra le quali vanno annoverate - e perche' no? - anche
le  aziende  ed  istituti  di  credito, delle quali appunto si occupa
l'art. 20 della legge in discorso.
    Non  si  e' ritenuto, invece, di muovere un dito, per evitare, ad
esempio,  che  l'iniziativa  economica potesse svolgersi in contrasto
con la liberta' e la dignita' umana.
    La   previsione   dell'art. 1260  c.c.,  nell'inciso  denunciato,
sembra,   allo   stato,   legittimare  un  esercizio  dell'iniziativa
economica  privata  che certamente non pare rispettosa della dignita'
umana.
    Si  consideri,  inoltre,  che  cio'  accade,  nel  contesto di un
ordinamento nel quale: lodevolmente, il Legislatore si e' preoccupato
- a partire dalla legge 31 dicembre 1996 n. 675 - di garantire che il
trattamento  dei  dati  personali si svolga nel rispetto dei diritti,
delle  liberta'  fondamentali,  nonche'  della dignita' delle persone
fisiche,    con   particolare   riferimento   alla   riservatezza   e
all'identita'   personale   (art. 1);   di  poi,  sempre  nell'ottica
commendevole  di  cui sopra, e' stato varato il d.lgs. 30 giugno 2003
n. 196  (Codice  in  materia  di  protezione dei dati personali) che,
all'art. 2,  comma  1,  recita:  «Il presente testo unico, di seguito
denominato  codice,  garantisce che il trattamento dei dati personali
si  svolga  nel  rispetto  dei diritti e delle liberta' fondamentali,
nonche'  della dignita' dell'interessato, con particolare riferimento
alla   riservatezza,   all'identita'  personale  e  al  diritto  alla
protezione dei dati personali».
    Appare  opportuno  evitare  tutte  le citazioni che si potrebbero
fare al riguardo.
    Pur mettendo in conto le eccezioni previste, per alcuni casi, nei
quali  il trattamento dei dati sensibili e' consentito anche senza il
consenso   dell'interessato,  e'  comunque,  evidente  una  linea  di
tendenza  - a livello comunitario e nazionale -- che lascia intendere
uno spiccato interesse per diritti, la tutela dei quali, fino a venti
anni fa, non era, per i piu', nemmeno ipotizzabile.
    La   disposizione   del   codice   civile  -  della  legittimita'
costituzionale  della quale si dubita - appare in contrasto con tutto
quanto  si  e'  appena  accennato  e  farebbe supporre che, rebus sic
stantibus,  siano  -  ed  e'  cosa  buona  e giusta - tutelati i dati
personali   sensibili,   dei   quali,  com'e'  noto,  e'  vietato  il
trattamento  senza  il  consenso  dell'interessato, mentre non vi sia
tutela  alcuna  per  la persona del debitore, globalmente intesa come
complesso inscindibile di interessi ed affetti.
    E',  forse,  giunto  il momento di capire come, oggi, sia mutato,
rispetto  al 1942, il contesto dei rapporti sociali ed economici, tra
i  consociati.  Oggi,  piu'  che  in  passato, si dovrebbe seriamente
considerare  che la persona del creditore - e la conseguente gestione
del  credito - non e' affare indifferente per il debitore; e' noto, a
tutti  gli  operatori  del  diritto,  che  il  creditore  puo' o meno
aggredire  il  patrimonio del debitore, con piu' o meno diligenza; il
creditore  puo',  ove  ne  ricorrano  i  presupposti,  instare per la
dichiarazione  di  fallimento del debitore; pero', potrebbe preferire
non  farlo;  in  termini economici, non e' esagerato ravvisare che vi
sia, nel creditore, una sorta di ius vitae ac necis, inteso cum grano
salis,   nei   confronti   del   debitore   (massime,   se  operatore
commerciale);
    quest'ultimo, quando contrae un debito, diciamo quando accende un
mutuo, avra' i propri buoni (o cattivi) motivi per preferire la Banca
B alla Banca C;
    Il  fatto  che  il  credito  possa, de plano, essere ceduto anche
senza  il  consenso  del debitore, alla Finanziaria XYZ, crea qualche
perplessita';  in  sostanza,  a  ben guardare, l'art. 1260, nel testo
attuale,  sembra  disciplinare  la  cessione del debitore piu' che la
cessione  del  credito;  appare  significativo  che  l'art. 1264 c.c.
parli, tra l'altro, di «debitore ceduto».
    Il  sospetto, poi, che l'art. 1260 c.c. possa essere in contrasto
con   l'art. 3   della   Costituzione,  e'  esaltato  dalla  profonda
differenza  tra la previsione della norma in esame e quella che e' la
regolamentazione  di  legge, quando debitore ceduto sia lo Stato; gli
artt. 43-bis e 43-ter d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, in uno al d.m.
30  settembre  1997  n. 384,  dettano  tali  e  tante disposizioni, a
cautela  del  debitore  cedendo,  da dare il capogiro; si omette, per
rispettoso  dovere  di speditezza, la trascrizione degli articoli del
d.P.R.  teste'  citato;  pare possa concludersi per un situazione non
proprio compatibile con lo Stato di diritto.
    Un  dato  di  fatto, non contestabile, rafforza il sospetto circa
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1260 c.c.: l'art. 1406 c.c.
consente  la  cessione  del  contratto,  a patto che l'altra parte vi
consenta;  ora,  con  la  cessione del credito - di cui all'art. 1260
c.c.  -  il  cessionario  e' messo nella condizione di agire, come e'
avvenuto  nel  giudizio  de  quo,  per  la soddisfazione del credito;
questo, portato, nel senso piu' letterale del termine, dal contratto;
ai  fini  esecutivi  (salvo quanto vedremo infra sub 3, per l'esonero
dalla previa notifica del titolo esecutivo) anche il cessionario deve
produrre  in giudizio il titolo in forza del quale si procede; non e'
un  caso  che,  nel corso del giudizio de quo, la difesa dell'opposta
abbia  richiamato  piu'  volte  il  contratto  (sempre, s'intende, di
credito fondiario); ne' si puo' trascurare quanto dispone l'art. 1262
c.c.: il cedente deve consegnare al cessionario i documenti probatori
del  credito  che  sono  in  suo possesso; quindi, il cessionario del
credito  ottenuta  la  consegna  dei documenti probatori; (acquisita,
attraverso  idonea  procura,  la  legittimazione alla gestione, anche
giudiziale  del  credito  ceduto; si chiede, onestamente, perche' mai
esistano  gli  artt. 1406 e segg. c.c., in un apposito Capo, dedicato
alla cessione del contratto; e' bene ricordare, per i fini de quibus,
che  il  codice  civile  del  1865 non conteneva una regolamentazione
specifica per la cessione del contratto;
    Nella  relazione  al codice vigente (n. 640), si legge, in ordine
all'opportunita'  di  introdurre un'apposita disciplina, al riguardo:
(La  cessione  del  contratto a' largamente diffusa nella pratica del
commercio,  e  d'altra  parte, la legge, a proposito della locazione,
delle  azioni  non  liberate  e  del  contratto d'impiego ha, per sua
parte,  riconosciuto la possibilita' di far circolare un rapporto nel
suo  complesso,  cie'  nel  suo  insieme  di  diritti ed obblighi. La
dottrina  ha  contrastato  l'unita'  fondamentale  del fenomeno della
circolazione  del  contratto, ed ha sostenuto la sola possibilita' di
una  separata  trasmissione,  degli elementi passivi e degli elementi
attivi del contratto, mediante gli strumenti giuridici della cessione
dei  crediti  e  dell'accollo  dei  debiti.  La pratica, estremamente
sensibile  ha  invece avvertito la inscindibilita' della trasmissione
alla  stessa  persona, di tutto il contenuto del rapporto. Ha parlato
di   vendita   di   contratto   e   ha   talora   rappresentato  tale
inscindibilita'  mediante  la  creazione  di  titoli  di credito (gli
stabiliti)  il  cui possessore non puo' esigere la controprestazione,
per  l'obbligo  implicitamente assunto, con l'acquisto del titolo. Il
nuovo  codice civile cerca di soddisfare le esigenze di tale pratica,
in  considerazione  del  fatto  che  essa  risponde  ad  una funzione
economica  importante,  qual'e'  quella  di  eliminare  complicate  e
dispendiose  rinnovazioni  del  contratto»;  quanto  al  consenso del
contraente   ceduto,  e'  da  ricordare  che  non  trattasi  di  pura
formalita';
    «il  consenso del contraente ceduto non puo' assumere la forma ed
il  valore  di  una mera adesione all'accordo gia' intervenuto tra il
cedente ed il cessionario, in quanto e', invece, elemento costitutivo
della  cessione  medesima, la quale non puo' essere che la risultante
della  fusione  delle dichiarazioni di volonta' e degli interessi del
cedente,  del  cessionaro  e  del  contraente  ceduto.  (Cass.  civ.,
sez. III,  20 ottobre 1972, n. 3170); non e' pura formalita', neanche
nel  caso  di cui all'art. 1407 c.c. (Cass. 25 agosto 1986, n. 5159);
dal   tutto,  esce  rafforzato  il  sospetto  circa  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1260 c.c., nella parte in cui dispone che si
possa  prescindere dal consenso del debitore ceduto, atteso che, poi,
visto  funzionalmente  in  relazione  con  gli  adempimenti legati al
processo  di  esecuzione  (artt. 555  e  segg.  c.p.c.,  segnatamente
l'art. 557)  e al disposto dell'art. 1262 c.c., consente, in effetti,
la  cessione  del  contratto  anche  senza il consenso del contraente
ceduto;
    2)  quanto  all'art. 58 - commi 2, 3, 4 - del d.lgs. 1° settembre
1993  n. 385,  nonche'  all'art. 4  - comma 1 - della legge 30 aprile
1999  n. 130  (che  recepisce  le citate disposizioni dell'art. 58 in
questione),  si  puo'  intanto  osservare  la rubrica dell'art. 58 in
discorso: cessione di rapporti giuridici.
    Quindi,  ne'  cessione  del  credito, ne' cessione del contratto.
Siamo in presenza di una legislazione particolare.
    I commi 2. 3. 4 del cennato art. 58 recitano:
        2.  La  banca  cessionaria da' notizia dell'avvenuta cessione
mediante  iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella
Gazzetta  Ufficiale della Repubbilca italiana. La Banca d'Italia puo'
stabilire forme integrative di pubblicita'.
        3.  I  privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque
prestati  o  comunque  esistenti  a  favore  del  cedente, nonche' le
trascrizioni  nei  pubblici  registri degli atti di acquisto dei beni
oggetto  di  locazione finanziaria compresi nella cessione conservano
la  loro  validita'  e  il loro grado a favore del cessionario, senza
bisogno   di   alcuna  formalita'  o  annutazione.  Restano  altresi'
applicabili  le  discipline speciali, anche di carattere processuale,
previste per i crediti ceduti.
        4.   Nei   confronti  dei  debitori  ceduti  gli  adempimenti
pubblicitari  previsti  dal  comma  2  producono gli effetti indicati
dall'art. 1264 del codice civile.
    Si  tratta di una serie di disposizioni che oggettivamente creano
(o contribuiscono a rafforzare) un mondo giuridico a parte.
    La  particolare tutela apprestata, in via di facilitazioni, anche
processuali,   all'attivita'  di  cessione  del  credito  (cedente  e
cessionario appartengono, di norma, come nel caso di specie, al mondo
delle  aziende  ed  istituti  di  credito  o  delle  finanziarie)  e'
direttamente  proporzionale ad un malcelato disinteresse per le sorti
del singolo (mutuatario, debitore esecutato, espropriato etc.).
    Non e' chi non veda quanto sia improponibile l'equivalenza, per i
fini  di  cui all'art. 1264 c.c., degli adempimenti di cui al secondo
comma  dell'art. 58 in discorso, cosi' come ritenuta dal quarto comma
dello  stesso articolo. Ove, tra l'altro, a differenza dell'art. 1264
c.c., non si parla di debitore ceduto, bensi' di debitori ceduti.
    Si  prepara (siamo nel 1993) l'epoca delle cessioni in blocco, di
cui alla legge n. 130/1999.
    Operazioni di massa.
    Il  singolo  sparisce,  ma  il singolare, nel diritto, aumenta di
spessore (solo quantitativo, sia chiaro), con buona pace del brocardo
privilegia ne inroganto.
    Riesce  difficile  immaginare  un  buon padre di famiglia che, la
mattina,  esca,  diligentemente,  da  casa,  per  cercare la Gazzetta
Ufficiale  ed accertarsi che il credito vantato nei proprii confronti
dalla Banca Z non sia stato, per caso, ceduto a ... non si sa.
    La  cosa  non  cambia  neanche  se si ipotizza che la ricerca sia
effettuata su internet, magari da un operatore commerciale.
    Si   potrebbe  essere  indotti  a  ritenere  che  la  complessiva
disciplina  delle  norme  in  esame  (artt.  1260,  1262 e 1406 c.c.,
artt. 555  e  segg. segnatamente l'art. 557 - c.p.c., art. 58 - commi
2,  3,  4 - d.lgs n. 385 /1993, richiamati dall'art. 4 della legge 30
aprile 1999 n. 130) concorra ad una delusione di legge: consentire, a
determinati  soggetti giuridici, di ottenere un risultato equivalente
a  quello  della  cessione  del  contratto, senza dover sottostare al
consenso   del   contraente  ceduto,  cosi'  come,  invece,  previsto
dall'art. 1406 c.c.
    3)  quanto  all'art. 41  del  d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385, e'
opportuna  una premessa: parte opponente, rileva, dolendosene (pag. 4
dell'atto  di opposizione), che l'esecuzione sarebbe stata intrapresa
senza previa notifica del titolo esecutivo in forza di quanto dispone
l'art. 41 del d.lgs. n. 385/1993.
    Su  tale  aspetto  della  vicenda  non pare abbia preso posizione
l'opposta societa'.
    Il  richiamo  normativo  non  e'  corretto, anche se la notazione
rimane rilevante.
    lnfatti, se da un lato, e' vero che l'esecuzione de qua (relativa
a  somme  dovute  per  un  mutuo  contratto nel 1990) ha avuto inizio
l'otto  febbraio  2003,  e'  anche  vero che, ai sensi dell'art. 161,
sesto comma d.lgs. n. 385/1993, il nuovo T.U. Bancario e' applicabile
solo ai contratti conclusi dal 1° gennaio 1994.
    Si  e', comunque, in presenza, anche in questo caso, di una norma
di diritto singolare, della quale e' bene ricordare la storia.
    Il  r.d.  16  luglio  1905  n. 646,  all'art. 43  - primo comma -
recita(va):
    «Nel  procedimento  di  espropriazione iniziato dagli istituti di
credito  fondiario,  e'  escluso  l'obbligo  della  notificazione del
titolo contrattuale esecutivo».
    Il  sopravvenuto  art. 41  del  d.lgs  1°  settembre  1993 n. 385
dispone:
        «Nel   procedimento  di  espropriazione  relativo  a  crediti
fondiari   e'   escluso  l'obbligo  della  notificazione  del  titolo
contrattuale esecutivo.».
    Quindi,  a  norma  del  richiamato  art. 43  del  r.d.  646/1905,
l'esclusione   dall'obbligo   della   previa   notifica   del  titolo
contrattuale    esecutivo,    riguarda(va)    il    procedimento   di
espropriazione iniziato dagli istituti di credito fondiario.
    Nel  giudizio  che  ci  occupa  la S.G.C. S.r.l. e la SPV Venezia
S.p.A.  sono  cessionarie  (recte:  la prima e' procuratrice speciale
della  cessionaria ...) del credito, inizialmente vantato dalla BNL -
Sezione Credito Fondiario - nei confronti del sig. Lanzi Ivo.
    Forse  - senza forse - non si puo' tranquillamente equiparare una
finanziaria ad un istituto di credito fondiario.
    Questo  dato  interpretativo - ed opinabile - e' indifferente, in
questa sede.
    Il  legislatore  del  1905,  forse, non aveva conoscenza di certe
alchimie,  di  certi  ludici  artifici societari, legittimi quanto si
vuole,  ma,  certo,  da controllare, in sede di interpretazione della
legge,  con maggior rispetto anche per chi e' solo persona, e, per di
piu', debitore.
    Il riferimento, ben circoscritto, al procedimento iniziato, dagli
istituti  di  credito  fondiario,  e'  figlio di quel tempo - che non
conosceva la Costituzione Repubblicana - cosi' come la norma del 1993
e' l'espressione del proprio - piu' disinvolto - tempo.
    Il  fatto  che  il  Legislatore  abbia avvertito la necessita' di
spostare  il  baricentro  del  privilegio,  dal  requisito soggettivo
(procedimento  di  espropriazione  iniziato dagli istituti di credito
fondiario)   a   quello  oggettivo  (procedimento  di  espropriazione
relativo a crediti fondiari) lascia intendere la cosciente pervicacia
di  lasciare in vita un privilegio, ampliandone, sotto il profilo dei
legittimati a fruirne, limiti e portata.
    In  controtendenza, rispetto al complesso della legislazione che,
in  generale,  tenderebbe  ad  evitare  situazioni  di ingiustificato
vantaggio per questo o quegli.
    In  violazione  aperta  di quanto dispongono gli artt. 2, 3, 41 e
111 della Costituzione.
    Per  quanto  attiene ai primi tre articoli, il dubbio nasce dalle
stesse considerazioni svolte nei paragrafi precedenti.
    Una  particolare  attenzione meriterebbe il profilo del contrasto
con l'art. 111 Costituzione.
    E'   alquanto   dubbio   che  la  disposizione  denunciata  possa
consentire  un processo (esecutivo, nel caso di specie) tra parti che
siano in condizioni di parita'.
    Oltretutto,  l'irragionevole  facilitazione  e'  accordata  ad un
soggetto  che, proprio per la professionalita' spiccata, non dovrebbe
avere difficolta' alcuna a notificare il titolo esecutivo.
    Quest'ultimo,   poi,   deve   essere  depositato  in  cancelleria
(art. 557,  secondo  comma - c.p.c.) dal creditore pignorante che, si
noti, non e' il soggetto giuridico indicato nel titolo.
    Una considerazione perplessa riguarda il fatto che il contratto -
con  tutti  i  dati  ivi  contenuti- si possa trovare (grazie anche a
quanto dispone l'art. 1262 c.c.) in possesso di soggetto, diverso dai
contraenti,  abilitato, pero', pur senza essersi reso cessionario del
contratto,  ad  esigerne  l'esecuzione,  senza  dover notificare quel
titolo esecutivo al debitore (che, invece, e' uno dei contraenti).
    Il che vuol dire che al debitore perviene un atto di precetto, ad
istanza di un illustre sconosciuto.
    Cio',  invero,  riguarda,  complessivamente,  anche  quanto si e'
dedotto nel precedente paragrafo.
    Il  che  induce  a  considerare che, nel caso di specie, le norme
sospettate   di  incostituzionalita'  non  operano  in  compartimenti
stagno.
    Quanto  si  sospetta  dell'art. 43 - primo comma - r.d. 16 luglio
1905 n. 646, vale anche per il degno discendente, art. 41 primo comma
- d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385.
    Tanto premesso, osservato e considerato.
    Visti  gli  artt. 134,  Carta costituzionale e 23, legge 11 marzo
1953, n. 87;