IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del  procedimento penale n. 10135/05 R.G. n. R.
contro  Aritov Sonia, nata a Chisinau il 15 maggio 1982, imputata del
reato  di cui all'art. 14, comma 5-ter primo periodo, come modificato
dalla  legge  12  novembre 2004 n. 271, perche', cittadina straniera,
destinataria  di  provvedimento del Questore di Torino, (notificatole
l'8  maggio  2005  a  seguito  di  decreto di espulsione del prefetto
fondato  sui  motivi  di  cui  alla lettera b) dell'art. 13, comma 2,
d.lgs.  citato), con intimazione di allontanarsi dal territorio entro
cinque giorni, non ottemperava alla stessa, trattenendosi nello Stato
ove veniva reperita.
    Accertato in Torino il 17 maggio 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputata,  tratta  in  arresto  in  data  17  maggio  2005  per
violazione  all'art. 14,  comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
modificato  dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12 novembre 2004
n. 271,  veniva  presentata  dal pubblico ministero, per la convalida
dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del
19   maggio 2005.  Convalidato  l'arresto,  in  base  alla  richiesta
dell'imputata  si  procedeva  con  rito  abbreviato.  All'esito della
discussione  questo  giudice riteneva di dover sollevare incidente di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1,  comma 5-bis  legge citata
nella  parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro
anni  per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel
territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine  impartito  dal
questore  ai  sensi del comma 5-bis, in riferimento agli artt. 3 e 27
comma   3  della  Costituzione,  pena  edittale  che  consente  anche
l'adozione delle misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse  pervenire  ad  un  giudizio  di  colpevolezza  della Aritov,
sarebbe   comminata  la  sanzione  prevista  dalla  norma  della  cui
legittimita'  costituzionale si dubita ed al cui riguardo si svolgono
i seguenti rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario  dell'art. 14, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 era sprovvista
di  specifica sanzione, pur essendo controverso se fosse sanzionabile
penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui all'art. 650
c.p.  La  legge  30 luglio  2002 n. 189 ha introdotto una fattispecie
contravvenzionale  «ad  hoc» punibile con l'arresto da sei mesi ad un
anno,  con  arresto  obbligatorio del contravventore e sua espulsione
eseguita  tramite  accompagnamento coattivo alla frontiera. Caduta la
porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio per effetto
della  sentenza  della  Corte  costituzionale  in data 15 luglio 2004
n. 223  che  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.
14,  comma 5-quinquies,  per  contrasto con gli articoli 3 e 13 Cost.
«nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato previsto dal comma
5-ter  del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del
fatto»,  interveniva  il  legislatore  con  la legge 12 novembre 2004
n. 271,   operando   un   ampio   rimaneggiamento   della   norma   e
reintroducendo  l'arresto obbligatorio per le fattispecie trasformate
in delitto.
    Tale  intervento  ha determinato un effetto pirotecnico nel magma
indifferenziato  della previgente fattispecie, che sanzionava in modo
identico  le  permanenze  ingiustificate nel territorio in violazione
dei  provvedimenti del questore che davano esecuzione a provvedimenti
di  espulsione  ministeriali  o  prefettizi.  Ora  la stessa condotta
diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una  contravvenzione ovvero non
configura   alcun   illecito  penale  (esiste  soltanto  la  sanzione
amministrativa  dell'accompagnamento  alla frontiera) a seconda della
provenienza  e  della  natura  dell'espulsione presupposta. Pertanto,
permane  l'illeceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal
prefetto cui e' data esecuzione da parte del questore.
    Se  essa  e'  stata disposta per ingresso illegale sul territorio
nazionale  «ai  sensi  dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c)» ovvero
per aver omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel termine di
legge,   il  reato  di  inottemperanza,  senza  giustificato  motivo,
all'ordine del questore e' un delitto punito con la reclusione da uno
a  quattro  anni;  se il motivo che ha determinato l'espulsione e' la
mancata  richiesta  del  rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da
piu'  di  sessanta  giorni, resta l'illecito contravvenzionale punito
con  l'arresto  da sei mesi ad un anno. Se l'ingiunzione del questore
e'  attuativa  di  una  espulsione disposta dal Ministro dell'Interno
«per  motivi  di  ordine  pubblico  o di sicurezza dello Stato» ( es.
espulsione per i motivi suddetti di donna incinta di cui si ignora la
nazionalita'  e,  pertanto,  non suscettibile di esecuzione immediata
con  accompagnamento  alla  frontiera),  la  sua  inosservanza non e'
assistita  dalla  tutela  penale in quanto le ragioni dell'espulsione
avvengono  per  tipologie  non omologhe a quelle per le quali e' dato
ricorrere  da  parte  del  prefetto ( cui nell'esempio citato sarebbe
precluso  il  rinvio della straniera allo Stato di appartenenza), ne'
e'  dato  avvalersi  di operazioni ermeneutiche basate sull'analogia,
vietata nel campo penale.
    Il reato per cui e' stata tratta in arresto Aritov Sonia e per il
quale  il  p.m.  ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in
base  alla  nuova  normativa,  una delle ipotesi delittuose che hanno
avuto  un  notevole  inasprimento  di pena e che, ad avviso di questo
giudice,  presenta  profili di incostituzionalita' con riferimento ai
citati articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di  un  tertium  comparationis,  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  l'altro  con  fattispecie non contemplate dalla
disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  Stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'Interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  sessanta  giorni  successivi alla scadenza, fruisce di un doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il territorio nazionale entro quindici giorni dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Viceversa lo straniero che sia stato espulso o perche' entrato in
Italia  sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera  e  non  e'  stato
respinto, o perche' si e' trattenuto nel territorio dello Stato senza
aver  chiesto  il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo
che  il  ritardo  sia  dipeso  da  forza  maggiore,  ovvero quando il
permesso  di  soggiorno  e'  stato  revocato  o  annullato  o perche'
appartiene  a taluna delle categorie indicate nell'art. 1 della legge
27  dicembre  1956 n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3
agosto  1988 n. 327, o nell'art. 1 della legge 31 maggio 1965 n. 575,
come  sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982 n. 646 e'
punito  con  la  reclusione  da  uno  a quattro anni. Ne discende che
condotte  analoghe  a quella contravvenzionale in precedenza indicata
sono sanzionate, non solo a titolo di delitto, ma con una pena il cui
minimo  e'  parametrato  al massimo dell'unica fattispecie rimasta di
natura contravvenzionale.
    Ora,  se  il  principio  di  uguaglianza  esige  che «la pena sia
proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso in modo che il
sistema  sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa
sociale  ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (sentenza
n. 409  del 18 luglio 1989), tutte le condotte di trattenimento dello
straniero  nel  territorio  italiano  ledono  con modalita' oggettive
identiche lo stesso bene. E', infatti, dalla inosservanza dell'ordine
del  questore di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale
che  prende  avvio l'aggressione al bene giuridico tutelato ed in cui
si  sostanzia  la  colpevolezza  dell'autore del fatto. Differenziare
identiche  fattispecie  (talune penalmente indifferenti, altre punite
in  modo  lieve,  altre  in  modo  estremamente  pesante)  in  base a
situazioni  che  precedono  la  condotta  e  non  rivelano  una reale
dannosita' sociale, significa disancorare il giudizio di offensivita'
(che  costituisce  la sintesi della relazione sussistente tra il bene
giuridico  protetto  dalla norma incriminatrice e il fatto) dal fatto
stesso;   significa,   in   ultima   analisi,   sanzionare   in  modo
differenziato,  e  percio',  arbitrario  ed irragionevole, situazioni
omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della  legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e punita con l'arresto da uno a
sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in
vigore  del  d.l.  30 dicembre 1989 n. 416 la giurisprudenza si fosse
posto  il  problema  se l'inosservanza da parte dello straniero della
intimazione  di lasciare il territorio dello Stato fosse rapportabile
alla  violazione  dell'art. 650  c.p.  e si dovesse applicare la pena
prevista da tale norma. La risposta era stata negativa sol perche' si
era  osservato  che  per  la  violazione  era  prevista  la  sanzione
amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi
dell'art. 7,  comma 9 del d.l. citato, disposizione speciale rispetto
alla  generica previsione di cui all'art. 650 c.p. (Cass. Pen. Sez. I
26  marzo  1998  n. 1229).  Tutto  cio' dimostra la stretta parentela
esistente  tra la norma contenuta nel codice penale e quella speciale
prevista  nel  campo dell'immigrazione, parentela non rinnegata dalla
formulazione  in  termini  di  «reato  di  flagranza», modulata sulla
persistente  illiceita'  del  trattenersi  in  Italia, situazione che
comunque  consegue ad una ingiustificata non attivazione a fronte del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della  sanzione  criminale  sancita  dall'  art. 27  comma  3  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva   rispetto   al  disvalore  dell'illecito  «produce...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,   comma 3   Costituzione,   che   di   quella  liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione»  (sentenza  343  del  1993).  A  fronte  di  cio' occorre
domandarsi:  a  due  anni  di  distanza  dall'emanazione  della legge
n. 189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte delle ipotesi
di inottemperanza da parte dello straniero all'ordine del questore e'
almeno  giustificato da finalita' generalpreventive? La risposta pare
essere   negativa   se   si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione
clandestina  nella  sua  dimensione  storica  (e comunque i mutamenti
sanzionatori non paiono rapportabili all'eventuale modesto incremento
dei  flussi  migratori).  In  ogni  caso  non  va  dimenticato quando
osservato,  in  via  generale,  da  codesta  Corte  e  cioe'  che «il
principio  di  proporzionalita'  ...  nel  campo  del  diritto penale
equivale  a  negare  legittimita'  alle  incriminazioni che, anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza   n. 409   del   1989).  Peraltro,  leggendo  la  relazione
all'emendamento  del  d.l.  n. 241/2004,  che ha introdotto una cosi'
elevata  sanzione,  si nota come i relatori giustifichino la modifica
legislativa  soltanto  con  riferimento  alla necessita' di adeguarsi
alla  sentenza  della  Corte costituzionale n. 223 del 2004 che aveva
ritenuto  costituzionalmente illegittimo l'art. 14, comma 5-quinquies
della  legge sull'immigrazione «nella parte in cui stabilisce che per
il   reato   previsto   dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'
obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto»  per  la  manifesta
irragionevolezza  della  previsione  di  una  misura precautelare non
suscettibile  di  sfociare  in  alcuna  misura  cautelare  in base al
vigente  ordinamento  processuale. In altri termini la trasformazione
in  delitto  e  l'aumento  di pena e' stato dettato dal solo scopo di
ripristinare l'arresto obbligatorio ritenuto illegittimo dalla Corte;
non  a  caso  il  limite  edittale  massimo  della pena e' fissato in
quattro  anni  di reclusione, presupposto minimo per l'adozione della
custodia cautelare in carcere (art. 280 comma 2 c.p.p).
    Pertanto  la risposta sanzionatoria e' stata scollegata dal grado
di  offensivita'  della  condotta e strumentalizzata ad una finalita'
meramente  processuale, quella di giustificare l'arresto obbligatorio
in  flagranza e di garantire lo svolgimento del giudizio direttissimo
in  tutte le ipotesi previste dal codice di procedura penale. Ora, se
si   ritorna  al  raffronto  tra  la  disciplina  dell'ingiustificato
trattenimento   in   Italia  dello  straniero  e  l'inosservanza  del
provvedimento    di   rimpatrio   si   osserva   un   differente   ed
incomprensibile  trattamento  del  bene  della liberta' personale nel
caso  in  cui  i  destinatari  siano  le  persone  pericolose  di cui
all'art. 1, legge n. 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte abbia
affermato  che  «per  quanto  gli  interessi pubblici incidenti sulla
materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per  quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
Costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindcata