IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti del procedimento penale n. 14478/2005 R.G. n. R.
contro  Petroska Roxana, imputata del reato di cui all'art. 14, comma
5-ter  primo  periodo,  come modificato dalla legge 12 novembre 2004,
n. 271,  perche',  cittadina straniera, destinataria di provvedimento
del  Questore di Torino, (notificatole il 13 luglio 2005 a seguito di
decreto  di  spulsione  del  prefetto  fondato sui motivi di cui alla
lettera  b) dell'art. 13, comma 2, d.lgs. citato), con intimazione di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperita.
    Accertato in Torino il 19 luglio 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputata,  tratta  in  arresto  in  data  19  luglio  2005  per
violazione  all'art.  14,  comma 5-ter, d.lgs 25 luglio 1998, n. 286,
modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12 novembre 2004,
n. 271,  veniva  presentata  dal pubblico ministero, per la convalida
dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del
21  luglio  2005.  Convalidato  l'arresto  e  disposta la liberazione
dell'arrestata  non  avendo  il  p.m.  richiesto l'adozione di alcuna
misura  cautelare,  in base alla richiesta dell'imputata si procedeva
con  rito  abbreviato.  All'esito  della  discussione  questo giudice
ritiene  di  dover sollevare incidente di legittimita' costituzionale
dell'art.  1,  comma 5-bis legge citata nella parte in cui prevede la
pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,  in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3 della Costituzione,
pena edittale che consente anche l'adozione delle misure cautelari di
cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La rilevanza della questione risiede nel fatto che, se si dovesse
pervenire  ad  un  giudizio  di  colpevolezza della Petroska, sarebbe
comminata  la  pena  prevista  dalla  norma  della  cui  legittimita'
costituzionale  si  dubita  ed al cui riguardo si svolgono i seguenti
rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario   dell'art.   14,  d.lgs.  25  luglio  1998,  n. 286,  era
sprovvista  di  specifica  sanzione, pur essendo controverso se fosse
sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui
all'art. 650  c.p. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una
fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con l'arresto da sei
mesi  ad  un  anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua
espulsione  eseguita tramite accompagnamento coattivo alla frontiera.
Caduta  la  porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio
per  effetto  della  sentenza  della  Corte costituzionale in data 15
luglio    2004,    n. 223,   che   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli
articoli 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato
previsto   dal  comma 5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del fatto», interveniva il legislatore con la
legge  12  novembre  2004,  n. 271, operando un ampio rimaneggiamento
della   norma   e   reintroducendo   l'arresto  obbligatorio  per  le
fattispecie trasformate in delitto. Tale intervento ha determinato un
effetto   pirotecnico  nel  magma  indifferenziato  della  previgente
fattispecie,   che   sanzionava   in   modo  identico  le  permanenze
ingiustificate  nel  territorio  in  violazione dei provvedimenti del
questore   che   davano  esecuzione  a  provvedimenti  di  espulsione
ministeriali  o prefettizi. Ora la stessa condotta diventa un delitto
ovvero rimane una contravvenzione ovvero non configura alcun illecito
penale     (esiste     soltanto     la     sanzione    amministrativa
dell'accompagnamento  alla  frontiera)  a seconda della provenienza e
della natura dell'espulsione presupposta.
    Pertanto,  permane  l'illiceita'  penale  nel  caso di espulsione
pronunciata  dal  prefetto  cui  e'  data  esecuzione  da  parte  del
questore.  Se  essa  e'  stata  disposta  per  ingresso  illegale sul
territorio  nazionale  «ai  sensi dell'art. 13, comma 2, lettere a) e
c)» ovvero per aver omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel
termine  di  legge,  il reato  di  inottemperanza, senza giustificato
motivo,   all'ordine  del  questore  e'  un  delitto  punito  con  la
reclusione  da  uno  a  quattro anni; se il motivo che ha determinato
l'espulsione  e'  la  mancata  richiesta  del rinnovo del permesso di
soggiorno  scaduto  da  piu'  di  sessanta  giorni,  resta l'illecito
contravvenzionale  punito  con  l'arresto  da sei mesi ad un anno. Se
l'ingiunzione  del  questore  e' attuativa di una espulsione disposta
dal  Ministro  dell'interno  «per  motivi  di  ordine  pubblico  o di
sicurezza dello stato» (es. espulsione per i motivi suddetti di donna
incinta   di   cui   si  ignora  la  nazionalita'  e,  pertanto,  non
suscettibile   di   esecuzione  immediata  con  accompagnamento  alla
frontiera),  la sua inosservanza non e' assistita dalla tutela penale
in  quanto  le  ragioni  dell'espulsione  avvengono per tipologie non
omologhe  a  quelle  per  le  quali  e'  dato  ricorrere da parte del
prefetto  (cui  nell'esempio  citato sarebbe precluso il rinvio della
straniera  allo  stato  di  appartenenza),  ne'  e' dato avvalersi di
operazioni  ermeneutiche  basate  sull'analogia,  vietata  nel  campo
penale.
    Il reato per cui e' stato tratto in arresto Petroska Roxana e per
il quale il p.m. ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in
base  alla  nuova  normativa,  una delle ipotesi delittuose che hanno
avuto  un  notevole  inasprimento  di pena e che, ad avviso di questo
giudice,  presenta  profili di incostituzionalita' con riferimento ai
citati articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di  un  tertium  comparationis,  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
d.lgs.  n. 286/1998,  l'altro  con  fattispecie non contemplate dalla
disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  60  giorni  successivi  alla  scadenza,  fruisce  di  un  doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il  territorio  nazionale  entro  15  giorni  dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in ltalia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art. 1  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito
dall'art.  2  della  legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della
legge  31 maggio  1965,  n. 575,  come  sostituito dall'art. 13 della
legge 13 settembre 1982, n. 646, e' punito con la reclusione da uno a
4  anni. Ne discende che condotte analoghe a quella contravvenzionale
in precedenza indicata sono sanzionate, non solo a titolo di delitto,
ma  con  una  pena il cui minimo e' parametrato al massimo dell'unica
fattispecie rimasta di natura contravvenzionale. Ora, se il principio
di  uguaglianza esige che «la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia,
nel  contempo,  alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali»  (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989),
tutte  le  condotte  di  trattenimento dello straniero nel territorio
italiano ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E',
infatti,  dalla  inosservanza  dell'ordine  del  questore di lasciare
entro   cinque  giorni  il  territorio  nazionale  che  prende  avvio
l'aggressione  al  bene  giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la
colpevolezza   dell'autore   del   fatto.   Differenziare   identiche
fattispecie  (talune  penalmente  indifferenti,  altre punite in modo
lieve,  altre  in modo estremamente pesante) in base a situazioni che
precedono  la  condotta  e non rivelano una reale dannosita' sociale,
significa disancorare il giudizio di offensivita' (che costituisce la
sintesi  della  relazione  sussistente tra il bene giuridico protetto
dalla  norma  incriminatrice e il fatto) dal fatto stesso; significa,
in  ultima  analisi,  sanzionare  in  modo  differenziato, e percio',
arbitrario ed irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art. 650  c.p.,  laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e punita con l'arresto da uno a
sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in
vigore  del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza si fosse
posto  il  problema  se l'inosservanza da parte dello straniero della
intimazione  di lasciare il territorio dello stato fosse rapportabile
alla  violazione  dell'art.  650  c.p. e si dovesse applicare la pena
prevista da tale norma. La risposta era stata negativa sol perche' si
era  osservato  che  per  la  violazione  era  prevista  la  sanzione
amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi
dell'art. 7, comma 9, del d.l. citato, disposizione speciale rispetto
alla  generica  previsione di cui all'art. 650 c.p. (Cass. pen., sez.
I,  26 marzo 1998, n. 1229). Tutto cio' dimostra la stretta parentela
esistente  tra la norma contenuta nel codice penale e quella speciale
prevista  nel  campo dell'immigrazione, parentela non rinnegata dalla
formulazione  in  termini  di  «reato  di  flagranza», modulata sulla
persistente  illiceita'  del  trattenersi  in  Italia, situazione che
comunque  consegue ad una ingiustificata non attivazione a fronte del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della   sanzione   criminale  sancita  dall'art. 27,  comma 3  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva   rispetto   al  disvalore  dell'illecito  «produce...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,  comma  3  della  Costituzione,  che di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione»  (sentenza  343  del  1993).  A  fronte  di cio', occorre
domandarsi:  a  due  anni  di  distanza  dall'emanazione  della legge
n. 189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte delle ipotesi
di inottemperanza da parte dello straniero all'ordine del questore e'
almeno  giustificato da finalita' generalpreventive? La risposta pare
essere   negativa   se   si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione
clandestina  nella  sua  dimensione  storica  (e comunque i mutamenti
sanzionatori non paiono rapportabili all'eventuale modesto incremento
dei  flussi  migratori).  In  ogni  caso  non  va  dimenticato quanto
osservato,  in  via  generale,  da  codesta  Corte  e  cioe'  che «il
principio  di  proporzionalita'...,  nel  campo  del  diritto  penale
equivale  a  negare  legittimita'  alle  incriminazioni che, anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza   n. 409   del   1989).  Peraltro,  leggendo  la  relazione
all'emendamento  del  d.l.  n. 241/2004,  che ha introdotto una cosi'
elevata  sanzione,  si nota come i relatori giustifichino la modifica
legislativa  soltanto  con  riferimento  alla necessita' di adeguarsi
alla  sentenza  della  Corte costituzionale n. 223 del 2004 che aveva
ritenuto  costituzionalmente illegittimo l'art. 14, comma 5-quinquies
della  legge sull'immigrazione «nella parte in cui stabilisce che per
il   reato   previsto   dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'
obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto»  per  la  manifesta
irragionevolezza  della  previsione  di  una  misura precautelare non
suscettibile  di  sfociare  in  alcuna  misura  cautelare  in base al
vigente  ordinamento  processuale. In altri termini la trasformazione
in  delitto  e  l'aumento  di pena e' stato dettato dal solo scopo di
ripristinare l'arresto obbligatorio ritenuto illegittimo dalla Corte;
non  a  caso  il  limite  edittale  massimo  della pena e' fissato in
quattro  anni  di reclusione, presupposto minimo per l'adozione della
custodia cautelare in carcere (art. 280, comma 2 c.p.p.). Pertanto la
risposta  sanzionatoria  e stata scollegata dal grado di offensivita'
della   condotta   e  strumentalizzata  ad  una  finalita'  meramente
processuale,   quella   di  giustificare  l'arresto  obbligatorio  in
flagranza  e di garantire lo svolgimento del giudizio direttissimo in
tutte  le ipotesi previste dal codice di procedura penale. Ora, se si
ritorna   al   raffronto   tra   la   disciplina  dell'ingiustificato
trattenimento   in   Italia  dello  straniero  e  l'inosservanza  del
provvedimento    di   rimpatrio   si   osserva   un   differente   ed
incomprensibile  trattamento  del  bene  della liberta' personale nel
caso  in  cui  i  destinatari  siano  le  persone  pericolose  di cui
all'art. 1, legge n. 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte abbia
affermato  che  «per  quanto  gli  interessi pubblici incidenti sulla
materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per  quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.