LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel giudizio sul ricorso
iscritto  al n. 14281 del registro di segreteria proposto da Giovanni
Grillo,  in  proprio  e  quale  procuratore  di  Guido  Cucco, Nicola
Perazzelli e Roberto Sciacchitano contro il Ministero della giustizia
e l'I.N.P.D.A.P.;
    Visti  gli  art. 134  e 136 della Costituzione; vista la legge 11
marzo 1953, n. 87,
    Uditi, all'udienza pubblica del 22 novembre 2004, l'avv. Giovanni
Grillo  ed  il  ricorrente  R.  Sciacchitano,  nonche' la dott. Norma
Giobbi in rappresentanza dell'Amministrazione della Giustizia;

                          Ritenuto in fatto

    Con  ricorso  dinanzi  a  questa  Corte, depositato il 10 gennaio
2003, i soggetti in epigrafe, nella qualita' di magistrati ordinari a
riposo,   chiedono  l'accertamento  del  diritto  ad  un  trattamento
pensionistico   rapportato   all'attuale   livello   retributivo  dei
magistrati  in  servizio aventi pari inquadramento ed anzianita', con
tutte  le  conseguenti  pronunce  in  ordine a capitale ed accessori,
previa  rimessione  alla  Corte  costituzionale  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale relative alle disposizioni normative che
impediscono siffatta attribuzione.
    Al   riguardo   rilevano   le  significative  differenze  tra  il
trattamento  di  quiescenza  in  atto fruito e quello spettante ad un
collega collocato a riposo nell'anno 2002 avente anzianita' superiore
ai quaranta anni ed inquadramento nell'ex grado terzo (idoneita' alle
funzioni  direttive  superiori).  Con  riferimento  particolare  alla
posizione   del   ricorrente   Perazzelli,   titolare   all'atto  del
pensionamento  nel  1992 del trattamento economico spettante al primo
presidente  aggiunto  della  Corte  di cassazione (ex grado secondo),
osservano che il trattamento pensionistico e' addirittura inferiore a
quello  di un magistrato idoneo alle funzioni direttive superiori (ex
grado  terzo)  collocato  a riposo nel 2002, mentre un collega avente
pari  grado  ed anzianita' collocato a riposo nello stesso anno 2002,
percepirebbe  un  trattamento  annuo  lordo  pari ad Euro 169.206,00,
superiore a quello del dott. Perazzelli di ben Euro 51.943,94 c.a. In
relazione  alla  posizione dei ricorrenti Sciacchitano e Cucco - gia'
appartenenti all'ex grado terzo - collocati a riposo, rispettivamente
negli   anni  1997  e  1992,  la  rilevantissima  differenza  tra  il
trattamento  pensionistico  di  un  pari  grado  cessato dal servizio
nell'anno  2002  ed  il  loro e' pari ad Euro 21.000 e 28.000 c.a. Il
ricorrente  Grillo,  il  solo  magistrato che, collocato a riposo nel
1980,  ha  fruito  della  riliquidazione  della  pensione  - tuttavia
privilegiata   -   in   applicazione   della   sentenza  della  Corte
costituzionale  n. 1  del  1991,  e'  titolare  di  un trattamento di
quiescenza  lordo  pari  ad  Euro  41.913 a fronte di un trattamento,
eppero'  normale,  di  gran lunga piu' alto di un collega cessato nel
2002 con trentotto anni di servizio utile.
    I  ricorrenti  prospettano  inoltre  una  distinta  questione  di
legittimita'  costituzionale  con riferimento alla circostanza che la
contribuzione  versata  al fondo pensioni, destinato ad alimentare il
trattamento  pensionistico  di  tutti  i magistrati, e' rapportata al
trattamento  retributivo  percepito in attivita' di servizio; sicche'
la   diminuzione  del  trattamento  di  pensione  rispetto  a  quello
economico  rivela una sostanziale appropriazione senza causa relativa
alla parte di contributo a suo tempo versata e non utilizzata.
    Con  memorie  depositate il 27 gennaio ed il 9 novembre 2004, gli
interessati hanno puntualizzato i contenuti della domanda giudiziale,
rilevando che il suo oggetto non attiene all'accertamento del diritto
a conseguire un adeguamento costante del trattamento di quiescenza in
rapporto  alle  variazioni  degli stipendi corrisposti ai colleghi in
servizio  attivo,  bensi'  all'affermazione  di  un  diritto  attuale
inerente a siffatto adeguamento, da rendersi previa definizione della
questione  di legittimita' costituzionale relativa a quelle norme che
lo  impediscono, questione dai ricorrenti proposta sul rilievo che il
deterioramento  del  loro  trattamento subito nel corso degli anni e'
ormai divenuto di rilevantissima entita'.
    L'Amministrazione  della  giustizia  si e' costituita in giudizio
con  memoria,  pervenuta  il  5 settembre 2003 con allegate copie dei
provvedimenti  pensionistici degli interessati, atto col quale rileva
che  non esiste nell'ordinamento un principio generale di adeguamento
automatico   delle   pensioni,   secondo   l'orientamento  del  tutto
consolidato  della  Corte  dei  conti.  Richiamata  la sentenza delle
sezioni  riunite  n. 11/99/QM,  conclude  quindi  per  il rigetto del
ricorso.
    All'odierna  udienza,  le parti hanno ulteriormente illustrato le
rispettive posizioni e concluso come negli atti scritti.

                       Considerato in diritto

    L'oggetto  del  giudizio riguarda l'accertamento del diritto alla
riliquidazione del trattamento pensionistico in capo ad ex magistrati
in   relazione   ai  trattamenti  economici  significativamente  piu'
favorevoli  fruiti  attualmente  da  titolari di funzioni giudiziarie
corrispondenti a quelle svolte durante il servizio, recta via, ovvero
previa  risoluzione  della  questione  di legittimita' costituzionale
delle   norme   che   impediscono   di   far   luogo  alla  richiesta
riliquidazione.
    La prospettazione di illegittimita' costituzionale dei ricorrenti
e' rilevante e non manifestamente infondata.
    1.  -  Le  retribuzioni dei lavoratori, sia pubblici che privati,
sono  notoriamente  sottoposte  a periodiche revisioni preordinate ad
assicurare  in  sostanziale  mantenimento del potere d'acquisto della
moneta;  non  a  caso,  infatti, le rivendicazioni delle associazioni
delle   categorie   dei  lavoratori  attengono  al  conseguimento  di
adeguamenti  retributivi  corrispondenti  quantomeno alla diminuzione
del  potere  d'acquisto correlata all'inflazione rilevata nel periodo
di  riferimento.  Per  quanto riguarda lo statuto dei magistrati - al
fine   di   conseguire   analogo   risultato   -   la  legge  prevede
l'attribuzione  periodica  di aumenti stipendiali pari alla media dei
miglioramenti  conseguiti  da  altre  categorie assunte a riferimento
(art. 2, legge 19 febbraio 1981, n. 27).
    Tali  sistemi  realizzano  il  dettato  di  cui all'art. 36 della
Costituzione,  il  quale  prevede  il  diritto  dei lavoratori ad una
retribuzione  proporzionata  alla  quantita'  e  qualita'  del lavoro
prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare a loro ed alle loro
famiglie una esistenza libera e dignitosa.
    Il  ricordato  principio  non viene meno per il solo fatto che il
lavoratore  viene  collocato a riposo, atteso che esso e' correlato a
quello   espresso  nell'art. 38  primo  capoverso,  disposizione  che
prevede il diritto a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati
alle   loro   esigenze  di  vita  in  caso  di  infortunio,  malattia
invalidita'  vecchiaia  e  disoccupazione involontaria. Nondimeno, la
caratterizzazione  del  trattamento  pensionistica quale retribuzione
differita  esprime  la  sostanziale correlazione tra i due principi e
l'emersione  di  quello  della  proporzionalita'  della pensione alla
quantita'  e  qualita'  del  lavoro  prestato  (cfr., in particolare,
sentenze  della  Corte  costituzionale nn. 124 del 1968, 26 del 1980,
173 del 1986).
    Il   fatto   che   il   trattamento  pensionistico  iniziale  sia
determinato  con  riferimento  all'ultimo  stipendio  o  sia comunque
correlato   alla   posizione   retributiva  conseguita  all'atto  del
collocamento   a   riposo  e'  senz'altro  coerente  con  i  principi
ricordati. Nel corso del pensionamento, tuttavia, il collegamento tra
trattamento  economico  d'attivita'  e  trattamento  pensionistico e'
fatalmente  destinato  ad  allentarsi  e  cio'  e'  dovuto ai diversi
meccanismi,  normativamente  previsti, che presiedono all'esigenza di
adeguamento  da  un lato degli stipendi, dall'altro delle pensioni. A
fronte   della   constatazione   di  divari  tra  i  due  cespiti  in
considerazione,  da  ritenersi  pertanto  fisiologici, la valutazione
degli organi deputati ad operare in ordine all'attuazione della legge
si  deve  arrestare. Di qui anche la sostanziale irrilevanza sotto il
profilo  costituzionale  del  fenomeno  in  questione, con un limite,
tuttavia;   quando   cioe'  il  trattamento  pensionistico  perda  il
connotato  di  proporzionalita'  alla quantita' e qualita' del lavoro
prestato  e scenda al disotto dei limiti stabiliti dall'art. 36 della
Costituzione,  insorge allora un vizio di legittimita' costituzionale
riferibile  alle disposizioni normative dalle quali deriva il mancato
rispetto di quei limiti.
    La   sezione   e'   naturalmente   consapevole  che  il  costante
orientamento  della Corte costituzionale afferma come il rispetto del
principio di proporzionalita' sia rimesso al legislatore, in funzione
del bilanciamento tra le esigenze varie nel quadro degli indirizzi di
politica  economica  e  delle  concrete  disponibilita'  finanziarie,
almeno  quando  non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di
protezione  della persona (cfr., specialmente, Corte cost. n. 531 del
2002,  n. 226  del  1993, n. 173 del 1986). In questo ordine di idee,
dunque,   l'operato  del  legislatore  sarebbe  censurabile  soltanto
laddove  si  riscontrasse  la  mancata  previsione di un qualsivoglia
meccanismo  di  raccordo  fra  variazioni  retributive  indotte dagli
aumenti del pubblico impiego e computo delle pensioni.
    In passato e proprio con riferimento al personale di magistratura
ed  assimilato,  la  Corte  costituzionale  ha  tuttavia rinvenuto un
divario  rilevante  tra  i  trattamenti  di pensione e di servizio in
relazione  alla mancata attuazione del programma normativo introdotto
dalla legge 29 aprile 1976, n. 177, ed al mutamento strutturale delle
retribuzioni  recato dalla legge 6 agosto 1984, n. 425 (cfr. sentenza
n. 501  del 1988). Attualmente la situazione e' senza dubbio diversa,
e diversi sono i referenti normativi. In quella era in gioco anche il
principio  di  uguaglianza,  ma del pari violato era l'art. 36, della
Costituzione,  atteso  che  le  disposizioni  viziate  della legge 17
aprile  1985,  n. 141  si  erano  poste  comunque in contrasto con il
criterio  di  proporzionalita'  alla  quantita' e qualita' del lavoro
prestato  che  deve  presiedere  alla  determinazione del trattamento
pensionistico.
    Le  fattispecie  attuali  dimostrano l'esistenza un significativo
depauperamento  subito  nel  tempo ed apprezzabile con riferimento al
trattamento economico proprio dei colleghi in servizio attivo ed allo
stesso  trattamento  pensionstico  che  loro spetterebbe oggi qualora
venissero collocati a riposo. Il divario tra i trattamenti non e' che
in  minima  parte colmato attraverso l'applicazione del meccanismo di
perequazione automatica dei trattamenti ed e' significativo nel senso
che   incide  notevolmente  sui  mezzi  necessari  ad  assicurate  al
pensionato  ed  alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. In
altri  termini  il  depauperamento  rende  sostanzialmente  minore la
liberta'  e  la  dignita'  della  vita  del pensionato. Il divario e'
inoltre  decisivo  nel senso che ha inesorabilmente rotto il nesso di
relazione  con l'originario trattamento da cui e' sorto, al punto che
non  e'  ormai  piu'  possibile affermare che sussista un rapporto di
proporzionalita' tra il trattamento di cui i ricorrenti sono titolari
con  il  trattamento  di  riferimento,  il  quale non puo' che essere
identificato  previa  indagine  afferente lo statuto di un lavoratore
che  svolga  mansioni o funzioni analoghe. L'esistenza del divario e'
infine  resa  evidente  dalla documentazione versata; in particolare,
dall'esame  degli  indici  di variazione del costo della vita e dalle
tabelle   del   prontuario   delle   competenze   retributive   della
Magistratura  ordinaria  e'  possibile  rendersi conto del detrimento
subito nel tempo dalla categoria interessata.
    2.  -  La  situazione  connessa  al divario pensioni-retribuzioni
presenta  un  distinto  aspetto  di rilevanza costituzionale sotto il
profilo  del  rispetto del principio di capacita' contributiva di cui
all'art. 53  della  Costituzione,  atteso  che  puo'  dubitarsi della
coerenza al sistema con riferimento al fatto che le retribuzioni sono
assoggettate  al prelievo di contribuzione al fondo pensioni, ma tale
prelievo  in  realta'  finisce per essere parzialmente distolta dalla
funzione  previdenziale,  in  quanto  indirizzato al finanziamento di
spese  pubbliche  diverse  alla stregua di un vero e proprio prelievo
tributario.  Tale  considerazione  trae  origine  dalla  circostanza,
assolutamente  evidente,  che  non  vi  e'  corrispondenza per i noti
motivi  tra le retribuzioni, in ragione del cui ammontare si opera il
prelievo contributivo, ed i trattamenti pensionistici in funzione dei
quali,  appunto,  la contribuzione ha ragion d'essere; sicche', anche
da questo punto di vista, non appare razionale un sistema legislativo
che   consenta   una   discrasia   evidente   tra  i  trattamenti  in
considerazione,  non  solo dunque per quanto riguarda il principio di
proporzionalita',   ma   anche   per   quanto  concerne  le  garanzie
costituzionali   del  potere  di  imposizione  tributaria.  In  altri
termini,  qualora si neghi la necessaria correlazione tra stipendio e
pensione  oltre  limiti  ragionevoli,  si deve anche ammettere che la
contribuzione previdenziale finisca per assumere connotati diversi da
quelli  suoi  propri,  vale  a  dire caratteristiche tali da renderla
assimilabile  ad  un  prelievo  di  natura tributaria; tuttavia al di
fuori  dalle garanzie previste dall'art. 53 della Costituzione, prima
fra  le  quali  il  fatto  che  il  tributo in tal modo emergente sia
realmente  espressivo  di  capacita'  contributiva.  In realta', puo'
essere   posto   in   dubbio   che   il   prelievo  tacito  correlato
all'assoggettamento  a  contribuzione previdenziale possieda qualita'
costituzionalmente   rilevanti   sotto  il  profilo  della  capacita'
contributiva  e  delle altre qualificazioni necessarie (ad es. indice
di ricchezza).
    3.  -  Va  allora osservato che le disposizioni la cui attuazione
rende  rilevante  il divario in considerazione sono gli artt. 2 della
legge  8 agosto 1991, n. 265; 11 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503,
59  della  legge 27 dicembre 1997, n. 449, 34 della legge 23 dicembre
1998,  n. 448, 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, in materia di
rivalutazione   delle  pensioni,  disposizioni  la  cui  applicazione
impedisce altrimenti l'adeguamento dei trattamenti di quiescenza, tra
gli altri, del personale gia' appartenente alla magistratura.
    Per  quanto  attiene,  in particolare, all'art. 2 della legge 265
del  1991,  va tuttavia precisato che la disposizione del primo comma
non  viene  qui  in  discussione  quale  norma  alla cui applicazione
diretta miri la questione sottoposta, ma soltanto quale norma che, in
relazione   al   suo   capoverso   e  come  si  e'  detto,  impedisce
l'adeguamento  dei trattamenti pensionistici, quale che sia la misura
ed  entita'  del  trattamento  -  per  cosi'  dire,  adeguativo  - da
riconoscere in capo ai ricorrenti una volta positivamente definita la
questione   incidentale   di  costituzionalita'.  Essa,  infatti,  e'
sollevata  al  fine  di  denunciare  non gia' una mera inadeguatezza,
riferita  all'evoluzione dei trattamenti retributivi del personale in
servizio  nel tempo ed al progressivo divario realizzatosi tra essi e
le  pensioni, bensi' al fine di verificare l'insostenibilita' attuale
di siffatto divario, il quale rivela indici effettivi ed ineluttabili
di contrasto con il principio di proporzionalita'. Parallelamente, il
risultato  non  puo' essere assimilabile ad un adeguamento costante o
progressivo  del  trattamento  di quiescenza, ma deve comunque essere
tale  da  consentire  il rispetto dei valori costituzionali affermati
dalle fonti e dalla stessa giurisprudenza costituzionale.
    Alla  stregua della considerazioni innanzi svolte, e rilevato che
non sono ravvisabili ragioni giustificatrici del divario tra pensioni
e   retribuzioni   correlate   ad   esigenze   che   debbano   essere
esclusivamente  contemperate in sede di manovra di bilancia e che non
sussistono   limiti   ad   un   intervento   correttivo  della  Corte
costituzionale,  la  sezione  ritiene non manifestamente infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale riferita alle norme sopra
indicate in relazione agli artt. 36, 38 e 53 della Costituzione.