ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli 13,
comma 2,  lettere a)  e  b),  del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti la disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla  condizione dello straniero), come
modificato   dalla   legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla
normativa  in  materia  di  immigrazione  e  di  asilo), promosso con
ordinanza emessa dal Tribunale di Termini Imerese in data 19 dicembre
2003,  nel  procedimento  penale a carico di A.D., iscritta al n. 999
del  registro  ordinanze  2004,  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 50, 1ª serie speciale, dell'anno 2004;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 luglio 2005 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Ritenuto  che con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Termini
Imerese  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 13 (parametro
evocato  solo in motivazione), 24 e 111 della Costituzione, questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 13, comma 2, lettere a) e
b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione  dello  straniero),  come  modificato  dalla  legge
30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla  normativa  in  materia  di
immigrazione  e  di  asilo),  nella parte in cui prevede l'automatico
rilascio,  da  parte  del  giudice,  del  nulla  osta  all'esecuzione
dell'espulsione,  mediante  accompagnamento immediato alla frontiera,
dello straniero sottoposto a procedimento penale;
        che  il  giudice  a  quo  -  premesso di essere investito del
procedimento  penale nei confronti di uno straniero tratto in arresto
per  il  reato  di  ingiustificato trattenimento nel territorio dello
Stato, di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, e
presentato   quindi   ad   esso  giudice  per  il  rito  direttissimo
«obbligatorio»,  previsto dal comma 5-quinquies del medesimo articolo
-  e' chiamato, dopo la convalida dell'arresto, a rilasciare il nulla
osta  all'espulsione  dell'imputato  a  norma dell'art. 13, commi 3 e
3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;
        che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  l'automatismo  nella
concessione   del   nulla   osta  all'espulsione,  prefigurato  dalla
disciplina   richiamata,   impedendo   al   giudice  una  valutazione
comparativa  degli  interessi coinvolti (gestione efficace dei flussi
di  immigrazione  clandestina,  da  un  lato;  diritto  di  difesa  e
partecipazione dello straniero al processo, dall'altro), risulterebbe
lesivo di molteplici precetti costituzionali;
        che,  anzitutto,  sarebbe  violato  l'art. 10  Cost.:  e cio'
segnatamente  ove  l'espulsione  immediata  comporti il rientro dello
straniero  in  uno Stato nel quale gli sia impedito l'esercizio delle
liberta' democratiche garantite dalla Costituzione;
        che  risulterebbero altresi' compromessi il diritto di difesa
(art. 24  Cost.) ed i principi del «giusto processo», con particolare
riguardo  al diritto dell'imputato di essere informato nel piu' breve
tempo  possibile  della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo
carico;  di  disporre  del  tempo  e  delle  condizioni necessari per
preparare   la   sua   difesa;   di   essere  interrogato  o  rendere
dichiarazioni al giudice; di interrogare o far interrogare le persone
che  rendono dichiarazioni a suo carico, e di acquisire ogni mezzo di
prova a suo favore (art. 111 Cost.);
        che   tali   diritti   non   potrebbero  ritenersi,  infatti,
adeguatamente tutelati dalla facolta' di rientro nel territorio dello
Stato  per  l'esercizio  del diritto di difesa, previa autorizzazione
del questore, accordata allo straniero dall'art. 17 del d.lgs. n. 286
del  1998, risultando improbabile che soggetti arrestati per il reato
di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 vengano a
trovarsi,  una  volta  espulsi  dal  territorio  dello  Stato,  nelle
condizioni  economiche e materiali per affrontare i gravosi oneri che
il rientro temporaneo in Italia comporta;
        che la previsione dell'art. 17 si porrebbe, d'altra parte, in
apparente  contraddizione  con  quella  dell'art. 13,  comma 13,  del
d.lgs.  n. 286 del 1998, in forza del quale «lo straniero espulso non
puo'   rientrare  nel  territorio  dello  Stato  senza  una  speciale
autorizzazione  del  Ministro dell'interno»: onde ne risulterebbe una
disciplina  ambigua,  a  fronte  della  quale lo straniero, che abbia
chiesto  al  questore l'autorizzazione al rientro per l'esercizio del
diritto  di  difesa,  rischierebbe di trovarsi esposto ad una nuova e
piu' grave sanzione per non aver ottenuto anche quella del ministro;
        che   i   dubbi   di  legittimita'  costituzionale  sarebbero
accresciuti  dal  disposto  dell'art. 13,  comma 3-quater, del d.lgs.
n. 286  del  1998,  in  forza  del quale, nei casi di cui ai commi 3,
3-bis   e   3-ter,  il  giudice,  acquisita  la  prova  dell'avvenuta
espulsione,  se  non  e'  stato  ancora  emesso  il provvedimento che
dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere;
        che,   bloccando   l'esercizio   dell'azione  penale  qualora
l'espulsione  sia stata effettivamente eseguita, la norma impedirebbe
infatti  allo  straniero di accedere ad un «giusto processo» riguardo
ai  fatti contestatigli: con violazione non soltanto degli artt. 24 e
111  Cost.,  ma  anche  dell'art. 3  Cost. in relazione agli artt. 5,
comma 4,  e  6  della  Convezione  per  la  salvaguardia  dei diritti
dell'uomo  e delle liberta' fondamentali, nonche' dell'art. 13 Cost.,
prevedendosi un caso di restrizione della liberta' personale (arresto
obbligatorio)  che  non  trova  il  suo  naturale  sbocco  nel vaglio
giurisdizionale;
        che  sarebbe censurabile, sul piano del rispetto dei principi
di  uguaglianza  e di difesa, anche la scelta legislativa di imporre,
per  il  reato  in questione, un anomalo rito direttissimo: impedendo
cosi',  da  un  lato,  al  pubblico  ministero di esercitare l'azione
penale  secondo  i  criteri  ordinari e, in particolare, in base alla
regola  di  cui  all'art. 449  cod.  proc.  pen.,  che configura come
facoltativa  la  diretta  presentazione  dell'imputato  in  stato  di
arresto  davanti al giudice del dibattimento (e cio' segnatamente ove
le   circostanze   concrete  possano  far  ritenere  giustificata  la
permanenza  sul  territorio dello Stato dello straniero arrestato); e
ostacolando,   dall'altro,   l'esercizio   del   diritto   di  difesa
dell'imputato,  anche  tramite  lo  svolgimento di indagini difensive
tese  al  reperimento  di  prove  di  cause  giustificative  di detta
permanenza;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Considerato  che,  successivamente  all'ordinanza  di rimessione,
questa   Corte,   con   sentenza   n. 223  del  2004,  ha  dichiarato
costituzionalmente  illegittimo,  per  violazione  degli artt. 3 e 13
Cost.,   l'art. 14,   comma 5-quinquies,   del   decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabiliva che per il reato
di  ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello
Stato,   previsto   dal   comma 5-ter   del   medesimo  articolo,  e'
obbligatorio  l'arresto  dell'autore del fatto: e cio' in quanto tale
misura  «precautelare»  si risolveva in una limitazione «provvisoria»
della   liberta'   personale   priva   di  qualsiasi  giustificazione
processuale,  non  potendo  essere  finalizzata all'adozione di alcun
provvedimento  coercitivo,  data  la  natura  contravvenzionale della
fattispecie,   ne'   costituendo   un  presupposto  del  procedimento
amministrativo di espulsione;
        che, dopo tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004,
n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito,
con  modificazioni,  in  legge 12 novembre 2004, n. 271, ha mutato il
trattamento  sanzionatorio  della figura criminosa, trasformandola da
contravvenzione  in delitto punito con la reclusione da uno a quattro
anni - configurazione che consente, ai sensi dell'art. 280 cod. proc.
pen.,  l'applicazione  di  misure  coercitive  -  fatta eccezione per
l'ipotesi  dell'ingiustificato  trattenimento  nel caso di espulsione
disposta  perche'  il  permesso  di  soggiorno  e' scaduto da piu' di
sessanta  giorni  e  non  ne  e' stato richiesto il rinnovo, la quale
mantiene   l'originaria   natura   contravvenzionale   (comma   5-bis
dell'art. 1  del  decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge
di conversione);
        che, correlativamente, e' stata ripristinata - per le ipotesi
di   ingiustificato  trattenimento  che  hanno  assunto  connotazione
delittuosa  - la misura dell'arresto obbligatorio (comma 5-quinquies,
terzo   periodo,  dell'art. 14  del  d.lgs.  n. 286  del  1998,  come
sostituito dall'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);
        che  la decisione della Corte e la novella legislativa dianzi
indicate  -  pur  non incidendo direttamente ne' sulla previsione, in
forza  della  quale  per  i reati considerati si procede con giudizio
direttissimo,  ne'  sulla  disciplina  dell'espulsione amministrativa
dello  straniero  sottoposto a procedimento penale - hanno comportato
sensibili mutamenti delle concrete modalita' operative dei meccanismi
normativi sottoposti a scrutinio di costituzionalita';
        che,  in  particolare, la sentenza n. 223 del 2004 e' valsa a
modificare  -  riguardo  ai  fatti  di  ingiustificato  trattenimento
commessi  anteriormente  all'entrata in vigore della legge n. 271 del
2004  (quale  quello oggetto del giudizio a quibus) - le modalita' di
instaurazione  del  giudizio  direttissimo:  non potendosi procedere,
infatti,  all'arresto  dell'imputato,  alla  presentazione diretta in
udienza  di  quest'ultimo  a  norma  dell'art. 558 cod. proc. pen. e'
venuta  a  sostituirsi  la  citazione  a  comparire  con  termine non
inferiore  a  tre  giorni  (art. 450,  comma 2, cod. proc. pen.), che
assicura  uno  spazio temporale preventivo alla difesa, con possibili
riflessi anche sull'operativita' della previsione di cui all'art. 13,
comma 3-quater,  del  d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria
di non luogo a procedere nel caso di avvenuta espulsione, ove non sia
«ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;
        che, d'altra parte, una volta che per i fatti dianzi indicati
non   venga  effettuato  l'arresto,  resta  inoperante  l'obbligo  di
rilascio immediato del nulla osta all'espulsione da parte del giudice
in   sede   di   convalida   della   misura,  previsto  dall'art. 13,
comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;
        che,  a  loro  volta,  le  successive  modifiche  legislative
introdotte  dal  decreto-legge  n. 241 del 2004, come integrato dalla
relativa   legge   di   conversione  -  ferma  restando,  ovviamente,
l'impossibilita'  di  applicare  la  nuova  disciplina sostanziale ai
fatti  anteriormente commessi, trattandosi di novella in malam partem
- alterano la sequenza procedimentale denunciata;
        che,  in  particolare,  l'applicabilita'  della  misura della
custodia  cautelare  in  carcere  per il reato in questione, riguardo
alle  fattispecie  trasformate  in  delitti - misura che impedisce il
rilascio  del  nulla  osta  all'espulsione,  ai  sensi  dell'art. 13,
commi 3  e  3-bis,  del  d.lgs.  n. 286  del 1998 - viene ad incidere
sull'«automatismo»  del  meccanismo  di  espulsione  degli  stranieri
imputati  del  reato  stesso,  contro cui si rivolgono le censure del
giudice a quo; e sposta, al tempo stesso, gli equilibri normativi fra
le  esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente
presente   sul   territorio   dello  Stato  e  quelle  connesse  alla
celebrazione del processo a suo carico;
        che gli atti vanno pertanto restituiti al giudice rimettente,
ai  fini  di  una  nuova  valutazione  della  rilevanza  e  della non
manifesta  infondatezza  della  questione  alla luce dei sopravvenuti
mutamenti del quadro normativo.