ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 7, del
decreto   legislativo   30 marzo   2001,   n. 165   (Norme   generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche),  promossi con ordinanze del 27 gennaio 2004 dal Tribunale
amministrativo  regionale  della Calabria, sezione staccata di Reggio
Calabria,  sul  ricorso proposto da Rosalba La Marca contro ASL n. 10
di  Palmi,  e  del  17 settembre  2004  dal  Tribunale amministrativo
regionale della Campania, sul ricorso proposto da Ernesto Cece contro
ASL  n. 1  di  Napoli  ed  altra,  iscritte  ai numeri 812 e 1041 del
registro  ordinanze  2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica  n. 43, 1ª serie speciale, dell'anno 2004 e n. 3, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005.
    Visti  l'atto di costituzione di Ernesto Cece nonche' gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 giugno 2005 il giudice
relatore Romano Vaccarella.
    Ritenuto  che,  nel corso di un giudizio amministrativo, promosso
da  Rosalba  La Marca, dipendente dell'Azienda sanitaria locale n. 10
di  Palmi,  nei confronti dell'amministrazione datrice di lavoro, per
ottenere  l'accertamento  di  crediti retributivi maturati in periodi
anteriori  al  30  giugno 1998, il Tribunale amministrativo regionale
della  Calabria  - sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza
del 27 gennaio 2004 (r.o. n. 812 del 2004), ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, 113
e   76   della   Costituzione,  dell'art. 69,  comma 7,  del  decreto
legislativo  30 marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento
del   lavoro   alle   dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),
limitatamente  all'inciso  «solo qualora siano state proposte, a pena
di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;
        che  il  giudice  a  quo  premette, in punto di fatto, che la
controversia  e'  stata  proposta  dopo  la  scadenza  del termine di
decadenza del 15 settembre 2000, in quanto il ricorso introduttivo e'
stato  depositato nella segreteria dell'ufficio giudiziario dopo tale
data, pur essendo stato notificato anteriormente;
        che il Tribunale rimettente afferma la propria giurisdizione,
aderendo   all'orientamento   delle  sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione,   secondo  cui  la  data  15 settembre  2000  e'  fissata
dall'art. 69,  comma 7,  del  d.lgs.  n. 165  del 2001 non quale mero
limite  alla  persistenza  della  giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo,  ma  quale termine di decadenza per la proponibilita'
della domanda giudiziale;
        che,  quanto  alla  rilevanza  della  questione, il Tribunale
osserva che la controversia al suo esame deve ritenersi proposta dopo
la  scadenza  del  termine  del 15 settembre 2000, in quanto, secondo
consolidata giurisprudenza amministrativa, il giudizio amministrativo
si  instaura  non  gia' con la notificazione del ricorso, bensi' solo
con  il  deposito (nella specie, avvenuto il 25 settembre 2000) nella
segreteria  del  ricorso  notificato,  sicche', in applicazione della
norma  denunciata,  dovrebbe  dichiararsi  l'estinzione per decadenza
delle pretese azionate;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  giudice a quo sospetta di incostituzionalita' la norma denunciata
per  violazione, in primo luogo, dell'art. 3 Cost., poiche' introduce
una   ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra  i  dipendenti
pubblici,  cui  e'  imposto  il termine di decadenza del 15 settembre
2000  per  la  proposizione delle domande relative a diritti maturati
entro  il 30 giugno 1998, e i dipendenti privati, per i quali valgono
gli ordinari termini di prescrizione;
        che  la norma denunciata - ad avviso del giudice rimettente -
si  pone,  inoltre,  in  contrasto  con  gli artt. 24 e 113 Cost., in
quanto  l'imposizione  di un termine di decadenza cosi' ristretto, da
un  lato,  rende oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale del
pubblico  dipendente,  specie  con  riferimento a situazioni in cui i
presupposti  necessari per una tutela giurisdizionale si completino e
si consolidino in epoca successiva al 30 giugno 1998, e, dall'altro e
in  generale,  non  trova giustificazione in alcun generale interesse
dell'ordinamento;
        che, ancora, la norma denunciata contrasterebbe con l'art. 76
Cost.,  in  quanto la legge di delega 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al
Governo  per  il  conferimento  di funzioni e compiti alle Regioni ed
enti  locali,  per la riforma della pubblica amministrazione e per la
semplificazione  amministrativa),  «ai  cui contenuti deve riportarsi
anche  il d.lgs. n. 165 del 2001», demandava al Governo, all'art. 11,
comma 4,  lettera g), di adottare «misure organizzative e processuali
anche  di  carattere  generale atte a prevenire disfunzioni dovute al
sovraccarico  del  contenzioso»,  ma  l'imposizione  di un termine di
decadenza per agire dinanzi al giudice amministrativo non costituisce
misura  processuale  e,  comunque, avrebbe potuto riferirsi solo alle
controversie  trasferite  al  giudice  ordinario,  non anche a quelle
rimaste al giudice amministrativo;
        che,   intervenuto   nel  giudizio  a  mezzo  dell'Avvocatura
generale  dello  Stato,  il  Presidente del Consiglio dei ministri ha
chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata inammissibile, in quanto
l'art. 69,  comma 7,  del  d.lgs. n. 165 del 2001, che ha riprodotto,
senza   alcuna   modifica   sostanziale,  il  disposto  dell'art. 45,
comma 17,   del  decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 80  (Nuove
disposizioni  in  materia  di  organizzazione  dei rapporti di lavoro
nelle  amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie
di  lavoro  e  di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione
dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sarebbe
suscettibile  di un'interpretazione costituzionalmente orientata, nel
senso che il termine del 15 settembre 2000 non costituisce un termine
di  decadenza sostanziale, ma il limite temporale della giurisdizione
del giudice amministrativo, oltre il quale le controversie relative a
questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30
giugno 1998 sono devolute al giudice ordinario;
        che,  quanto  al  denunciato  vizio  di  eccesso  di  delega,
l'Avvocatura  sostiene  che - poiche' la ratio della norma denunciata
sta  nel contemperamento di due contrapposte esigenze: da un lato, di
subordinare il «passaggio» delle controversie di pubblico impiego dal
giudice  amministrativo  al  giudice  ordinario alla decorrenza di un
periodo  transitorio, al fine di evitare un immediato e generalizzato
sovraccarico   del   contenzioso  davanti  al  giudice  ordinario  e,
dall'altro,  di delimitare il periodo transitorio, al fine di evitare
che  le  controversie  rimaste  attribuite  al giudice amministrativo
«potessero  rimanere  devolute ad infinitum (in forza, ad esempio, di
una pluralita' indefinita di atti interruttivi della prescrizione) al
giudice  ormai  non  piu'  munito,  in  linea generale, di competenza
giurisdizionale» in materia - il previsto termine di decadenza per la
proposizione  delle  controversie  davanti  al giudice amministrativo
costituisce   soluzione  ottimale  e  perfettamente  ragionevole  per
contemperare  le  opposte  esigenze  in  armonia con il dettato della
legge di delega;
        che,  quanto  alla  sospettata  violazione degli artt. 3 e 24
Cost.,  la  difesa  erariale  osserva  che un termine decadenziale di
oltre  due  anni  non  confligge  con  la  giurisprudenza della Corte
costituzionale,  secondo  la  quale  l'art. 24 Cost. non esige che la
tutela dei diritti e interessi sia regolata dal legislatore ordinario
con uniformita' di requisiti ed effetti, ne' vieta che l'esercizio di
tale  tutela sia sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione,
nei  limiti  in  cui tale regolamentazione non risulti manifestamente
irragionevole   o   non   imponga   oneri   tali   da   compromettere
irreparabilmente  la  tutela stessa (sentenze n. 210 del 1998, n. 461
del 1997, n. 406 del 1993, n. 77 del 1974, n. 85 del 1968, n. 100 del
1964, n. 47 del 1964, n. 113 del 1963, n. 87 del 1962);
        che,  quanto  alla  censura  di  irragionevolezza,  la difesa
erariale   ne   eccepisce   la  manifesta  infondatezza,  in  quanto,
rientrando   nella  discrezionalita'  del  legislatore  modificare  i
criteri  di  riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice
amministrativo,  non  puo'  considerarsi irragionevole una disciplina
transitoria,  con  la quale sia fissato un termine oltre il quale una
certa  controversia  non  possa  piu'  essere  portata davanti all'un
giudice, ma debba essere conosciuta dall'altro;
        che,  nel  corso  di  un giudizio amministrativo, promosso da
Ernesto  Cece,  dipendente  dell'Azienda  sanitaria  locale  n. 1  di
Napoli,  nei  confronti  dell'amministrazione  datrice  di  lavoro  e
dell'Istituto    nazionale    di    previdenza   per   i   dipendenti
dell'amministrazione  pubblica  (INPDAP), per ottenere l'accertamento
del  diritto  alla  reintegrazione, sul piano giuridico ed economico,
del  proprio  stato  di  servizio  nel  periodo  dal 1 luglio 1991 al
16 luglio 1996, il Tribunale amministrativo regionale della Campania,
con  ordinanza  del  17 settembre  2004  (r.o.  n. 1041 del 2004), ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt. 24,  113  e  3  Cost.,  dell'art. 69, comma 7, del d.lgs.
n. 165  del  2001, limitatamente all'inciso «solo qualora siano state
proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;
        che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che il Cece
aveva   adito   il  giudice  ordinario,  con  ricorso  depositato  il
27 novembre  2000  e  notificato  il 1° dicembre 2000, e, in corso di
causa,  aveva  chiesto  il  regolamento  di  giurisdizione  ai  sensi
dell'art. 41  del  codice  di  procedura  civile;  che  la  Corte  di
cassazione,  con  ordinanza  n. 14766  del  17 ottobre  2002,  avendo
rilevato  che  i  fatti  costitutivi  delle  pretese  azionate  erano
anteriori  al 30 giugno 1998, aveva dichiarato, a norma dell'art. 69,
comma 7,  del  d.lgs. n. 165 del 2001, la giurisdizione esclusiva del
giudice  amministrativo;  che il Cece, quindi, con ricorso notificato
il 14 febbraio 2003 e depositato il 3 marzo 2003, aveva introdotto il
giudizio  dinanzi  al  Tribunale amministrativo regionale, intendendo
con  cio'  riassumere  la  causa  gia'  proposta  davanti  al giudice
ordinario, ovvero, in subordine, instaurare un nuovo giudizio;
        che,  quanto  alla  rilevanza  della  questione,  il  giudice
rimettente  rileva  che la controversia al suo esame riguarda pretese
creditorie  attinenti  al periodo del rapporto di lavoro anteriore al
30  giugno 1998,  ma  essa  e'  stata  proposta  dopo la scadenza del
termine del 15 settembre 2000, sicche', essendo il ricorrente incorso
nella  decadenza  comminata  dall'art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165
del   2001,   la   domanda   giudiziale  dovrebbe  essere  dichiarata
inammissibile,   ove   la   norma  medesima  non  venisse  dichiarata
costituzionalmente illegittima;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il giudice a quo osserva che la norma denunciata viola gli artt. 24 e
113 Cost., in quanto, sottraendo i diritti scaturenti dal rapporto di
impiego   pubblico   agli   ordinari   termini   di   prescrizione  e
sottoponendoli  ad  un  unico  indifferenziato  termine di decadenza,
priva    tali   diritti   di   qualunque   possibilita'   di   tutela
giurisdizionale;
        che  lo stesso giudice osserva ancora che l'art. 69, comma 7,
del   d.lgs.  n. 165  del  2001  viola,  altresi',  il  principio  di
uguaglianza,  in  quanto,  mentre i dipendenti privati e i dipendenti
pubblici  delle  categorie  «eccettuate»  (i  cui  rapporti  non sono
«contrattualizzati»,  ma  rimangono  sottoposti  a  regime di diritto
pubblico)  possono  agire  a tutela dei propri diritti nell'ordinario
termine  prescrizionale,  gli altri dipendenti pubblici hanno l'onere
di  far  valere  i  loro  diritti  entro  il termine di decadenza del
15 settembre  2000,  a  pena di improponibilita' della domanda, e che
tale  trattamento  differenziato  sembra  irragionevole,  poiche' non
risponde  ad  alcuna  apprezzabile esigenza connessa alla devoluzione
della  materia  del  pubblico  impiego  dal giudice amministrativo al
giudice ordinario;
        che,   intervenuto   nel  giudizio  a  mezzo  dell'Avvocatura
generale  dello  Stato,  il  Presidente del Consiglio dei ministri ha
chiesto  che  la  questione sia dichiarata inammissibile o, comunque,
infondata,  sulla  base di argomentazioni del tutto analoghe a quelle
svolte  nell'atto  di  intervento nel giudizio promosso dal Tribunale
amministrativo regionale della Calabria (r.o. n. 812 del 2004);
        che  si  e' ritualmente costituito nel giudizio il ricorrente
Ernesto Cece, il quale ha concluso per la fondatezza della questione,
riprendendo  i  motivi  esposti  nell'ordinanza  di rimessione, e ha,
successivamente, depositato memoria, illustrando ulteriormente le sue
conclusioni.
    Considerato  che  sia il Tribunale amministrativo regionale della
Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria (ordinanza r.o. n. 812
del  2004)  sia  il Tribunale amministrativo regionale della Campania
(ordinanza   r.o.  n. 1041  del  2004)  dubitano  della  legittimita'
costituzionale   dell'art. 69,   comma 7,   del  decreto  legislativo
30 marzo  2001,  n. 165  (Norme  generali sull'ordinamento del lavoro
alle  dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui
-  riproducendo  sostanzialmente  l'art. 45,  comma 17,  del  decreto
legislativo  31 marzo  1998,  n. 80 (Nuove disposizioni in materia di
organizzazione   e   di  rapporti  di  lavoro  nelle  amministrazioni
pubbliche,  di  giurisdizione  nelle  controversie  di  lavoro  e  di
giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) - stabilisce il termine di
decadenza  del  15 settembre  2000  per  la  proposizione, davanti al
giudice  amministrativo,  delle  controversie riguardanti rapporti di
lavoro   alle   dipendenze   delle   pubbliche  amministrazioni  (con
esclusione  dei  rapporti  non  «privatizzati»),  purche'  relative a
questioni  attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla
data del 30 giugno 1998, in riferimento: a) agli artt. 24 e 113 della
Costituzione,   in   quanto  rende  piu'  gravoso,  per  meri  motivi
organizzativi,  al  pubblico  dipendente  far valere i propri diritti
patrimoniali, se sorti prima del 30 giugno 1998; b) all'art. 3 Cost.,
in  quanto  detta  una  disciplina  irragionevolmente differenziata e
vessatoria  per  i pubblici dipendenti i cui diritti sono sorti prima
del  30  giugno 1998  rispetto  ai  dipendenti  privati (ad avviso di
entrambi  i  Tribunali)  ed agli altri pubblici dipendenti (ad avviso
del  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Campania);  nonche'
(secondo  il  solo Tribunale amministrativo regionale della Calabria)
c)  all'art. 76  Cost.,  per avere travalicato i limiti della delega,
conferita con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il
conferimento  di  funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per
la  riforma  della  pubblica amministrazione e per la semplificazione
amministrativa), la quale non consentiva l'introduzione di un termine
decadenziale;
        che   le   questioni   sollevate   dai   due  Tribunali  sono
sostanzialmente  identiche,  quanto  alle  censure sub a) (benche' la
prima  ordinanza individui un piu' ampio tertium comparationis) e b),
e, pertanto, devono essere riuniti i relativi giudizi, nonostante che
la  prima  ordinanza  proponga  una  ulteriore censura in riferimento
all'art. 76 Cost., sub c);
        che   questa  Corte  ha  gia'  esaminato  analoghe  questioni
nell'ordinanza  n. 213  del  2005,  nella  quale  ha  ribadito  (cfr.
ordinanza  n. 214  del 2004), in via preliminare, «l'inaccettabilita'
della  tesi  secondo  la  quale  il  termine del 15 settembre 2000 si
configurerebbe  come  di  confine  tra  la  giurisdizione del giudice
amministrativo  e  quella  del  giudice  ordinario, essendo viceversa
evidente  per  la formulazione della norma ed assolutamente dominante
nella   giurisprudenza   sia  delle  Sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione  sia  del  Consiglio di Stato l'interpretazione secondo la
quale  tale  termine  -  come  previsto  sia  dall'abrogato  art. 45,
comma 17,  del  d.lgs. n. 80 del 1998, sia dall'art. 69, comma 7, del
d.lgs.  n. 165 del 2001 - deve ritenersi di decadenza per l'esercizio
del diritto di azione»;
        che  la  questione  sollevata  dal  Tribunale  amministrativo
regionale   della  Calabria  (ordinanza  r.o.  n. 812  del  2004)  e'
manifestamente  inammissibile, essendo irrilevante nel giudizio a quo
la  previsione  di  un termine di decadenza, fissato nel 15 settembre
2000,  per la proposizione di una controversia introdotta con ricorso
notificato  anteriormente  a detto termine, pur se depositato in data
ad esso successiva;
        che,  infatti,  come  questa  Corte  ha  gia' osservato, «per
principio generale del processo, ribadito dalla legge disciplinatrice
del   processo   amministrativo   -  art. 36  del  regio  decreto  26
giugno 1924,  n. 1054  (Approvazione  del testo unico delle leggi sul
Consiglio  di  Stato), richiamato dall'art. 19 della legge 6 dicembre
1971,  n. 1034  (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali);
artt. 21  e  23-bis,  comma 7,  della  legge  n. 1034  del 1971 -, la
controversia  deve ritenersi «proposta» e, conseguentemente, impedita
ogni  decadenza,  con  la notifica del ricorso, assumendo il deposito
del ricorso rilevanza esclusivamente al fine della sua procedibilita'
(ovvero, in via transitoria ed eccezionale, per radicare l'originaria
-  ed  eccezionale, dopo l'introduzione del doppio grado nel giudizio
amministrativo - competenza del Consiglio di Stato rispetto a quella,
sopravvenuta  ed  ordinaria,  dei tribunali amministrativi regionali,
come  previsto  dall'art. 38  della  legge  n. 1034  del  1971:  cfr.
Consiglio  di  Stato  -  adunanza  plenaria  28 luglio  1980, n. 35)»
(ordinanza n. 213 del 2005);
        che  l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale della
Campania  (r.o.  n. 1041  del 2004) non contiene nuove argomentazioni
rispetto a quelle gia' valutate da questa Corte nell'ordinanza n. 213
del 2005;
        che la questione sollevata da detto Tribunale - rilevante per
essere stato il ricorso notificato in data successiva al 15 settembre
2000 - e' manifestamente infondata sotto tutti i profili dedotti;
        che  non  sussiste  alcuna  violazione  dell'art. 3 Cost., in
quanto,  come  gia'  affermato  da  questa  Corte,  «la disparita' di
trattamento  tra  i  dipendenti privati e quelli pubblici, soggetti -
relativamente  ai  diritti  sorti  anteriormente  alla  data  del  30
giugno 1998   -  ad  un  termine  di  decadenza,  e'  ragionevolmente
giustificata  dall'esigenza  di  contenere  gli  effetti,  temuti dal
legislatore   come   pregiudizievoli   per  il  regolare  svolgimento
dell'attivita'  giurisdizionale,  prodotti  dal  trasferimento  della
competenza  giurisdizionale  al  giudice  ordinario  e dal temporaneo
mantenimento  di tale competenza in capo ai tribunali amministrativi,
ed   in   quanto   e'   ampia  la  discrezionalita'  del  legislatore
nell'operare  le  scelte  piu' opportune - purche' non manifestamente
irragionevoli e arbitrarie - per disciplinare la successione di leggi
processuali nel tempo (sentenza n. 400 del 1996; ordinanze n. 294 del
1998 e n. 490 del 2000)» (ordinanza n. 213 del 2005);
        che  non  sussiste  nemmeno  violazione  degli artt. 24 e 113
Cost., «dal momento che, da un lato, non e' certamente ingiustificata
-  per  quanto  si  e'  appena detto - la previsione di un termine di
decadenza  e,  dall'altro lato, tale termine (di oltre ventisei mesi)
non  e' certamente tale da rendere «oltremodo difficoltosa» la tutela
giurisdizionale» (ancora ordinanza n. 213 del 2005).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.