LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza n. 189/2005 nel giudizio
pensionistico  iscritto  al  n. 9739  del registro di segreteria, sul
ricorso della sig.ra Checco Antonia ved. Cozzupoli nata il 1° gennaio
1949  a  Motta San Giovanni, Cozzupoli Maria nata il 25 agosto 1969 e
Copuzzoli  Francesca  nata  il  4  ottobre 1973 tutte domiciliante in
Reggio  Calabria  -  Pellaro,  via  Fiumarella n. 23 ed elettivamente
domiciliate  in  Catanzaro  lido,  via  Formia n. 45 presso lo studio
dell'avv. Lucrezia Ferrari.
    Contro l'INPDAP di Catanzaro:
        1)  per  il  riconoscimento  sulla  pensione  privilegiata di
riversibilita'    alle    sig.re    Cozzupoli   Maria   e   Francesca
dell'indennita'   integrativa  speciale  -  per  il  periodo  dal  1°
settembre  1984  al  31  luglio  1986  -  e  quota  della tredicesima
mensilita'  (inclusa  IIS)  per  il periodo dal 1° gennaio 1984 al 31
luglio  1986,  il  tutto  oltre  la  rivalutazione  monetaria  e  gli
interessi;
        2)  per  il  riconoscimento  sulla  pensione  privilegiata di
riversibilita'   alla  si.g.ra  Checco  Antonia  (a  partire  dall'11
novembre 1979) delle differenze di indennita' integrativa speciale ed
i  ratei della tredicesima mensilita' (inclusa IIS) mai corrisposte -
il tutto oltre la rivalutazione monetaria e gli interessi;
        3)   per   il   riconoscimento   del  diritto  alla  pensione
privilegiata   di   riversibilita'  con  l'I.I.S.  e  la  tredicesima
mensilita' alla sig.ra Checco Antonia.
    Visti:  il  regio  decreto  13  agosto  1933, n. 1038; il d.l. 15
novembre  1993,  n. 453, conv. dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, la
legge  14 gennaio 1994, n. 20 e la legge 21 luglio 2000, n. 205 ed in
particolare gli artt. 5 e 9;
    Visto il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;
    All'udienza   pubblica  del  6  aprile  2005  sono  presenti:  il
rappresentante  dell'INPDAP  e  l'avv.  Salvatore Barilla del Foro di
Reggio  Calabria  delegato a rappresentare le ricorrenti solo in data
odierna.

                        Considerato in fatto

    A  seguito del decesso del sig. Cozzupoli Pietro, appartenente al
Corpo  della  Guardia  di  Finanza, avvenuto il 9 maggio 1976, veniva
riconosciuta  alla  vedova  sig.ra Antonia Checco dal Ministero delle
finanze   (erogata  inizialmente  dal  Ministero  del  tesoro  e  poi
dall'INPDAP)  la  pensione  privilegiata di riversibilita' iscrizione
n. 04174478 in compartecipazione con le figlie.
    A  queste  ultime  (Cozzupoli  Maria  e Francesca) non sono state
corrisposte  le  quote  dell'indennita'  integrativa speciale e della
tredicesima mensilita' dal 1° settembre 1984 al 31 luglio 1986.
    Nel corso della corresponsione del trattamento pensionistico alle
tre    beneficiarie    l'amministrazione,    mentre   sul   principio
dell'erogazione  corrispondeva l'indennita' integrativa speciale e la
tredicesima   mensilita',  in  un  secondo  momento,  a  causa  della
contraddittorieta'  in  diritto  in  ordine alla corresponsione della
detta  I.I.S. e della tredicesima, procedeva al recupero delle stesse
con trattenute effettuate sulla pensione e sullo stipendio.
    Le  richieste  di restituzione delle somme indebitamente attenute
sulle  pensioni,  sullo  stipendio  con  l'incameramento  del credito
maturato  in  favore  delle  ricorrenti,  nonche' l'adeguamento della
pensione  con  la  corresponsione  di  detta indennita' integrativa e
della  tredicesima  mensilita',  venivano  inoltrate e reiterate alla
Direzione provinciale del tesoro (RC) ed all'INPDAP.
    L'INPDAP,    con    memoria    di   costituzione,   ha   eccepito
preliminarmente  l'intervenuta  prescrizione  sulla  presunta mancata
erogazione  dei  benefici  richiesti  richiamando  l'art. 2 del regio
decreto  19  gennaio  1939,  n. 295,  come sostituito dal terzo comma
dell'art. 2 della legge 7 agosto 1985, n. 428.
    Tale istituto ha sostenuto che stante il carattere di specialita'
della disposizione che prevede il suddetto termine quinquennale, essa
deve  trovare  applicazione  per tutte le «pensioni pubbliche"» senza
distinzione  tra  quelle di natura «normale"» ovvero « privilegiata"»
ed anche sulle rate e differenze arretrate spettanti ai destinatari o
ai  loro  aventi  causa, decorrenti dal giorno in cui il diritto puo'
essere fatto valere.

                            D i r i t t o

    In  generale  le  disposizioni  che  disciplinano il cumulo degli
assegni  accessori  di  pensione  in  costanza  di rapporto di lavoro
retribuito  a carico dello Stato ed enti pubblici o a carico di terzi
sono  state  oggetto di scrutinio da parte della Corte costituzionale
che ha avuto modo di pronunciarsi piu' volte.
    Infatti,  con  sentenza n. 566 del 1989 il Giudice delle leggi si
e'   pronunciato   nel  senso  che  la  diminuzione  del  trattamento
pensionistico complessivo possa essere giustificata e compatibile col
principio  stabilito  dall'art. 36,  primo comma, della Costituzione,
solo  ove  sia  correlata  ad  una retribuzione della nuova attivita'
lavorativa  che  ne  giustifichi  la  misura,  sicche'  ha dichiarato
incostituzionale  l'art. 99,  quinto  comma,  del d.P.R. n. 1092/1973
nella  parte  in  cui  non  fissa  il  limite  minimo dell'emolumento
dell'attivita'   esplicata   oltre   il   quale  sia  ammissibile  la
sospensione   dell'indennita'   integrativa   speciale,   precisando,
altresi',  che  la fissazione di detto limite compete al legislatore,
al cui intervento e' rimessa la riformulazione della norma.
    Inoltre  con  la  sentenza  n. 204  del  1992,  ha  dichiarato la
illegittimita'  costituzionale dell'art. 17, primo comma, della legge
n. 843  del 1978 e dell'art. 15 del d.l. n. 663 del 1979, nella parte
in  cui  non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale
diventano  operanti  ltesclusione  e  il congelamento dell'indennita'
integrativa  speciale,  ribadendo  che  tale  determinazione e quella
della  relativa decorrenza spetta al legislatore e deve esplicarsi in
modo  da  salvaguardare  il precetto dell'art. 36, primo comma, della
Costituzione   (il   lavoratore   ha   diritto  ad  una  retribuzione
proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso
sufficiente  ad  assicurare  a  se' e alla sua famiglia una esistenza
libera e dignitosa).
    Con   la  sentenza  n. 232  del  1992,  la  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 97, primo comma, del t.u.
29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui non determina la misura
della   retribuzione  oltre  la  quale  non  compete  la  tredicesima
mensilita'  e  con  altra  sentenza  n. 494  del  1993  ha dichiarato
l'illegittimita'   costituzionale   del  secondo  comma  dell'art. 99
citato,  nella  parte in cui non prevede che, pur restando vietato il
cumulo  delle  indennita'  integrative speciali, debba comunque farsi
salvo   (sulla   seconda   pensione)   l'importo   corrispondente  al
trattamento  minimo  di  pensione  previsto  per  il  Fondo  pensioni
lavoratori dipendenti.
    Con  ordinanza  n. 438  del 1998, sempre la Corte costituzionale,
richiamando  le  sentenze  n. 566  del  1989  e  n. 494  del 1993, ha
precisato  che  la  disposizione sul cumulo dell'indennita' contenuta
nell'art. 2,  sesto  e  settimo  comma,  della  legge 27 maggio 1959,
n. 324,  e' da ritenersi espunta dal sistema per abrogazione. anche a
seguito  di  sostanziale  trasfusione  in  altra  norma  colpita  da.
declaratoria di illegittimita' costituzionale in parte qua.
    Ancora  con la sentenza n. 516 e con l'ordinanza n. 517, entrambe
del 15 - 21 novembre 2000, ha ribadito che:
        deve  ritenersi  che  un  divieto  generalizzato di cumulo di
indennita' di contingenza (o indennita' equivalenti nella funzione di
sopperire  ad  un maggior costo della vita) sia illegittimo dal punto
di  vista costituzionale quando, in presenza di diversi trattamenti a
titolo  di attivita' di servizio o di pensione (ovviamente quando non
vi  sia  una incompatibilita), non sia previsto un ragionevole limite
minimo  di  trattamento economico complessivo (o altro sistema con un
indice  rapportato  alle esigenze di una esistenza libera e dignitosa
del lavoratore - pensionato e della sua famiglia o del pensionato con
pluralita'  di  posizioni  assicurative),  al  di  sotto del quale il
divieto debba essere necessariamente escluso;
        spetta   al  legislatore  la  scelta  tra  diverse  soluzioni
(omissis),  con  possibilita' di distinguere la disciplina del cumulo
anche  con  ragionevoli  differenziazioni  temporali,  collegate alla
diversa   natura   e  funzione  della  indennita'  anzidetta  e  alla
progressiva  trasformazione  -  anche  per  effetto del conglobamento
pensionistico  - della incidenza del problema a partire alla legge 23
dicembre 1994, n. 724;
        la   disposizione  sul  cumulo  della  indennita',  contenuta
nell'art. 2,  settimo  comma,  della  legge  27  maggio  1959, n. 324
(sostituito  dall'art. 4 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1081), e' da
ritenersi  espunta  dal sistema per abrogazione (ordinanza n. 438 del
1998),  in base alla clausola abrogativa generale contenuta nell'art.
254  del  t.u.  1092  del  1973,  nonche'  a  seguito  di sostanziale
trasfusione  in  altra  norma (art. 99, commi secondo e quinto, dello
stesso  t.u.),  contente  disciplina  completa riguardo all'anzidetto
cumulo, dichiarata poi costituzionalmente illegittima con le sentenze
n. 566 del 1989 e n. 494 del 1993;
        l'art. 130,  ultimo  comma, del d.P.R n. 1092 del 1973 non ha
un  contenuto  autonomo  e  presuppone  l'esistenza  di un divieto di
cumulo  valido  ed  operante e non puo' riguardare ormai l'indennita'
integrativa speciale, per cui non ha un legame attuale con il preteso
divieto di cumulo della stessa indennita';
        un  divieto di cumulo ormai caducato non puo' rivivere, sotto
forma  di  interpretazione,  senza un intervento del legislatore, cui
deve  restare  la discrezionalita' della scelta tra diverse soluzioni
possibili.
    Il  Giudice delle leggi ha sanzionato una situazione immanente di
illegittimita'   costituzionale   delle  norme  citate  in  premessa,
determinandone  la conseguente caducazione, mentre il legislatore non
ha   ritenuto  di  intervenire  per  fissare  il  limite  minimo  del
trattamento  economico  complessivo  oltre  il  quale la decurtazione
possa diventare operante.
    Cio'  premesso,  alla  data  attuale, dovrebbe essere ammesso, in
linea di principio, l'inefficacia del divieto di cumulo, per il fatto
che il legislatore non sia intervenuto, giacche', se cosi' non fosse,
si   continuerebbero   ad  applicare  delle  disposizioni  dichiarate
incostituzionali ed espunte dall'ordinamento.
    Dalle  pronunce  teste' richiamate si evince che il Giudice delle
leggi  abbia  inteso  affermare,  in  modo  esplicito  che,  anche in
presenza  di  diversi trattamenti a titolo di pensione, il divieto di
cumulo  generalizzato  sia  incostituzionale  ove non sia previsto un
ragionevole  limite  minimo  di  trattamento  economico  complessivo,
rapportato  alle  esigenze  di  una  esistenza libera e dignitosa del
pensionato  con  pluralita'  di  posizioni  assicurative  e della sua
famiglia. limite che solo il legislatore e' abilitato a stabilire.
    Cio'   posto,   deve   dedursi   che   il   richiamo  all'importo
corrispondente  al  trattamento  minimo  di  pensione previsto per il
Fondo  pensioni  lavoratori  (dipendenti,  contenuto  nella  sentenza
n. 494  del  1993,  debba  essere  inteso, alla luce delle successive
pronunce,  quale  limite minimo che il legislatore non possa superare
per  non violare il precetto costituzionale che assicura un'esistenza
libera  e  dignitosa  del pensionato con pluralita' di posizioni assi
curative.
    Per  quanto  riguarda  la  decorrenza del riconoscimento di detti
emolumenti  accessori,  secondo l'art. 136 della Costituzione, quando
la  Corte  costituzionale dichiara l'illegittimita' di una legge o di
un  atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal
giorno  successivo  alla  pubblicazione  della decisione, e l'art. 30
della  legge  1°  marzo  1953, n. 87, precisa che le norme dichiarate
incostituzionali non possano avere applicazione dal giorno successivo
alla pubblicazione della decisione.
    L'interpretazione   dei  due  testi  normativi,  dopo  prolungati
dibattiti,  ha  definitivamente  chiarito  che  l'effetto integrativo
della  sentenza costituzionale non crea un nuovo diritto esercitabile
dalla pubblicazione della stessa e che la disapplicazione della legge
dichiarata  incostituzionale  possa  avvenire,  dopo la pubblicazione
della  decisione della Corte, in tutti i casi in cui, se la questione
non  fosse  stata  decisa,  il  giudice potrebbe sollevarla, e quindi
anche  nell'ambito di giudizi aventi riferimento a fatti verificatisi
anteriormente  alla  pubblicazione  del  dispositivo  della sentenza,
salvo   che   i   rapporti  nell'ambito  dei  quali  e'  stata  fatta
applicazione  della  norma dichiarata incostituzionale non siano gia'
esauriti  e  sottratti,  quindi,  agli  effetti  della  pronuncia  di
incostituzionalita',  iritendendosi  per  tali quelli incisi da fatti
che  li rendano intangibili, quali la formazione del giudicato ovvero
la prescrizione o la decadenza ritualmente rilevate.
    In  particolare,  il  vizio  d'illegittimita'  costituzionale non
ancora   dichiarato   costituisce   una  mera  difficolta'  di  fatto
all'esercizio   del   diritto  assicurato  dalla  norma,  cosi'  come
risultante  dalla  pronuncia  della Corte costituzionale e, pertanto,
non impedisce il decorso della prescrizione dal momento in cui (sotto
ogni  altro  profilo)  sussistano  i  presupposti per l'esercizio del
medesimo  diritto (Cass. sez. lav. 5 giugno 1998, n. 5577; 21 gennaio
1998, n. 536); cio' in quanto la Corte costituzionale ha una funzione
giurisdizionale   e   non  legislativa  ed,  anche  con  le  pronunce
cosiddette  additive,  propriamente  non  crea  nuove  norme,  ma (in
genere,  in  applicazione  del  principio  d'uguaglianza)  libera  un
contenuto presente in nuce nella norma impugnata.
    Del  resto  e'  pacifico  che  la presenza di una norma contraria
all'erogazione  di  un  dato  beneficio non impedisca l'esercizio del
diritto  che  si  presume  costituzionalmente  leso,  salvo  a  dover
investire,  in  via  incidentale,  la  Corte  costituzionale  per  lo
scrutinio  di  legittimita',  come  e' stato fatto in occasione delle
numerose pronunce dincostituzionalita' sopra ricordate.
    L'impossibilita'  di  agire,  cui  la legge attribuisce rilevanza
quale  causa che osta al decorso del termine di prescrizione, e' solo
quella  che  deriva  da impedimenti di ordine generale previsti dalla
legge  (Cass.  7  maggio  1996,  n. 4235;  12  marzo 1994, n. 2429; 7
gennaio  1994, n. 94; Cs. St. VI, 23 giugno 1992, n. 495) e non anche
da  difficolta' materiali e di fatto (Cass. 3 febbraio 1988, n. 1047;
19 febbraio 1985, n. 1445).
    Cio'  premesso,  mentre il diritto a pensione e' imprescrittibile
ai  sensi  dell'art. 5 del t.u. n. 1092/1973, i crediti concernenti i
singoli  ratei  di  pensione  privilegiata  ed  i loro accessori sono
soggetti  a  prescrizione  estintiva  quinquennale  ex  art. 2, regio
decreto-legge   n. 295/39,   convertito   nella   legge  n. 739/39  e
sostituito   dall'art. 2,  quarto  comma,  della  legge  n. 428/1985,
espressamente richiamato nell'art. 143 dello stesso t.u.
    In  relazione  alla  natura giuridica delle pensioni privilegiate
dei  militari  di carriera occorre ricordare che l'art. 1 della legge
15  luglio 1950, n. 539 stabilisce che i benefici «spettanti, secondo
le  vigenti  disposizioni,  ai  mutilati  ed agli invalidi di guerra,
nonche'  ai  congiunti  dei  caduti  in guerra, si applicano anche ai
mutilati  ed  invalidi  per  servizio  ed ai congiunti dei caduti per
servizio».
    Altre  norme di equiparazione giuridica dei benefici spettanti ad
entrambi  i  trattamenti  pensionistici  sono  indicate  nelle leggi:
n. 9/1980, n. 111/1984 e n. 13/1987.
    L'unica   differenziazione   riguarda   il  relativo  trattamento
economico spettante il cui calcolo e' previsto dal d.P.R. 29 dicembre
1973, n. 1092 che, all'art. 67, commisura il trattamento in relazione
alla   base   pensionabile   ed   alla  categoria  di  ascrivibilita'
dell'infermita'  o della lesione, mentre per le pensioni di guerra il
quantum  viene  calcolato secondo le regole della legge n. 915/1978 e
successive modificazioni.
    La  giurisprudenza  (cfr.  Consiglio di Stato, sez. VI, 10 giugno
2002,  n. 3223,  Tribunale  amministrativo regionale Campania Napoli,
sez.  V  3 maggio  2002,  n. 2510)  ha  inteso  univoca  la locuzione
«vigenti disposizioni»" adoperata dall'art. 1, legge n. 539 del 1950,
in  modo  da  non suscitare alcun dubbio sul fatto che tale rinvio si
riferisca  pure  agli  artt. 43 e 44 regio decreto 30 settembre 1922,
n. 1290,  come modificato dall'art. 2 r.d. legge n. 1284 del 1923, al
fine  di  individuare i benefici spettanti agli invalidi di guerra da
applicare «anche agli invalidi per servizio».
    Inoltre  il  Consiglio  di  Stato (cfr. sez. VI, 18 ottobre 2001,
n. 5487)  ha  ritenuto  che agli invalidi per causa di servizio siano
estesi   i   benefici   riconosciuti  agli  invalidi  di  guerra,  in
applicazione  sempre  del  succitato  art. 1, legge n. 539/1950, agli
effetti  dell'attribuzione  degli  aumenti  periodici del trattamento
retributivo  con  cadenza temporale minore rispetto a quella prevista
dalla disciplina ordinaria del pubblico impiego.
    Ancora  questa  Corte  dei  conti  (cfr. sez. I, 2 novembre 1999,
n. 292/A) interpretando la disposizione di cui all'art. 1 gia' citato
ha  affermato  che  il  legislatore abbia voluto non solo estendere i
benefici   che  fossero  gia'  previsti  da  leggi  vigenti  all'atto
dell'entrata  in  vigore  della  citata  legge  n. 539  del  1950, ai
mutilati ed invalidi per servizio, bensi' attuare «un'equiparazione»"
fra  le  due  categorie;  conseguentemente risulta agevole affermarsi
anche   la   possibilita'  dell'applicazione  del  beneficio  di  cui
all'art. 2, legge n. 336 del 1970 agli invalidi per servizio.
    Questo  e' il quadro normativo e giurisprudenziale sulla base del
quale  va  affermata, di fatto, la parificazione tra la categoria dei
pensionati privilegiati per servizio e quelli di guerra.
    Il  diritto  soggettivo  alla pensione privilegiata (derivante da
fatto  di  guerra o di servizio) ha, senza dubbio, natura di «credito
indennitario», la cui causa ha come presupposti oggettivi:
        1) un fatto lecito, in quanto tale e' la guerra o l'attivita'
(civile  pubblica  o  militare)  alla  quale  l'invalido abbia dovuto
prestare  il  proprio  obbligo  ovvero  ne abbia dovuto sopportare le
conseguenze  (cfr.  Corte  dei  conti,  sez.  III,  14  luglio  1987,
n. 112876 il caso di un ricorrente che all'eta' di dieci anni dovette
assistere  ai  maltrattamenti  inflitti  alla madre e fu egli stesso,
oggetto  di  gravi  minacce  da  parte  delle  truppe  marocchine  di
passaggio);
        2) il riscontro da parte di un organo tecnico specifico (CML)
di  un'invalidita'  o una lesione, ascrivibile a categoria (A o B) ex
legge   n. 648/1950,   derivante   per   nesso  di  causalita'  dalla
prestazione necessitata di servizio ovvero da fatto di guerra.
    in  particolar  modo,  le  pensioni  privilegiate dei militari di
carriera,  a differenza di quelle normali, presentano la peculiarita'
di  non postulare un precedente rapporto contributivo, ma di servizio
e  si  sostanziano  nell'attribuzione  di un indennizzo (a vita o una
tantum)   che   e'   commisurato   alla  gravita'  della  menomazione
dell'integrita' fisica subita a causa dell'incarico prestato.
    Infatti,  la malattia valutata come causa di servizio inerisce ad
una  attivita'  ordinariamente  svolta  a  vantaggio  della  pubblica
amministrazione  e  deve  considerarsi  come  conseguenza,  come gia'
detto, di un'attivita' lecita.
    Per cui quest'ultima deve essere riconosciuta come caratteristica
peculiare  delle  pensioni  per  i  militari  di carriera (siano essi
percentulisti,  decimisti  «se piu' conveniente» ovvero tabellari) in
quanto  le  somme  erogate dallo Stato a tale titolo non hanno natura
reddituale di quiescenza, ma indennitaria.
    La  riprova  di tale valenza e' individuabile anche nell'art. 144
d.P.R.  29  dicembre  1973  n. 1092 che ha previsto il recupero della
meta' dell'equo indennizzo, disposto a carico del dipendente, qualora
abbia conseguito anche la pensione privilegiata.
    Tale riduzione esprime il principio volto ad impedire che a causa
di  un medesimo fatto genetico (l'infermita' contratta) l'interessato
possa percepire piu' provvidenze.
    Ne  consegue  che  pur  avendo  l'equo  indennizzo  e la pensione
privilegiata  finalita' differenti, essendo diretto a indennizzare il
primo  la  perdita  della  integrita'  fisica e la seconda la perdita
della  capacita'  lavorativa,  la  relativa  indennita'  (menomazione
dell'integrita' fisica e la perdita della capacita' lavorativa) abbia
alla  base  un  fatto  lecito  e  cioe', come gia' riportato innanzi,
l'adempimento  di  un  dovere pubblico (in tempo di pace o di guerra)
che  debba  essere giustamente ristorato a seguito del riconoscimento
della  causa  di  servizio  da  parte  di  un  organo  terzo rispetto
all'amministrazione   (Comitato   di   verifica   per   le   pensioni
privilegiate).
    Il   fondamento   della   natura   indennitaria   della  pensione
privilegiata   va   sostenuto   anche   con  riferimento  al  diritto
all'indennita'  riconosciuto  dalla  legge  n. 210/1992,  che ritiene
applicabili  le  norme  previste  in materia di pensioni dei militari
(cfr.  Corte  cost. n. 423/2000) che sorge per il sol fatto del danno
irreversibile  derivante da epatite post-trasfusionale, in una misura
prefissata  dalla  legge  che  e' anch'essa ricollegabile ad un fatto
lecito.
    Infatti  anche  la  pensione  privilegiata  trova la sua ratio in
un'invalidita'  permanente,  derivata,  per  l'appunto, a causa di un
fatto lecito cioe' la prestazione del servizio pubblico o la guerra a
favore dell'amministrazione.
    Cio' conferma l'orientamento giurisprudenziale e dottrinale o mai
consolidato che vuole da una parte il diritto l'indennizzo riferibile
ad  una  pretesa  derivante da fatto lecito e, dall'altra, il diritto
risarcimento   del  danno  come  correlato  all'evento  di  un  danno
ingiusto, requisito giuridicamente «definito» della responsabilita'.
    Il contributo di Aristotele nel definire la netta distinzione tra
queste due forme di giustizia in termini concettuali, ci impedisce di
confonderle;   cosicche'   si  puo'  spiegare  come  l'istituito  del
risarcimento  resti  separato da quello dell'indennizzo: l'indennita'
pensionistica puo' essere vista come una deroga imposta dal principio
di   uguaglianza  della  giustizia  «correttiva»;  essa  puo'  essere
ricondotta  alla  nozione  di  cio'  che  e'  dovuto  e  segue  ad un
pregiudizio, reso lecito per legge, concretizzato allo scopo ritenuto
«eticamente» prevalente.
    La  giustificazione  della  pensione privilegiata indennitaria e'
quindi sostanzialmente indipendente dall'ingiustizia che nel caso del
diritto  al  risarcimento  del danno, presuppone la privazione per il
soggetto del suum.
    E'   cosa  inconferente  che  secondo  la  stessa  giurisprudenza
costituzionale  si  debba  garantire il massimo della riparazione che
l'amministrazione  pubblica  possa offrire al dipendente che, a causa
del  servizio,  abbia  subito una menomazione alla propria integrita'
fisica o capacita' lavorativa.
    Ferma  la  possibilita'  comunque  dell'interessato  di  azionare
l'ordinaria  pretesa risarcitoria (ex art. 2043 c.c. in caso di danno
illecito),  il legislatore nell'esercizio della sua discrezionalita',
ha   previsto  una  misura  economica  di  sostegno  aggiuntiva  (con
finalita' di tutela sociale), in un caso di danno alla salute, il cui
ottenimento  dipende  esclusivamente  da ragioni obiettive facilmente
determinabili,  secondo  parametri  fissi, in modo da consentire agli
interessati in tempi brevi una protezione certa nell'an e nel quantum
non  subordinata  all'esito  di  un'azione di risarcimento del danno,
esito condizionato all'accertamento dell'entita' e, soprattutto, alla
non  facile individuazione di un fatto illecito e del responsabile di
questo.
    La  disciplina  apprestata  dal T.U. 1092/1973 quindi opera su un
piano  diverso da quello in cui si colloca quella civilistica in tema
di  risarcimento del danno (ex art. 2043 cc.). compreso il cosiddetto
danno biologico.
    Per  quanto qui interessa, al fine di evidenziare la distanza che
separa  il diritto al risarcimento del danno, da quello alla pensione
privilegiata  indennizzatoria,  basti rilevare che la responsabilita'
civile  presuppone un rapporto tra fatto illecito e danno risarcibile
configurandolo,  quanto  alla  sua entita', in relazione alle singole
fattispecie  concrete  e valutabili caso per caso dal giudice, mentre
il  diritto  «all'indennita» pensionistica sorge per il sol fatto del
danno  irreversibile derivante da servizio civile o militare ex legge
n. 1092/1973,  da  guerra  ex  legge n. 915/1978, ma anche da epatite
post-trafusionale  ex  legge  n. 210/1992,  in  una misura prefissata
dalla legge.
    Necessariamente   nella   categoria   pensionistica  privilegiata
indennitaria  non tabellare, si deve tener conto della gravita' della
malattia  o  lesione contratta a causa del servizio prestato (tant'e'
vero  che  da  essa  dipende  dalla  diversa categoria di ascrizione)
nonche'  dalla  diversa  retribuzione  rapportata sia alla differente
qualifica  funzionale  o  grado  (per  i militari), sia alla relativa
anzianita' di servizio del dipendente.
    Il  periodo di servizio prestato rileva esclusivamente come fatto
giuridico    cui    l'ordinamento   riconduce   determinati   effetti
prescindendo  dalla  sua durata. Detto servizio cioe' ha rilievo solo
in  ordine  all'an della retribuibilita' della pensione privilegiata,
ma  non  relativamente  al  quantum  del  servizio  stesso,  elemento
quest'ultimo  che  non costituisce oggetto di valutazione ai fini del
conferimento  della  pensione  di  privilegio, mentre esso e' in ogni
evenienza  applicato  in  materia  di trattamenti di pensione normale
ordinaria.
    E'  da sottolineare la differente normativa che il legislatore ha
posto  alla  base  della  diversa  «natura» del diritto alla pensione
normale (di quiescenza) rispetto a quella privilegiata.
    Che  il  trattamento  normale  di  quiescenza  non  possa  essere
accomunato  alla  pensione  privilegiata deriva soprattutto dal fatto
che  il  primo  e'  ricompreso,  in modo sistematico, nell'ambito del
Titolo  III  del  T.U.  1092/1973,  mentre il secondo nel Titolo IV e
conseguentemente  sono diversi i principi che regolano e disciplinano
i due istituti.
    Va  inoltre  ricordato,  dal punto di vista fiscale, l'art. 6 del
T.U.   917/1987   il  quale  prevede  espressamente  che  «i proventi
conseguiti  in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione
dei  relativi  crediti,  e  le  indennita' conseguite, anche in forma
assicurativa,  a  titolo  di  risarcimento  i danni consistenti nella
perdita   di   redditi,  esclusi  quelli  dipendenti  da  invalidita'
permanente  o  da morte, costituiscono redditi della stessa categoria
di quelli sostituiti o perduti» siano da assoggettare ad Irpef.
    In effetti la legge prevede l'esclusione dall'Irpef solo per quei
«redditi»  e  quelle «indennita» percepite a seguito di invalidita' o
morte  conseguite  in  sostituzione  di  redditi,  dovuti a titolo di
risarcimento  dei  danni  ristorati  per  fatto «illecito» (art. 2043
c.c.).
    La  pensione  privilegiata  (non  di  quiescenza) che presuppone,
viceversa, come gia' sostenuto, un'invalidita' permanente o la morte,
determina   l'erogazione  di  un'indennita'  ristoratrice  per  fatto
«lecito»  e'  quindi assoggettabile ad IRPEF, in quanto «reddito» (ma
solo ai fini «fiscali») derivante da sostituzione di provento c.d. da
«lavoro» (art. 46 ss. d.P.R. n. 917/1987).
    Essa  pertanto  assume la connotazione di un indennizzo vitalizio
(o una tantum) che compensa la riduzione o la perdita della capacita'
lavorativa  subita  dal  militare  (o  del civile pubblico) a seguito
della malattia o infortunio.
    Infine  alla  luce  delle  considerazioni  riportate  dalla Corte
costituzionale  nella  sentenza del 26 novembre 2002 n. 476 la quale,
limitatamente  all'ipotesi ex art. 1 comma 3, legge 25 febbraio 1992,
n. 210,  ha  dichiarato  incostituzionale la norma nella parte in cui
non  preveda che «l'indennita' spetti "anche" agli operatori sanitari
(la  cui  attivita'  non  e' obbligatoria, ma volontaria, al pari dei
militari  di  carriera),  che, in occasione del servizio e durante il
medesimo,   abbiano   riportato   danni   permanenti   all'integrita'
psicofisica  conseguenti  a  infezione  contratta  .....  »  si puo',
mutatis  mutandi,  affermare  che  la  pensione  privilegiata (non di
quiescenza)  goduta  da  un  militare  gia'  di carriera abbia natura
indennitaria al pari di quella concessa ad un militare di leva.
    Nel  nostro sistema giuridico il risarcimento per fatto lecito e'
stato  oggetto  di pronuncia della Corte di Cassazione (cfr. Sez. I 8
ottobre  1992  n. 10979)  in materia di occupazione invertita, che ha
individuato  in  n. 10  anni i termini di prescrizione equiparabile a
quelli  contemplati  dagli artt. 934 e ss. c.c., costitutivi, in capo
al  privato,  di  un  diritto  personale  di  credito  soggetto  alla
prescrizione  ordinaria  decennale,  non  a  quella  quinquennale  in
materia di risarcimento del danno da fatto illecito.
    Per  cui  e' evidente la disparita' di trattamento tra coloro che
ottengono   il  ristoro  indennizzatorio  da  fatto  lecito  (la  cui
prescrizione   estintiva   del   diritto  di  credito  spira  con  il
raggiungimento  del  decimo  anno) e coloro che fruiscono di pensione
privilegiata   (che   ha  anch'essa  a  fondamento  una  funzione  di
indennizzo  derivante  da  fatto  lecito) che vedrebbero prescritti i
loro  diritti  di  credito  derivanti dagli emolumenti accessori (13ª
mensilita'  e  I.I.S.),  come nel caso in giudizio, in cinque anni in
base  all'art. 2,  r.d.l.  19  gennaio 1939, n. 295, convertito nella
legge  2 giugno 1939, n. 739, e sostituito dall'art. 2, quarto comma,
della   legge   7   agosto  1985,  n. 428,  espressamente  richiamato
nell'art. 143 dello stesso t.u. 1092/73.
    E'  indubbio  che  rientrino  tra  gli  emolumenti  accessori del
trattamento  pensionistico  privilegiato sia l'indennita' integrativa
speciale  (almeno  per  le pensioni liquidate prima del conglobamento
disposto con la legge n. 724 del 1994), sia la 13ª mensilita'.
    Per   quanto   attiene   all'I.I.S.   ne'  puo'  dedursi  la  non
accessorieta',  sia pure ai fini della prescrizione, per il fatto che
l'articolo  unico  del  D.L.Lgt.  2  agosto 1917, n. 1278, richiamato
dall'art. 2  del  citato r.d.l. n. 295/1939, non la contempli tra gli
assegni soggetti a prescrizione estintiva, per l'ovvia considerazione
che l'indennita' in questione e' stata istituita venti anni dopo, con
la legge n. 324 del 1959.
    Il  legislatore  richiamando  il  r.d.l.  n. 295/1939 nell'ambito
dell'art. 143  del  t.u.  1092/1973  ha inteso sottoporre alla stessa
disciplina tutti i trattamenti di pensione che trovano la loro genesi
nello  stesso  testo  unico,  ma laddove si accomuni la pensione c.d.
«normale»  (con  contenuto reddituale) con quella «privilegiata» (con
contenuto  indennizzatorio  da  fatto  lecito),  la  norma determina,
prevedendo  un  termine prescrizionale di cinque anni, una disparita'
di  trattamento rispetto agli altri identici diritti per risarcimento
per fatto lecito che si prescrivono in dieci anni (cfr. Cass. Sez. I,
8 ottobre 1992 n. 10979 gia' citata).
    Per  quanto  sopra  la presente controversia, ad avviso di questo
giudice  unico,  non  puo'  essere  definita  indipendentemente dalla
risoluzione  della  sollevata  «d'ufficio»  questione di legittimita'
costituzionale   dal   momento   che  il  ricorso,  in  relazione  al
provvedimento impugnato, se accolto, dovra' tener conto di un diverso
dies  a  quo  da  cui  partire per il calcolo della maturazione della
prescrizione  estintiva,  a  seconda  che  la  disposizione normativa
suindicata sia o meno dichiarata incostituzionale.