IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha emesso la seguente ordinanza in procedimento di sorveglianza. A scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 14 luglio 2005; Visti ed esaminati gli atti relativi al procedimento di sorveglianza in materia di affidamento in prova al servizio sociale a scopo terapeutico ai sensi dell'art. 94, d.P.R. n. 309/1990 promosso in seguito ad istanza avanzata da F. A., nato a Livorno il ........., attualmente domiciliato in Rosignano Solvay (LI), presso la comunita' terapeutica «I Salci»; Rilevato che l'istanza e' relativa all'esecuzione della pena di anni 2, mesi 3 e giorni 10 di reclusione (residuo di anni 3, mesi 4 e giorni 12 di reclusione) di cui alla sentenza emessa in data 5 novembre 2003 da G.u.p. Tribunale Livorno, riformata in data 16 marzo 2004 da Corte di appello di Firenze, definitiva il 1° maggio 2004, assorbita nel provvedimento di determinazione delle pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Livorno in data 9 giugno 2004 (es. n. 255/2004 R.E.S.); Verificata la regolarita' delle comunicazioni e notificazioni di rito; O s s e r v a 1. - F. A. gia' detenuto nella Casa circondariale di Livorno dal 19 maggio 2004 in esecuzione della pena indicata in epigrafe, e' stato scarcerato il 23 marzo 2005, su ordine della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Livorno, in seguito a presentazione di istanza di affidamento in prova al servizio sociale a scopo terapeutico ai sensi dell'art. 91 d.P.R. n. 309/1990 (cui era connessa richiesta di sospensione dell'esecuzione della pena, fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, preordinata all'esame della richiesta di affidamento terapeutico). Dall'esame degli atti risulta che l'interessato - che ha una lunga storia di tossicodipendenza, iniziata gia' all'eta' di 16 anni - dopo la scarcerazione ha fatto ingresso nella comunita' terapeutica «I Salci» di Rosignano Solvay, struttura ritenuta idonea ai fini del recupero del soggetto, secondo il programma concordato con il Ser.t. dell'Azienda U.S.L. 6 di Livorno (si veda certificazione relativa a tossicodipendenza ed idoneita' del programma terapeutico rilasciata in data 9 marzo 2005 dal servizio per le tossicodipendenze di Livorno ed allegata all'istanza in esame). Dalla relazione redatta il 2 luglio 2005 dagli operatori referenti della suddetta comunita' emerge che il F. fin dall'inizio, ha dimostrato adeguata motivazione in relazione al contenuto del programma, ha concluso positivamente la fase di osservazione ed e' entrato nella fase centrale terapeutica. 2. - Il collegio, tuttavia, deve rilevare che l'interessato ha gia' fruito di due affidamenti in prova a scopo terapeutico, in relazione ad altre condanne, con esecuzione gia' conclusa, come chiaramente risulta dall'esame del certificato del casellario giudiziale. Le precedenti esperienze non hanno avuto esito positivo, a causa di ricadute nel consumo di stupefacenti, il che evidentemente dimostra l'attualita' dello stato di tossicodipendenza e la fragilita' psicologica del soggetto, il quale, tuttavia, sta ora seguendo un buon percorso all'interno di una struttura residenziale. Nonostante vi siano, dunque, i presupposti sostanziali per l'applicazione dell'affidamento terapeutico in relazione all'esecuzione penale di cui si tratta, l'istanza non puo' essere accolta in quanto il quinto comma dell'art. 95 d.P.R. n. 309/1990 prevede espressamente che «l'affidamento in prova al servizio sociale non puo' essere disposto, ai sensi del presente articolo, piu' di due volte». Nella fattispecie, inoltre, non possono essere applicate altre misure alternative alla detenzione, peraltro non adatte al tipo di problematica di cui si discute: non l'affidamento in prova ordinario ai sensi dell'art. 47 o.p., in quanto in tal modo si realizzerebbe una vera e propria «truffa delle etichette», dissimulando un affidamento terapeutico da svolgere in comunita' sotto la maschera di un affidamento ordinario, con una evidente elusione del divieto normativo sopra detto; non la detenzione domiciliare, poiche' non ricorre alcuna delle specifiche condizioni previste dal comma 1 dell'art. 47-ter o.p., ne' puo' essere applicata la detenzione domiciliare c.d. generica di cui al comma 1-bis in quanto la pena residua da espiare e' superiore a due anni; non la semiliberta', non essendo stata espiata almeno meta' della pena inflitta, nonche' per incompatibilita' tra tale misura ed un programma da attuare interamente in comunita' terapeutica D'altro canto, neppure puo' ipotizzarsi l'applicazione, nella fattispecie, della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva di cui all'art. 90 d.P.R. n. 309/1990, peraltro non richiesta dall'interessato, poiche', come puntualizzato dalla Corte di cassazione, nella scelta tra l'istituto di cui all'art. 90 e quello dell'affidamento in prova a scopo terapeutico, il criterio da seguire deve basarsi sulla valutazione del livello di affidabilita' del condannato, per cui dovra' darsi luogo alla sospensione dell'esecuzione quando trattasi di soggetto che, avuto riguardo ai suoi trascorsi, al suo grado di reinserimento ed alla sua personalita', appaia probabilmente dotato di capacita' di autocontrollo tali da consentirgli una gestione autonoma del programma di recupero, mentre dovra' preferirsi l'affidamento terapeutico quando appaia probabile che il soggetto non sia in grado di sottostare al programma riabilitativo se non in quanto affidato ad una struttura che in concreto lo segua e lo controlli (v. Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 2001, c.c. 30 novembre 2000, n. 6965); nel caso di specie, considerati i trascorsi del F. ed alcune precedenti esperienze negative (concluse con revoca dell'affidamento), l'unica misura idonea appare quella dell'affidamento terapeutico da attuare in forma residenziale. In conseguenza di quanto ora esposto il tribunale dovrebbe rigettare l'istanza di affidamento terapeutico in esame - nonostante, si ripete, il promettente inizio del percorso comunitario, affrontato dal condannato con motivazione diversa rispetto al passato e in maniera non strumentale - con reingresso del soggetto nella struttura carceraria, ove e' evidentemente impossibile praticare il tipo di trattamento attuabile in una comunita' terapeutica per tossicodipendenti. 3. - Il collegio, tuttavia, dubita della legittimita' costituzionale della predetta disposizione normativa contenuta nel quinto comma dell'art. 94 del testo unico sugli stupefacenti, che pone, in maniera inderogabile, il divieto di disporre per piu' di due volte l'affidamento terapeutico (e' pacifico in giurisprudenza che il divieto e' svincolato dalle condanne per le quali l'affidamento e' stato concesso ed opera in via generale nei confronti del condannato che ne ha beneficiato anche se viene richiesto in relazione a condanne diverse: v. Cass. pen., sez. I, 11 giugno 2003, c.c. 1° aprile 2003, n. 25329). E' dunque doveroso, ritenendo il tribunale non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del divieto de quo sottoporre la questione stessa all'esame della Corte costituzionale. La rilevanza della questione nel presente procedimento emerge, con evidenza, da quanto e' stato sopra esposto: in applicazione del divieto normativo di cui si tratta, l'interessato non puo' ottenere un nuovo affidamento terapeutico e, non potendo beneficiare di altre eventuali misure alternative, dovrebbe tornare ad espiare la pena in regime detentivo. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale deriva, ad avviso del collegio, dalla verifica della compatibilita' della suddetta disposizione normativa con i parametri costituzionali rappresentati, nella fattispecie, dai precetti di cui agli articoli 3, 27 comma 3 e 32 Cost. 3.1 - Il divieto di concessione dell'affidamento terapeutico per piu' di due volte pone, innanzitutto, un problema di conformita' della relativa disposizione con il principio di uguaglianza e con il canone della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, da cui derivano vincoli e limiti alla discrezionalita' «politica» del legislatore. Il raffronto deve essere fatto, innanzitutto, con l'istituto dell'affidamento in prova c.d. ordinario (cioe' per condannati che non presentano problematiche di tossicodipendenza od alcoldipendenza) previsto dall'art. 47 ord. pen.: in tal caso non vi e' alcun limite alla concessione che renda inammissibile la relativa istanza, salvo quello dell'entita' della pena da espiare e quello del titolo di reato assolutamente ostativo all'applicazione di misure alternative alla detenzione, in mancanza di utile collaborazione con la giustizia, ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1 o.p.; l'affidamento ordinario puo' quindi essere concesso un numero indeterminato di volte. E' ragionevole, allora, stabilire che l'affidamento terapeutico puo' essere disposto soltanto due volte? Ha l'affidamento terapeutico caratteristiche e connotati tali da giustificare questa disparita' di trattamento? Si consideri che l'affidamento in questione puo' comportare e spesso comporta limitazioni assai piu' stringenti rispetto a quelle dell'affidamento ordinario, limitazioni che possono arrivare, come nel caso concreto all'esame del tribunale, all'obbligo di permanenza all'interno di una struttura comunitaria, senza potersene allontanare se non con l'accompagnamento di operatori della stessa comunita' per esigenze relative all'attuazione del programma, pena la sospensione della misura ai sensi dell'art. 51-ter o.p. e l'eventuale revoca dell'ammissione alla misura alternativa. Si obiettera' che l'affidamento in prova previsto dall'art. 94, d.P.R. n. 309/1990 risponde, appunto, ad esigenze terapeutiche, e che il divieto di cui si tratta e' giustificato dalla verificata assenza di ragionevoli prospettive di utile sperimentazione dello speciale trattamento alternativo quando di questo trattamento si e' gia' fruito per due volte (v. Cass. pen. sez. I, 11 giugno 2003, n. 25329, gia' citata). Si tratta di un limite astratto che, tuttavia, non pare conforme al canone della ragionevolezza che deve caratterizzare le scelte legislative. E' stato esattamente specificato dalla suprema Corte che il tossicodipendente non puo' ritenersi guarito in base alla mera constatazione della circostanza che non assume piu' droghe, avendo egli necessariamente bisogno di un ulteriore periodo di mantenimento terapeutico e di supporto psicologico, onde l'attualita' dello stato di tossicodipendenza e la necessita' di un idoneo programma di recupero, ai fini della concessione dell'affidamento in prova in casi particolari, possono avere riguardo - qualora l'interessato abbia superato la fase della dipendenza fisica dallo stupefacente - anche alla sola dipendenza psichica (v. Cass. pen., sez. I, 17 luglio 1995, c.c. 30 maggio 1995, n. 3293). Se cio' e' vero e conforme ai dati che si ricavano dall'esperienza e dall'esame clinico dei vari casi compiuto dagli operatori dei servizi per la tossicodipendenza, allora se ne deve concludere, ad avviso del collegio, che non e' ragionevole limitare la possibilita' di concessione dell'affidamento terapeutico a due sole volte, perche' vi possono essere concrete prospettive di utile sperimentazione di tale tipo di trattamento per usare l'espressione poc'anzi riportata, anche oltre il suddetto limite. Spettera' poi al tribunale di sorveglianza compiere una valutazione approfondita sull'idoneita' del programma proposto in relazione alle problematiche del condannato, essendo ormai principio pacifico in giurisprudenza che il giudizio di idoneita' del programma terapeutico proveniente da una struttura sanitaria pubblica e' indispensabile ma non vincola l'autorita' giurisdizionale, la quale e' chiamata ad operare una complessa valutazione circa il probabile conseguimento delle finalita' del programma stesso, tenuto conto della pericolosita' del condannato e della attitudine del trattamento a realizzare un suo effettivo reinserimento nella societa' (ex plurimis v. Cass. pen., sez. I, 5 settembre 2001, c.c. 4 aprile 2001, n. 33343). Ma cio' e', appunto, valutazione da operare sul piano del merito e non dell'ammissibilita' dell'istanza. Occorre, poi, considerare che e' altrettanto pacifico in giurisprudenza che il divieto in esame si riferisce alla concessione del beneficio e non alla mera estensione del medesimo (v. Cass. pen. sez. I, 21 settembre 1995, c.c. 13 luglio 1995, n. 4240). Puo' verificarsi, dunque, nell'esperienza concreta, che uno stesso soggetto possa beneficiare dell'affidamento terapeutico in relazione ad un numero imprecisato di condanne, sempre che la pena residua resti contenuta entro il limite dei quattro anni, se il relativo ordine di esecuzione sopraggiunge nel corso dell'esecuzione dell'affidamento terapeutico concesso per la prima o la seconda condanna. Viceversa, se l'ordine di esecuzione sopraggiunge quando l'affidamento si e' ormai concluso anche da poco tempo, opera il divieto di cui al quinto comma dell'art. 94, cosi' che puo' accadere che il condannato non possa fruire della misura de qua avendone gia' beneficiato due volte e non potendo approfittare della prosecuzione prevista dall'art. 51-bis o.p. per circostanze ad esso certamente non imputabili. Si possono avere, cosi', risultati iniqui, con soggetti che beneficiano dell'affidamento terapeutico in relazione a piu' di due condanne, anche per lunghi periodi di tempo, per il meccanismo dell'estensione sopra indicato, e soggetti che, invece, magari condannati a pene brevi e per reati meno gravi, non possono fruire del terzo affidamento terapeutico solo perche' il titolo esecutivo relativo alla terza condanna e' divenuto definitivo successivamente alla conclusione dei due precedenti affidamenti. Si ricorre, a volte, nell'esperienza concreta, allo strumento dell'affidamento ordinario, ma si tratta di un espediente volto ad eludere il divieto in questione (nella sostanza, infatti, e un affidamento terapeutico), per evitare, come gia' detto, risultati iniqui. Il che e' un ulteriore argomento a supporto dei dubbi del collegio sulla legittimita' costituzionale della norma in esame per violazione del canone della ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione. 3.2 - Altro fondamentale parametro costituzionale che viene in rilievo nella fattispecie e' quello dell'art. 27, comma 3, della Carta costituzionale, che sancisce il principio della funzione rieducativa della pena. La finalita' rieducativa, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, e' una proprieta' essenziale che caratterizza la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagna da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue (ex plurimis v. sent. 313 del 1990). Si tratta di preminente valore costituzionale, sotteso ad ogni misura alternativa alla detenzione, atteso che, come chiarito nella giurisprudenza della Corte costituzionale, ciascun istituto previsto dall'ordinamento penitenziario si modella e vive nel concreto come strumento dinamicamente volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena (sent. n. 445 del 30 dicembre 1997). Cio' vale, ovviamente, anche e soprattutto per la misura dell'affidamento in prova in casi particolari prevista dall'art. 94 del d.P.R. n. 309/1990, che ha lo scopo di consentire la riabilitazione del soggetto tossicodipendente od alcoldipendente mediante la predisposizione di un adeguato programma terapeutico (si e' gia' detto sopra dei poteri valutativi del tribunale di sorveglianza sull'idoneita' del programma). La scelta compiuta dal legislatore di limitare a due sole volte la concessione dell'affidamento terapeutico, con conseguente inammissibilita' di una terza concessione, non pare in linea con l'esigenza sopra prospettata, e cioe' che l'istituto dell'affidamento in prova di cui all'art. 94, come ogni altro strumento di esecuzione penale «esterna», si modelli e viva in concreto, per usare le espressioni della Corte costituzionale come strumento, volto ad assecondare la funzione rieducativa della pena. Si vieta di concedere un terzo affidamento anche se, in ipotesi, il condannato abbia necessariamente bisogno di un ulteriore periodo di mantenimento terapeutico e di supporto psicologico, considerata la complessita' della sua storia di tossicodipendenza od alcoldipendenza e dei problemi ad essa correlati. Anche sotto tale profilo, dunque, occorre sottoporre la questione all'esame della Corte costituzionale. 3.3 - E' necessario, infine, esaminare la questione anche alla luce del precetto dell'art. 32 della Carta costituzionale, che tutela la salute «come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita». Nel caso delle tossicodipendenze od alcoldipendenze, l'istituto dell'affidamento previsto dall'art. 94, d.P.R. n. 309/1990 e' volto ad assicurare la cura e riabilitazione psico-fisica del condannato attraverso programmi non attuabili in stato di detenzione e, dunque, ha evidenti finalita' terapeutiche. In questo caso il diritto dell'individuo alla cura e riabilitazione coincide anche con l'interesse collettivo, essendo ormai un dato di conoscenza comune che il tossicodipendente commette reati soprattutto per procurarsi i mezzi necessari all'acquisto delle sostanze stupefacenti e che il soggetto alcoldipendente non e' in grado di esercitare un efficace autocontrollo. E' altrettanto noto che, particolarmente nel caso delle tossicodipendenze, la dipendenza puo' essere anche solo psichica, nel senso che l'interessato ha superato la fase della dipendenza fisica dallo stupefacente, non assumendo piu' sostanze psicoattive, ma ha bisogno, come gia' detto, di un ulteriore periodo di sostegno e di mantenimento terapeutico. La limitazione della cui legittimita' costituzionale si dubita pone seri problemi, ad avviso del collegio, anche per quanto concerne la tutela della salute del soggetto tossicodipendente od alcoldipendente, in quanto si tratta di limitazione astratta che prescinde totalmente da qualsiasi considerazione - possibile solo ove si consenta un esame nel merito dell'istanza - concernente i bisogni di cura del condannato, in relazione alla propria storia di dipendenza, e l'adeguatezza degli strumenti e dei programmi predisposti per rispondere agli stessi. Per le considerazioni sopra svolte, si ritiene rilevante ai fini della decisione da assumere nel presente procedimento e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma di cui al quinto comma dell'art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, secondo cui l'affidamento a scopo terapeutico non puo' essere disposto piu' di due volte, per contrasto con gli articoli 3, 27 comma 3 e 32 della Costituzione. Il procedimento deve, pertanto, essere sospeso e gli atti essere inviati alla Corte costituzionale.