IL GIUDICE DI PACE Nel proc. n. 265/05 R.G. Affari non cont., promosso dal Bouallacci Lofti, nato in Tunisia il 7 aprile 1973, elettivamente domiciliato in Genova, in via Gavotti n. I/6, presso e nello studio dell'avv. Gianfranco Pagano, che lo rappresenta e difende come da mandato a margine del ricorso, ricorrente. Contro Prefettura di Genova in persona del funzionario amministrativo sig. Davide Verri, delegato dalla Prefettura di Genova, resistente, avverso il decreto di espulsione n. 055361/Cat. II/Uff. Imm. emesso p. il Prefetto di Genova dal vice Prefetto in data 11 maggio 2005, con il quale, esaminati gli atti in possesso della Questura di Genova, dai quali risultava che il ricorrente, in Italia senza regolare dimora, avente la cittadinanza tunisina, sedicente, aveva dichiarato su apposito modulo plurilingue, di essere entrato nel territorio dello Stato attraversando il confine di «sconosciuto» nel periodo di 5 novembre 2004, privo del prescritto visto d'ingresso, sottraendosi ai controlli di frontiera e comunque non aveva richiesto il permesso di soggiorno entro otto giorni lavorativi, e, considerato che, esigenze di celerita' impedivano di comunicare l'avvio del procedimento in quanto l'interessato era privo di permesso di soggiorno e avrebbe potuto rendersi irreperibile, decretava l'espulsione dal territorio nazionale (visto l'art. 13, comma 2, lettere a) e b) del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche), informandolo degli obblighi e facolta' spettantegli, a cui faceva seguito lo stesso giorno: 11 maggio 2005 il verbale di notifica del decreto di espulsione precitato, da parte della Questura di Genova - Ufficio immigrazione, informandolo degli obblighi e delle facolta' spettantegli, e a cui faceva seguito lo stesso giorno: 11 maggio 2005 il provvedimento del Questore di Genova con il quale, rilevato che non era possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera essendo necessario procedere ad accertamenti supplementari in ordine all'identita/nazionalita' dello straniero, essendo necessario acquisire un valido documento per l'espatrio, e, visto l'art. 14, d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche, e, considerato che il Dipartimento della Polizia di Stato aveva indicato quale Centro piu' vicino con disponibilita' di posti il Centro di permanenza temporanea e, assistenza di Crotone, disponeva che fosse trattenuto ivi per il tempo strettamente necessario alla rimozione degli impedimenti all'accompagnamento alla frontiera, informandolo degli incombenti previsti. Il giudice di pace, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del giorno: 6 giugno 2005. Premesso che il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 231, convertito in legge n. 271/2004, in data 12 novembre 2004, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 13 novembre 2004, con le modifiche apportate, che ha attribuito la competenza in subiecta materia al giudice di pace, ha conservato la struttura di procedimento camerale, in quanto, pur non reintroducendo l'applicazione della norma corrispondente al rito suddetto, ex art. 737 c.p.c., inserita dal comma 3, d.lgs. 13 aprile 1999, n. 115, poi abrogato dall'art. 12, comma 1, lett. f) della legge 30 luglio 2002, n. 189, specificamente prevede all'art. 13, comma 4, che la «decisione non e' reclamabile, ma impugnabile per Cassazione», mutuando, in tal guisa, caratteri costitutivi della procedura suindicata; che, in dipendenza di cio', la decisione qui assumenda ha natura di decreto a motivazione necessaria, ossia, non ampia come la sentenza, ne' succinta come l'ordinanza, bensi' sommaria, e per l'effetto, limitata all'indicazione dei fatti posti dal Pronunciante alla base dell'iter logico-giuridico del suo convincimento (Cass. civ., sez. I, 25 agosto 1997, n. 7958, Vari c. Rampini RV507071); che, tale normativa, esemplifica, precipuamente, un procedimento, la cui materia del contendere e' afferente alla tutela di un diritto soggettivo incardinato nell'ambito di una causa devoluta al g.o., in quanto inerente a questione di diritto civile o politico (inerente la persona), indipendentemente dalla posizione del titolare del diritto «comunque possa essere interessata la pubblica amministrazione» (art. 2, legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E). Nel caso in esame, il decreto di espulsione rientra nel novero dei provvedimenti amministrativi (segnati dai requisiti loro propri dell'autoritarieta' e dell'esecutorieta) definiti quali «ordini di polizia»; che, in relazione a quel che si e' appena detto, la disputa circa la prospettata violazione di una norma di azione - mirante a disciplinare i rapporti intersoggettivi, delimitando le funzioni stesse, in correlazioni con posizioni giuridiche altrui - non sottende la configurabilita' di un giudizio «sul rapporto» (proprio del diritto civile), bensi' «sull'atto» (specifico di quello amministrativo) avente-ossia-natura impugnatoria di tipo «demolitorio» del provvedimento in oggetto; cio' comporta, ineluttabilmente, il restringimento sia dell'attivita' istruttoria del Pronunciante, per cui il di lui sindacato non puo' fuoriuscire dai confini in cui opera, in tema di valutazione della sussistenza o meno dei presupposti per l'emanazione dell'atto controverso, perche', diversamente agendo, ossia, esorbitando dai cardini impostigli dal rispetto della sfera di giurisdizione spettantegli, ed, esondando dagli argini in cui deve incanalarsi la verifica giudiziale incombentegli, egli valicherebbe le barrierede de quibus e sarebbe censurabile per «straripamento di potere» per avere invaso un campo riservato ad altra autorita' (quella amministrativa); prova di cio' e' incarnata, indefettibilmente, dalla previsione della novellata disciplina, qui applicanda, che permette al decidente di far luogo, solo, all'eventuale annullamento dell'atto opposto e non alla riforma dello stesso; che le questioni di legittimita' costituzionali debbono essere risolte, per quanto possibile, in via preliminare (sent. C. cost. n. 279/2001); che l'accertamento della pregiudiziale e' il risultato di un delicato «itinerario logico» (sent. Corte cost. n. 137/1983); che per la proposizione della questione costituzionale debbono coesistere questi requisiti: 1) «la rilevanza»; 2) la «non manifesta infondatezza»; 3) l'impossibilita' all'esito del tentativo esperito - di pervenire ad un «interpretazione adeguatrice»; che la «rilevanza» definibile come probabilita' che l'eventuale pronuncia della Corte sia in grado di incidere/influire sul processo principale concretamente (cd. assenza del difetto relativo di rilevanza), viene sempre piu' considerata sotto l'aspetto dell'applicabilita' della norma (sentt. nn. 115-125-149-180- 255/2001, 240/2002): per cio' sembra preferibile che il giudice a quo, nell'impossibilita' della certezza, sia convinto almeno della ragionevole probabilita' che la norma costituzionalmente dubbia venga applicata e motivi di conseguenza la sua decisione (la Corte parla di «ragionevole possibilita» sent. n. 227/1998); che la lettura dell'art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953, fa esplicito riferimento all'ipotesi che il caso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione della questione principale; che la «non manifesta infondatezza», dapprima racchiusa in termini che richiamano il dubbio carico di sospetto ed incertezza del vulnus al dettato costituzionale (sent. n. 171/1977), quale condizione psicologica, pur minima, per l'emanazione dell'ordinanza di rinvio, allo stato, e' contraddistinta - sempre piu' frequentemente - da espressioni quali «certo», «palese», «evidente», «insanabile»; che l'impossibilita' a giungere a l'interpretazione adeguatrice, da parte del giudice a quo, e' sussumibile quando Egli non sia in grado di a tanto provvedere anche in presenza del «diritto vivente»; che, anche quando la questione di legittimita' costituzionale sia avanzata dalla parte, e, non, ex officio dal giudice, quest'ultimo conserva la funzione di «soggetto di impulso processuale, ben potendo modificare e trasformare (in senso riduttivo o ampliativo), anche, all'occorrenza, attraverso la "reinterpretazione" del contenuto della domanda de qua, l'oggetto dell'impugnativa adeguandolo a "parametro" della violazione». Cio' premesso, rilevato che questo giudice di pace ritiene muniti dei requisiti della rilevanza, non manifesta infondatezza e che non ritiene possibile sciogliere il nodo in punto mediante interpretazione adeguatrice, i termini delle questioni de quibus come infra spiegando, per cui fin d'ora indica quanto oggetto del suo provvedimento, ossia: a) solleva, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche, in relazione agli artt. 2 e 32 Cost., nella parte in cui la norma denunciata non prevede anche che non debba essere eseguito - al fine di permettere alla donna in stato di gravidanza e richiedente, in ogni caso, necessita' di cure mediche e/o terapie adeguate, di ricevere assistenza materiale e morale - il decreto di espulsione di straniero alla stessa legato da una relazione affettiva, e, con la quale sia stato concepito il nascituro; b) solleva, d'ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 19, comma 2, lett. d) del d.lgs. n. 286/1998 e successive modifiche, in relazione agli artt. 2 e 30 Cost., nella parte in cui la norma denunciata non prevede anche che non debba essere eseguito - al fine di assicurare tutela ed assistenza materiale e morale al nascituro il decreto di espulsione di straniero legato alla donna in stato di gravidanza da una relazione affettiva e con la quale sia stato concepito il nascituro. In linea di fatto risulta: che l'interessata: M. V., di nazionalita' italiana, residente a Genova, nubile, studentessa, di anni venti d'eta', e' legata affettivamente e stabilmente - per sua ammissione (dichiarazione scritta del 18 maggio in atti) al ricorrente, e, che da circa un mese e' in stato di gravidanza avendo concepito con l'istante il nascituro; che tale condizione e' acclarata dai documenti clinici allegati al ricorso; che, in particolare, da essi evincesi che il 14 maggio 2005 la partoriente e' stata ricoverata al Pronto soccorso S. Carlo Regione Liguria ASL 3 - Presidio Ponente, in conseguenza dello stato morboso meglio descritto in relativo certificato, ov'e' stilata prognosi di giorni tre salvo complicazioni. In punto di diritto e' sussumibile: che l'art. 16, dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948), riconosce il diritto dell'individuo a fondare una famiglia, considerando a riguardo - il matrimonio come una scelta possibile, in assenza della quale, non e' pretermesso alcun diritto alla tutela della famiglia definita semplicemente quale «nucleo naturale e fondamentale della societa», avente «diritto ad essere protetta dalla societa' e dallo Stato» senz'altra enunciazione tassativa afferente il vincolo matrimoniale; che l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848, sancendo il diritto al rispetto della vita privata e familiare amplia la sfera di tutela dell'individuo rispetto al modello di cui al regime matrimoniale; che l'art. 2 Cost. garantisce i diritti fondamentali dello straniero (Corte cost. 18 luglio 1986, n. 199, Foro it., 1988, I, 2803); che il valore costituzionale della salute garantita dall'art. 32 Cost., come diritto inviolabile, non puo' soffrire limitazioni o esclusioni del corrispondente dovere inderogabile di solidarieta' (cfr. sul principio generale: C. cost. 17 giugno 1987, n. 226, Giust. civ. 1987, I, 2457); che, in base a quanto detto, l'espulsione in questione costituisce grave nocumento per la madre del nascituro; che, operando un giudizio di bilanciamento tra gli interessi in contesa: quelli dello Stato e quelli dell'individuo, si da' corpo al problema che giustifica la questione di legittimita' costituzionale sollevata al capo a); che la riforma del 1975, nell'intento di equiparare la filiazione legittima e naturale, pur non potendosi ritenere la qual cosa completamente realizzata, ha dato protezione al figlio naturale; che l'art. 30 tende ad eliminare posizioni giuridicamente e socialmente deteriori per i figli naturali (C. cost. 16 febbraio 1963, n. 7, in Foro it., 1963, I, 471); che la tutela dei figli, nati fuori dal matrimonio, e' assicurata proprio dal cennato art. 30 Cost. (C. cost. 28 dicembre 1970, n. 205, Foro it., 1971, I, I; Giur. Cost., 1970, 2257); che il riconoscimento la difesa dei diritti del figlio naturale (C. cost. 14 aprile 1969, n. 79, in Foro.it 1969, I, 1033, Giur. cost., 1969, I, 113; C. cost. 30 aprile 1973, n.50, Foro it. 1973, I, 1684), e' in correlazione coi doveri dei genitori naturali verso la prole; che, di conseguenza, il provvedimento espulsivo per cui e' controversia vanifica i diritti del nascituro - figlio naturale, ed, impedisce l'adempimento dei doveri del genitore - naturale passibile del provvedimento amministrativo opposto. Queste considerazioni motivano la questione di legittimita' costituzionale del capo b). Considerato che ai sensi dell'art. 295 c.p.c. l'incidente di legittimita' costituzionale determina la sospensione necessaria del processo nel quale il medesimo e' sollevato (Cass. civ., sezioni unite 3 giugno 1983, n. 3783, Minarellic. Inadel); che, da cio', e' adottabile la misura della sospensione dell'esecuzione del decreto espulsivo opposto;