LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nel giudizio sull'appello
iscritto  al  n. 18370  del  registro  di  segreteria,  proposto  dal
procuratore  generale avverso la sentenza n. 490/2003 del 27 febbraio
2003-29  maggio  2003,  resa  dalla  Sezione  giurisdizionale  per la
Regione Calabria.
    Visti gli atti e documenti di causa;
    Uditi,  nella  pubblica  udienza  dell'8  marzo 2005, il relatore
Consigliere dott.ssa Piera Maggi, il pubblico ministero nella persona
del  vice  procuratore  generale  dott. Mario  Condemi  e  l'avvocato
Rosario Chiriano per l'appellata.
    Considerato che:
        il  procuratore generale ha impugnato la sentenza in epigrafe
con  la  quale  e'  stato  dichiarato  il difetto di giurisdizione di
questa  Corte in relazione ai danni causati dal pretore della Sezione
distaccata  di  Caulonia che, omettendo di provvedere al dissequestro
di  beni  contestualmente  all'intervenuta  sentenza penale (divenuta
esecutiva   nell'ottobre   1996),   e   ritardando   l'emissione  del
provvedimento  di  dissequestro  stesso fino al successivo 22 gennaio
1998  pur  dopo  la  ricezione  di  un biglietto di segreteria (il 22
gennaio  1997),  che  ricordava  l'incombenza, ha comportato spese di
custodia  dei  beni  ritenute  danno  erariale  che  costituiscono il
petitum dell'atto di citazione;
        la sentenza di primo grado;
          a)  ha  declinato  la propria giurisdizione, sia perche' ha
giudicato insindacabile, a fini risarcitori dell'erario, l'attivita',
ritenuta giudiziaria, posta in essere dalla convenuta anche alla luce
della  legge 13 aprile 1988 n. 117 che, nello stabilire le ipotesi di
responsabilita'  dei magistrati, ha limitato le relative possibilita'
solo  ai  casi di dolo del magistrato, sia perche' non ha individuato
norme   di  diritto  positivo  che  consentissero  tale  chiamata  in
giudizio;
          b)  ha affermato che il presupposto dirimente per affermare
o meno la giurisdizione contabile nei confronti di un magistrato deve
essere   rinvenuto   nella   natura   giuridica   dell'attivita':  in
particolare   la   condotta   tenuta   dal   pretore  (ritardo  nella
restituzione  di cose sequestrate, conderivato incremento degli oneri
di   custodia   giudiziale   sopportati   dallo  Stato)  deve  essere
considerata  attinente  alla  funzione giurisdizionale sia perche' il
sequestro  e'  avvenuto  in  applicazione  delle  norme  penali  e di
procedura  penale  e  sia  perche'  il  rilascio dei beni sequestrato
doveva   essere  disposto  «all'atto  dell'emissione  della  sentenza
stessa,  cioe',  del  provvedimento  tipicamente  giurisdizionale» e,
quindi,  anche  il  successivo  provvedimento  adottato  e'  attratto
nell'orbita dei provvedimenti giurisdizionali;
          c)   ha  individuato,  quali  connotazioni  sintomatiche  e
dirimenti,  al  fine  di  qualificare  giudiziaria  l'attivita',  due
circostanze (la fonte normativa legittimante l'atto di sequestro e la
fase  processuale  in cui era consentito adottare il provvedimento di
dissequestro)   idonee  a  conferire  natura  «giurisdizionale»  alla
condotta   lesiva   ed  a  determinare,  percio',  il  difetto  della
giurisdizione contabile;
        sostiene invece il procuratore generale:
          a)  che  l'attivita' di cui trattasi non si inquadri tra le
incombenze giudiziarie svolte dal pretore e che il supporto normativo
per  addivenire  alla  affermazione  della giurisdizione della Corte,
anche  al  di la' delle ipotesi, di cui alla legge n. 117 del 1988 si
rinvenga:
          1)  sia nelle disposizioni di cui alla legge 24 marzo 2001,
n. 89  (Previsione  di  equa  riparazione  in  caso di violazione del
termine  ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 del codice
di   procedura   civile)  che,  all'art. 5,  prevedono  l'obbligo  di
comunicazione   del   decreto   di   accoglimento  della  domanda  di
riparazione  a  cura  della  cancelleria,  oltre  che  alle parti, al
Procuratore  generale  della  Corte dei conti, ai fini dell'eventuale
avvio  del  procedimento  di  responsabilita',  nonche'  ai  titolari
dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati
dal  procedimento  con  cio'  prevedendo  ipotesi  di responsabilita'
perseguibile presso questa Corte;
          2)  sia  nelle  norme di cui al T.U. 30 maggio 2002, n. 115
(art. 150  e  172  che disciplinano rispettivamente la competenza del
magistrato  in  materia  di  restituzione  di  beni  sequestrati e la
responsabilita' dei magistrati e dei funzionari amministrativi);
          b)  che  la  legge n. 117 del 1988 prende in considerazione
ipotesi  di  danno  civile  indiretto  causato  da  comportamento del
magistrato  (cioe'  documenti recati a terzo), e non di danno diretto
(cioe'  lesioni  direttamente ed immediatamente inferte al patrimonio
statuale)  e,  piu'  in  generale,  che  la non perseguibilita' della
condotta  magistratuale  copre  l'intero  contenuto  delle  attivita'
stricto  sensu  decisorie,  cioe'  quell'area  comportamentale che si
risolve  nella  interpretazione  e applicazione del diritto cosicche'
irrazionale  (ed incostituzionale) sarebbe ogni altro esonero, specie
per  comportamento  costituenti  sviste  o trascuratezze inescusabili
nell'adempimento di obblighi d'ufficio;
          c)  che  la  legge sopra citata, peraltro, non esaurisce il
novero  delle possibili responsabilita' del magistrato non prevedendo
i  danni  patrimoniali  che,  con i suoi comportamenti, il magistrato
stesso   cagioni   ingiustamente  e  direttamente  allo  Stato  (come
ipotizzato   nella   fattispecie  all'esame)  e  non  ad  un  privato
cittadino-utente  del servizio giustizia che, a sua volta, azioni una
pretesa  risarcitoria,  dovendosi  escludere  che,  con  l'entrata in
vigore di detta legge, la giurisdizione contabile sussista unicamente
nel  caso dell'azione di regresso ex art. 13, comma 2, per ipotesi di
danno conseguenti alla commissione di fatti costituenti reati;
          d)  che,  d'altro canto, le disposizioni della citata legge
n. 89 del 2001 indicono a ritenere che sussistano ipotesi in cui deve
affermarsi  la  giurisdizione  della Corte dei conti, anche al di la'
dei  citati  casi di regresso ex art. 13, comma 2 della legge 117 del
1988  e,  addirittura, per responsabilita' correlate all'esercizio di
funzioni giurisdizionali in senso stretto;
          e)  che  alla  luce  della sentenza n. 385/1996 della Corte
costituzionale  -  che ha affermato la necessita' di una interpositio
legislatoris  al  fine di radicare la giurisdizione della Corte ed ha
sottolineato  espressamente  la conciliabilita' in linea di principio
dell'indipendenza  della  funzione giudiziaria con la responsabilita'
nel  suo  esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma
anche  amministrativa,  nelle  sue diverse forme, conciliabilita' che
esiste  anche  in  relazione,  agli  atti di esercizio della funzione
giurisdizionale  in senso stretto, per i quali l'esigenza di garanzia
dell'indipendenza  e dell'insindacabilita' e' massima - discenderebbe
la  possibilita' della ricerca e dell'applicazione, di norme di legge
che  prevedano  e fondino l'assoggettabilita' del magistrato (civile,
penale,  amministrativo,  contabile  o  militare) perfino per atti di
esercizio  della «funzione giurisdizionale» intesa in senso stretto e
rigoroso alla congnizione giudiziale della Corte dei conti;
          f)  che  tali  norme  sarebbero  individuabili, nel caso di
specie:
          1) per il presupposto soggettivo negli articoli 81, 82 e 83
del  r.d.  18  novembre 1923 n. 2440, nell'art. 52 del r.d. 12 luglio
1934,  n. 1214,  nell'art.  1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, con
riferimento  all'ampia  nozione  di  funzionari  impiegati  ed agenti
civili  e  militari  dello  Stato  e delle pubbliche amministrazioni,
compresi  «quelli  dell'ordine  giudiziario»  (nozione  da leggere in
relazione  alla  ben  nota  estensione  soggettiva di cui all'art. 28
della  Costituzione),  che costitutiscono elementi normativi idonei a
configurare la richiesta interpositio;
          2) per il presupposto oggettivo nella disciplina recata dal
Testo  Unico  n. 115  del  2002 (mediante trasposizione coordinata di
norme  previgenti)  a proposito di «restituzione di beni sequestrati»
di responsabilita' dei magistrati e funzionari amministrativi» (artt.
150 e 172);
          g)  che  da quanto sopra esposto deriverebbe che, comunque,
nel  caso  di specie, oltre alla attivita' giurisdizionale svolta dal
giudice,   sussisterebbero   specifiche   attivita'  riferibili  alla
condotta   (omissiva)   del   magistrato   citato   in  giudizio  che
rinverrebbero in talune disposizioni normative (artt. 263 c.p.p. e 84
norme  di  att.  c.p.c. - quest'ultimo ora trasfuso nell'art. 150 del
d.p.r.  n. 115  del 2002, e art. 10 comma e del d.lgs. 9 luglio 1997,
n. 237,  che riproduce l'art.  455 del r.d. 23 maggio 1924, n. 287 ed
ora   trasfuso   nell'art. 172   del  d.P.R.  n. 115  del  2002)  una
regolazione compiuta ed esplicita;
          h)   che   tale   normativa  rivelerebbe  adeguatamente  la
effettiva  «natura»  di  dette attivita', del tutto diversa da quella
opinata  in  sentenza,  trattandosi  di  veri  e  propri atti dovuti,
sforniti  di qualsivoglia margine di discrezionalita' (se non il mero
riscontro  dei presupposti applicativi) che rappresentano necessitato
adempimento  di altrettanti obblighi di servizio ed implicano profili
di  spesa  che  non hanno diretta incidenza non solo, e, se del caso,
indirettamente  sulle parti private, ma principalmente e direttamente
sul bilancio erariale;
        conclusivamente  il  procuratore  generale ha chiesto che, in
accoglimento   dell'appello,   la  Sezione  dichiari  sussistente  la
giurisdizione contabile e, conseguentemente, rimetta al primo giudice
la  causa  ai  sensi  dell'art. 105  del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038
affinche' prosegua nel merito dell'azionata pretesa risarcitoria;
        la dott.ssa Garreffa (in atti anche indicata come Gareffa) si
e'  costituita  in  giudizio  il  19  dicembre 2003 con il patrocinio
dell'avvocato  Rosario  Chiriano  il quale ha sostenuto le tesi della
sentenza  di  primo grado circa il difetto di giurisdizione in quanto
la  legge  n. 117  del 1988 ha escluso che l'ipotesi in questione sia
tra  quelle  perseguibili  dinnanzi  alla  Corte  dei  conti  citando
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 18/1989 e ord.
n. 5/1990);
    Ritenuto che:
        l'atto  di  citazione  in base al quale la convenuta e' stata
chiamata  in  giudizio  e'  stato  depositato il 2 luglio 2002, nella
vigenza,  quindi, del d.lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e del T.U. n. 115
del  2002, e tali norme sono, pertanto, immediatamente applicabili ai
fini   di   ritenere,   sulla   loro   base,   la  sussistenza  della
giurisdizione,  ai  sensi  dell'art. 5  c.p.c.,  pur  se i fatti sono
avvenuti  anteriormente,  anche  alla  luce  della giurisprudenza che
afferma  che  la  giurisdizione va verificata con riguardo al giudice
competente  al  momento  della  produzione  del  danno  erariale  (ex
plurimis, Cass. civ., sent. n. 19662 del 22 dicembre 2003);
        la  citata  normativa,  che disciplina la responsabilita' dei
magistrati  in materia di attivita' giudiziaria e strumentale ad essa
deve,  infatti,  presumersi un'interpretazione estensiva - e, quindi,
con  valenza  retroattiva - delle precedenti disposizioni che possono
individuarsi,  come  afferma anche il procuratore generale, nell'art.
10,  comma 3  del  decreto  legislativo n. 237 del 1997 che riproduce
testualmente  l'art.  455 del regio decreto n. 827 del 1924 in cui la
responsabilita'  per  danni  diretti era limitata ai funzionari e non
anche  ai  magistrati,  negli  artt. 81, 82 e 83 del regio decreto 18
novembre  1923,  n. 2440,  nell'art. 52 del regio decreto n. 1214 del
1934  -  che  la estende ai «funzionari impiegati ed agenti, civili e
militari,  compresi  quelli  dell'ordine giudiziario» - e nell'art. 1
della  legge  n. 20  del  1994,  che  peraltro,  non  si riferisce ai
magistrati;
        se ne deve dedurre che in sede di normativa delegata, quindi,
si  e' ritenuto di poter sic ed simpliciter equiparare il magistrato,
al  fine  di  riconoscerne  la  responsabilita'  nelle ipotesi di cui
trattasi,  al  pubblico  dipendente  ricomprendendolo  tra i soggetti
legittimati passivamente in base alla esistente normativa che da essi
si limitava;
        una  diversa  conclusione  che non dia valenza interpretativa
alla  norma  delegata, ma ritenga la stessa innovativa del precedente
ordinamento,  con  l'introduzione di nuove ipotesi di responsabilita'
dei  magistrati,  comporrebbe, infatti, un evidente eccesso di delega
ed  una  conseguente  violazione  dell'art.  76  della  Costituzione,
poiche'  siffatta  possibilita' non e' contemplata dalla legge delega
(art.  7  e  punti  n. 9, 10 e 11 dell'allegato 1 della legge 8 marzo
1999,  n. 50, modificata dall'art. 1, comma 6, leggere d) ed e) della
legge  24  novembre 2000, n. 340, intitolata «delegificazione e testi
unici  di  norme  concernenti  procedimenti amministrativi - legge di
semplificazione  1998»  deve quindi privilegiarsi un'interpretazione,
almeno prima facie, secundum Constitutionem;
        da  tanto  consegue  l'applicabilita'  della  norma  al  caso
all'esame e la sua rilevanza al fine del decidere;
        devono quindi esaminarsi i motivi che inducono questo giudice
a   ritenere   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
incostituzionalita'  della  norma  che prevede la responsabilita' dei
magistrati  per  l'attivita' giurisdizionale, o per attivita' ad essa
strumentale,  perseguite  nel  caso  in  esame  in quanto ritenuta in
contrasto  con gli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost., che dettano norme
e  garanzia  dell'indipendenza e dell'insindacabilita' della funzione
giurisdizionale e con l'art. 3 Cost. per irragionevolezza;
        il  libello  introduttivo,  nella  fattispecie,  censura, due
distinti  profili  che  si  ritengono, comunque, assimilabili: sia la
mancata  adozione  del  provvedimento  di dissequestro da parte di un
magistrato   in   sede   di   sentenza,  sia  il  successivo  ritardo
nell'emissione  del  relativo provvedimento a seguito di sollecito da
parte della cancelleria;
        il  primo  aspetto  della  causa  petendi,  verte, quindi, in
materia  di  eventuali danni prodotti da un magistrato nell'esercizio
dell'attivita'  giurisdizionale  (riguardo l'omissione di statuizioni
da  assumersi  in  esito  a sentenza), l'altro aspetto (il successivo
ritardo nel provvedere), deve inquadrarsi anch'esso nell'ambito della
medesima  attivita'  o,  comunque, di attivita' ad essa strumentale -
che, per quanto di seguito si esporra', deve essere disciplinata alla
stessa  stregua  dell'attivita'  giurisdizionale  -  ed  entrambe  le
ipotesi sono regolate dalla norma di cui trattasi;
        nulla  si  ritiene  di dover aggiungere per quanto attiene il
primo   profilo  della  causa  petendi  che  attiene  sicuramente  ad
attivita'  giurisdizionale,  mentre, per quanto attiene il successivo
provvedimento  di  dissequestro  adottato  con ritardo si osserva che
esso  e'  atto, posto in essere da un magistrato nell'esercizio della
propria  funzione,  di natura processuale (ordinanza) emesso ai sensi
dell'art.  676  c.p.p.  e  costituisce  estrinsecazione  di attivita'
giurisdizionale  non  rilevando,  al  fine di definirne la natura, la
tempistica della sua adozione;
        la  necessita',  che  anche  tale  provvedimento debba godere
delle  guarentigie riconosciute all'attivita' giurisdizionale, deriva
dal  fatto che ammettere anche la mera sindacabilita' del ritardo nel
provvedere  da  parte del magistrato, comporterebbe, inevitabilmente,
di  ritenere  valutabile  anche  il  compimento  di  precedenti  atti
giudiziari:  implica  un  giudizio  di  possibile incongruita' e/o di
inadeguatezza del precedente operato estrinsecatosi nel compimento di
attivita'  indubbiamente giudiziaria, e, quindi, la valutazione della
tempestivita'  e  della  regolarita' dell'atto «riparatore», nel caso
pur  sempre  previsto  da  norma  del  codice  di  procedura  penale,
minerebbe  le  garanzie  di  indipendenza  e autonomia dei magistrati
rendendo  possibile  un  giudizio  nel  merito del loro operato nelle
funzioni giurisdizionali;
        cio' posto, ritiene la sezione che, in entrambe le ipotesi di
cui  all'atto  di  citazione  (mancata adozione della disposizione in
sentenza  e ritardo nell'emissione del provvedimento «riparatore», si
verta  in  tema  di  atti  e di comportamenti relativi ad attivita' o
striato  sensu  giudiziaria  o,  comunque,  strumentale  ad  essa  da
disciplinarsi in modo uniforme e con determinate guarentige;
        invece  la  suesposta attivita', come sostiene il procuratore
generale,  e'  stata  ritenuta  dal  legislatore  come  produttiva di
responsabilita'  per il magistrato ai sensi dell'art. 172 del decreto
legislativo  n. 113 del 2002 - trasfuso nell'art. 102 del testo unico
n. 115  del  2002  -  con  la conseguenza che mentre la materia della
responsabilita' per danni indiretti verso terzi e' disciplinata dalla
legge  n. 117  del  1988 la quale si intitola «Rinascimento dei danni
cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'
civile  dei  magistrati»  -  che  prevede  tutele  e  guarentigie per
l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati medesimi, la norma di cui
i  trattasi  estende,  sia  pure con un'interpretazione autentica, le
ipotesi  di perseguibilita' per danni diretti prodotti dai magistrati
nell'esercizio  dell'attivita' giudiziaria o strumentale ad essa, non
solo   senza   darsi  carico  di  assicurare  quelle  guarentigie  di
indipendenza  ed  autonomia  di cui si era invece preoccupata l'altra
legge,    ma   assimilando,   anzi   i   magistrati   ai   funzionari
amministrativi;
        la  norma  si  presenta,  quindi  insufficiente  al  fine  di
garantire   l'indipendenza   l'insindacabilita'   e  l'autonomia  dei
magistrati;
        tale  assunto  non  e'  smentito  dalla sent. n. 385 del 1996
della  corte  costituzionale  - che, che nel dirimere un conflitto di
attribuzione,  ha  affermato  la  ipotizzabilita' della giurisdizione
della Corte dei conti per responsabilita' dei magistrati, non essendo
tale  soluzione in contrasto con la Costituzione - poiche', nel caso,
non  si  prospetta  una  incostituzionalita'  della  giurisdizione di
questo  giudice  sic et simpliciter, ben attribuibile dal legislatore
(e,  del resto, gia' prevista dalla legge n. 117 del 1988 per le sole
ipotesi  di reato, nel capo delle azioni per danni a terzi) bensi' si
prospetta  una carenza di garanzie sulla autonomia, sull'indipendenza
e  sulla pienezza della funzione giudiziaria dei magistrati di cui si
e'  preoccupata,  invece, come detto, la citata legge n. 117 del 1988
nel  prevedere  ipotesi  di responsabilita' colpose quali quelle oggi
all'esame;
        siffatta  esigenza, dall'altro canto, e' stata esplicitamente
riconosciuta  dalla  sent. n. 243 del 1989 della Corte costituzionale
che ha ritenuto che si debbano conciliare, ai fini di soddisfarla, il
principio    di   indipendenza   dei   magistrati   con   quello   di
responsabilita'  e  dalla  sent.  n. 468  del  9  ottobre  1990 della
medesima Corte che ha affermato che il differimento degli effetti del
referendum abrogativo degli artt. 55 e 56 cod. proc. civ. fu motivato
dall'esigenza  di  non  lasciare  senza  una  disciplina specifica la
materia della responsabilita' civile dei magistrati per fatti causati
dall'esercizio   della   giurisdizione,   e   che   gia'   la   Corte
costituzionale  aveva ribadito, in sede di giudizio di ammissibilita'
del  referendum»  abrogativo,  l'indispensabilita'  di  un «filtro» a
garanzia    dell'indipendenza    ed    autonomia    della    funzione
giurisdizionale,   con   cio'   riconoscendo  la  necessita'  di  una
particolare  ponderazione  e  di  un contemperamento di esigenze e di
interessi  da  parte  del  legislatore  non  essendo  stato  ritenuto
sufficiente  ricondurre  sic et simpliciter nella disciplina generale
la  responsabilita'  dei  magistrati  ad  evitare un vulnus di valori
costituzionalmente protetti;
        d'altro canto, con ordinanze n. 5 e n. 406 del 1990, la Corte
costituzionale   ha   riconosciuto   che,   nell'ipotesi  in  cui  il
comportamento  del giudice costituisca reato, lo Stato, che sia parte
in   giudizio,   puo'   agire  in  via  diretta  contro  lui,  mentre
l'esclusione,  in  ogni  altro  caso, dell'azione diretta dello stato
risponde  ad  una  scelta,  non irrazionale, di politica legislativa,
caratterizzata  dal  contemperamento  di  interessi  contrapposti  di
rilievo   costituzionale  e  che  questa  limitazione,  peraltro,  si
inquadra  in  un  sistema  di  scelte  di  politica  legislativa e di
contemperamento   tra   interessi  di  rilievo  costituzionale,  gia'
ritenuto legittimo;
        quanto esposto e' significativo quanto meno della necessita',
per  estendere sia pure con lo strumento interpretativo le ipotesi di
responsabilita'  dei  magistrati,  di  una  ponderata,  specifica  ed
esplicita  interpositio  legislatoris  che si dia carico di stabilire
tutele  e  garanzie, alla stregua di quanto gia' previsto per i danni
indiretti  in  ipotesi  colpose,  e  non  si  limiti  ad una generica
riconduzione  delle  responsabilita' colpose dei magistrati per danni
diretti,   prodotti   nell'esercizio   di   attivita'  giudiziaria  o
strumentale  ad essa, nella generale disciplina della responsabilita'
amministrativa di pubblici dipendenti onde assicurare il rispetto dei
principi di cui agli artt. 101, 102, 104 e 108 della Costituzione;
        una disciplina differenziata, in conseguenza di comportamenti
colposi dei magistrati sempre riconducibili ad attivita' giudiziaria,
per  i  danni  indiretti (assistiti da particolari guarentigie) e per
quelli  diretti  (non assistiti da alcuna guarentigia) si rivelerebbe
irragionevole   (introducendo   una   disparita'  di  trattamento  di
situazioni  consimili  non  giustificata)  e,  quindi,  in violazione
dell'art. 3 della Costituzione;
        la  mancanza  di  una  esplicita  interpositio legislatoris a
garanzia  di  quanto sopra specificato comporta anche che la norma di
cui trattasi (emanata con decreto legislativo basato su una normativa
preesistente  che non riguardava i magistrati), venendo a introdurre,
con  un'interpretazione  estensiva,  la  legittimazione  passiva, nei
giudizi  di  responsabilita',  di soggetti (magistrati) il cui status
deve essere assistito da particolari guarentigie, appare confliggente
con l'art. 108 della Costituzione non rispettando la riserva di legge
esistente in materia;
        la  sezione  ravvisa,  pertanto,  la  rilevanza,  ai fini del
decidere,  della  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 172 del
decreto  legislativo n. 113 del 2002, trasfuso del testo unico n. 115
del 2002, e la sua non manifesta infondatezza, per l'insufficienza di
garanzie,  come  sopra  esposta,  e  per  l'adozione  della norma con
strumento  inadeguato,  in  violazione degli artt. 3, 101, 102, 104 e
108 della Costituzione.
    Tanto  premesso, va disposta la sospensione del presente giudizio
e  la  trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ritenendosi
rilevante  e  non  manifestamente infondata la suesposta questione di
costituzionalita',  e mandando alla segreteria per gli adempimenti di
competenza ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.