LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio sull'appello iscritto al n. 18370 del registro di segreteria, proposto dal procuratore generale avverso la sentenza n. 490/2003 del 27 febbraio 2003-29 maggio 2003, resa dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Calabria. Visti gli atti e documenti di causa; Uditi, nella pubblica udienza dell'8 marzo 2005, il relatore Consigliere dott.ssa Piera Maggi, il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale dott. Mario Condemi e l'avvocato Rosario Chiriano per l'appellata. Considerato che: il procuratore generale ha impugnato la sentenza in epigrafe con la quale e' stato dichiarato il difetto di giurisdizione di questa Corte in relazione ai danni causati dal pretore della Sezione distaccata di Caulonia che, omettendo di provvedere al dissequestro di beni contestualmente all'intervenuta sentenza penale (divenuta esecutiva nell'ottobre 1996), e ritardando l'emissione del provvedimento di dissequestro stesso fino al successivo 22 gennaio 1998 pur dopo la ricezione di un biglietto di segreteria (il 22 gennaio 1997), che ricordava l'incombenza, ha comportato spese di custodia dei beni ritenute danno erariale che costituiscono il petitum dell'atto di citazione; la sentenza di primo grado; a) ha declinato la propria giurisdizione, sia perche' ha giudicato insindacabile, a fini risarcitori dell'erario, l'attivita', ritenuta giudiziaria, posta in essere dalla convenuta anche alla luce della legge 13 aprile 1988 n. 117 che, nello stabilire le ipotesi di responsabilita' dei magistrati, ha limitato le relative possibilita' solo ai casi di dolo del magistrato, sia perche' non ha individuato norme di diritto positivo che consentissero tale chiamata in giudizio; b) ha affermato che il presupposto dirimente per affermare o meno la giurisdizione contabile nei confronti di un magistrato deve essere rinvenuto nella natura giuridica dell'attivita': in particolare la condotta tenuta dal pretore (ritardo nella restituzione di cose sequestrate, conderivato incremento degli oneri di custodia giudiziale sopportati dallo Stato) deve essere considerata attinente alla funzione giurisdizionale sia perche' il sequestro e' avvenuto in applicazione delle norme penali e di procedura penale e sia perche' il rilascio dei beni sequestrato doveva essere disposto «all'atto dell'emissione della sentenza stessa, cioe', del provvedimento tipicamente giurisdizionale» e, quindi, anche il successivo provvedimento adottato e' attratto nell'orbita dei provvedimenti giurisdizionali; c) ha individuato, quali connotazioni sintomatiche e dirimenti, al fine di qualificare giudiziaria l'attivita', due circostanze (la fonte normativa legittimante l'atto di sequestro e la fase processuale in cui era consentito adottare il provvedimento di dissequestro) idonee a conferire natura «giurisdizionale» alla condotta lesiva ed a determinare, percio', il difetto della giurisdizione contabile; sostiene invece il procuratore generale: a) che l'attivita' di cui trattasi non si inquadri tra le incombenze giudiziarie svolte dal pretore e che il supporto normativo per addivenire alla affermazione della giurisdizione della Corte, anche al di la' delle ipotesi, di cui alla legge n. 117 del 1988 si rinvenga: 1) sia nelle disposizioni di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'art. 375 del codice di procedura civile) che, all'art. 5, prevedono l'obbligo di comunicazione del decreto di accoglimento della domanda di riparazione a cura della cancelleria, oltre che alle parti, al Procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell'eventuale avvio del procedimento di responsabilita', nonche' ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento con cio' prevedendo ipotesi di responsabilita' perseguibile presso questa Corte; 2) sia nelle norme di cui al T.U. 30 maggio 2002, n. 115 (art. 150 e 172 che disciplinano rispettivamente la competenza del magistrato in materia di restituzione di beni sequestrati e la responsabilita' dei magistrati e dei funzionari amministrativi); b) che la legge n. 117 del 1988 prende in considerazione ipotesi di danno civile indiretto causato da comportamento del magistrato (cioe' documenti recati a terzo), e non di danno diretto (cioe' lesioni direttamente ed immediatamente inferte al patrimonio statuale) e, piu' in generale, che la non perseguibilita' della condotta magistratuale copre l'intero contenuto delle attivita' stricto sensu decisorie, cioe' quell'area comportamentale che si risolve nella interpretazione e applicazione del diritto cosicche' irrazionale (ed incostituzionale) sarebbe ogni altro esonero, specie per comportamento costituenti sviste o trascuratezze inescusabili nell'adempimento di obblighi d'ufficio; c) che la legge sopra citata, peraltro, non esaurisce il novero delle possibili responsabilita' del magistrato non prevedendo i danni patrimoniali che, con i suoi comportamenti, il magistrato stesso cagioni ingiustamente e direttamente allo Stato (come ipotizzato nella fattispecie all'esame) e non ad un privato cittadino-utente del servizio giustizia che, a sua volta, azioni una pretesa risarcitoria, dovendosi escludere che, con l'entrata in vigore di detta legge, la giurisdizione contabile sussista unicamente nel caso dell'azione di regresso ex art. 13, comma 2, per ipotesi di danno conseguenti alla commissione di fatti costituenti reati; d) che, d'altro canto, le disposizioni della citata legge n. 89 del 2001 indicono a ritenere che sussistano ipotesi in cui deve affermarsi la giurisdizione della Corte dei conti, anche al di la' dei citati casi di regresso ex art. 13, comma 2 della legge 117 del 1988 e, addirittura, per responsabilita' correlate all'esercizio di funzioni giurisdizionali in senso stretto; e) che alla luce della sentenza n. 385/1996 della Corte costituzionale - che ha affermato la necessita' di una interpositio legislatoris al fine di radicare la giurisdizione della Corte ed ha sottolineato espressamente la conciliabilita' in linea di principio dell'indipendenza della funzione giudiziaria con la responsabilita' nel suo esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma anche amministrativa, nelle sue diverse forme, conciliabilita' che esiste anche in relazione, agli atti di esercizio della funzione giurisdizionale in senso stretto, per i quali l'esigenza di garanzia dell'indipendenza e dell'insindacabilita' e' massima - discenderebbe la possibilita' della ricerca e dell'applicazione, di norme di legge che prevedano e fondino l'assoggettabilita' del magistrato (civile, penale, amministrativo, contabile o militare) perfino per atti di esercizio della «funzione giurisdizionale» intesa in senso stretto e rigoroso alla congnizione giudiziale della Corte dei conti; f) che tali norme sarebbero individuabili, nel caso di specie: 1) per il presupposto soggettivo negli articoli 81, 82 e 83 del r.d. 18 novembre 1923 n. 2440, nell'art. 52 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, nell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, con riferimento all'ampia nozione di funzionari impiegati ed agenti civili e militari dello Stato e delle pubbliche amministrazioni, compresi «quelli dell'ordine giudiziario» (nozione da leggere in relazione alla ben nota estensione soggettiva di cui all'art. 28 della Costituzione), che costitutiscono elementi normativi idonei a configurare la richiesta interpositio; 2) per il presupposto oggettivo nella disciplina recata dal Testo Unico n. 115 del 2002 (mediante trasposizione coordinata di norme previgenti) a proposito di «restituzione di beni sequestrati» di responsabilita' dei magistrati e funzionari amministrativi» (artt. 150 e 172); g) che da quanto sopra esposto deriverebbe che, comunque, nel caso di specie, oltre alla attivita' giurisdizionale svolta dal giudice, sussisterebbero specifiche attivita' riferibili alla condotta (omissiva) del magistrato citato in giudizio che rinverrebbero in talune disposizioni normative (artt. 263 c.p.p. e 84 norme di att. c.p.c. - quest'ultimo ora trasfuso nell'art. 150 del d.p.r. n. 115 del 2002, e art. 10 comma e del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 237, che riproduce l'art. 455 del r.d. 23 maggio 1924, n. 287 ed ora trasfuso nell'art. 172 del d.P.R. n. 115 del 2002) una regolazione compiuta ed esplicita; h) che tale normativa rivelerebbe adeguatamente la effettiva «natura» di dette attivita', del tutto diversa da quella opinata in sentenza, trattandosi di veri e propri atti dovuti, sforniti di qualsivoglia margine di discrezionalita' (se non il mero riscontro dei presupposti applicativi) che rappresentano necessitato adempimento di altrettanti obblighi di servizio ed implicano profili di spesa che non hanno diretta incidenza non solo, e, se del caso, indirettamente sulle parti private, ma principalmente e direttamente sul bilancio erariale; conclusivamente il procuratore generale ha chiesto che, in accoglimento dell'appello, la Sezione dichiari sussistente la giurisdizione contabile e, conseguentemente, rimetta al primo giudice la causa ai sensi dell'art. 105 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 affinche' prosegua nel merito dell'azionata pretesa risarcitoria; la dott.ssa Garreffa (in atti anche indicata come Gareffa) si e' costituita in giudizio il 19 dicembre 2003 con il patrocinio dell'avvocato Rosario Chiriano il quale ha sostenuto le tesi della sentenza di primo grado circa il difetto di giurisdizione in quanto la legge n. 117 del 1988 ha escluso che l'ipotesi in questione sia tra quelle perseguibili dinnanzi alla Corte dei conti citando giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 18/1989 e ord. n. 5/1990); Ritenuto che: l'atto di citazione in base al quale la convenuta e' stata chiamata in giudizio e' stato depositato il 2 luglio 2002, nella vigenza, quindi, del d.lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e del T.U. n. 115 del 2002, e tali norme sono, pertanto, immediatamente applicabili ai fini di ritenere, sulla loro base, la sussistenza della giurisdizione, ai sensi dell'art. 5 c.p.c., pur se i fatti sono avvenuti anteriormente, anche alla luce della giurisprudenza che afferma che la giurisdizione va verificata con riguardo al giudice competente al momento della produzione del danno erariale (ex plurimis, Cass. civ., sent. n. 19662 del 22 dicembre 2003); la citata normativa, che disciplina la responsabilita' dei magistrati in materia di attivita' giudiziaria e strumentale ad essa deve, infatti, presumersi un'interpretazione estensiva - e, quindi, con valenza retroattiva - delle precedenti disposizioni che possono individuarsi, come afferma anche il procuratore generale, nell'art. 10, comma 3 del decreto legislativo n. 237 del 1997 che riproduce testualmente l'art. 455 del regio decreto n. 827 del 1924 in cui la responsabilita' per danni diretti era limitata ai funzionari e non anche ai magistrati, negli artt. 81, 82 e 83 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, nell'art. 52 del regio decreto n. 1214 del 1934 - che la estende ai «funzionari impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell'ordine giudiziario» - e nell'art. 1 della legge n. 20 del 1994, che peraltro, non si riferisce ai magistrati; se ne deve dedurre che in sede di normativa delegata, quindi, si e' ritenuto di poter sic ed simpliciter equiparare il magistrato, al fine di riconoscerne la responsabilita' nelle ipotesi di cui trattasi, al pubblico dipendente ricomprendendolo tra i soggetti legittimati passivamente in base alla esistente normativa che da essi si limitava; una diversa conclusione che non dia valenza interpretativa alla norma delegata, ma ritenga la stessa innovativa del precedente ordinamento, con l'introduzione di nuove ipotesi di responsabilita' dei magistrati, comporrebbe, infatti, un evidente eccesso di delega ed una conseguente violazione dell'art. 76 della Costituzione, poiche' siffatta possibilita' non e' contemplata dalla legge delega (art. 7 e punti n. 9, 10 e 11 dell'allegato 1 della legge 8 marzo 1999, n. 50, modificata dall'art. 1, comma 6, leggere d) ed e) della legge 24 novembre 2000, n. 340, intitolata «delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1998» deve quindi privilegiarsi un'interpretazione, almeno prima facie, secundum Constitutionem; da tanto consegue l'applicabilita' della norma al caso all'esame e la sua rilevanza al fine del decidere; devono quindi esaminarsi i motivi che inducono questo giudice a ritenere non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' della norma che prevede la responsabilita' dei magistrati per l'attivita' giurisdizionale, o per attivita' ad essa strumentale, perseguite nel caso in esame in quanto ritenuta in contrasto con gli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost., che dettano norme e garanzia dell'indipendenza e dell'insindacabilita' della funzione giurisdizionale e con l'art. 3 Cost. per irragionevolezza; il libello introduttivo, nella fattispecie, censura, due distinti profili che si ritengono, comunque, assimilabili: sia la mancata adozione del provvedimento di dissequestro da parte di un magistrato in sede di sentenza, sia il successivo ritardo nell'emissione del relativo provvedimento a seguito di sollecito da parte della cancelleria; il primo aspetto della causa petendi, verte, quindi, in materia di eventuali danni prodotti da un magistrato nell'esercizio dell'attivita' giurisdizionale (riguardo l'omissione di statuizioni da assumersi in esito a sentenza), l'altro aspetto (il successivo ritardo nel provvedere), deve inquadrarsi anch'esso nell'ambito della medesima attivita' o, comunque, di attivita' ad essa strumentale - che, per quanto di seguito si esporra', deve essere disciplinata alla stessa stregua dell'attivita' giurisdizionale - ed entrambe le ipotesi sono regolate dalla norma di cui trattasi; nulla si ritiene di dover aggiungere per quanto attiene il primo profilo della causa petendi che attiene sicuramente ad attivita' giurisdizionale, mentre, per quanto attiene il successivo provvedimento di dissequestro adottato con ritardo si osserva che esso e' atto, posto in essere da un magistrato nell'esercizio della propria funzione, di natura processuale (ordinanza) emesso ai sensi dell'art. 676 c.p.p. e costituisce estrinsecazione di attivita' giurisdizionale non rilevando, al fine di definirne la natura, la tempistica della sua adozione; la necessita', che anche tale provvedimento debba godere delle guarentigie riconosciute all'attivita' giurisdizionale, deriva dal fatto che ammettere anche la mera sindacabilita' del ritardo nel provvedere da parte del magistrato, comporterebbe, inevitabilmente, di ritenere valutabile anche il compimento di precedenti atti giudiziari: implica un giudizio di possibile incongruita' e/o di inadeguatezza del precedente operato estrinsecatosi nel compimento di attivita' indubbiamente giudiziaria, e, quindi, la valutazione della tempestivita' e della regolarita' dell'atto «riparatore», nel caso pur sempre previsto da norma del codice di procedura penale, minerebbe le garanzie di indipendenza e autonomia dei magistrati rendendo possibile un giudizio nel merito del loro operato nelle funzioni giurisdizionali; cio' posto, ritiene la sezione che, in entrambe le ipotesi di cui all'atto di citazione (mancata adozione della disposizione in sentenza e ritardo nell'emissione del provvedimento «riparatore», si verta in tema di atti e di comportamenti relativi ad attivita' o striato sensu giudiziaria o, comunque, strumentale ad essa da disciplinarsi in modo uniforme e con determinate guarentige; invece la suesposta attivita', come sostiene il procuratore generale, e' stata ritenuta dal legislatore come produttiva di responsabilita' per il magistrato ai sensi dell'art. 172 del decreto legislativo n. 113 del 2002 - trasfuso nell'art. 102 del testo unico n. 115 del 2002 - con la conseguenza che mentre la materia della responsabilita' per danni indiretti verso terzi e' disciplinata dalla legge n. 117 del 1988 la quale si intitola «Rinascimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati» - che prevede tutele e guarentigie per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati medesimi, la norma di cui i trattasi estende, sia pure con un'interpretazione autentica, le ipotesi di perseguibilita' per danni diretti prodotti dai magistrati nell'esercizio dell'attivita' giudiziaria o strumentale ad essa, non solo senza darsi carico di assicurare quelle guarentigie di indipendenza ed autonomia di cui si era invece preoccupata l'altra legge, ma assimilando, anzi i magistrati ai funzionari amministrativi; la norma si presenta, quindi insufficiente al fine di garantire l'indipendenza l'insindacabilita' e l'autonomia dei magistrati; tale assunto non e' smentito dalla sent. n. 385 del 1996 della corte costituzionale - che, che nel dirimere un conflitto di attribuzione, ha affermato la ipotizzabilita' della giurisdizione della Corte dei conti per responsabilita' dei magistrati, non essendo tale soluzione in contrasto con la Costituzione - poiche', nel caso, non si prospetta una incostituzionalita' della giurisdizione di questo giudice sic et simpliciter, ben attribuibile dal legislatore (e, del resto, gia' prevista dalla legge n. 117 del 1988 per le sole ipotesi di reato, nel capo delle azioni per danni a terzi) bensi' si prospetta una carenza di garanzie sulla autonomia, sull'indipendenza e sulla pienezza della funzione giudiziaria dei magistrati di cui si e' preoccupata, invece, come detto, la citata legge n. 117 del 1988 nel prevedere ipotesi di responsabilita' colpose quali quelle oggi all'esame; siffatta esigenza, dall'altro canto, e' stata esplicitamente riconosciuta dalla sent. n. 243 del 1989 della Corte costituzionale che ha ritenuto che si debbano conciliare, ai fini di soddisfarla, il principio di indipendenza dei magistrati con quello di responsabilita' e dalla sent. n. 468 del 9 ottobre 1990 della medesima Corte che ha affermato che il differimento degli effetti del referendum abrogativo degli artt. 55 e 56 cod. proc. civ. fu motivato dall'esigenza di non lasciare senza una disciplina specifica la materia della responsabilita' civile dei magistrati per fatti causati dall'esercizio della giurisdizione, e che gia' la Corte costituzionale aveva ribadito, in sede di giudizio di ammissibilita' del referendum» abrogativo, l'indispensabilita' di un «filtro» a garanzia dell'indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale, con cio' riconoscendo la necessita' di una particolare ponderazione e di un contemperamento di esigenze e di interessi da parte del legislatore non essendo stato ritenuto sufficiente ricondurre sic et simpliciter nella disciplina generale la responsabilita' dei magistrati ad evitare un vulnus di valori costituzionalmente protetti; d'altro canto, con ordinanze n. 5 e n. 406 del 1990, la Corte costituzionale ha riconosciuto che, nell'ipotesi in cui il comportamento del giudice costituisca reato, lo Stato, che sia parte in giudizio, puo' agire in via diretta contro lui, mentre l'esclusione, in ogni altro caso, dell'azione diretta dello stato risponde ad una scelta, non irrazionale, di politica legislativa, caratterizzata dal contemperamento di interessi contrapposti di rilievo costituzionale e che questa limitazione, peraltro, si inquadra in un sistema di scelte di politica legislativa e di contemperamento tra interessi di rilievo costituzionale, gia' ritenuto legittimo; quanto esposto e' significativo quanto meno della necessita', per estendere sia pure con lo strumento interpretativo le ipotesi di responsabilita' dei magistrati, di una ponderata, specifica ed esplicita interpositio legislatoris che si dia carico di stabilire tutele e garanzie, alla stregua di quanto gia' previsto per i danni indiretti in ipotesi colpose, e non si limiti ad una generica riconduzione delle responsabilita' colpose dei magistrati per danni diretti, prodotti nell'esercizio di attivita' giudiziaria o strumentale ad essa, nella generale disciplina della responsabilita' amministrativa di pubblici dipendenti onde assicurare il rispetto dei principi di cui agli artt. 101, 102, 104 e 108 della Costituzione; una disciplina differenziata, in conseguenza di comportamenti colposi dei magistrati sempre riconducibili ad attivita' giudiziaria, per i danni indiretti (assistiti da particolari guarentigie) e per quelli diretti (non assistiti da alcuna guarentigia) si rivelerebbe irragionevole (introducendo una disparita' di trattamento di situazioni consimili non giustificata) e, quindi, in violazione dell'art. 3 della Costituzione; la mancanza di una esplicita interpositio legislatoris a garanzia di quanto sopra specificato comporta anche che la norma di cui trattasi (emanata con decreto legislativo basato su una normativa preesistente che non riguardava i magistrati), venendo a introdurre, con un'interpretazione estensiva, la legittimazione passiva, nei giudizi di responsabilita', di soggetti (magistrati) il cui status deve essere assistito da particolari guarentigie, appare confliggente con l'art. 108 della Costituzione non rispettando la riserva di legge esistente in materia; la sezione ravvisa, pertanto, la rilevanza, ai fini del decidere, della questione di costituzionalita' dell'art. 172 del decreto legislativo n. 113 del 2002, trasfuso del testo unico n. 115 del 2002, e la sua non manifesta infondatezza, per l'insufficienza di garanzie, come sopra esposta, e per l'adozione della norma con strumento inadeguato, in violazione degli artt. 3, 101, 102, 104 e 108 della Costituzione. Tanto premesso, va disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ritenendosi rilevante e non manifestamente infondata la suesposta questione di costituzionalita', e mandando alla segreteria per gli adempimenti di competenza ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.