IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento penale n. 1361/2005 R.G. a carico di Stefanovic
Rance,  n. il  22 aprile 1960 a Ripanj (Serbia), con domicilio eletto
presso l'avv. Raffaele Leo del foro di Trieste, imputato del reato di
cui  all'art. 13,  comma 13, d.lgs. n. 286/1998 come modificato dalla
legge   12  novembre  2004,  n. 271  (legge  che  ha  convertito  con
modificazioni il d.l. n. 241/2004), perche' dopo essere stato espulso
dallo  Stato  italiano  con  decreto  del Prefetto della Provincia di
Trieste  notificato  in  data  2  dicembre 2001, con divieto di farvi
rientro   nei   cinque   anni  successivi  dalla  data  di  effettivo
allontanamento,  rientrava  nel territorio dello Stato senza speciale
autorizzazione del Ministro dell'interno.
    Accertato in Trieste il 25 luglio 2005.
    Vista  la preliminare richiesta dell'imputato di essere giudicato
col rito abbreviato; ha pronunciato la seguente ordinanza.
    In  relazione  ad identica fattispecie il Tribunale di Gorizia in
composizione   monocratica  ha  proposto  questione  di  legittimita'
costituzionale, il cui contenuto questo tribunale condivide appieno e
che riporta integralmente, facendolo proprio:
        I)  Dubita  questo  giudice della legittimita' costituzionale
della  norma  di cui all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 - come
sostituito  dalla legge 12 novembre 2004, n. 271 - nella parte in cui
prevede  il  limite  minimo  edittale di un anno di reclusione per lo
straniero  espulso  che  rientri  nel territorio dello Stato senza la
speciale  autorizzazione  del  Ministro  dell'interno, per violazione
degli articoli 3 e 27, terzo comma della Costituzione.
    Sotto   tale   profilo   si   richiama,   peraltro,  la  sentenza
costituzionale  n. 313  del 26 giugno 1990 laddove - in fase di prima
applicazione  del  rito  speciale  in questione - sottolineava che la
valutazione   di   congruita'  costituisce  diretta  espressione  del
«...parametro  costituzionale  di  cui  all'art. 27, terzo comma, che
impone   al   giudice  di  valutare  l'osservanza  del  principio  di
proporzione fra quantitas della pena e gravita' dell'offesa, e quindi
il  concreto  valore  rieducativo  della  pena  in relazione alla sua
pregnante finalita».
        II)  I  dubbi  di  costituzionalita' in ordine alla novellata
norma di cui all'art 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998, prendono corpo
-  in  primo luogo - in considerazione dei principi giurisprudenziali
costituzionali   elaborati   in   materia   di  discrezionalita'  del
legislatore  nella  determinazione  della  quantita' e qualita' della
sanzione penale.
    Gia' nel 1989, con la sentenza n. 409 la Corte - pur riaffermando
il consolidato principio secondo cui appartiene alla discrezionalita'
del  legislatore  la  determinazione della quantita' e qualita' della
sanzione    penale   -   ha,   tuttavia,   sottolineato   che   detta
discrezionalita'  non  puo' essere intesa come scevra da qualsivoglia
limite  ma deve esplicarsi, alla luce del principio di uguaglianza di
cui all'art. 3, primo comma, nel senso che «la pena sia proporzionata
al  disvalore  del  fatto  illecito  commesso, in modo che il sistema
sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale ed
a quella di tutela delle posizioni individuali».
    Ed  ha  aggiunto  che  «....  le  valutazioni all'uopo necessarie
rientrano  nell'ambito  del  potere discrezionale del legislatore, il
cui   esercizio   puo'   essere  censurato  sotto  il  profilo  della
legittimita'  costituzionale  soltanto  nei casi in cui non sia stato
rispettato il limite della ragionevolezza...».
    Successivamente,   detti  principi  sono  stati  riconfermati  ed
ulteriormente  approfonditi anche in relazione ad ulteriori parametri
costituzionali  (cfr.  sentenza  n. 343  e  422  del 1993 e n. 25 del
1994).
    In   particolare,   nella  sentenza  n. 343  del  1993  e'  stato
sottolineato   che  «la  palese  sproporzione  del  sacrificio  della
liberta'  personale ...produce una vanificazione del fine rieducativo
della  pena  prescritto dall'art. 27, terzo comma della Costituzione,
che  di  quella  liberta'  costituisce  una garanzia istituzionale in
relazione  allo stato di detenzione..»; con cio' sviluppando peraltro
quanto gia' enunciato - innovativamente, nella sentenza 313 del 1990,
laddove si riconosceva che la finalita' rieducativa della pena non e'
limitata  alla  sola  fase  esecutiva  ma  costituisce  «...una delle
qualita'  essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo
contenuto  ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta
previsione formativa, fino a quando in concreto si estingue».
        III)  Tutto  cio'  premesso,  va osservato che - nella specie
concreta  -  la  discrezionalita'  del legislatore non pare esplicata
secondo i parametri sopra richiamati.
    Invero,       la       mera      disamina      della      vicenda
legislativo-giurisprudenziale  che  ha  portato - nel novembre 2004 -
all'inasprimento  della sanzione penale in questione, sembra denotare
che  l'intervento  del legislatore sia stato ispirato da parametri ed
esigenze  di  natura  meramente  processuale,  nonostante la modifica
abbia  colpito  norme  sostanziali,  direttamente  incidenti sul bene
primario della liberta' personale.
    Invero,  ne'  nella relazione al d.l. n. 241/2004, ne' negli atti
concernenti  il  successivo  snodarsi  dell'iter  parlamentare che ha
accompagnato  l'approvazione  della legge di conversione n. 271/2004,
si  rintraccia  alcuna  giustificazione  contingente e sostanziale in
ordine  all'inasprimento  delle  sanzioni,  mentre si rinviene - piu'
volte  -  l'espressa  indicazione  della  necessita'  di  superare le
censure mosse dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 222 e 223
del 2004 («...Sul cammino della Bossi-Fini si e' abbattuta la mannaia
della  Corte  costituzionale...  Ritengo  che con il d.l. in esame il
Governo   ed   il  Parlamento  siano  intervenuti  correttamente  per
rispondere  ai  rilievi della Corte...» (A.C. 5369 discussione d.d. 2
novembre  2004  sul  testo  approvato  in  Senato il 20 ottobre 2004,
repliche del relatore alla legge).
    Dunque,  l'aggravamento  delle sanzioni non pare riconducibile ad
una  scelta  di  politica  criminale  esercitata discrezionalmente in
relazione  all'insorgere, in un peculiare momento storico-sociale, di
situazioni particolari legate al fenomeno dei migranti.
    E   cio'  pare  tanto  piu'  fondato  laddove  si  consideri  che
l'intervento  del  legislatore - piu' in generale - ha determinato la
modifica di sanzioni (molto meno gravi) che erano state introdotte in
epoca recente, con la legge n. 189/2002.
    Sotto  altro profilo, va poi rilevato che le sentenze della Corte
costituzionale  n. 222  e  223  del 2004 hanno avuto ad oggetto norme
diverse  - rispettivamente, l'art. 13, comma 5-bis e l'art. 14, comma
5-quinquies del d.lgs. 286/1998 - da quella della cui legittimita' si
dubita nella presente ordinanza.
    In  particolare la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14, comma
5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998  (nel  testo  integrato dalla legge
n. 189/2002)  illegittimo  nella  parte  in  cui  stabiliva l'arresto
obbligatorio  per  la  contravvenzione  prevista al comma 5-ter dello
stesso articolo.
    A  seguito di cio', il legislatore del novembre 2004 ha mirato il
proprio  intervento in direzione del presupposto su cui si fondava la
decisione n. 223.
    Piu'  precisamente la fattispecie di cui all'art 14, comma 5-ter,
d.lgs. n. 286/1998 - gia' contravvenzionale - e' stata trasformata in
delitto (prima parte), e' stata sanzionata con la reclusione da uno a
quattro anni, ed e' stata nuovamente individuata come fattispecie per
la   quale   e'   previsto   l'arresto  obbligatorio  (gia'  ritenuto
illegittimo in relazione alla precedente previsione contravvenzionale
atteso  che  detta  limitazione  della  liberta'  personale  non  era
comunque   suscettibile   di   trasformarsi   in   qualsiasi   misura
coercitiva...  e  percio'  ...privo  di qualsiasi sbocco processuale:
cfr. sent. n. 223/2004).
    Nella  sostanza,  tale  intervento legislativo ha riportato detta
fattispecie   nell'alveo   del   sistema  generale,  con  conseguente
possibilita'  - in astratto - di applicazione delle misure coercitive
secondo i limiti previsti dall'art. 280, comma 2 c.p.p.
    Del  tutto simile a quello appena descritto e' stato l'intervento
legislativo  operato  sulla  norma  della  cui  ragionevolezza qui si
dubita,   sebbene   la   modifica   dell'art. 13,  comma  13,  d.lgs.
n. 286/1998   abbia   assunto  carattere,  evidentemente,  preventivo
rispetto ad eventuali censure di incostituzionalita'.
    In  particolare,  l'art. 1,  comma  2-ter, lett. a), c), legge 12
novembre 2004, n. 271, ha:
        trasformato  la  fattispecie  da  contravvenzione in delitto,
imponendo  la  sanzione  della  reclusione  da uno a quattro anni, in
luogo  dell'arresto  da  sei  mesi  ad un anno (sanzione quest'ultima
introdotta dalla legge n. 189/2002, rispetto all'originario testo del
d.lgs. n. 286/1998, che prevedeva l'arresto da due a sei mesi);
        previsto  l'arresto  obbligatorio  anche  fuori  dai  casi di
flagranza, in luogo dell'arresto facoltativo in flagranza.
    Con  la  conseguenza  che,  anche  detta fattispecie, per effetto
dell'innalzamento  del  limite  edittale  massimo,  e' stata condotta
nell'ambito  di  operativita'  del sistema generale di applicabilita'
delle misure coercitive, ai sensi dell'art. 280, comma 2 cp.p.
    IV)  Alla  luce  di  quanto  sopra  esposto, si ravvisano plurimi
profili  per  dubitare  della  ragionevolezza dell'art. 13, comma 13,
d.lgs.  n. 286/1998  -  come sostituito dalla legge 12 novembre 2004,
n. 271,  nella parte in cui e' stato introdotto il minimo edittale di
un anno di reclusione.
    Innanzitutto,  sotto un profilo piu' propriamente sostanziale, va
richiamato quanto gia' sopra osservato in ordine all'insussistenza di
ragioni  contingenti,  legate  al  momento  storico-sociale, idonee a
supportare  un  aggravamento sanzionatorio di portata cosi' rilevante
da  giungere, di fatto, a raddoppiare l'entita' del precedente minimo
edittale.
    Piu' in generale, detta sanzione non pare fondata su un ponderato
bilanciamento  tra  la  tutela  dei  sottesi  interessi dell'ordine e
sicurezza  pubblica  da un lato e quello della liberta' personale del
soggetto  agente  e,  pertanto,  non  pare  conforme  ai  criteri  di
proporzione ex art. 3 e finalita' rieducativa ex art. 27, terzo comma
Cost.
    Tale  sproporzione pare evidenziarsi peraltro anche dal confronto
con  ipotesi di reato del tutto similari, posto che la fattispecie in
esame  sanziona  -  nella  sostanza  - una disobbedienza ad un ordine
dell'autorita'.
    In  particolare,  si fa riferimento alla contravvenzione prevista
dall'art.  650  c.p.  (inosservanza dei provvedimenti dell'autorita),
punita con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206 euro,
nonche'  a  quella di cui all'art. 2, legge 27 dicembre 1956, n. 1423
(inosservanza  di  provvedimenti  del  questore  da  parte di persone
pericolose) punita con l'arresto da uno a sei mesi.
    D'altronde,  con  riferimento  alla sanzione in esame, neppure e'
ravvisabile  la  ratio  piu'  volte rimarcata in sede di adozione del
d.l.  n. 241/2004  e  di  approvazione  della  legge  di  conversione
n. 271/2004, ovvero la necessita' di «rimodulare il testo della norma
censurata».
    Invero,  le  declaratorie  di illegittimita' costituzionale hanno
investito  altre  norme  (gli  artt. 13,  comma  5-bis  e  14,  comma
5-quinquies  del  d.lgs.  n. 286/1998)  e, segnatamente, in relazione
all'art. 14,   comma  5-quinquies  le  censure  costituzionali  hanno
colpito  la  previsione  dell'arresto obbligatorio, previsione allora
non prevista per la fattispecie che qui si esamina.
    Da  ultimo,  va  sottolineato  che  la  previsione  di  un minimo
edittale   cosi'   elevato,  sembra  irragionevole  anche  alla  luce
dell'unica  ratio  che  pare  effettivamente sottesa all'inasprimento
sanzionatorio   complessivo,  ovvero  in  relazione  all'esigenza  di
rendere  la  fattispecie in esame compatibile con il sistema generale
di  applicazione delle misure coercitive (posto che e' stato altresi'
previsto l'arresto obbligatorio, anche fuori dai casi di flagranza).
    Al  riguardo,  va  osservato  che il sistema applicativo di dette
misure  e'  disegnato  in  relazione  a massimi edittali inderogabili
(cfr.  274, lett. c) e 280, comma 2 c.p.p), mentre non assumono alcun
rilievo i minimi edittali.
    Dunque,  anche  sotto  tale profilo, pare del tutto irragionevole
una sanzione minima cosi' rigida e severa.
    Nella  specie  concreta la questione appare rilevante, atteso che
l'esame  del  materiale probatorio in atti condurrebbe ad un giudizio
di  colpevolezza dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 13,
comma 13, d.lgs. n. 286/1998.
    Per  tutti  i motivi esposti, pare dunque pertinente il vaglio di
legittimita'  della  norma  con  riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma della Costituzione.