ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge
16 gennaio  2003,  n. 3  (Disposizioni  ordinamentali  in  materia di
pubblica  amministrazione),  promosso  dal  Tribunale  amministrativo
regionale  della Calabria, sede di Catanzaro, sul ricorso proposto da
F. F. ed altre contro l'Universita' della Calabria, con ordinanza del
27 aprile  2004,  iscritta  al  n. 659  del registro ordinanze 2004 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visto l'atto di costituzione di F. F. ed altre;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  27 settembre  2005 il giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  gli avvocati Rinaldo Talarico e Giuseppe Carratelli per F.
F. ed altre.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Nel corso di un giudizio amministrativo - promosso da alcune
assistenti   sociali   avverso   il  decreto  col  quale  il  Rettore
dell'Universita'   degli   studi   della   Calabria  aveva  annullato
l'iscrizione  delle  medesime  al  corso  di  laurea specialistica in
programmazione  e gestione delle politiche e dei servizi sociali - il
Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro,
ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  33,  34  e  35 della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 22
della  legge  16 gennaio  2003,  n. 3  (Disposizioni ordinamentali in
materia di pubblica amministrazione).
    In  punto  di fatto il Tribunale amministrativo regionale osserva
che  l'Universita'  della Calabria aveva bandito, in data 17 dicembre
2002,  un  concorso  per  l'accesso  al corso di laurea specialistica
sopra  menzionata,  stabilendo  tra  i  requisiti  di  ammissione  il
possesso  del  diploma  di  assistente sociale; le ricorrenti avevano
partecipato  con  successo  alla  selezione, iscrivendosi al relativo
corso  di  studi, partecipando alle attivita' didattiche e sostenendo
gli  esami  prescritti. A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 22
della legge n. 3 del 2003 - norma di carattere interpretativo in base
alla   quale   i   diplomi  di  assistente  sociale  validi  ai  fini
dell'accesso  ai  corsi  di  laurea  specialistica, ai master ed agli
altri   corsi   di  formazione  post-base  sono  soltanto  i  diplomi
universitari  di  assistente  sociale  -  il Rettore dell'Universita'
aveva  emanato  il provvedimento impugnato, col quale aveva annullato
l'iscrizione  delle ricorrenti, in quanto esse avevano si' conseguito
il  diploma  di  assistente  sociale,  ma  non  quello universitario,
risultando  quindi  prive  dei  requisiti di accesso richiesti in via
retroattiva dalla norma in esame.
    Impugnato il provvedimento, il Tribunale amministrativo regionale
remittente   ne   aveva   accolto  incidentalmente  la  richiesta  di
sospensiva,  ma  tale  pronuncia era stata annullata dal Consiglio di
Stato.
    Cio'  posto,  il  giudice  a quo rileva che la norma in questione
costituisce,  per  espressa previsione legislativa, l'interpretazione
autentica  dell'art. 1, comma 10, del decreto-legge 12 novembre 2001,
n. 402,  convertito  con  modificazioni  nella  legge 8 gennaio 2002,
n. 1,  il  quale  stabilisce  che  i  diplomi conseguiti in base alla
precedente  normativa  dagli appartenenti alle professioni sanitarie,
nonche'  i  diplomi  di  assistente  sociale,  siano  validi  ai fini
dell'accesso  ai  corsi  di  laurea  specialistica, ai master ed agli
altri  corsi  di  formazione post-base di cui al decreto ministeriale
3 novembre  1999,  n. 509,  del  Ministro  dell'universita'  e  della
ricerca  scientifica.  In  base a tale norma, quindi, non c'era alcun
dubbio sul fatto che le ricorrenti avessero diritto all'iscrizione al
corso   di   laurea   specialistica;   la  norma  impugnata,  invece,
interpretando  autenticamente (e, percio', con efficacia retroattiva)
quella  precedente,  ha  fatto  si'  che  le  medesime ricorrenti non
avessero  piu'  tale  diritto,  donde  la  rilevanza  della  presente
questione  di  legittimita'  costituzionale, dal cui esito dipende la
decisione del giudizio a quo.
    Il  Tribunale amministrativo regionale rileva che l'art. 22 della
legge  n. 3  del  2003,  nonostante  la  sua  qualificazione di norma
interpretativa, e' in realta' una norma innovativa, poiche' la scelta
del legislatore di riconoscere validita', a determinati fini, al solo
diploma  universitario  di  assistente  sociale  non  rientra  tra le
possibili interpretazioni del testo della norma interpretata, in base
alla  quale  era  invece chiaro che il diploma di assistente sociale,
senza  distinzioni  di  sorta,  desse  diritto di accesso al corso di
laurea specialistica in oggetto.
    Richiamando,  quindi, la giurisprudenza costituzionale in materia
di  leggi  interpretative,  il  giudice  remittente  osserva  che  il
legislatore  puo'  porre  norme  che  retroattivamente  precisino  il
significato   di  altre  preesistenti,  ovvero  impongano  una  delle
possibili   varianti   di   senso  nel  testo  interpretato,  purche'
compatibilmente  col  tenore letterale di questo; nel caso specifico,
pero', il significato della norma interpretata fissato dalla legge di
interpretazione rappresenta una novita', sicche' non sarebbe corretto
parlare  di  semplice  legge  interpretativa.  E, per dimostrare tale
assunto,  il Tribunale amministrativo regionale della Calabria compie
un  rapido  richiamo  di  altre  norme  del settore. Innanzitutto, il
giudice  a  quo  cita  il  d.P.R.  15 gennaio  1987,  n. 14, che, nel
razionalizzare  la  disciplina  del  diploma  di  assistente  sociale
riconoscendo  il  diploma  rilasciato  dalle  scuole  dirette  a fini
speciali  universitarie come «unico titolo abilitante per l'esercizio
della  professione  di assistente sociale», ha tuttavia espressamente
previsto   (artt. 3,  4,  5  e  6)  la  salvaguardia,  a  determinate
condizioni,  dei  diplomi  di assistente sociale conseguiti presso le
scuole  universitarie  all'epoca  gia' esistenti (art. 3), ovvero dei
diplomi  comunque  conseguiti  da coloro che, alla data di entrata in
vigore  del decreto, fossero gia' in servizio come assistenti sociali
nell'amministrazione dello Stato o in altre amministrazioni pubbliche
(art. 4),   ovvero,   in  via  transitoria,  dei  diplomi  conseguiti
all'esito  del  completamento  di corsi gia' iniziati e svolti presso
scuole  dichiarate  idonee  tramite  decreto  ministeriale  (art. 6).
L'art. 5 del d.P.R. n. 14 del 1987, infine, con norma di chiusura, ha
consentito  l'equipollenza  dei  diplomi conseguiti in precedenza, in
situazioni  diverse  da  quelle dianzi elencate, a condizione che gli
aspiranti  avessero sostenuto con esito positivo un apposito esame di
convalida presso le universita'.
    Dalla  lettura della suddetta normativa - coordinata con l'art. 5
della  successiva  legge  23 marzo  1993, n. 84, istitutiva dell'albo
professionale  e  dell'ordine  degli  assistenti  sociali,  e con gli
artt. 22  e  seguenti del d.P.R. 5 giugno 2001, n. 328 - risulterebbe
chiaramente,  a  detta  del giudice remittente, la preoccupazione del
legislatore   di   salvaguardare  i  diplomi  di  assistente  sociale
conseguiti  in  virtu' delle precedenti discipline. Nell'ambito di un
sistema  cosi'  delineato,  quindi,  si  inserisce  in modo del tutto
coerente  la  norma  dell'art. 1, comma 10, del d.l. n. 402 del 2001,
convertito  nella  legge  n. 1  del  2002,  mentre  risulta  nuovo  e
dissonante  l'effetto  che  viene  a  crearsi  in  forza  della norma
impugnata  la  quale,  a detta del Tribunale amministrativo regionale
della  Calabria,  avrebbe «mascherato norme effettivamente innovative
dotate  di  efficacia  retroattiva».  Nel caso specifico, inoltre, la
norma  di interpretazione autentica non sarebbe rispettosa dei canoni
individuati  dalla giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale
tale  tipo  di  legge si giustifica per la necessita' di chiarire uno
dei   possibili  sensi  della  norma  interpretata  o  per  eliminare
eventuali  incertezze  interpretative  o contrasti giurisprudenziali,
esigenze che non sorgevano per la norma oggetto di interpretazione.
    L'art. 22   della   legge  n. 3  del  2003,  inoltre,  appare  al
remittente  viziato  da  irragionevolezza  ed in contrasto con alcuni
fondamentali  valori  costituzionali.  Esso,  infatti, sarebbe lesivo
dell'affidamento  delle  posizioni  soggettive  maturate in capo alle
ricorrenti  che  avevano gia' superato la fase di ammissione al corso
di  laurea  specialistica  nel  momento in cui la norma e' entrata in
vigore.  Essa,  inoltre,  determinerebbe  anche  una  violazione  del
principio  della parita' di trattamento, poiche' coloro i quali, come
le  ricorrenti,  hanno  conseguito  diplomi di assistente sociale non
universitari  ma rientranti nelle ipotesi dei menzionati artt. 3, 4 e
6  del  d.P.R.  n. 14  del  1987  non  hanno  dovuto  usufruire della
procedura di convalida di cui all'art. 5 del decreto stesso in quanto
ritenuta  superflua;  con  la  paradossale  conseguenza che i diplomi
convalidati  dalle  scuole  universitarie  (in base al citato art. 5)
consentirebbero  la  partecipazione  alle lauree specialistiche ed ai
corsi  post-base  di cui alla norma impugnata, mentre altrettanto non
potrebbe  avvenire  per  i  diplomi che erano ab origine equiparati a
quelli  universitari  e che percio' erano esclusi dal procedimento di
convalida.
    Oltre  alle  molteplici  violazioni dell'art. 3 Cost., infine, il
Tribunale  amministrativo  regionale  osserva che la norma impugnata,
stabilendo  un  rigido  ed  automatico divieto di accesso alla laurea
specialistica,   del  tutto  svincolato  da  «requisiti  negativi  di
capacita'  e  di  merito»,  si  pone  altresi'  in  contrasto con gli
artt. 33,   34   e  35  Cost.,  comportando  violazione  del  diritto
all'accesso  ai gradi piu' elevati degli studi ed al mondo del lavoro
e delle professioni.
    2.  -  Si  sono  costituite  in  giudizio  tutte le parti private
ricorrenti,   con   un'unica  memoria  difensiva,  chiedendo  che  la
prospettata  questione  venga  dichiarata fondata, con argomentazioni
analoghe a quelle dell'ordinanza di rimessione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede
di  Catanzaro, dubita, in riferimento agli artt. 3, 33, 34 e 35 della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 22 della
legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di
pubblica   amministrazione),   recante   la   rubrica   «Disposizione
interpretativa».
    Secondo  il  remittente  l'autoattribuzione  della  qualifica  di
disposizione interpretativa ed il suo tenore letterale comportano che
alla  norma  sia  riconosciuta efficacia retroattiva e cio', oltre ad
accentuare la sua intrinseca irragionevolezza, e' di per se' causa di
illegittimita'  in quanto lede il principio dell'affidamento, fondato
sulla equipollenza dei titoli richiesti dalla disciplina preesistente
per l'attribuzione della qualifica di assistente sociale. Nella norma
censurata  sarebbero  pertanto  da  ravvisare  profili  di violazione
dell'art. 3 della Costituzione.
    Il remittente sostiene, inoltre, che l'art. 22 citato viola anche
gli  artt. 33,  34  e  35 Cost., i quali garantiscono il diritto allo
studio  ed  all'accesso  ai gradi piu' alti degli studi, oltre che al
mondo  del  lavoro  e  delle  libere professioni in base alle proprie
capacita' e ai propri meriti.
    2.  -  Si  rileva,  anzitutto,  l'inammissibilita'  degli  ultimi
profili  di  censura,  che  si  esauriscono nella mera evocazione dei
parametri costituzionali, non sorretta da congrua motivazione.
    3.  -  La  questione  deve  invece  essere  scrutinata nel merito
riguardo  alla  denuncia  di  contrasto  della  norma  impugnata  con
l'art. 3 della Costituzione.
    Si  premette che va condivisa la tesi del remittente, conforme al
costante  indirizzo di questa Corte, secondo la quale la disposizione
censurata   ha   efficacia  retroattiva.  Confortano,  infatti,  tale
opinione  la rubrica, che la definisce «Disposizione interpretativa»,
e il suo tenore letterale: «il comma 10 del decreto-legge 12 novembre
2001, n. 402 ... s'interpreta nel senso che ...».
    Ora,  al  di  fuori della materia penale, rientrante nel precetto
dell'art. 25,  secondo  comma, Cost., cio' che conta precipuamente ai
fini  del  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  di  una  legge
retroattiva non e' l'esistenza dei presupposti, del resto discutibili
e  discussi,  per  l'emanazione  di  una legge interpretativa, quanto
piuttosto  la  non irragionevolezza della sua efficacia retroattiva e
l'inesistenza di violazioni di altri principi costituzionali.
    E'  stato  infatti affermato che «il legislatore puo' porre norme
che   retroattivamente   precisino  il  significato  di  altre  norme
preesistenti,  ovvero impongano una delle possibili varianti di senso
del  testo originario, purche' compatibile con il tenore letterale di
esso».  E la Corte ha anche chiarito che «in tali casi il problema da
affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto
i  limiti  che  la  sua  portata  retroattiva  incontra alla luce del
principio  di  ragionevolezza  e  del  rispetto  di  altri  valori ed
interessi  costituzionalmente  protetti»  (v.,  ex plurimis, sentenze
n. 376  e  n. 421  del 1995, n. 229 del 1999, n. 525 del 2000, n. 291
del 2003 e n. 168 del 2004).
    Con  riguardo  ai limiti della legittimita' costituzionale di una
legge  cui dal legislatore e' stata attribuita efficacia retroattiva,
e,  per  concludere  sul  punto,  con piu' specifico riferimento alla
motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione, questa Corte ha ritenuto
che  «in  linea generale, l'affidamento del cittadino nella sicurezza
giuridica  -  essenziale  elemento  dello Stato di diritto - non puo'
essere   leso   da   disposizioni   retroattive,  che  trasmodino  in
regolamento  irrazionale  di  situazioni sostanziali fondate su leggi
anteriori» (v., ex plurimis, sentenza n. 446 del 2002).
    Nel  caso in esame il remittente, nell'affermare la non manifesta
infondatezza  della  questione,  sostiene  che la norma censurata, in
quanto dotata di efficacia retroattiva, lederebbe l'affidamento nella
equipollenza  ai  diplomi  universitari  dei diplomi non universitari
rilasciati  da  istituzioni  diverse  in  determinate situazioni o in
possesso  di  soggetti  parti di rapporti di lavoro nella qualita' di
assistenti   sociali.   La   norma  interpretata  dalla  disposizione
impugnata  dovrebbe  infatti  essere  letta  alla  luce  di  tutta la
precedente   vicenda   normativa   che  siffatte  equipollenze  aveva
stabilito  e  ribadito. L'espressione «diplomi di assistente sociale»
contenuta   nel  comma 10  dell'art. 1  del  d.l.  n. 402  del  2001,
convertito  nella  legge  n. 1  del  2002,  non  sarebbe,  secondo il
remittente,    suscettibile   in   via   interpretativa   di   alcuna
specificazione,  sicche'  non  vi  sarebbe  stata  alcuna ragione per
dettare una norma come quella impugnata.
    4.  -  La  normativa  in  tema di attribuzione della qualifica di
assistente  sociale, cui il remittente si riferisce per sorreggere la
propria tesi, puo' essere ricostruita nel modo seguente.
    L'art. 12,  ultimo  comma,  della  legge 21 febbraio 1980, n. 28,
attribui'  al  Governo  la  delega  ad emanare norme per rivedere gli
ordinamenti,  tra  l'altro,  delle  scuole  dirette  a  fini speciali
universitarie    e    delle    scuole   di   perfezionamento   e   di
specializzazione.
    In  attuazione  della  delega fu emanato il d.P.R. 10 marzo 1982,
n. 162,  il cui art. 9 stabili' che «con decreti del Presidente della
Repubblica,  previa  deliberazione  del  Consiglio  dei  ministri  su
proposta  del  Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il
Ministro  di  grazia  e  giustizia ed i ministri interessati, possono
essere  determinati  i  diplomi  delle scuole dirette a fini speciali
che,  in  relazione  a  specifici profili professionali, hanno valore
abilitante per l'esercizio delle corrispondenti professioni ovvero di
titolo  per  l'accesso  a determinati livelli funzionali del pubblico
impiego per i quali non sia previsto il diploma di laurea».
    L'art. 19  del  citato d.P.R. - recante la rubrica «Convalida dei
titoli  conseguiti  nel  precedente  ordinamento»  - prescrisse che i
decreti  presidenziali  di  cui al precedente art. 9 avrebbero dovuto
contenere «disposizioni transitorie per disciplinare il passaggio dal
precedente  al  nuovo  ordinamento e le condizioni e le modalita' per
ammettere  all'esercizio delle corrispondenti attivita' professionali
coloro   che  hanno  conseguito  il  titolo  in  base  al  precedente
ordinamento».
    Da  quanto detto emerge che il legislatore, intendendo ricondurre
nell'ambito   dell'istruzione   universitaria   la  formazione  degli
assistenti  sociali,  ritenne di dover tenere conto della vicenda sia
normativa sia di fatto che si era svolta, considerando la varieta' di
origine  delle  scuole  e  dei  corsi  per assistenti sociali via via
istituiti,  oltre  che  da universita', anche da altri enti pubblici,
nonche' da organizzazioni private.
    Tale  intendimento  venne realizzato nella disciplina successiva.
Infatti  il  d.P.R.  15 gennaio 1987, n. 14 - emanato in ottemperanza
alla  prescrizione  del  citato art. 9 e intitolato, appunto, «Valore
abilitante   del   diploma   di   assistente  sociale  in  attuazione
dell'art. 9  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 10 marzo
1982,  n. 162»  -  dopo  aver  dettato  la  regola  che  «il  diploma
rilasciato   dalle  scuole  dirette  a  fini  speciali  universitarie
costituisce   l'unico   titolo   abilitante   per  l'esercizio  della
professione  di assistente sociale» (art. 1), stabili' l'equipollenza
a  tale  diploma  di diverse situazioni nate nel corso degli anni. In
particolare,   per  quel  che  qui  interessa,  attribui'  la  stessa
efficacia  giuridica  ai  diplomi di coloro che erano in servizio, al
momento  dell'entrata  in  vigore  della  legge,  alle  dipendenze di
amministrazioni o enti pubblici o vi avevano lavorato per cinque anni
(art. 4); ai diplomi, comunque conseguiti, convalidati entro tre anni
-  termine poi prorogato per un anno (d.P.R. 5 luglio 1989, n. 280) -
dalle  scuole speciali universitarie (art. 5); ai diplomi rilasciati,
fino  al  completamento  dei  corsi,  agli  allievi gia' iscritti, da
scuole  dichiarate  idonee  con  decreto  del Ministro della pubblica
istruzione  che  avrebbe  vigilato  avvalendosi  eventualmente  delle
universita' (art. 6).
    La  legge  19 novembre  1990,  n. 341  (Riforma degli ordinamenti
didattici   universitari)   ha   previsto   la   soppressione   o  la
trasformazione  delle scuole dirette a fini speciali (art. 7), ma non
ha modificato la disciplina delle indicate equipollenze ne' ha inciso
sul  regime  scaturente  dalla normativa emanata fino ai d.P.R. n. 14
del 1987 e n. 280 del 1989.
    La  successiva legge 23 marzo 1993, n. 84, istitutiva dell'albo e
dell'ordine degli assistenti sociali, non soltanto non ha cambiato la
suddetta  normativa, ma l'ha espressamente richiamata, stabilendo che
«fino   alla  soppressione  delle  scuole  dirette  a  fini  speciali
universitarie, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della
Repubblica  15 gennaio  1987, n. 14, o fino alla trasformazione delle
medesime  in  corsi  di  diploma universitario, ai sensi dell'art. 7,
comma 1,   lettera a),   della   legge   19 novembre   1990,  n. 341,
l'iscrizione  all'albo  di cui all'articolo 3 della presente legge e'
consentita   a   coloro   che   abbiano   conseguito   l'abilitazione
all'esercizio  della  professione  ai  sensi  del  citato decreto del
Presidente della Repubblica n. 14 del 1987, come da ultimo modificato
dal  decreto  del  Presidente della Repubblica 5 luglio 1989, n. 280»
(art. 5).
    5.  -  Dalla esposta vicenda normativa risulta che le equivalenze
al   possesso   del   diploma  universitario  di  altre  posizioni  -
equivalenze  volute dal legislatore al fine di soddisfare aspettative
nate  in un'epoca nella quale le attivita' rientranti successivamente
nella  professione  di  assistente sociale non erano state oggetto di
specifica,  organica  disciplina  -  concernevano  l'esercizio  della
professione  di assistente sociale, ma non tale qualifica come titolo
abilitante  al  prosieguo  degli  studi. A tal proposito e' opportuno
sottolineare  che  il  d.P.R.  n. 162  del  1982  concerne  i diplomi
abilitanti «per l'esercizio delle corrispondenti professioni» nonche'
«le  condizioni  e  le  modalita'  per  ammettere all'esercizio delle
corrispondenti  attivita' professionali coloro che avevano conseguito
il titolo in base al precedente ordinamento» (art. 19); che il d.P.R.
n. 14  del  1987  stabilisce  espressamente che il diploma rilasciato
dalle  scuole  dirette  a  fini  speciali  costituisce l'unico titolo
abilitante  per  l'esercizio della professione di assistente sociale,
sicche' l'equipollenza a tale diploma di diverse situazioni va intesa
come  riferentesi  all'esercizio  professionale  e  quindi  a  questo
limitata;   che,   infine,   la   legge  n. 84  del  1993  disciplina
l'iscrizione  all'albo  tenendo conto dell'abilitazione all'esercizio
della professione ai sensi del d.P.R. n. 14 del 1987.
    D'altra  parte  va  considerato  che  la riforma dell'ordinamento
universitario,  con  l'istituzione  delle  lauree  di primo livello e
delle lauree specialistiche, ha ricevuto la sua prima attuazione solo
con  il  d.m.  3 novembre 1999, n. 509, sicche' e' evidente che nella
normativa   precedente  non  potessero  esservi  norme  che  ad  essa
facessero riferimento.
    Non   esisteva,   pertanto,   il   contesto   normativo  tale  da
giustificare   l'affidamento   che   l'equipollenza   di  situazioni,
stabilita  ai  fini  dell'esercizio  della  professione di assistente
sociale,  valesse  anche  al  diverso fine della considerazione delle
situazioni  stesse  quali  titoli  abilitanti  per il prosieguo degli
studi.
    La   disposizione  interpretata  da  quella  oggetto  di  censura
concerne  appunto i diplomi di assistente sociale come titoli «validi
ai  fini  dell'accesso ai corsi di laurea specialistica, ai master ed
agli   altri   corsi  di  formazione  post-base  di  cui  al  decreto
ministeriale 3 novembre 1999, n. 509, del Ministro dell'universita' e
della ricerca scientifica e tecnologica».
    Si  deve  percio'  dedurre  la  non  omogeneita'  della finalita'
(esercizio  della  professione  di  assistente sociale) riguardo alla
quale   e'  stata  riconosciuta  l'equipollenza  delle  posizioni  in
questione  al  diploma rilasciato in ambito universitario, rispetto a
quella  (accesso  a  corsi  di  istruzione  universitaria  superiore)
prevista  dalla  norma  interpretata.  E,  d'altra  parte,  non  puo'
ritenersi  intrinsecamente irragionevole il fatto che l'accesso ad un
corso  di  laurea  specialistica  (o  ad  altri  corsi  di istruzione
superiore)  venga, nel sistema delineato dalla legge n. 341 del 1990,
ristretto  a  coloro  i  quali  sono  gia'  titolari  di  un  diploma
universitario.
    Ne  consegue  che  la  norma,  censurata  per  la  sua  efficacia
retroattiva,  non  puo' essere considerata irragionevole nel contesto
della  normativa esistente, perche' il significato da essa attribuito
alla  disposizione  del comma 10 dell'art. 1 del d.l. n. 402 del 2001
rientra  nelle  varianti  di  senso  a  questo attribuibili nella sua
letterale formulazione.