IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 1994/2001,
proposto  da  Mosconi  Alessandro  e  dall'ordine  degli ingegneri di
Verona   e   provincia,   in  persona  del  Presidente  pro  tempore,
rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti  Gian Paolo Sardos Albertini,
Paolo  Piva  e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio
di quest'ultimo in Venezia-Mestre, via Cavallotti n. 22;
    Contro  il  Ministero  per  i  beni  e le attivita' culturali, in
persona   del   Ministro   pro   tempore,   rappresentato   e  difeso
dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato, domiciliataria per legge
nella sua sede in Venezia, S. Marco n. 63; e nei confronti del comune
di  San  Martino  Buon  Albergo  (Verona), in persona del Sindaco pro
tempore,  rappresentato e difeso dagli avv.ti Aldo ed Elisa Fichera e
Giovanni  Battista  Maggiolo con domicilio eletto presso lo studio di
quest'ultimo  in  Venezia,  S. Marco  n. 3481;  con  l'intervento del
Consiglio  nazionale  degli  ingegneri, in persona del Presidente pro
tempore,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.ti  Bruno  Nascimbene,
Massimo  Condinanzi,  Gian  Paolo  Sardos  Alberini  e Paolo Piva con
domicilio  eletto  presso  lo  studio  dell'avv. Franco  Zambelli  in
Venezia-Mestre,  via  Cavallotti n. 22; del Consiglio nazionale degli
architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, in persona del
Presidente  pro tempore, e dell'Ordine degli architetti di Verona, in
persona  del  Presidente  pro  tempore,  rappresentato e difeso dagli
avv.ti  Francesco  Sciandone  e Alfredo Biagini, con domicilio eletto
presso  lo  studio di quest'ultimo in Venezia, S. Croce n. 466/g; per
l'annullamento del provvedimento 19 giugno 2001 n. prot. 10017 con il
quale  la  Soprintendenza  per i beni ambientali ed architettonici di
Verona  ha implicitamente negato all'ing. Mosconi l'autorizzazione al
subentro  nella  direzione  dei  lavori,  oggetto  della  concessione
edilizia n. 29/01, su un immobile vincolato sottoposto alla tutela ex
d.lgs.   n. 490/1999,   affermando   l'esclusiva   competenza   degli
architetti.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti  di costituzione in giudizio del Ministero e del
Comune intimati;
    Visti  gli atti di intervento in giudizio del Consiglio nazionale
degli   ingegneri,   del   Consiglio   nazionale   degli  architetti,
pianificatori,   paesaggisti   e  conservatori  e  dell'Ordine  degli
architetti di Verona;
    Viste le memorie prodotte dalle parti;
    Vista la propria ordinanza n. 4236/01 del 24 ottobre 2001 con cui
e'  stato  sospeso  il  giudizio  e sono stati rinviati gli atti alla
Corte   di   giustizia  delle  comunita'  europee  per  la  pronuncia
pregiudiziale  - ex art. 234 Trattato CE - sull'interpretazione degli
artt. 10 e 11 della direttiva n. 384/85;
    Vista  l'ordinanza  della  Corte  di  giustizia  delle  comunita'
europee  (IV  sez.)  5 aprile 2004 recante la pronuncia pregiudiziale
richiesta da questo Tribunale;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Uditi  nella  pubblica  udienza  del 14 luglio 2005 - relatore il
consigliere  Lorenzo Stevariato - l'avv. Piva per il ricorrente e per
il Consiglio nazionale degli ingegneri, l'avv. Maggiolo per il Comune
di   S. Martino  Buon  Albergo,  l'avv. Sciandone  per  il  Consiglio
nazionale degli achitetti e per l'Ordine degli architetti di Verona e
l'Avvocato dello Stato Antonello Brunetti per il Ministero per i beni
e le attivita' culturali.
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

                              F a t t o

    L'Ordine degli ingegneri di Verona ed il sig. Alessandro Mosconi,
ingegnere  civile, impugnano il provvedimento in epigrafe, con cui la
Soprintendenza  per  i beni ambientali ed architettonici di Verona ha
implicitamente  negato  all'ing. Mosconi l'autorizzazione al subentro
nella  direzione  dei  lavori,  oggetto  della  concessione  edilizia
n. 29/01,  su  un immobile vincolato sottoposto alla tutela ex d.lgs.
n. 490/1999, affermando l'esclusiva competenza degli architetti.
    Ritenendo  tale  provvedimento  illegittimo  e  lesivo dei propri
interessi,  ne  chiedono  l'annullamento  deducendo  a  sostegno  del
ricorso i seguenti motivi:
        1) violazione della direttiva CEE 10 giugno 1985, n. 384, che
ha  riconosciuto  l'equiparazione  tra ingegneri civili e architetti,
attuata in Italia con il d.lgs. n. 129/1992.
    La direttiva comunitaria 85/384 fa parte - secondo i ricorrenti -
delle  cosiddette  «direttive  di  armonizzazione»  ed  e'  intesa ad
uniformare  negli stati membri le condizioni minime per la formazione
di   coloro  che  operano  nel  settore  dell'architettura.  Cio'  il
legislatore comunitario ha fatto dettando alcune fondamentali regole,
comuni a tutti gli stati membri: in particolare, l'art. 11, lett. g),
della direttiva parifica i diplomi di laurea in architettura a quelli
in ingegneria civile.
    Per  espresso  riconoscimento  del  legislatore  comunitario,  in
Italia sia i corsi di laurea in architettura che i corsi di laurea in
ingegneria  civile rispettano le norme comuni fissate dal legislatore
comunitario  e  quindi  entrambi garantiscono il conseguimento di una
preparazione idonea ad operare nel settore dell'architettura.
        2) violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di
potere per carenza ed insufficienza di motivazione.
    L'atto impugnato - assumono i ricorrenti - si limita a richiamare
acriticamente  il  parere  del  Consiglio  di Stato n. 386/1997 ed e'
insufficientemente motivata.
    Si  sono  costituite  in  giudizio  le  intimate  Amministrazioni
statale e comunale contestando la fondatezza del gravame.
    Sono  altresi'  intervenuti  in  giudizio  il Consiglio nazionale
degli   ingegneri   ed   il  Consiglio  nazionale  degli  architetti,
pianificatori, paesaggisti e conservatori.

                            D i r i t t o

    Costituisce  oggetto  del  giudizio  il  provvedimento con cui la
Soprintendenza  per  i beni ambientali ed architettonici di Verona ha
negato al sig. Alessandro Mosconi, ingegnere civile, l'autorizzazione
al  subentro  nella  direzione  dei lavori, oggetto della concessione
edilizia n. 29/01, su un immobile vincolato sottoposto alla tutela ex
d.lgs.  n. 490/1999  (ora, d.lgs. n. 42/2004), affermando l'esclusiva
competenza   degli   architetti   ex   art. 52,  secondo  comma,  del
regio-decreto 22 ottobre 1925, n. 2537, che reca una riserva a favore
degli  architetti  per  «le  opere  di edilizia civile che presentano
rilevante  carattere  artistico»  e  per «il restauro e il ripristino
degli  edifici  contemplati  dalla  legge 20 giugno 1909, n. 364, per
l'antichita' e le belle arti».
    Le parti ricorrenti hanno svolto le principali censure osservando
che  la  direttiva  CEE  10 giugno 1985, 384/85 (cui l'Italia ha dato
attuazione   con   il  d.lgs.  27 gennaio  1992,  n. 129,  modificato
dall'art. 16  della legge 3 febbraio 2003, n. 14) ha introdotto norme
di  reciproco  riconoscimento,  tra  gli Stati membri, di diplomi per
agevolare  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  di stabilimento e di
libera    prestazione   dei   servizi   nel   settore   professionale
dell'architettura (definita dall'art. 1 della direttiva).
    Il riconoscimento reciproco di titoli professionali, con norme di
ravvicinamento    delle    legislazioni    nazionali,   nel   settore
dell'architettura e' inteso a garantire la liberta' di stabilimento e
di  libera  prestazione di servizi all'interno degli stati membri (ai
sensi  dell'art. 50  del Trattato stesso, i servizi comprendono anche
le attivita' delle libere professioni).
    L'obbligatorio  riconoscimento  dei  diplomi,  dei  certificati e
degli  altri  titoli  in  ciascuno  Stato membro e' disciplinato, con
norme   puntuali,  dagli  artt. 7,  10  ed  11  della  direttiva:  in
particolare, la lettera g) dell'art. 11 stabilisce espressamente che,
nel regime transitorio, i diplomi da riconoscere per l'Italia sono:
        «- i  diplomi  di laurea in architettura ... accompagnati dal
diploma  di abilitazione all'esercizio indipendente della professione
di  architetto ...  una  volta  che  il candidato abbia sostenuto con
successo ...  l'esame di stato che abilita all'esercizio indipendente
della professione di architetto (dott. architetto);
         -  i  diplomi  di  laurea  in  ingegneria  nel settore della
costruzione  civile ...  accompagnati  dal  diploma  di  abilitazione
all'esercizio   indipendente   di   una   professione   nel   settore
dell'architettura ...  una volta che il candidato abbia sostenuto con
successo ...  l'esame di stato che abilita all'esercizio indipendente
della  professione  (dott. ing. architetto o dott. ing. in ingegneria
civile);».
    Ai    fini    dell'accesso    alle    attivita'    del    settore
dell'architettura,   nella  presente  controversia  si  e'  posto  il
problema  se  debba  essere  indifferentemente riconosciuto lo stesso
effetto ai due anzidetti titoli: architetto ed ingegnere civile.
    In particolare, si e' posto il problema se continui ad applicarsi
l'art. 52,  secondo comma, del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, qualora
sia  ritenuto  contrastante con la fonte sovranazionale (la direttiva
384/85)  ed,  in  tal caso, se quest'ultima debba essere direttamente
applicata   quale  esclusiva  disciplina  della  materia.  Cioe',  la
disciplina  contenuta  nella  direttiva, se ritenuta «self executing»
(perche'  reca  una  disposizione  incondizionata  e sufficientemente
precisa,  e  quindi immediatamente applicabile e non abbisognevole di
svolgimento  mediante  disposizioni attuative nel nostro ordinamento)
sarebbe direttamente applicabile.
    Occorre  aggiungere  che  la  direttiva  comunitaria  ha  trovato
attuazione  in  Italia  col d.lgs. n. 129/1992 il quale prevedeva, al
comma 2  dell'art. 1,  che  «Restano  in  vigore  le disposizioni che
regolano  l'esercizio  in Italia delle attivita' di cui al comma 1 da
parte  di  persone in possesso di titolo professionale idoneo in base
alle  norme  vigenti  alla  data  di  entrata  in vigore del presente
decreto.».
    Tale  disposizione  sembrava  avallare  la  compatibilita' con la
direttiva  CEE  della  riserva recata dall'art. 52 secondo comma, del
r.d.  23 ottobre  1925,  n. 2537,  ma  essa  e' stata successivamente
abrogata  dall'art. 16  della  legge  n. 14/2003, cosicche' il d.lgs.
n. 129/1992  si  appalesa  ormai  del tutto ininfluente ai fini della
soluzione della questione, anche perche' non reca alcuna disposizione
relativa all'art. 11, lett. g), della direttiva n. 384/85.
    Dunque,  se  vi fosse l'anzidetto contrasto dell'art. 52, secondo
comma, del r.d. 23 ottobre 1925, n. 2537, con la direttiva n. 384/85,
la  prevalenza della fonte normativa comunitaria su quella nazionale,
sancita  dall'art. 249  del  Trattato  istitutivo  della CEE, sarebbe
assicurata  con la disapplicazione della fonte nazionale, non solo da
parte  degli organi giurisdizionali, ma anche da parte della pubblica
amministrazione (vd., ex multis, le sentenze della Corte di Giustizia
CEE  22  giugno  1989  in  causa  103/88,  F.lli  Costanzo  S.p.a., e
19 gennaio  1992,  Becker,  in  causa  8/81; vd. inoltre Cons. Stato,
sez. V,  6 aprile  1991  n. 452  e,  sull'effetto di disapplicazione,
Corte costituzionale, 4-11 luglio 1989 n. 389).
    Al  riguardo,  erano  gia'  intervenute  due  pronunce  di questo
Tribunale:  la  prima  (sez. I,  9 marzo 1999 n. 307) favorevole alla
disapplicazione  dell'art. 52 r.d. n. 2537/1925 e la seconda (sez. I,
28 giugno  1999  n. 1098)  contraria,  quest'ultima  sulla base anche
delle  considerazioni  espresse  in  un parere del Consiglio di Stato
(sez. II, 23 luglio 1997 n. 386).
    Per  risolvere definitivamente la questione, nuovamente sollevata
col  presente  ricorso, questo Tribunale con ordinanza n. 4236/01 del
24 ottobre  2001  ha ritenuto di sospendere il giudizio e di rinviare
gli  atti  alla  Corte  di  giustizia  delle comunita' europee per la
pronuncia     pregiudiziale     -    ex    art. 234    Trattato    CE
sull'interpretazione degli artt. 10 e 11 della direttiva n. 384/85.
    Si  puo'  aggiungere  che  anche  il  Consiglio  di Stato, con la
recente  ordinanza della VI sezione n. 2379/05, ha rimesso alla Corte
di giustizia CE la stessa questione.
    In  particolare,  questo  Tribunale  ha  chiesto  alla  Corte  di
giustizia di chiarire:
        a) se  la  direttiva  10 giugno  1985 n. 384 del Consiglio si
debba  interpretare  nel  senso  che,  proprio  perche' pone norme di
armonizzazione  minima,  le sue disposizioni debbono essere applicate
in fattispecie puramente interne;
        b) se  le  disposizioni  di  cui  agli  artt. 10  e  11 della
predetta  direttiva  -  nelle  quali  si  precisa  che  il  titolo di
ingegnere  civile  e' equiparato, ai fini dell'accesso ai servizi nel
settore  professionale  dell'architettura,  a  quello di architetto -
impongano  ad  uno  Stato  membro  di non escludere dall'accesso alle
prestazioni  in  questione  i propri laureati che seguano un corso di
laurea  comportante  un  percorso  di  studi  come quello seguito dai
laureati in ingegneria civile in Italia;
        c) se,   infine,  il  principio  di  uguaglianza,  in  quanto
principio  generale  dell'ordinamento comunitario, imponga, stante la
sostanziale  analogia  del  percorso  di  studi  e  della  formazione
professionale degli architetti e degli ingegneri civili, di ammettere
comunque alle attivita' riservate agli architetti anche i laureati in
ingegneria civile.
    Con  ordinanza  del  5 aprile  2004  la  Corte di giustizia delle
comunita'   europee  (IV sez.)  si  e'  pronunciata  sulla  questione
statuendo,  nel  dispositivo, che «Quando si tratti di una situazione
puramente interna ad uno Stato membro, ne' la direttiva del Consiglio
10  giugno  1985, 85/384/CEE, concernente il reciproco riconoscimento
dei    diplomi,    certificati    ed   altri   titoli   del   settore
dell'architettura   e   comportante  misure  destinate  ad  agevolare
l'esercizio  effettivo  del  diritto  di  stabilimento  e  di  libera
prestazione  di  servizi  -  in  particolare  i  suoi  artt. 10 e 11,
lett. g)  -  ne'  il principio della parita' di trattamento ostano ad
una  normativa  nazionale  che  riconosce,  in  linea  di  principio,
l'equivalenza  dei  titoli  di  architetto  e di ingegnere civile, ma
riserva  ai  soli  architetti i lavori riguardanti in particolare gli
immobili vincolati appartenenti al patrimonio artistico».
    Vale  a  dire,  la  Corte  ha  ritenuto  che  la questione non ha
rilevanza  nel  diritto  comunitario poiche' e' configurabile come un
«situazione puramente interna».
    Il difensore dei ricorrenti ha obiettato che la Corte non avrebbe
fornito  una  sufficiente  risposta  ai  quesiti  che  le erano stati
sottoposti,  che  quindi  rimarrebbero  i  dubbi  interpretativi  sul
contrasto  della normativa italiana con la fonte sovranazionale ed ha
percio'  chiesto  che  sia  disposto  un  nuovo  rinvio alla Corte ex
art. 234 Trattato CE.
    Ma  il  Collegio non condivide tale opinione e ritiene invece che
la  risposta  fornita  dalla  Corte  sia  sufficientemente  chiara ed
esaustiva.
    Invero,  il  pensiero  della Corte consta di due passaggi logici:
nel primo, viene posta la distinzione tra il reciproco riconoscimento
dei  titoli di formazione del settore dell'architettura (disciplinato
dalla   direttiva   85/384)   ed   il  regime  giuridico  di  accesso
all'attivita'  propria  di tale settore, che resta estraneo - secondo
la   Corte   -   alla  direttiva  n. 85/384,  cosicche'  esso  ricade
nell'ambito della legislazione nazionale dello Stato membro il quale,
comunque, non e' tenuto a porre i titoli di formazione indicati dalla
direttiva  n. 85/384  su  un  piano  di  perfetta  parita' per quanto
riguarda l'accesso all'attivita' di architetto in italia.
    La  Corte,  infatti, afferma che: «45. La direttiva n. 85/384 non
si  propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione
di  architetto,  ne'  di definire la natura delle attivita' svolte da
chi  esercita  tale  professione.  Dal  nono  «considerando»  di tale
direttiva  risulta  infatti  che  il  suo  art. 1,  n. 2, non intende
fornire   una  definizione  giuridica  delle  attivita'  del  settore
dell'architettura. Spetta alla normativa nazionale dello Stato membro
ospitante  individuare le attivita' in tale settore. 46. La direttiva
n. 85/384  ha  ad  oggetto  solamente il reciproco riconoscimento, da
parte  degli Stati membri, dei diplomi, dei certificati e degli altri
titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi
minimi  in materia di formazione, allo scopo di agevolare l'esercizio
effettivo  del  diritto  di  stabilimento  e di libera prestazione di
servizi  per  le attivita' del settore dell'architettura, come emerge
dal  secondo  «considerando»  della  detta  direttiva.  Essa  prevede
inoltre un regime transitorio diretto, in particolare, a preservare i
diritti  acquisiti  dai  possessori  di  titoli gia' rilasciati dagli
Stati  membri  anche  qualora  tali  titoli  non  soddisfino  i detti
requisiti  minimi.  47. Inoltre,  sebbene  l'art. 11, lett. g), della
direttiva  n. 85/384  menzioni, per l'Italia, i diplomi di «laurea in
architettura» e di «laurea in ingegneria» come titoli che beneficiano
del  regime transitorio previsto dall'art. 10 di tale direttiva, cio'
e'  solo  al  fine di assicurare il riconoscimento di tali diplomi da
parte  degli  altri  Stati  membri,  e non allo scopo di armonizzare,
nello  Stato  membro interessato, i diritti conferiti da tali diplomi
per  quanto riguarda l'accesso alle attivita' di architetto. 48. Allo
stesso  modo,  anche  volendo  ammettere  che  i  due  citati diplomi
rispondano  ai requisiti in materia di formazione di cui agli artt. 3
e  4  della  direttiva  85/384 e debbano pertanto essere riconosciuti
dagli altri Stati membri ai sensi dell'art. 2 della stessa direttiva,
quest'ultima, di per se', non impone allo Stato membro interessato di
porre  tali  diplomi  su  un  piano  di  perfetta  parita' per quanto
riguarda l'accesso alle attivita' di architetto in Italia».
    Tuttavia,  nel  secondo  passaggio  logico  la Corte richiama una
propria   precedente   pronuncia   riguardante  la  stessa  direttiva
n. 85/384  (sent. 23 novembre  2000 nella causa C-421/98, Commissione
c. Spagna).
    In quest'ultima pronuncia, che il difensore dei ricorrenti invoca
a  proprio favore, si trattava di una norma dell'ordinamento spagnolo
che  vietava  ai titolari di un diploma di architettura rilasciato da
un  altro  Stato membro di esercitare in Spagna competenze diverse da
quelle  che avrebbero potuto esercitare nel loro paese, salvo che non
avessero  agito  in collaborazione con altro professionista abilitato
ad esercitare tali competenze in Spagna.
    In  quel  caso  la  Corte ritenne che la Spagna fosse venuta meno
all'obbligo di rispetto della direttiva 85/384.
    Il  pensiero  della  Corte era espresso in questi termini: 35. Il
punto  essenziale  di  tale  mutuo  riconoscimento  si trova espresso
nell'art. 2 della direttiva, a termini del quale ogni Stato membro e'
tenuto   a   riconoscere  i  diplomi,  certificati  ed  altri  titoli
conseguiti durante un ciclo di formazione rispondente ai requisiti di
cui  agli artt. 3 e 4 della direttiva stessa, rilasciati ai cittadini
degli  Stati  membri  dagli altri Stati membri, e ad attribuire loro,
sul  proprio territorio, per quanto riguarda l'accesso alle attivita'
abitualmente svolte in base al titolo professionale di architetto, lo
stesso  effetto dei diplomi, certificati ed altri titoli dal medesimo
rilasciati...  «37. Dagli  artt. 2  e  10 della direttiva emerge che,
quando  un'attivita' e' abitualmente svolta da architetti titolari di
un  diploma  rilasciato  dallo  Stato membro ospitante, un architetto
migrante   titolare   di  un  diploma,  certificato  o  altro  titolo
ricompreso  nella  sfera  di  applicazione della direttiva deve poter
parimenti  accedere  a  tale  attivita',  ancorche' i propri diplomi,
certificati   o   altri   titoli   non   implichino   necessariamente
un'equivalenza  sostanziale  con riguardo alla formazione conseguita.
38. Infatti, se e' pur vero che, come sostenuto dal governo spagnolo,
compete   al  legislatore  nazionale  dello  Stato  membro  ospitante
definire  l'ambito  di  attivita'  della  professione dell'architetto
quando  una determinata attivita' sia considerata da uno Stato membro
ricompresa  nel  detto  ambito,  l'esigenza  del mutuo riconoscimento
implica  che gli architetti migranti debbano poter parimenti accedere
a  tale attivita'... 43. Orbene, la direttiva stabilisce le misure da
adottare   quando   non   sussista  equivalenza  sostanziale  tra  la
formazione  conseguita nello Stato membro di origine o di provenienza
e quella fornita nello Stato membro ospitante. 44. Infatti, a termini
dell'art. 16,  n. 2,  della direttiva, quando il titolo di formazione
dello  Stato  membro di origine o di provenienza possa essere confuso
nello  Stato  membro  ospitante  con un titolo che richieda, in detto
Stato,   una  formazione  complementare  che  il  beneficiario  della
direttiva non ha compiuto, lo Stato membro ospitante puo' prescrivere
che  il  beneficiario  stesso usi il titolo di formazione dello Stato
membro  di  origine  o di provenienza in una formula adeguata che gli
verra' indicata dallo Stato ospitante medesimo».
    La  Corte, a conclusione del citato secondo passaggio logico, non
nega  che  dal divieto, per gli ingegneri civili che hanno conseguito
il  titolo  in  Italia, di accedere all'attivita' di cui all'art. 52,
r.d.  n. 2537/1925 possa derivare una discriminazione al rovescio, ma
risolve  il  problema  interpretativo  assumendo che si tratta di una
questione  puramente  interna  all'ordinamento  italiano, talche' non
emerge  un contrasto rilevante con la fonte sovranazionale ne' con il
principio  di  parita' di trattamento da applicarsi ai professionisti
migranti di altri stati membri.
    L'interpretazione  data  dalla  Corte alla direttiva n. 85/384 e'
percio'  nel  senso  che  essa  non  ha  rilevanza  interna  ma  solo
«transfrontaliera».
    Questo secondo passaggio logico e' espresso nei termini seguenti:
        «50. Tale   direttiva  non  osta  quindi  ad  una  disciplina
nazionale  come  la  normativa italiana di cui alla causa principale,
nei  limiti  in  cui  quest'ultima e' diretta a definire le attivita'
riservate alla professione di architetto. La detta direttiva richiede
tuttavia  che  gli architetti i cui titoli devono essere riconosciuti
in  conformita'  ad  essa abbiano anch'essi accesso a tali attivita',
indipendentemente  dalla  questione  se il loro titolo dia accesso ad
esse  nello  Stato  membro che ha rilasciato il titolo (v., in questo
senso,     sentenza     23 novembre     2000,    causa    C-421/1998,
Commissione/Spagna, Racc. pag. 1-10375, punto 45).
    La corte prosegue osservando che «51. Certo, dagli artt. 10 e 11,
lett. g),  della  direttiva n. 85/384 emerge che i titoli di cui alla
fattispecie   della   causa   principale,   compresa  la  «laurea  in
ingegneria»  devono  essere  riconosciuti  negli Stati membri diversi
dall'Italia  e  devono ivi dare accesso alle attivita' rientranti nel
settore   della   professione   di  architetto  come  definito  nella
legislazione  di  ognuno di loro; tuttavia, la causa principale verte
unicamente  sull'esercizio  di  tali attivita' in Italia. 52. E' vero
che,  come sostiene la Commissione (v. punto 33 di questa ordinanza),
ne  puo'  derivare  una  discriminazione  alla  rovescia, poiche' gli
ingegneri  civili  che  hanno  conseguito i loro titoli in Italia non
hanno   accesso,   in   tale   Stato  membro,  all'attivita'  di  cui
all'art. 52,  secondo  comma,  del Regio decreto n. 2537/1925, mentre
tale  accesso  non  puo' essere negato alle persone in possesso di un
diploma  di  ingegnere civile o di un titolo analogo rilasciato in un
altro  Stato  membro,  qualora tale titolo sia menzionato nell'elenco
redatto ai sensi dell'art. 7 della direttiva n. 85/384 o in quello di
cui   all'art. 11   della   detta   direttiva.   53. Tuttavia,  dalla
giurisprudenza  della  Corte  emerge  che,  quando  si  tratta di una
situazione   puramente   interna   come  quella  di  cui  alla  causa
principale,  il  principio  della  parita' di trattamento sancito dal
diritto  comunitario  non puo' essere fatto valere. In una situazione
del  genere  spetta  al  giudice  nazionale  stabilire  se vi sia una
discriminazione  vietata  dal  diritto  nazionale  e,  se  del  caso,
decidere come essa debba essere eliminata (v. sentenza Steen, citata,
punti 9  e  10).  Al  riguardo,  potrebbero  risultare  pertinenti  i
principi  di  diritto  nazionale  richiamati  dal Consiglio nazionale
degli  ingegneri  (v.  punti  35-40 della presente ordinanza). 54. Di
conseguenza,  occorre risolvere le questioni sollevate nel senso che,
quando  si  tratti  di  una situazione puramente interna ad uno Stato
membro, ne' la direttiva n. 85/384 - in particolare i suoi artt. 10 e
11,  lett. g)  - ne' il principio della parita' di trattamento ostano
ad  una  normativa  nazionale  che  riconosce, in linea di principio,
l'equivalenza  dei  titoli  di  architetto  e di ingegnere civile, ma
riserva  ai  soli  architetti i lavori riguardanti in particolare gli
immobili vincolati appartenenti al patrimonio artistico.».
    In conclusione sul punto, la Corte ha esaurientemente risposto ai
quesiti  sollevati  da questo Tribunale assumendo che il problema del
contrasto  va  configurato  come  «questione puramente interna» e che
percio': a) la direttiva non va applicata alla fattispecie perche' le
relative  disposizioni  non impongono all'Italia di non escludere gli
ingegneri  civili  che  hanno  conseguito in Italia il proprio titolo
dall'attivita'  di  cui all'art. 52, secondo comma, r.d. n. 2537/1925
(le   impongono  pero'  di  non  escludere  gli  ingegneri  civili  o
possessori  di  analoghi  titoli  conseguiti  in altri Stati membri);
c) nemmeno  il  principio  comunitario di parita' di trattamento puo'
essere fatto valere trattandosi di «situazione puramente interna».
    Non  vi  e'  quindi ragione di sottoporre nuovamente la questione
pregiudiziale  alla  Corte di Giustizia, come richiesto dal difensore
dei  ricorrenti,  nell'assunto  che  la  pronuncia  sia  lacuriosa ed
incompleta.
    Alla  luce  della  pronuncia  della  Corte discende che la citata
direttiva  n. 85/384  non puo' essere interpretata secondo la pretesa
dei  ricorrenti  e  cioe'  nel  senso  della sua incompatibilita' con
l'art. 52, secondo comma, del regio-decreto n. 2537/1925.
    Il  difensore  dei ricorrenti ha allora eccepito l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 52,  secondo  comma, r.d. n. 2537/1925, con
riferimento  agli  artt. 3, 41 e 97 Cost., osservando altresi' che la
recente   legge   comunitaria  2004  (legge  18 aprile  2005,  n. 62)
all'art. 2,   comma 1,  lett. h),  ha  introdotto  il  principio  (da
applicarsi  nell'emanazione  dei decreti legislativi recanti le norme
occorrenti  per  dare  attuazione alle direttive comunitarie comprese
negli  elenchi di cui agli allegati A e B, tra cui non rientra quella
in  controversia,  ma  che  sarebbe  espressione di un principio piu'
generale)  secondo  cui  tali decreti legislativi «assicurano che sia
garantita una effettiva parita' di trattamento dei cittadini italiani
rispetto  a  quelli  degli  altri  Stati  membri dell'Unione europea,
facendo  in  modo  di assicurare il massimo livello di armonizzazione
possibile  tra  le  legislazioni  interne  dei  vari  Stati membri ed
evitando  l'insorgere  di  situazioni  discriminatorie  a  danno  dei
cittadini  italiani  nel  momento  in  cui  gli  stessi sono tenuti a
rispettare,  con  particolare  riferimento ai requisiti richiesti per
l'esercizio  di attivita' commerciali e professionali, una disciplina
piu'  restrittiva  di quella applicata ai cittadini degli altri Stati
membri».
    L'art. 52,   secondo  comma,  r.d.  n. 2537/1925  sarebbe  dunque
incostituzionale  nella  parte  in  cui tale norma non e' applicabile
agli ingegneri civili o ai possessori di un titolo analogo rilasciato
in altro Stato membro, qualora tale titolo sia menzionato nell'elenco
redatto ai sensi dell'art. 7 della direttiva n. 85/384 o in quello di
cui  all'art. 11  della  direttiva,  mentre  rimane  applicabile agli
ingegneri civili che hanno conseguito il loro titolo in Italia.
    In  effetti, la stessa Corte di Giustizia (richiamando il proprio
precedente  16 giugno  1994  causa  c-132/93  Steen) ammette che tale
situazione,   pur   irrilevante   nell'ambito   comunitario   perche'
configurabile come «situazione puramente interna», potrebbe dar luogo
ad  una discriminazione al rovescio, nel qual caso «spetta al giudice
nazionale stabilire se vi sia una discriminazione vietata dal diritto
nazionale e, se del caso, decidere come essa debba essere eliminata».
    La  questione di costituzionalita' cosi' posta appare rilevante e
non manifestamente infondata.
    Invero,  se  la  disparita'  di  trattamento tra ingegneri civili
italiani  e  titolari  di  analoghi  titoli  riconosciuti equivalenti
secondo   la   direttiva   85/384   e'  irrilevante  per  il  diritto
comunitario,   non  sembra  esserlo  per  il  diritto  costituzionale
italiano.
    Tale  discriminazione  non puo', infatti, essere risolta mediante
l'assoggettamento   delle  persone  in  possesso  di  un  diploma  di
ingegnere  civile o di un titolo analogo rilasciato da un altro Stato
membro,  qualora  tale  titolo  sia menzionato nell'elenco redatto ai
sensi  dell'art. 7  della  direttiva  n. 85/384  o  in  quello di cui
all'art. 11   della   detta   direttiva   n. 85/384,   alla  medesima
restrizione  che  grava sugli ingegneri civili che hanno conseguito i
loro  titoli  in  Italia  e  che  pure sono menzionati nella lett. g)
dell'art. 11 della citata direttiva.
    Infatti,  come  emerge  dalla  citata  sentenza  della  Corte  di
giustizia  CE  (causa  421/98  -  Commissione  c. Spagna) riguardante
anch'essa  la direttiva 85/384, cio' contrasterebbe con gli artt. 2 e
10  della  direttiva (nonche', aggiunge il Collegio, con il principio
comunitario di libera circolazione).
    Del  resto,  l'art. 3,  comma 1,  del  d.lgs.  n. 129/1992 che ha
attuato  la  direttiva  nell'ordinamento  italiano stabilisce che «Il
riconoscimento  attribuisce  ai diplomi, certificati ed altri titoli,
la  stessa  efficacia dei diplomi rilasciati dallo Stato italiano per
l'accesso  all'attivita'  nel  settore dell'architettura e per il suo
esercizio con il titolo professionale di architetto.».
    Sembra, quindi, ingiustamente discriminatorio (con violazione del
postulato  fondamentale  dell'art. 3  Cost.)  impedire agli ingegneri
civili    italiani   l'accesso   ad   attivita'   professionali   che
l'Amministrazione  non  potrebbe  invece  vietare  nei  confronti  di
ingegneri  civili  (o  possessori  di titoli analoghi) di altri Stati
membri.
    Poiche'  il  Collegio  non  ravvisa la presenza di altre speciali
ragioni,  costituzionalmente  fondate,  che  giustifichino  una  tale
restrizione,  il sospetto di incostituzionalita' della norma di legge
che  produce  l'anzidetta  discriminazione a rovescio non puo' essere
superato.
    Il  divieto  di  discriminazione  altro  non e' che l'espressione
specifica  del  principio generale di uguaglianza il quale impone che
situazioni  comparabili  non vengano trattate in modo diverso, a meno
che una differenziazione non sia obiettivamente giustificata.
    Il  principio di non discriminazione opera, infatti, come istanza
di  adeguamento  del  diritto  interno ai principi comunitari, il che
vale   a   dire   che,   nel  giudizio  sul  rispetto  del  principio
costituzionale  di  eguaglianza  ex  art. 3 Cost., non possono essere
ignorati  gli  effetti  discriminatori che l'applicazione del diritto
comunitario   e'   suscettibile  di  provocare  (cfr.:  Corte  cost.,
30 dicembre 1997, n. 443).
    La  lesione del principio di non discriminazione si riverbera poi
sulla   lesione   dell'art. 41  Cost.  relativamente  all'accesso  ad
un'attivita' economica professionale.
    Sotto  gli anzidetti profili, puo' quindi ravvisarsi un contrasto
con  gli  art. 3  e  41  della  Costituzione. Il giudizio va pertanto
sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale.