ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 8, comma 2,
della legge della Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n. 1 (Interventi
per  lo  sviluppo  del  trasporto  pubblico regionale e locale), come
modificato  dall'art. 5, comma 7, della legge della Regione Lombardia
9 dicembre  2003,  n. 25 (Interventi in materia di trasporto pubblico
locale e di viabilita), promosso con ordinanza del 30 giugno 2003 dal
Tribunale  amministrativo  regionale  della  Lombardia,  sul  ricorso
proposto  da  CGIL  Lombardia  ed  altro contro la Regione Lombardia,
iscritta  al  n. 821  del  registro ordinanze 2004 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  italiana  n. 43,  1ª  serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di costituzione della CGIL Lombardia ed altro e
della Regione Lombardia;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  25 ottobre  2005  il  giudice
relatore Giovanni Maria Flick;
    Uditi  gli  avvocati  Vittorio Angiolini per la CGIL Lombardia ed
altro e Nicolo' Zanon e Andrea Manzi per la Regione Lombardia.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  depositata il 30 giugno 2004, il Tribunale
amministrativo  regionale  della Lombardia ha sollevato, in relazione
agli  artt. 3, 32, primo comma, 35, primo comma e 117, secondo comma,
lettera a),    della    Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale   dell'art. 8,  comma 2,  della  legge  della  Regione
Lombardia  12 gennaio  2002,  n. 1  (Interventi  per  lo sviluppo del
trasporto  pubblico regionale e locale), come modificato dall'art. 5,
comma 7,  della legge regionale 9 dicembre 2003, n. 25 (Interventi in
materia di trasporto pubblico locale e di viabilita), «nella parte in
cui  non  include  i  cittadini  stranieri  residenti  nella  regione
Lombardia  fra  gli  aventi il diritto alla circolazione gratuita sui
servizi  di  trasporto  pubblico  di  linea riconosciuto alle persone
totalmente invalide per cause civili».
    Il giudice rimettente premette di essere investito del giudizio -
istauratosi  sul  ricorso proposto da un cittadino extracomunitario e
dalla  CGIL  (Confederazione  generale italiana del lavoro) regionale
nei  confronti  della  Regione  Lombardia  - per l'annullamento della
deliberazione  di  Giunta  regionale n. 7/16747 del 12 marzo 2004, la
quale  - ponendo «una nuova disciplina» per il rilascio delle tessere
di  trasporto pubblico regionale - consente la circolazione gratuita,
sui  servizi di trasporto pubblico di linea nel territorio regionale,
agli  invalidi  civili  alla  duplice  condizione  del possesso della
cittadinanza  italiana  e della residenza in Lombardia. Il rimettente
espone  che l'impugnato provvedimento costituisce puntuale attuazione
di  quanto  disposto  dall'art. 8 della legge della Regione Lombardia
n. 1 del 2002, come modificato. La norma - nello stabilire condizioni
di  favore  per  gli  appartenenti  a  determinate categorie, tra cui
quella  degli invalidi totali al lavoro - esige quali presupposti del
beneficio  la  cittadinanza  italiana  e  la residenza nel territorio
della   Regione;   pertanto,  in  forza  di  essa,  il  ricorrente  -
riconosciuto  invalido  totale con permanente inabilita' lavorativa e
costretto a recarsi, con i mezzi pubblici, in ospedale tre volte alla
settimana  per  praticarvi  la  dialisi  -  si  era  visto privare, a
decorrere  dal 31 luglio 2004, della «tessera di libera circolazione»
di cui era gia' possessore.
    Il  Tribunale rimettente - concessa incidentalmente al ricorrente
misura  cautelare per autorizzarlo ad usufruire del menzionato titolo
di trasporto nonostante l'entrata in vigore della novella legislativa
-  dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 8, comma 2,
della  legge  regionale  n. 1  del  2002, ritenendo, innanzitutto, la
questione  rilevante  ai  fini della definizione del giudizio: sia in
ragione  del  fatto  che  l'eventuale  annullamento del provvedimento
impugnato   -   costituendo,  quest'ultimo,  replica  pedissequa  del
contenuto   della  norma  -  risulterebbe  una  decisione  pressoche'
inutiliter  data;  sia  in relazione all'esito della tutela cautelare
concessa,  «non  essendo sufficiente la sospensione della delibera di
giunta  richiamata  in assenza dell'espunzione dall'ordinamento della
norma  [...]  alla  quale la disciplina di cui alla delibera medesima
da', sul punto, solo attuazione».
    In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  il giudice a quo
prospetta   innanzitutto  un  contrasto  tra  la  norma  censurata  e
l'art. 32,   primo   comma,   della   Costituzione:  tale  parametro,
qualificando   diritto   fondamentale   dell'individuo  il  benessere
psicofisico,   presuppone   una   titolarita'   di   esso  «priva  di
distinzioni»,   accedendo   cosi'   ad  una  nozione  di  «individuo»
indubbiamente  comprensiva anche dello straniero residente in Italia,
poiche'   la  salute  costituisce  un  bene  primario  universalmente
riconosciuto.   Per  contro,  la  norma  censurata  non  include  nel
beneficio in questione, pure riconosciuto in ragione di condizioni di
salute,  gli  stranieri  residenti  in  Lombardia, benche' affetti da
totale invalidita' fisica.
    A   parere   del  rimettente,  la  norma  denunziata  violerebbe,
altresi',  il  canone  di  ragionevolezza,  in contrasto con l'art. 3
della   Costituzione,   in   quanto  essa  introduce  un  trattamento
differenziato  rispetto  a  situazioni che non presentano elementi di
diversita'  rilevanti  per l'ordinamento, venendo comunque in rilievo
misure di sostegno a favore di individui gravemente invalidi.
    Inoltre  -  rileva ancora il giudice a quo - poiche' il beneficio
e' anche finalizzato alla tutela di quanti si trovano «in difficolta'
rispetto   al   lavoro   per  favorirne  il  recupero  delle  energie
psicofisiche»,  la  norma  in  questione  si  pone  in  contrasto con
l'art. 35, primo comma, della Costituzione.
    Infine,  il Tribunale amministrativo regionale rimettente ritiene
che   la   norma   in  questione  violi  l'art. 117,  secondo  comma,
lettera a),  della  Costituzione.  In esito alla riforma del Titolo V
della carta fondamentale, vige la riserva di legislazione statale, in
via esclusiva, sia per la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti  i diritti civili e sociali da garantirsi su
tutto  il  territorio  nazionale, che per la statuizione dei principi
fondamentali  in materia di tutela della salute: settori, questi, che
-  secondo  il  giudice  a quo - «non possono non riguardare anche lo
status  giuridico  dei  cittadini stranieri». Nondimeno - conclude il
rimettente - la norma in questione, stabilendo profili distintivi tra
cittadini  italiani e stranieri in relazione a prestazioni essenziali
concernenti  il  diritto alla salute, «sembra porsi al di fuori della
competenza   costituzionalmente  riservata  alle  Regioni»:  e  cio',
nonostante  la  legislazione  sugli  stranieri  (art. 2, comma 5, del
d.lgs.  25 luglio 1998, n. 286) preveda la parita' di trattamento tra
cittadini  italiani e cittadini di stati extracomunitari nell'accesso
ai pubblici servizi.
    2.  -  Nel  presente  giudizio hanno spiegato costituzione sia la
CGIL  Lombardia,  in  persona  del legale rappresentante e segretario
generale,  che  il  privato  ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo
l'accoglimento  della  questione  di costituzionalita' e riservando a
successiva memoria ogni ulteriore deduzione.
    3.  - Si e' altresi' costituita in giudizio la Regione Lombardia,
in  persona  del  Presidente  pro  tempore  della  Giunta  regionale,
concludendo  per  l'inammissibilita'  e, comunque, per l'infondatezza
della questione.
    Nell'atto   di   costituzione,   la   Regione   -   premessa  una
ricostruzione   storica   della   normativa   regionale  in  tema  di
agevolazioni  per  l'utilizzo  dei  servizi  di  trasporto pubblico -
evidenzia  innanzitutto  come la cittadinanza italiana sia «requisito
di  fondo  sempre  costantemente  richiesto  [...] per l'accesso alle
agevolazioni  tariffarie»  sui  servizi  di  trasporto pubblico della
Lombardia,   secondo   un   modello   ampiamente   diffuso  in  varie
legislazioni  regionali,  e  non  costituisca, quindi, un'innovazione
della  disciplina  impugnata:  un  requisito  che vale a coniugare la
possibilita'  di  un'estesa  fruizione  del  beneficio  con  i  costi
notevoli  di  esso.  Ad  avviso  dell'ente regionale, la circolazione
gratuita  per  alcune  categorie di soggetti non puo' configurasi ne'
come   una   prestazione   essenziale,   ne'   come   una   soluzione
costituzionalmente  obbligata;  essa  non  rientra  neppure  in  quei
«servizi  minimi»  o in quegli «obblighi di servizio pubblico» cui si
riferiscono  gli  artt. 16  e  17 del d.lgs. 19 novembre 1997, n. 442
(Conferimento  alle  Regioni e agli enti locali di funzioni e compiti
in  materia di trasporto pubblico locale), trattandosi, piuttosto, di
una  scelta  discrezionale  del  legislatore  regionale, il cui onere
ricade   integralmente  sulla  finanza  dell'ente  locale,  tenuto  a
rimborsare  alle  aziende concessionarie del servizio di trasporto le
agevolazioni   tariffarie.   Evidenziati,  in  proposito,  gli  oneri
economici  gia'  gravanti,  per  il  passato,  verso  le  aziende  di
trasporto  regionale  ed  illustrate  le  penalizzazioni  finanziarie
dell'ente  regionale in ragione della sostanziale preclusione di ogni
potesta'  legislativa  in  materia  tributaria,  la Regione Lombardia
analizza, quindi, i contenuti specifici dell'ordinanza di rimessione,
deducendo,   in   via   preliminare,   una   serie  di  eccezioni  di
inammissibilita'.
    Sotto  un  primo  profilo,  si contesta un difetto di motivazione
dell'ordinanza  in  ordine  alla  rilevanza  della questione: cio' in
quanto,   preesistendo   alla   normativa   impugnata   il  requisito
preliminare  della  cittadinanza  italiana, non si spiegherebbe - ne'
l'ordinanza   di  rimessione  varrebbe  a  chiarire  il  fatto  -  il
precedente  godimento di un titolo per il trasporto gratuito da parte
del  ricorrente;  donde il difetto di motivazione sulla rilevanza. La
difesa  della  Regione  eccepisce, poi, la manifesta inammissibilita'
della   questione   perche'  formulata  in  maniera  contraddittoria,
richiedendo  il  rimettente,  per un verso, un intervento additivo di
estensione   del   beneficio   anche   agli   invalidi  stranieri,  e
prospettando,   per   altro   verso,   un  intervento  ablativo,  sul
presupposto della violazione di una regola di competenza da parte del
legislatore  regionale:  con  la conseguente eliminazione del diritto
anche  per  gli  invalidi  di  cittadinanza  italiana.  Infine,  essa
eccepisce,    comunque,   una   generale   carenza   di   motivazione
dell'ordinanza circa la non manifesta infondatezza.
    Nel   merito,   la   difesa  regionale  evidenzia,  innanzitutto,
l'inconferenza   del  richiamo  all'art. 32  della  Costituzione.  La
disciplina   regionale   impugnata,   infatti,   risulta  finalizzata
esclusivamente  ad una incentivazione ed agevolazione del servizio di
trasporto  pubblico, a nulla rilevando che il ricorrente nel giudizio
a  quo  se  ne  serva  per  ragioni di salute; a conferma dello scopo
normativo   indicato,   la   Regione  richiama  l'inclusione,  tra  i
beneficiari  del trasporto gratuito, di categorie di soggetti - quali
gli  ufficiali o agenti di polizia giudiziaria - non bisognosi di una
particolare  tutela  della salute. In nessun caso, peraltro, potrebbe
ritenersi  che  «il  diritto  alla salute includa, tra le prestazioni
garantite,  quello ad essere trasportati gratuitamente, anche in caso
di  invalidita',  ai  luoghi  di  cura»: cio' perche', a parere della
difesa  della  Regione,  nel  «nucleo  irriducibile»  di  prestazioni
essenziali del diritto alla salute, in quanto diritto suscettibile di
essere   «finanziariamente   condizionato»,   non  puo'  certo  farsi
rientrare  il  trasporto  gratuito,  che e' una prestazione meramente
accessoria.
    Non sussiste inoltre - prosegue la Regione - alcuna violazione al
principio  di ragionevolezza: i requisiti della cittadinanza italiana
e  della residenza in Lombardia costituiscono altrettante «condizioni
preliminari»  per  l'accesso  ai  benefici,  frutto di indispensabile
bilanciamento tra l'esigenza di estendere il piu' possibile il numero
dei soggetti destinatari e di contenere l'esborso economico; pena, in
caso contrario, la eliminazione totale del beneficio stesso.
    La   difesa   della   Regione,   quindi,  argomenta  sulla  piena
corrispondenza  e  conformita'  tra  la  regola introdotta e la causa
normativa  che,  secondo  i  principi generali, la deve assistere. Ad
avviso  di essa, la disciplina censurata - lungi dal volere innestare
qualsiasi  forma  di  discriminazione nei confronti dello straniero -
prospetta  «un  serio  legame con il territorio regionale» - espresso
dalla  cittadinanza  italiana  e dalla residenza regionale, requisiti
entrambi conseguibili dallo straniero - quale punto di equilibrio tra
agevolazione  sociale  e  scarsita'  delle  risorse:  scelta, questa,
incensurabile proprio perche' aliena da profili di irragionevolezza.
    D'altra  parte,  il  contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione,
sotto  il  profilo  della  irragionevolezza, e' escluso - prosegue la
difesa  della  Regione  -  dalla  circostanza che la situazione dello
straniero  e  del  cittadino italiano sono completamente equiparabili
solo  con  riferimento  ai  diritti  fondamentali, nel cui novero non
rientra  -  neppure  per  gli  invalidi  -  il  diritto  di circolare
gratuitamente sui mezzi pubblici.
    In    ordine   alla   pretesa   violazione   dell'art. 35   della
Costituzione,  vengono  contestati sia l'assoluta insufficienza delle
motivazioni addotte, sia il presupposto da cui muove l'argomentazione
del   giudice   rimettente,  apparendo  «francamente  difficile»  che
un'agevolazione  concessa essenzialmente a coloro che sono inabili al
lavoro possa violare la citata norma costituzionale.
    Infine  -  conclude  la difesa della Regione - non e' ravvisabile
alcuna  violazione  dell'art. 117  della  Costituzione. Per un verso,
infatti,   il   beneficio   in  questione  non  puo'  in  alcun  modo
qualificarsi  come  livello  essenziale  di prestazione concernente i
diritti  civili  e  sociali;  mentre,  per altro verso, la competenza
statale  sui  `principi'  sussiste in relazione a cio' che attiene al
contenuto  essenziale  dei diritti e, con riferimento al diritto alla
salute,  il  trasporto  gratuito agli invalidi non puo' rientrare nel
nucleo essenziale di tale diritto sociale.
    4.  -  In prossimita' dell'udienza, la difesa delle parti private
ha  depositato memoria, insistendo per l'accoglimento della questione
di costituzionalita'.
    Quanto  al  diritto  alla  salute, si assume che ogni distinzione
basata   sulla   cittadinanza   sia   fonte   di   una  inammissibile
discriminazione,  atteso  per che gli invalidi civili - categoria cui
appartiene il ricorrente - il trasporto gratuito si rivela funzionale
ad  «agevolare l'accesso alle cure» e soddisfare le esigenze connesse
al  diritto  alla  salute:  con  la  conseguenza che «negare il primo
significherebbe  compromettere  il secondo». D'altra parte - prosegue
la   difesa  privata  -  e'  la  stessa  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale   a  riconoscere  alla  protezione  della  salute  una
«significativa  preminenza  su altre esigenze ed interessi pubblici»,
impedendo  quindi  di  operare  distinzioni  rispetto alla condizione
dello straniero.
    Con  riferimento  alla  prospettata  violazione dell'art. 3 della
Costituzione,   la   duplice  limitazione  cui  la  norma  denunciata
subordina  il  trasporto  gratuito  -  vale  a  dire  la cittadinanza
italiana  e  la  residenza  in  Lombardia  -  sarebbe  di  «flagrante
incostituzionalita»  proprio per la stretta connessione tra beneficio
della circolazione gratuita e diritto alla salute degli invalidi, non
potendosi  dubitare che i diritti civili, economici e sociali - per i
quali  la  Costituzione non contiene alcun riferimento esplicito alla
titolarita'  dei  «cittadini»  -  vadano  classificati tra i «diritti
fondamentali  dell'uomo» e, come tali, da assicurare a prescindere da
nazionalita' e cittadinanza. Profilo, questo, normativamente ribadito
nella   piu'   recente  legislazione  italiana  sugli  stranieri,  in
particolare  nell'art. 41  del  d.lgs.  n. 286  del  1998,  il  quale
stabilisce l'equiparazione degli stranieri ai cittadini italiani, «ai
fini  della  fruizione  delle  provvidenze e delle prestazioni, anche
economiche,  di assistenza sociale, incluse quelle previste [...] per
gli invalidi civili».
    In  «frontale  contrasto»  con tali principi, la norma impugnata,
escludendo  gli  invalidi  civili totali non cittadini dal novero dei
beneficiari  del  trasporto  gratuito,  risulterebbe  priva  di  ogni
«razionale   giustificazione»,   posto   che   il   requisito   della
cittadinanza non presenterebbe alcuna «connessione ne' con il bisogno
di  cure ne' col legame col territorio nel quale i servizi dovrebbero
essere  fruiti». Sussisterebbe, dunque, mancanza di consequenzialita'
tra  il fine perseguito attraverso il riconoscimento del beneficio ed
il criterio introdotto dalla legge per usufruirne.
    Infine,   secondo  la  difesa  privata,  la  normativa  censurata
risulterebbe   eccedere   le   competenze   regionali,  creando  «una
interferenza  con  la  politica  migratoria e con la disciplina della
condizione giuridica degli stranieri» che la Costituzione (artt. 117,
secondo  comma,  lettere  a) e b), riserva allo Stato. Oltretutto, la
norma  denunciata determinerebbe l'effetto indotto di incentivare gli
immigrati  ammessi  nel  territorio nazionale a lasciare la Lombardia
per  recarsi  in  Regioni  diverse,  cosi'  ponendo in discussione la
potesta'  dello Stato di «decidere circa l'ammissione di immigrati in
tutto il territorio nazionale».
    D'altra  parte  -  conclude la memoria - la norma impugnata viola
altresi'  i  principi  generali  dell'ordinamento e quelli posti come
fondamentali   da   leggi   statali.   Questi   ultimi  -  ricavabili
essenzialmente  dagli  artt. 2  e  41  del  d.lgs.  n. 286 del 1998 -
depongono,  infatti,  nel  senso  di  una  completa equiparazione tra
stranieri  e  cittadini  italiani  nella fruizione delle prestazioni,
anche  economiche,  di assistenza sociale, e cio' rappresenterebbe un
limite  invalicabile  per  la  potesta' normativa regionale, sotto il
profilo  della  impossibilita'  «di  creare due livelli essenziali di
assistenza»:  uno  riservato  agli  italiani  residenti,  con  libera
circolazione  sui mezzi pubblici; ed un altro, «assai deteriore», per
gli stranieri con la circolazione a pagamento.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  della Lombardia,
solleva,   in  riferimento  agli  artt. 3  (parametro  richiamato  in
motivazione,  ma non riprodotto in dispositivo), 32, primo comma, 35,
primo  comma,  e  117, secondo comma, lettera a), della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma 2, della
legge  della  Regione Lombardia 12 gennaio 2002, n. 1 (Interventi per
lo   sviluppo  del  trasporto  pubblico  regionale  e  locale),  come
modificato  dall'art. 5,  comma 7,  della  legge regionale 9 dicembre
2003,  n. 25 (Interventi in materia di trasporto pubblico locale e di
viabilita),  nella  parte  in  cui non include i cittadini stranieri,
residenti  nella Regione, fra gli aventi il diritto alla circolazione
gratuita  sui  servizi  di  trasporto pubblico di linea, riconosciuto
alle persone totalmente invalide per cause civili.
    Dopo   aver   descritto  la  fattispecie  sottoposta  al  proprio
giudizio,  il Tribunale rimettente osserva, in punto di non manifesta
infondatezza,  come la disposizione censurata appaia in contrasto con
l'art. 32 Cost., in quanto - essendo la tutela della salute enunciata
da  tale  parametro  come  un  diritto  fondamentale dell'individuo e
interesse della collettivita', e dovendosi pertanto riconoscere anche
agli  stranieri - il beneficio previsto dalla disposizione impugnata,
pur  attribuito ai cittadini «in ragione delle medesime condizioni di
salute»,  non  sarebbe riconosciuto «(a)gli stranieri residenti nella
Regione  Lombardia che si trovino in una situazione caratterizzata da
una   totale   invalidita'  fisica».  La  norma  impugnata,  inoltre,
risulterebbe   in   contrasto   anche   con  il  generale  canone  di
ragionevolezza  sancito dall'art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe un
trattamento  differenziato  rispetto a situazioni che - riferendosi a
misure  di  sostegno  introdotte  a  favore  di  individui gravemente
invalidi  -  non  presentano  elementi  di  diversita'  rilevanti per
l'ordinamento.  Sarebbe vulnerato, poi, anche l'art. 35, primo comma,
Cost.,  in  quanto  il  beneficio in questione (della cui preclusione
agli  stranieri il Tribunale si duole) sarebbe riconosciuto «anche al
fine  di  tutelare chi si trovi in difficolta' rispetto al lavoro per
favorire  il  recupero  delle  energie  psicofisiche».  Si prospetta,
infine,  un  contrasto  con  l'art. 117,  secondo  comma, lettera a),
Cost.,   in  quanto,  nell'introdurre  un  regime  differenziato  tra
cittadini italiani e stranieri, sarebbe stata violata la riserva alla
legislazione  statale  circa la determinazione dei livelli essenziali
delle  prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono
essere  garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo
comma,  lettera m); nonche' sarebbero violati i principi fondamentali
stabiliti  dallo  Stato  in  tema  di  tutela  della salute: «settori
ambedue  che non possono non riguardare anche lo status giuridico dei
cittadini stranieri».
    2.  -  La  difesa  della  Regione Lombardia solleva tre eccezioni
pregiudiziali in punto di ammissibilita'.
    Con  la  prima,  la  Regione  rammenta  come - alla stregua della
«storia»  della  normativa  impugnata, descritta nello stesso atto di
intervento  -  il  requisito  della  cittadinanza italiana fosse gia'
richiesto dalla legislazione regionale in materia, dal momento che la
legge  n. 25  del  2003,  introduttiva  della  disposizione della cui
legittimita'  costituzionale il giudice rimettente dubita, si sarebbe
limitata «a cambiare la definizione dell'agevolazione (da «tessera di
libera circolazione» si passa a parlare di «diritto alla circolazione
gratuita»)  e  a  richiedere  che il grado di invalidita' sia pari al
100%».  Resterebbe quindi inesplicata, nella ordinanza di rimessione,
la  indicazione  delle  fonti  normative o delle ragioni in base alle
quali  il ricorrente disponesse della tessera di libera circolazione.
In  mancanza  di  tale puntualizzazione - che assumerebbe, secondo la
Regione,  «un  aspetto  del  tutto  centrale per cio' che concerne la
rilevanza della questione sollevata» - ne deriverebbe una preclusione
alla  disamina  del  merito, stante, appunto, la «carente esposizione
dei  fatti  di  causa  che impedisce l'indispensabile controllo sulla
rilevanza».
    La  eccezione  e' priva di fondamento. Non pare infatti corretto,
innanzi tutto, l'assunto secondo il quale la disciplina dettata dalla
legge n. 25 del 2003 non presenti alcun elemento di «novita» rispetto
al  passato, al lume della evoluzione della legislazione regionale, a
partire  dalla  disciplina  a  suo tempo introdotta dall'art. 1 della
legge  regionale  16 novembre  1984,  n. 57,  recante  nuove norme in
materia  di  agevolazioni  sui  servizi di trasporto pubblico locale.
Infatti,  la  legge  regionale  n. 25  del  2003,  a  differenza  dei
pregressi  interventi  normativi  - nei quali si individuavano, quali
beneficiari   delle   provvidenze,   i   «cittadini»  appartenenti  a
determinate  categorie  -  ha espressamente indicato, come potenziali
fruitori  della circolazione gratuita o delle agevolazioni tariffarie
per   l'utilizzo  dei  servizi  di  trasporto  pubblico,  soltanto  i
«cittadini    italiani»:   aggiunta   per   specificazione,   questa,
tecnicamente  impropria  -  giacche'  il  richiamo al requisito della
cittadinanza,  «genericamente»  determinato,  appariva  riferibile  a
quella  italiana  - che, pero', all'evidenza svela una precisa scelta
«riduttiva» in ordine alla platea dei beneficiari.
    Al  di  la'  di  cio',  secondo  quanto emerge dalla ordinanza di
rimessione,  non  viene  in alcun modo in discussione, nel giudizio a
quo,  la  circostanza  se  la  parte privata ricorrente avesse o meno
titolo  per  fruire della «tessera di libera circolazione gia' in suo
possesso  ed  in  scadenza  definitiva al 31 luglio 2004»: evenienza,
questa,  che  avrebbe  assunto  invece sicuro risalto ove oggetto del
reclamo  fosse stato un provvedimento di revoca o comunque inibitorio
del  beneficio  gia'  concesso. L'oggetto del ricorso nel quale si e'
iscritto   l'incidente   di   costituzionalita'   e',  al  contrario,
rappresentato   esclusivamente   dalla   deliberazione  della  Giunta
regionale  n. 7/16747  del  12 marzo  2004  e  dagli  atti  connessi,
riguardanti  la  non  concedibilita'  pro  futuro  del beneficio agli
invalidi civili non cittadini italiani: con la conseguenza di rendere
inconferenti  - sul piano del nesso di pregiudizialita' rispetto alla
risoluzione   del   quesito  di  legittimita'  costituzionale  -  gli
eventuali profili concernenti la legittimita' della fruizione in atto
di  quello stesso beneficio, da parte del ricorrente. Dunque, nessuna
«verifica» doveva (e poteva) compiere il giudice rimettente in ordine
a tale aspetto della vicenda sottoposta al suo scrutinio; con l'ovvio
corollario   di   rendere   manifestamente   infondata   la   pretesa
incompletezza  di  descrizione  della fattispecie, agli effetti della
motivazione sulla rilevanza della questione.
    3.  -  La  difesa  della Regione solleva anche un'altra eccezione
pregiudiziale di inammissibilita', fondata sul rilievo che il giudice
a quo avrebbe formulato il quesito di legittimita' costituzionale «in
termini palesemente contraddittori». Osserva, infatti, la Regione che
il  Tribunale  rimettente  avrebbe,  da  un  lato, censurato la norma
impugnata  nella  parte  in  cui  limita  ai  soli cittadini italiani
invalidi   al   100%,   residenti  nella  Regione,  il  diritto  alla
circolazione  gratuita  sui  servizi di trasporto pubblico regionale:
sollecitando,  quindi,  l'adozione di un intervento additivo volto ad
estendere  il beneficio anche agli stranieri residenti nella Regione.
Dall'altro  lato,  lo  stesso  rimettente - «prospettando (sia pur in
modo  confuso)  la  violazione  dell'art. 117,  commi 2  e 3, Cost. e
richiamando l'art. 2, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che
prevede parita' di trattamento fra stranieri e cittadini nell'accesso
ai  servizi  pubblici»  - avrebbe richiesto alla Corte un «intervento
radicalmente  demolitorio»,  contestando  la  competenza  legislativa
regionale  a  differenziare  il  trattamento tra cittadini italiani e
stranieri  in  materia  di  pubblici  servizi. Posto, infatti, che la
violazione  dell'art. 117  Cost. «comporterebbe l'incostituzionalita'
per  incompetenza  dell'intera  normativa  impugnata»,  ne  deriva  -
conclude  la  Regione  -  che  l'accoglimento  del  quesito  verrebbe
ineluttabilmente  a  determinare  «la  caducazione  del beneficio del
diritto  al  trasporto  gratuito  anche  per  gli  invalidi cittadini
italiani»:   in  palese  ed  insanabile  contrasto,  quindi,  con  la
richiesta  di  addizione  di cui innanzi si e' detto e che il giudice
rimettente ha ribadito nel dispositivo della ordinanza di rimessione.
    Anche  questa  eccezione  e'  priva  di  fondamento.  Il  giudice
rimettente  si  e'  limitato a rammentare come, anche a seguito delle
modifiche   apportate  dalla  legge  costituzionale  n. 3  del  2001,
l'art. 117 della Carta fondamentale riservi alla legislazione statale
la   determinazione   dei   livelli   essenziali   delle  prestazioni
concernenti  i  diritti civili e sociali, che devono essere garantiti
su   tutto   il   territorio   nazionale  (art. 117,  secondo  comma,
lettera m); cosi' come sempre allo Stato e' riservata la formulazione
dei  principi  fondamentali  cui  la  legislazione  concorrente delle
Regioni  deve uniformarsi in materia di tutela della salute. Entrambi
questi   settori   devono  necessariamente  riguardare  -  sottolinea
l'ordinanza  di rimessione - «anche lo status giuridico dei cittadini
stranieri  [...]  tanto  piu'  che  il d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286,
all'art. 2,  comma 5, prevede la parita' di trattamento tra cittadini
italiani   e  cittadini  di  stati  extracomunitari  nell'accesso  ai
pubblici servizi.
    Il  profilo  di «incompetenza» evocato dal giudice a quo, dunque,
non  e'  affatto  «assoluto»  - nei termini prospettati dalla Regione
resistente - ma e' circoscritto proprio a quel profilo dell'esercizio
del   potere  legislativo  che  il  giudice  rimettente  assume  come
discriminatorio.   Infatti,   a   formare   oggetto  del  quesito  di
costituzionalita'  non  e'  la  disposizione  in  se',  la quale, nel
delineare  i  presupposti del beneficio, lo attribuisce ai «cittadini
italiani»  (disciplina,  questa,  rispetto  alla quale non si formula
alcuna  richiesta  di  ablazione,  ne'  si  ventila alcuna ipotesi di
illegittimita).   L'unico  aspetto  censurato  e',  invece,  espresso
soltanto  «in  negativo»  (donde  la richiesta di addizione, e non di
ablazione);   la   doglianza   si   concentra   esclusivamente  sulla
preclusione, introdotta dalla norma nei confronti degli stranieri, di
fruire,   a   parita'  delle  restanti  condizioni  di  legge,  delle
provvidenze  stabilite  in favore degli invalidi in tema di trasporti
regionali.   Prescindendo   quindi,  per  il  momento,  da  qualsiasi
considerazione  in  ordine  alla  fondatezza, nel merito, dei rilievi
svolti  dal  Tribunale  rimettente,  specie per cio' che attiene alla
effettiva  riconducibilita'  della  ipotesi  di specie alla «materia»
delineata  dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera m), Cost., devono
escludersi  -  secondo  la  prospettiva coltivata dal giudice a quo -
quei  profili  di contraddittorieta' del petitum che, ad avviso della
Regione, minerebbero la ammissibilita' della questione.
    4. - La questione sarebbe infine inammissibile, secondo la difesa
regionale,   per   carenza   di   motivazione   sulla  non  manifesta
infondatezza,  in quanto - anche a voler prescindere da talune lacune
di  ordine  sintattico, che renderebbero oscuro l'iter logico seguito
dal  giudice  a  quo  - i vari parametri sarebbero enunciati in forma
apodittica, generica e priva di un adeguato sostegno argomentativo.
    Pure   tale  eccezione  deve  essere  disattesa.  Ai  fini  della
sussistenza del presupposto di ammissibilita' ora contestato, occorre
che  le  «ragioni»  del  dubbio  di  legittimita'  costituzionale, in
riferimento  ai  singoli  parametri  di  cui si assume la violazione,
siano   articolate  in  termini  di  sufficiente  puntualizzazione  e
riconoscibilita'  all'interno  del  tessuto  argomentativo  in cui si
articola  la  ordinanza  di  rimessione; senza alcuna esigenza, da un
lato,  di  specifiche  formule  sacramentali,  o, dall'altro lato, di
particolari   adempimenti   «dimostrativi»,   d'altra  parte  in  se'
incompatibili  con  lo specifico e circoscritto ambito entro il quale
deve   svolgersi   lo   scrutinio   incidentale   di  «non  manifesta
infondatezza».  A  tali requisiti minimi l'ordinanza di rimessione ha
corrisposto,  considerato  che, in riferimento a ciascuno dei profili
coinvolti  dal  quesito  e  per  ognuno  dei  parametri  invocati, il
Tribunale  rimettente ha offerto pertinente e congrua motivazione. La
circostanza,  poi  -  evidenziata  dalla  Regione  a  sostegno  della
eccezione   di   inammissibilita'   -  per  la  quale  la  violazione
dell'art. 3  Cost.  sarebbe  enunciata  nel  corpo della ordinanza di
rimessione,  ma  non  ulteriormente  richiamata  nel  dispositivo, si
rivela  priva  di rilievo, posto che le «ragioni» delle censure ed il
corrispondente  quesito  risultano  enunciati  in  termini  del tutto
univoci  dall'atto introduttivo del presente giudizio di legittimita'
costituzionale.
    5. - Nel merito, la questione e' fondata.
    L'art. 8  della  legge  della  Regione Lombardia 12 gennaio 2002,
n. 1,  come  sostituito  dall'art. 5,  comma 7, della legge regionale
9 dicembre  2003, n. 25, stabilisce particolari provvidenze in favore
di  talune  categorie, in materia di servizi di trasporto pubblico di
linea  nel  territorio  regionale:  in  particolare,  a decorrere dal
1° agosto  2004,  accanto  alle categorie di beneficiari indicate nel
comma 1  del medesimo articolo, il diritto alla circolazione gratuita
su tali servizi e' riconosciuto anche «ai cittadini italiani invalidi
civili,  inabili  ed  invalidi  del lavoro residenti in Lombardia con
grado   di   invalidita'   pari   al  100%  [...]  e  loro  eventuali
accompagnatori,  secondo  le  modalita'  stabilite  con apposito atto
della Giunta regionale». Rispetto alle restanti categorie di soggetti
previste  nel  comma 1  -  tutte,  per  cosi'  dire,  soggettivamente
qualificate   dalla  origine  (invalidi  di  guerra  e  di  servizio;
deportati nei campi di sterminio nazisti; invalidi a causa di atti di
terrorismo  e vittime della criminalita' organizzata), o dalla natura
della invalidita' (privi di vista per cecita' assoluta e sordomuti) -
gli  invalidi  menzionati  nel comma 2 della stessa norma presentano,
come  tratto  comune  e  unificante, esclusivamente la percentuale di
invalidita': nella specie, la piu' elevata in assoluto.
    La  ratio del beneficio e', dunque, riconducibile alla scelta del
legislatore regionale di agevolare - attraverso la fruizione gratuita
del  servizio - l'accesso al sistema dei trasporti pubblici locali in
favore  di  un  gruppo  di persone accomunate dalla appartenenza alla
piu'  grave condizione di invalidita'. Ci si muove nell'ambito di una
provvidenza  dettata da finalita' eminentemente sociali, nella specie
raccordata,   sul   piano   della  «causa»  normativa,  a  valori  di
solidarieta',   non   disgiunti  dagli  intuibili  riverberi  che  le
peculiari condizioni dei beneficiari e la natura stessa del beneficio
possono  in  concreto  presentare rispetto alle esigenze di vita e di
relazione;  non  ultime  quelle connesse alla tutela del diritto alla
salute, in presenza di una cosi' grave menomazione.
    Il  discrimen che viene qui in discorso, e sul quale si concentra
l'intera gamma delle censure proposte dal Tribunale rimettente, ruota
quindi  attorno alla preclusione che la normativa di favore - oggetto
di  impugnativa  - ha dichiaratamente inteso introdurre nei confronti
degli stranieri: con cio' compromettendo - secondo il giudice a quo -
non  soltanto  «il  generale  canone di ragionevolezza [...] che puo'
evocarsi come parametro di coerenza della norma legislativa regionale
con  i  principi  sanciti  a  tutela  di  situazioni riconducibili ad
un'identica  ratio  interpretativa»;  ma, anche, la necessaria tutela
della  salute  (art. 32  Cost.),  e del lavoro (art. 35, primo comma,
Cost.),  oltre  che  la  riserva  alla  legislazione statale circa la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti  civili  e  sociali  che  devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.), e
circa  i  principi  fondamentali  in tema di legislazione concorrente
regionale sulla salute.
    5.1.  -  In  linea  di  principio, sono corretti i rilievi svolti
dalla   difesa   regionale   a   proposito   delle  peculiarita'  che
caratterizzano  la  condizione  dello straniero nel quadro dei valori
costituzionali. In particolare, secondo la costante giurisprudenza di
questa  Corte, il principio costituzionale di uguaglianza non tollera
discriminazioni  fra  la  posizione  del  cittadino  e  quella  dello
straniero  solo  quando  venga  riferito  al  godimento  dei  diritti
inviolabili dell'uomo (v., fra le tante, la sentenza n. 62 del 1994):
cosi'  da rendere legittimo, per il legislatore ordinario, introdurre
norme  applicabili  soltanto nei confronti di chi sia in possesso del
requisito  della  cittadinanza - o all'inverso ne sia privo - purche'
tali da non compromettere l'esercizio di quei fondamentali diritti.
    Al  tempo  stesso,  e  sullo  specifico versante del diritto alla
salute,  questa Corte ha reiteratamente puntualizzato che «il diritto
ai  trattamenti  sanitari  necessari  per  la  tutela della salute e'
«costituzionalmente condizionato» dalle esigenze di bilanciamento con
altri  interessi  costituzionalmente  protetti,  salva,  comunque, la
garanzia  di  «un  nucleo  irrinunciabile  del  diritto  alla  salute
protetto  dalla  Costituzione  come ambito inviolabile della dignita'
umana,  il  quale  impone  di  impedire la costituzione di situazioni
prive  di  tutela,  che  possano appunto pregiudicare l'attuazione di
quel  diritto»  [....]  Questo  «nucleo irriducibile» di tutela della
salute  quale  diritto della persona deve percio' essere riconosciuto
anche  agli  stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle
norme  che  regolano  l'ingresso  ed  il  soggiorno  nello Stato, pur
potendo il legislatore prevedere diverse modalita' di esercizio dello
stesso».  Pertanto,  anche lo straniero presente irregolarmente nello
Stato  «ha  diritto  di  fruire di tutte le prestazioni che risultino
indifferibili  ed  urgenti,  secondo i criteri indicati dall'art. 35,
comma 3  (del  d.lgs.  n. 286  del  1998),  trattandosi di un diritto
fondamentale  della  persona  che  deve  essere garantito, cosi' come
disposto,   in  linea  generale,  dall'art. 2  dello  stesso  decreto
legislativo n. 286 del 1998» (v. sentenza n. 252 del 2001).
    In  tale  quadro  di riferimento, e se si ha riguardo al testo ed
alla  ratio  della  norma oggetto di impugnativa, puo' convenirsi con
l'assunto della Regione, nella parte in cui sottolinea come la scelta
«legislativa  di  attribuire  a  determinate categorie di soggetti un
diritto  alla  circolazione  gratuita,  ovvero un diritto a fruire di
tariffe  agevolate,  non  configuri  in  alcun  modo  una prestazione
essenziale  o  minimale, ne' si presenti, ovviamente, come una scelta
costituzionalmente obbligata».
    Per un verso, infatti, la previsione agevolatrice in questione si
indirizza  a categorie eterogenee di beneficiari, per di piu' neppure
tutte  riconducibili  al  genus  degli  invalidi, come i cavalieri di
Vittorio  Veneto  o gli agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria in
servizi   di  pubblica  sicurezza,  rispettivamente  inquadrabili  in
categorie  di  benemeriti o di fruitori del servizio ratione officii:
donde  l'impossibilita'  di  considerare  il  diritto  alla salute (o
quello  al  lavoro)  come  valore  fondamentale alla cui salvaguardia
correlare   -   per   di   piu'   attraverso  un  nesso  di  astratta
«indispensabilita»  -  la concessione della provvidenza. Per un altro
verso,  e'  del  pari  evidente  l'impossibilita'  di individuare nel
trasporto  regionale  un  servizio  destinato ad integrare - sempre e
comunque - quel «nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto
dalla  Costituzione come ambito inviolabile della dignita' umana», di
cui  innanzi  si e' detto, posto che e' la natura stessa del servizio
ad   evocare   il   soddisfacimento   di  una  gamma  indefinita  (ed
indefinibile) di esigenze di spostamento.
    La provvidenza a favore degli invalidi, dunque, non si giustifica
in  funzione  dei  singoli  «bisogni» di locomozione (fra i quali ben
possono  annoverarsi - ma non necessariamente e non soltanto - quelli
connessi  alla  salute  o al lavoro). Essa rinviene la propria ragion
d'essere  in  una  logica  di solidarieta' sociale, nella ragionevole
presupposizione  delle  condizioni  di  difficolta'  in cui versano i
residenti  che,  per  essere  totalmente invalidi, vedono grandemente
compromessa,  se  non  totalmente  eliminata, la propria capacita' di
guadagno.
    5.2.  -  Se la previsione di tariffe gratuite o agevolate per gli
invalidi  risponde a finalita' sociali e si inquadra nel novero delle
disposizioni  per cosi' dire «facoltative», non essendo destinata, in
se',  a  soddisfare diritti fondamentali, ne deriva - ha sottolineato
la Regione - la legittimita' di scelte intese a bilanciare la massima
fruibilita'   del   beneficio   con   la  limitatezza  delle  risorse
finanziarie,  per  far  fronte  al  consistente maggior onere che dal
beneficio in questione deriva per l'ente regionale. D'altra parte, se
un  tale  bilanciamento  e'  imposto anche «in relazione alle risorse
organizzative  e  finanziarie,  restando  salvo,  in  ogni caso, quel
nucleo  irriducibile del diritto alla salute» di cui si e' gia' fatto
cenno  (v.,  fra  le  tante, la sentenza n. 509 del 2000), tanto piu'
tale ponderazione si impone - sottolinea la Regione - «se lo scopo e'
quello  di  contenere  l'esborso economico per prestazioni aggiuntive
che costano».
    L'assunto  della Regione, corretto in linea di principio, risulta
tuttavia  del  tutto  eccentrico  rispetto alla previsione oggetto di
censura.  La circostanza che la Regione abbia nella specie introdotto
un  regime di favore senz'altro eccedente i limiti dell'«essenziale»,
sia  sul  versante  del  diritto  alla  salute,  sia  su quello delle
prestazioni concernenti «i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su tutto il territorio nazionale», non esclude affatto che
le   scelte   connesse   alla   individuazione  delle  categorie  dei
beneficiari  -  necessariamente  da  circoscrivere  in  ragione della
limitatezza  delle  risorse  finanziarie  -  debbano  essere operate,
sempre  e  comunque,  in  ossequio al principio di ragionevolezza; al
legislatore  (statale  o  regionale  che sia) e' consentito, infatti,
introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai
singoli consociati, soltanto in presenza di una «causa» normativa non
palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria.
    La  disposizione  in  discussione  si  pone  in  contrasto con il
principio  sancito  dall'art. 3  della Carta fondamentale, perche' il
relativo   scrutinio  va  circoscritto  all'interno  della  specifica
previsione,  in  virtu'  della  quale  la circolazione gratuita viene
assicurata  non  a  tutti  gli  invalidi  residenti  in Lombardia che
abbiano  un  grado di invalidita' pari al 100%, ma soltanto a quelli,
fra  essi, che godano della cittadinanza italiana. Il requisito della
cittadinanza  non  puo'  assumersi  -  come deduce la Regione - quale
«criterio preliminare di accesso» al beneficio, e senza che lo stesso
sia  stato  «pensato  in  riferimento  ad  una specifica categoria di
soggetti»; esso, infatti, si atteggia - nella disposizione - come uno
specifico presupposto che condiziona l'ammissione al regime di favor,
non  diversamente  dagli  altri  specifici  requisiti  che valgono ad
identificare le singole categorie privilegiate.
    Ne'  puo'  dirsi, come ritiene la Regione, che il requisito della
cittadinanza possa legittimamente concorrere a selezionare i fruitori
della  provvidenza  in ragione delle esigenze finanziarie, al pari di
quello  della  residenza,  dal  momento  che  -  mentre la residenza,
rispetto  ad  una  provvidenza  regionale,  appare  un  criterio  non
irragionevole  per  l'attribuzione  del  beneficio  -  a  conclusioni
diverse deve pervenirsi per la cittadinanza, che pertanto si presenta
come condizione ulteriore, ultronea ed incoerente, agli effetti di un
ipotetico  regime  differenziato  rispetto  ad una misura sociale che
vede   negli   invalidi   al   100%  la  categoria  dei  beneficiari.
Distinguere,  ai fini della applicabilita' della misura in questione,
cittadini  italiani  da  cittadini  di paesi stranieri - comunitari o
extracomunitari  -  ovvero apolidi, finisce dunque per introdurre nel
tessuto  normativo  elementi  di distinzione del tutto arbitrari, non
essendovi  alcuna  ragionevole  correlabilita'  tra quella condizione
positiva  di  ammissibilita'  al beneficio (la cittadinanza italiana,
appunto)  e  gli  altri  peculiari  requisiti  (invalidita' al 100% e
residenza)  che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la
ratio e la funzione.
    D'altra  parte,  e  come rilevano le parti private, l'art. 41 del
d.lgs.   25 luglio  1998,  n. 286  (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero) espressamente sancisce il principio secondo il quale
«gli  stranieri  titolari  della  carta di soggiorno o di permesso di
soggiorno  di  durata  non  inferiore  ad  un  anno, nonche' i minori
iscritti  nella  loro  carta  di  soggiorno  o  nel  loro permesso di
soggiorno,  sono  equiparati  ai  cittadini  italiani  ai  fini della
fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di
assistenza  sociale,  incluse  quelle previste [...] per i sordomuti,
per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti».
    Questa  disposizione - al pari delle altre contenute nel medesimo
testo unico - costituisce, a norma dell'art. 1, comma 4, del medesimo
decreto legislativo n. 286 del 1998, principio fondamentale «ai sensi
dell'art. 117   della  Costituzione»  (ovviamente  nel  testo  allora
vigente) «nelle materie di competenza legislativa delle regioni», fra
le  quali  rientra  quella  del  trasporto  regionale.  Un principio,
dunque,  il  quale  -  al di la' del diverso risalto che ad esso puo'
annettersi  nel  quadro  della  nuova  distribuzione  della  potesta'
legislativa  tra  Stato  e  Regioni - ben puo' essere richiamato come
necessario   paradigma   sulla   cui  falsariga  calibrare  l'odierno
scrutinio di ragionevolezza; e cio' in quanto, proprio avuto riguardo
al  rilievo  generale  che  quel  principio  continua  a svolgere nel
sistema,  qualsiasi scelta del legislatore regionale che introducesse
rispetto  ad  esso  regimi  derogatori  - come senz'altro e' avvenuto
nella  disposizione  oggetto  di impugnativa - dovrebbe permettere di
rinvenire nella stessa struttura normativa una specifica, trasparente
e  razionale  «causa giustificatrice», idonea a «spiegare», sul piano
costituzionale, le «ragioni» poste a base della deroga. A conclusioni
analoghe  puo'  altresi'  giungersi con riferimento agli artt. 2 e 3,
comma 4,  della  legge  5 febbraio  1992,  n. 104  (Legge-quadro  per
l'assistenza,  l'integrazione  sociale  e  i  diritti  delle  persone
handicappate),  che  -  nell'ambito  dei  principi fondamentali e per
quanto  attiene  alle prestazioni in tema di handicap - equiparano ai
cittadini gli stranieri e gli apolidi residenti, domiciliati o aventi
stabile dimora nel territorio nazionale.
    Non  essendo,  quindi,  enucleabile  dalla  norma impugnata altra
ratio  che  non  sia quella di introdurre una preclusione destinata a
scriminare,  dal  novero  dei fruitori della provvidenza sociale, gli
stranieri  in quanto tali, ne deriva la illegittimita' costituzionale
in  parte  qua  della  norma stessa, per violazione dell'art. 3 della
Costituzione.
    Restano  assorbiti  gli  ulteriori  profili  dedotti  dal giudice
rimettente.