ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5, del
decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di
previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche' disposizioni
fiscali),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 14 novembre
1992,  n. 438;  dell'art. 3,  comma 36, della legge 24 dicembre 1993,
n. 537  (Interventi  correttivi  di  finanza  pubblica); dell'art. 1,
comma 66,   della   legge   23 dicembre   1996,   n. 662  (Misure  di
razionalizzazione  della  finanza pubblica); dell'art. 22 della legge
23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale   e   pluriennale   dello   Stato-legge   finanziaria  2000);
dell'art. 36  della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2003),  promossi con ordinanze del 22 ottobre 2003 e del
1° ottobre  2004  dal  Tribunale  ordinario  di  Genova  sui  ricorsi
proposti  da  Fortunato Bognolo e da Roberto Salvatori contro la Rete
Ferroviaria  Italiana S.p.A., rispettivamente iscritte ai numeri 15 e
1051   del  registro  ordinanze  2004  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale  n. 8,  1ª  serie speciale, dell'anno 2004 e n. 4, 1ª serie
speciale, dell'anno 2005.
    Visti  gli atti di costituzione di Fortunato Bognolo e della Rete
Ferroviaria  Italiana  S.p.A.  nonche'  gli  atti  di  intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  25 ottobre  2005  il  giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Uditi  gli  avvocati  Vittorio  Angiolini  per Fortunato Bognolo,
Paolo Tosi per la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. e l'avvocato dello
Stato  Massimo  Salvatorelli  per  il  Presidente  del  Consiglio dei
ministri.
    Ritenuto  che,  nel  corso  di  un  giudizio, promosso dinanzi al
Tribunale  ordinario  di  Genova  da  Fortunato Bognolo nei confronti
della  Rete  Ferroviaria  Italiana  S.p.A. (gia' Ferrovie dello Stato
Societa'  di trasporti e servizi per azioni), per vedersi riconoscere
il  diritto alla retribuzione per il lavoro straordinario, effettuato
fino al 31 dicembre 1999, con maggiorazione di almeno il 10% rispetto
alla  retribuzione  per  il  lavoro ordinario, l'adito Tribunale, con
ordinanza del 22 ottobre 2003 (iscritta al n. 15 del r. o. del 2004),
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
all'art. 117,  comma primo, della Costituzione, dell'art. 7, comma 5,
del  decreto-legge  19 settembre  1992,  n. 384  (Misure  urgenti  in
materia  di  previdenza,  di  sanita'  e di pubblico impiego, nonche'
disposizioni  fiscali),  convertito,  con  modificazioni, nella legge
14 novembre   1992,   n. 438;   dell'art. 3,  comma 36,  della  legge
24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica);
dell'art. 1,  comma 66,  della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica);  dell'art. 22 della
legge  23 dicembre  1999,  n. 488 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2000);
dell'art. 36  della  legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2003), nelle parti in cui tali norme, «nello stabilire il
blocco  degli  aumenti,  non  hanno riguardo unicamente ai meccanismi
automatici   di   indicizzazione,   ma  si  estendono  anche  a  voci
contrattate, come il compenso per il lavoro straordinario»;
        che,  in  punto  di  fatto, il giudice a quo riferisce che il
lavoratore  ricorrente assume di avere svolto «lavoro straordinario»,
risultante dai prospetti paga prodotti, e di avere percepito per tale
lavoro  una retribuzione inferiore a quella corrisposta per il lavoro
ordinario,  anziche'  maggiorata  di  almeno  il 10%, come prescritto
dalla legge;
        che,   procedendo   alla   ricostruzione   della   disciplina
contrattuale  e  legale, applicabile al rapporto di lavoro dedotto in
giudizio,   relativamente   al   trattamento   economico  del  lavoro
straordinario,   il  giudice  rimettente  ricorda  che  il  contratto
collettivo  nazionale di lavoro per i dipendenti delle Ferrovie dello
Stato  del 18 luglio 1990, vigente nel periodo 1990/1992, all'art. 44
(rubricato  «Compenso  per  lavoro  straordinario»), prevedeva per il
lavoro   straordinario   un   compenso   maggiorato   rispetto   alla
retribuzione  «convenzionale»,  la quale, inferiore alla retribuzione
«normale»,  comprendeva  tra  le  sue  componenti la voce «indennita'
integrativa speciale»;
        che,   a  seguito  dell'entrata  in  vigore  dell'art. 7  del
decreto-legge  n. 384 del 1992 - il cui comma 5 stabilisce che «tutte
le  indennita',  compensi,  gratifiche  ed  emolumenti  di  qualsiasi
genere,  comprensivi, per disposizioni di legge o atto amministrativo
previsto dalla legge o per disposizione contrattuale, di una quota di
indennita'  integrativa  speciale  di  cui alla legge 27 maggio 1959,
n. 324,  e successive modificazioni, o dell'indennita' di contingenza
prevista  per  il settore privato o che siano, comunque, rivalutabili
in  relazione  alla variazione del costo della vita, sono corrisposti
per  l'anno 1993  nella  stessa misura dell'anno 1992» - i successivi
contratti  collettivi  dei ferrovieri hanno disposto l'erogazione dei
compensi per lavoro straordinario nella stessa misura prevista per il
1992, nonostante gli aumenti apportati ad altre voci retributive, con
la  conseguenza che il lavoro straordinario e' stato, a partire da un
determinato  momento,  retribuito  in  misura  inferiore  rispetto al
lavoro ordinario;
        che,   essendo  stata  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 7,  comma 5,  del  decreto-legge n. 384 del
1992  per contrasto con l'art. 36 Cost., la Corte costituzionale, con
sentenza  n. 242  del  1999,  ha dichiarato non fondata la questione,
sulla  considerazione  che  l'art. 7,  comma 5,  va interpretato «nel
senso che la norma ha riguardo unicamente ai meccanismi automatici di
indicizzazione  e  soltanto  su  questi ultimi ha prodotto effetti di
«blocco»;
        che,  poiche'  tale  interpretazione  non  e' stata condivisa
dalla  Corte  di  cassazione  e  questa  ha  sollevato  nuovamente la
questione  di legittimita' costituzionale della norma in discorso, in
riferimento  all'art. 36 Cost., la Corte costituzionale, con sentenza
n. 470  del  2002,  ha  dichiarato,  ancora una volta, non fondata la
questione, osservando che non solo «[...] deve ribadirsi - in assenza
di qualsiasi argomentazione che induca a discostarsene - il principio
consolidato  secondo  cui  la  proporzionalita'  ed adeguatezza della
retribuzione  va  riferita  non  gia' alle sue singole componenti, ma
alla  globalita' di essa, ma altresi' il corollario che questa Corte,
nella  sentenza  n. 164  del  1994,  ne  ha tratto affermando che "il
silenzio  dell'art. 36  Cost.  sulla  struttura  della retribuzione e
sull'articolazione  delle  voci  che  la  compongono significa che e'
rimessa   insindacabilmente   alla   contrattazione   collettiva   la
determinazione    degli    elementi   che   concorrono   a   formare,
condizionandosi  a  vicenda, il trattamento economico complessivo dei
lavoratori,  del  quale  il  giudice  potra'  poi  essere  chiamato a
verificare   la   corrispondenza  ai  minimi  garantiti  dalla  norma
costituzionale"»;
        che,   ad   avviso  del  rimettente,  l'art. 14  della  legge
17 maggio   1985,   n. 210  (Istituzione  dell'ente  «Ferrovie  dello
Stato»),  avrebbe determinato «l'abrogazione delle preesistenti leggi
speciali,  abrogazione  rinviata al momento in cui saranno adottati i
relativi  regolamenti»,  con la conseguenza che «rimangono ovviamente
in  vigore,  come del resto ribadito dal citato articolo 14, le leggi
di  carattere  generale,  che cioe' non si limitano a disciplinare lo
specifico settore ferroviario»;
        che,  in  particolare,  sarebbero state abrogate sia le leggi
che disciplinano l'orario di lavoro dei ferrovieri sia il terzo comma
dell'art. 1   del   regio   decreto-legge   15 marzo   1923,   n. 692
(Limitazione  dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle
aziende  industriali  o  commerciali di qualunque natura), convertito
nella  legge  17 aprile  1925,  n. 473,  nella  parte  in cui, per la
disciplina   del   lavoro  straordinario  dei  ferrovieri,  rinvia  a
«separate   disposizioni»;   sicche'   al  lavoro  straordinario  dei
dipendenti  delle Ferrovie dello Stato sarebbero applicabili le norme
di  legge  che  dettano la disciplina generale della materia, e cioe'
l'art. 2108  del  codice civile e l'art. 5 del r.d.l. n. 692 del 1923
(il quale consente l'allungamento della giornata normale di lavoro «a
condizione, in ogni caso, che il lavoro straordinario venga computato
a  parte  e  remunerato  con  un aumento di paga su quella del lavoro
ordinario non inferiore al 10 per cento»);
        che,  cosi'  delineato il quadro normativo di riferimento, il
giudice   rimettente   osserva   che  la  concorrente  applicabilita'
dell'art. 7, comma 5, del decreto-legge n. 384 del 1992 (e successive
proroghe)  fa  sorgere il problema della compatibilita' di tale norma
con  l'art. 4  della  parte II della Carta sociale europea, riveduta,
fatta  a  Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva in
virtu'  della  legge  9 febbraio  1999, n. 30 (Ratifica ed esecuzione
della   Carta   sociale  europea,  riveduta,  con  annesso,  fatta  a
Strasburgo  il 3 maggio 1996), entrata in vigore il 1° settembre 1999
(a  seguito  dello  scambio  degli  strumenti di ratifica avvenuto il
6 luglio 1999);
        che  tale  norma  (la  cui  rubrica  reca «Diritto ad un'equa
retribuzione»)  dispone,  per quel che qui rileva, che «per garantire
l'effettivo  esercizio  del diritto ad un'equa retribuzione, le Parti
s'impegnano:  1.  a  riconoscere  il  diritto  dei  lavoratori ad una
retribuzione  sufficiente  tale  da  garantire  ad  essi  e alle loro
famiglie  un  livello  di vita dignitoso; 2. a riconoscere il diritto
dei  lavoratori  ad  un  tasso  retributivo  maggiorato per le ore di
lavoro  straordinario  ad eccezione di alcuni casi particolari [...]»
(comma  primo),  ed  inoltre  che «l'esercizio di questi diritti deve
essere  garantito  sia da convenzioni collettive liberamente concluse
sia  da  meccanismi  legali di determinazione dei salari, sia in ogni
altro modo conforme alle condizioni nazionali» (comma secondo);
        che,  atteso  che  l'art. 4,  punto  2,  della  Carta sociale
europea  ha  gia'  ricevuto attuazione dall'art. 2108 cod. civ. e dal
r.d.l. n. 692 del 1923 (applicabili anche al lavoro ferroviario, come
innanzi  argomentato),  il giudice rimettente asserisce che lo stesso
art. 4,  punto  2,  e'  vincolante per lo Stato italiano, sia perche'
ricompreso  nella  dichiarazione formulata dall'Italia al momento del
deposito   degli   strumenti   di   ratifica,   sia  perche'  attuato
nell'ordinamento  interno,  secondo  la  previsione dell'art. G della
parte  V  della  Carta, e cio' anche se esso non ha efficacia diretta
nell'ordinamento  interno  degli  Stati contraenti, ma si concreta in
impegni  giuridici  di  carattere internazionale nei rapporti fra gli
Stati  medesimi;  ai  quali,  percio',  e' demandata l'attuazione dei
principi   e   dei   diritti   in   essa   contemplati,   con   ampia
discrezionalita' quanto ai modi, ai tempi e ai mezzi;
        che, ad avviso del giudice rimettente, l'art. 7, comma 5, del
decreto-legge  n. 384 del 1992, nella parte in cui per le prestazioni
lavorative  rese  oltre  l'orario  normale  esclude  una retribuzione
maggiorata,   o   addirittura  consente  una  retribuzione  inferiore
rispetto  a  quella  del  lavoro  ordinario, si pone in contrasto con
l'art. 4,  punto  2,  della Carta sociale europea, e, dunque, integra
gli  estremi  di  un inadempimento da parte dello Stato italiano agli
obblighi internazionali scaturenti dalla Carta medesima;
        che - ad avviso dello stesso giudice - non puo' escludersi il
cennato  contrasto in virtu' dell'inciso «ad eccezione di alcuni casi
particolari»,  contenuto  in  detto  art. 4, punto 2, poiche' sarebbe
contraddittorio  riconoscere  ad  uno  Stato  contraente la facolta',
senza  limiti,  di  derogare  ad  una  norma  che,  nel  contempo, e'
considerata  vincolante  per lo Stato medesimo, dovendosi tale inciso
intendere   alla  stregua  del  principio,  vigente  nell'ordinamento
internazionale,   secondo   cui  limitazioni  a  principi  e  diritti
fondamentali  sono  ammissibili  solo se giustificate da finalita' di
interesse  generale  e  purche'  il mezzo non sia sproporzionato allo
scopo;
        che   la   disposizione   di  cui  all'art. 7,  comma 5,  del
decreto-legge  n. 384  del 1992 sarebbe priva di ogni ragionevolezza,
atteso  che  il  blocco del compenso per lavoro straordinario dipende
solo  dal  fatto,  del  tutto  accidentale, che di esso, in base alla
contrattazione  collettiva  del  settore,  faccia  parte una di dette
indennita';
        che,   peraltro,   non   sarebbe   invocabile  l'argomento  -
utilizzato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 470 del 2002
-  circa  il  «silenzio  dell'art. 36  Cost.  sulla  struttura  della
retribuzione  e sull'articolazione delle voci che la compongono», dal
momento  che  l'art. 4,  punto  2,  della  Carta  sociale  europea, a
differenza  dell'art. 36 Cost., considera la retribuzione anche nelle
sue  articolazioni  e,  in  particolare,  in  quella  costituita  dal
compenso per il lavoro straordinario;
        che,  in  conclusione,  l'art. 7,  comma 5, del decreto-legge
n. 384  del  1992 (e successive proroghe), ponendosi in contrasto con
l'art. 4,  punto  2,  della  Carta sociale europea, viola l'art. 117,
comma  primo,  Cost.,  come  riformulato  dalla  legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3, il quale vincola la potesta' legislativa dello
Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali;
        che  la  previsione dei contratti collettivi non incide sulla
rilevanza   della  questione,  in  quanto,  per  il  principio  della
cosiddetta  «inderogabilita'  unilaterale»,  vigente  nel diritto del
lavoro,  le  norme  di  legge  che  prevedono  diritti  a  favore dei
lavoratori  subordinati  non  possono  essere  derogate in peius, ne'
dall'autonomia individuale, ne' dalla contrattazione collettiva, e le
eventuali  clausole  contrattuali  peggiorative  sono  sostituite  di
diritto dalle disposizioni legislative piu' favorevoli;
        che,  in  applicazione della cosiddetta «teoria del cumulo» -
secondo la quale la comparazione va fatta prendendo in considerazione
le   singole   clausole   e   confrontandole  con  le  corrispondenti
disposizioni  di  legge; teoria da preferirsi a quella cosiddetta del
«conglobamento»,  in  base  al  disposto degli artt. 1339 e 1419 cod.
civ. -, le norme di legge sulla retribuzione del lavoro straordinario
(ossia,  l'art. 2108 cod. civ. e l'art. 5 del r.d.l. n. 692 del 1923)
si   sostituirebbero  automaticamente  alle  clausole  del  contratto
collettivo del settore con esse contrastanti;
        che  il  giudice  rimettente, acclarato che la contrattazione
collettiva   del   settore   prevede  una  durata  della  prestazione
lavorativa  ordinaria  inferiore  a quella stabilita dalle richiamate
norme   di   legge,   conclude,   aderendo   all'insegnamento   della
giurisprudenza   di  legittimita',  nel  senso  che  alla  disciplina
contrattuale  andrebbe  sostituita  la disciplina legale riguardo sia
alla  maggiorazione  del  compenso  per lavoro straordinario sia alla
durata del lavoro ordinario;
        che,  secondo  il giudice rimettente, essendo la retribuzione
del  lavoro straordinario prevista dal contratto collettivo inferiore
a  quella del lavoro ordinario, la disciplina legale risulta comunque
piu'  favorevole  per i lavoratori di quella contrattuale, in quanto,
«nella  specie,  il  carattere piu' favorevole del trattamento legale
dipende anche, paradossalmente, dalla circostanza che la durata della
normale  prestazione  lavorativa stabilita dalla legge sia piu' ampia
di  quella stabilita in sede contrattuale; tale paradossale risultato
discende  dal  fatto che in sede contrattuale il lavoro straordinario
e' retribuito in misura inferiore a quello ordinario»;
        che,   ritualmente   costituitosi,  il  ricorrente  Fortunato
Bognolo  ha  concluso  per  la  fondatezza  della  questione, facendo
proprie le argomentazioni esposte nell'ordinanza di rimessione;
        che,  costituitasi  in giudizio, la Rete Ferroviaria Italiana
S.p.A. (gia' Ferrovie dello Stato Societa' di trasporti e servizi per
azioni)   ha   concluso   per   la   inammissibilita'   e,  comunque,
l'infondatezza della questione;
        che, quanto alla rilevanza, l'ordinanza di rimessione sarebbe
contraddittoria,  in  quanto  ha  posto  a  confronto, da un lato, la
disciplina  legale del trattamento economico dello straordinario e la
sola  clausola contrattuale che prevede il «blocco» dei compensi agli
importi  del  1992,  ma,  dall'altro  lato, ha dovuto riconoscere che
l'orario contrattuale e' piu' favorevole di quello legale;
        che,  inoltre,  la  questione  sarebbe irrilevante, in quanto
sollevata  con  riferimento all'art. 117 Cost., come modificato dalla
legge  costituzionale  n. 3 del 2001, in una controversia concernente
prestazioni  lavorative  rese  fino al 31 dicembre 1999, e, pertanto,
governata  da una norma che, originariamente conforme a Costituzione,
a  seguito di una modifica della Carta fondamentale non puo' divenire
difforme  ab origine, ma, semmai, solo dal momento in cui si e' avuta
la modifica costituzionale;
        che, quanto alla fondatezza della questione, la deducente, in
primis,  contesta  che  la  legge di «privatizzazione» delle Ferrovie
dello Stato abbia determinato l'abrogazione della disciplina speciale
dell'orario di lavoro dei ferrovieri;
        che,  inoltre,  il diritto ad una retribuzione maggiorata per
il  lavoro  straordinario non e' affatto un diritto fondamentale, ne'
per  la  nostra  Costituzione  (sentenza  della  Corte costituzionale
n. 470 del 2002), ne' per la Carta sociale europea, il cui art. 4 non
solo  prevede  l'eccezione  di  «casi particolari», ma nemmeno elenca
tale  diritto  fra  quelli  che  gli  Stati  contraenti sono tenuti a
recepire;
        che,   infine,  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  di
cassazione,  «il  fatto  che  la  contrattazione collettiva e la piu'
recente   normativa   del  settore  -  in  ragione  di  una  maggiore
flessibilita' - abbiano comportato una diversa modulazione del lavoro
su  di  un arco temporale multiperiodale, comporta che il superamento
dell'orario  contrattualmente  definito  come «normale» in un periodo
piu'  ristretto (giorno o settimana), non puo' far considerare le ore
«eccedenti»  come  lavoro  straordinario  dal  punto di vista legale;
donde  la  inapplicabilita'  dell'intera  normativa - anche attuativa
dell'art. 4   della  Carta  sociale  europea,  ratificata  con  legge
9 febbraio  1999,  n. 30  -  avente  ad  oggetto  il  compenso per lo
straordinario  stricto  sensu  inteso» (Cass. 14 marzo 2003, n. 3770;
Cass. 2 maggio 2003, n. 6708);
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   il   quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata;
        che,   a  giudizio  della  difesa  erariale,  l'ordinanza  di
rimessione  sarebbe  carente  di  motivazione  sulla  rilevanza della
questione,  per  avere  il giudice rimettente omesso di ricostruire i
fatti  di  causa,  al  punto  che  non  e'  dato  sapere  se si verta
effettivamente  in  un'ipotesi  di  lavoro  straordinario,  ne' se la
retribuzione  percepita  dal  ricorrente  sia da ritenere inferiore a
quella spettantegli;
        che,   inoltre,   la  questione  si  basa  su  di  un'opzione
interpretativa,   la   cosiddetta  «teoria  del  cumulo»,  del  tutto
opinabile;
        che, ancora, la pretesa lesione di diritti del lavoratore non
discende  dalla  norma  impugnata,  la  quale non esclude affatto una
retribuzione  maggiorata  per  il lavoro straordinario, limitandosi a
«congelare»    talune    voci    retributive,   ma   dalla   concreta
quantificazione    del    trattamento    economico    operata   dalla
contrattazione  collettiva,  la  quale,  ove  in  contrasto con norme
inderogabili, e' sindacabile dal giudice ordinario;
        che,   peraltro,  la  disciplina  del  trattamento  economico
scaturente  dalla  vigente  contrattazione collettiva appare ben piu'
favorevole  della  disciplina  legale,  per cui nessun concreto danno
deriva  ai  lavoratori dalle modalita' di calcolo del compenso per il
lavoro straordinario;
        che,  quanto  al  merito, le disposizioni della Carta sociale
europea   non   costituiscono   «obblighi  internazionali»  idonei  a
vincolare   la   potesta'   legislativa   dello   Stato,   ai   sensi
dell'art. 117,  primo  comma, Cost., in quanto esse individuano degli
obiettivi da perseguire nell'ambito delle relazioni internazionali, e
non sono direttamente applicabili ai singoli rapporti;
        che   l'art. 4  della  Carta  sociale  europea  contiene  una
clausola  («ad  eccezione  di  alcuni  casi  particolari»),  la quale
consente   allo   Stato   firmatario   di  regolare  diversamente  la
fattispecie  per  finalita'  rilevanti,  come e' avvenuto nel caso di
specie,   avendo   il  legislatore  introdotto  una  deroga  parziale
giustificata  da  fondamentali  esigenze di riequilibrio del bilancio
statale;
        che,  peraltro,  l'art. 4  della  Carta  sociale  europea  va
correttamente  inteso,  alla luce della sua ratio (quale emerge anche
dal  secondo  comma),  nel  senso  che  il legislatore nazionale deve
tendere ad assicurare una «equa retribuzione», e questa e', comunque,
garantita  dalla  normativa  sospettata di incostituzionalita', posto
che  la  contrattazione  collettiva  del settore (pur avendo previsto
l'invarianza  della  misura  del  compenso  del lavoro straordinario)
attribuisce  al lavoratore benefici ed utilita', che complessivamente
tengono   in  reale  considerazione  il  lavoro  prestato  e  le  sue
caratteristiche;
        che,  infine, non puo' trascurarsi che, in sede di trattative
sindacali,  proprio  perche'  si  e' tenuto conto della esistenza del
«blocco»  del  compenso dello straordinario, si sono concordati altri
benefici economici e normativi, realizzando un complessivo equilibrio
economico,   che   il   rimettente   pretenderebbe  di  alterare  con
l'espunzione della norma censurata;
        che,  nel corso di un altro giudizio civile, promosso dinanzi
al  Tribunale  ordinario di Genova da Roberto Salvadori nei confronti
della  Rete  Ferroviaria  Italiana S.p.A., per vedersi riconoscere il
diritto  alla  retribuzione  per  il lavoro straordinario, effettuato
fino al 31 dicembre 1999, con maggiorazione di almeno il 10% rispetto
alla  retribuzione  per  il  lavoro  ordinario, l'adito Tribunale, in
persona  di  altro  giudice monocratico, con ordinanza del 1° ottobre
2004  (iscritta  al  n. 1051 del r.o. del 2004), ha sollevato analoga
questione  di  legittimita'  costituzionale,  in riferimento non solo
all'art. 117, comma primo, ma anche all'art. 11 Cost., denunciando le
medesime  norme gia' impugnate con la prima ordinanza, nelle parti in
cui,  «nello  stabilire  il  blocco degli aumenti, non hanno riguardo
unicamente   ai   meccanismi  automatici  di  indicizzazione,  ma  si
estendono  anche  a  voci contrattate, come il compenso per il lavoro
straordinario»;
        che  il  giudice  rimettente  svolge considerazioni del tutto
coincidenti   con   quelle  esposte  nella  precedente  ordinanza  di
rimessione,   della   quale   riproduce   la   motivazione,  soltanto
aggiungendo  che  gia'  prima  della  modifica dell'art. 117 Cost. si
riteneva  immanente  nel sistema il principio, ora espresso nel primo
comma, che si ricollegava all'art. 11 Cost;
        che   si   e'   ritualmente   costituita  la  convenuta  Rete
Ferroviaria   Italiana   S.p.A.,   la   quale   ha  concluso  per  la
inammissibilita'   e,   comunque,   l'infondatezza  della  questione,
riproponendo le argomentazioni gia' sviluppate nel precedente atto di
costituzione,  ed aggiungendo che, secondo consolidata giurisprudenza
della  Corte  costituzionale (a partire dalle sentenze numeri 47, 48,
81  e  113  del 1985), non spetta alla medesima Corte lo scrutinio di
legittimita'  delle norme di legge interna per contrasto con le norme
della comunita' europea;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   il   quale  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile  o, comunque, infondata, con atto di contenuto identico
a quello del precedente giudizio;
        che  in prossimita' dell'udienza pubblica le parti costituite
hanno presentato memorie, con le quali hanno ribadito e ulteriormente
illustrato le rispettive conclusioni;
        che il ricorrente Fortunato Bognolo - ricordato che l'art. 36
Cost.  prevede  che,  a  tutela  della  sicurezza  e della salute dei
lavoratori,  la durata massima della giornata lavorativa e' stabilita
dalla  legge  -  osserva che l'art. 2108 cod. civ., nell'ammettere il
lavoro  straordinario come «prolungamento dell'orario normale», esige
che  esso  sia  compensato  con un aumento di retribuzione rispetto a
quella  dovuta per il lavoro ordinario, cosi' garantendo che l'orario
«normale»  resti tale e non diventi normalita' cio' che deve rimanere
«straordinario»   proprio   per   tutelare  sicurezza  e  salute  dei
lavoratori;
        che,  in  piena coerenza con la normativa interna, il diritto
comunitario  del  lavoro  (direttive  93/104 CE e 03/88 CE) considera
anch'esso  il  lavoro straordinario, da prestarsi comunque nei limiti
della  durata massima inderogabile della prestazione lavorativa, come
un  prolungamento  dell'orario  normale  e  la  Carta sociale europea
riconosce   ai   lavoratori  il  diritto  «ad  un  tasso  retributivo
maggiorato per le ore di lavoro straordinario» (art. 4, punto 2);
        che  «la  normalita' dell'orario e' destituita di significato
se  il  lavoro  che  venga  qualificato  come straordinario, rispetto
all'orario  normale,  puo'  essere  ottenuto  dal  datore di lavoro a
condizioni  pari  o addirittura migliori di quelle in cui puo' essere
ottenuto  il  lavoro  ordinario»,  tanto  che  la  Corte di giustizia
europea  ha  ritenuto  contrario  al  diritto  comunitario che ore di
straordinario,  in  quanto  costituenti  prolungamento dell'orario di
lavoro   normale,   siano  retribuite  in  modo  maggiorato  solo  al
superamento   di   un  certo  numero  di  ore  (Corte  di  giustizia,
15 dicembre 2004, in C-399/92, C-409/92, C-50/93 e C-78/93);
        che  la  stessa  Corte  ha  anche  affermato  che  i principi
generali  del  diritto  internazionale richiedono, affinche' i limiti
normali possano essere superati, che il lavoratore, da tutelarsi come
«contraente debole», presti un consenso «esplicitamente e liberamente
espresso»,   senza  che  il  datore  di  lavoro  abbia  «facolta'  di
influenzare  la  volonta'  dell'altro  contraente  o  di imporgli una
restrizione dei suoi diritti» (Corte di giustizia, 5 ottobre 2004, in
C-397/01 e C-403/01);
        che,  pertanto,  il principio per cui il lavoro straordinario
deve   essere  retribuito  a  tasso  maggiorato  e'  imprescindibile,
«giacche'    l'accettazione   senza   alcun   incentivo   di   lavoro
straordinario  dal  lavoratore,  il  quale  in  tal  guisa rinunci al
periodo  di  riposo  che  gli  e' normalmente accordato per la tutela
della  propria  sicurezza e salute, non puo' presumersi, in base alla
comune  esperienza,  che  come un'accettazione indebita ed «estorta»,
strappata facendo leva su di uno stato di bisogno economico pressante
o su altri mezzi di pressione indebiti»;
        che, in definitiva, il contrasto delle norme impugnate con il
diritto  europeo  e  internazionale  e' conclamato, e non puo' essere
escluso  da  una  interpretazione  restrittiva  dell'art. 117  Cost.,
poiche', da un lato, gli obblighi internazionali in materia di lavoro
sono  gia'  di per se' richiamati dall'art. 35 Cost. e, dall'altro, i
principi   di   diritto  internazionale  ed  europeo  attinenti  alla
sicurezza  e  alla salute dei lavoratori, che vengono qui in rilievo,
sono  autonomamente presidiati dall'art. 11 Cost. e destinati, per di
piu',  a  valere  come  norme  generalmente riconosciute agli effetti
dell'art. 10 Cost;
        che   la   Rete   Ferroviaria   Italiana  S.p.A.  -  ribadita
l'eccezione   di  inammissibilita'  della  questione,  in  quanto  la
eventuale  dichiarazione d'incostituzionalita' della norma denunciata
opererebbe dal 2001, laddove i giudizi a quibus riguardano (presunti)
diritti    maturati    fino   al   1999;   e   ribadita   l'eccezione
d'inammissibilita'   per   avere   i  giudici  rimettenti  omesso  di
individuare  i  fatti  di  causa,  e  cioe'  se  si  tratti di lavoro
«straordinario»  in senso stretto, ovvero di lavoro «supplementare» -
richiama  la giurisprudenza di legittimita', secondo la quale «e' del
tutto  legittima,  perche' non si pone in contrasto ne' con l'art. 36
Cost. ne' con l'art. 2108 cod. civ., la condotta del datore di lavoro
che - in presenza della contrattazione collettiva che fissi un limite
di  orario  normale  inferiore  a  quello  predeterminato per legge -
corrisponda  ai  propri  dipendenti  che  abbiano  superato il limite
convenzionale  ma non quello legale, un corrispettivo per il suddetto
lavoro  inferiore  a  quello  prescritto dall'art. 2108 cod. civ. per
l'orario  straordinario,  dovendosi  a  tale  soluzione pervenire sia
perche' l'art. 36 Cost. va letto in relazione non ai singoli elementi
retributivi  ma  al complessivo trattamento economico riconosciuto al
lavoratore,    e   sia   perche'   l'inderogabilita'   del   disposto
dell'art. 2108  cod.  civ.  opera,  come  detto,  solo in presenza di
violazioni  dei  tetti  massimi di "orario normale" previsti da norme
legislative» (Cass. 22 giugno 2004, n. 11641);
        che la questione sarebbe, in ogni caso, infondata sia perche'
l'art. 4,  punto 2, della Carta sociale europea non esprime un valore
fondamentale  imprescindibile,  sia perche' la prevista «eccezione di
taluni  casi  particolari»  giustifica  la  disciplina posta a tutela
dell'esigenza  di  arginare le spinte inflazionistiche in un settore,
come   quello   dei  servizi  pubblici,  particolarmente  esposto  al
conflitto sindacale;
        che, osserva la deducente, l'orario di lavoro nel settore dei
pubblici  servizi  e'  da sempre oggetto di una disciplina speciale e
costituisce,   quindi,   un  «caso  particolare»  riconducibile  alla
previsione  del  richiamato  inciso  dell'art. 4  della Carta sociale
europea;
        che l'art. 4 della Carta sociale europea trova attuazione nel
nostro   ordinamento   non  solo  attraverso  le  disposizioni  degli
articoli 2108  cod.  civ.  e  5 del r.d.l. n. 692 del 1923, ma anche,
come  recita  la  Carta  (art.  I  della  parte  V),  attraverso  «le
convenzioni  stipulate tra datori di lavoro [...] e organizzazioni di
lavoratori»  (lettera b)  ovvero  «una  combinazione  di  questi  due
metodi»   (lettera c),   e   cioe'   della   legislazione   e   della
contrattazione collettiva;
        che l'Avvocatura dello Stato, nella sua memoria illustrativa,
sostiene   che,  alla  stregua  di  una  convincente  interpretazione
proposta   da   una  parte  della  dottrina,  la  portata  innovativa
dell'art. 117  Cost., come modificato dalla legge costituzionale n. 3
del  2001,  va  ridimensionata,  in quanto la nuova norma si limita a
stabilire  una garanzia costituzionale dell'osservanza degli obblighi
internazionali  e  comunitari,  senza, pero', modificare i meccanismi
utilizzati   per   attuare  tali  obblighi  nell'ordinamento  interno
(artt. 10  e  11 Cost.) e senza alterare il rango formale delle norme
di  origine internazionale, le quali, dunque, non sono poste su di un
piano   di   supremazia   rispetto   alle   norme  interne  di  rango
subcostituzionale;
        che  la ratio della nuova norma costituzionale va ricollegata
all'introduzione  della  possibilita'  per  le  Regioni di concludere
accordi  con  Stati  e  intese con enti territoriali interni ad altro
Stato nelle materie di loro competenza (art. 117, comma nono, Cost.),
sicche'  il  vincolo alla potesta' legislativa andrebbe riferito alla
ripartizione  di  competenze  fra  Stato  e Regioni ed opererebbe nel
senso  che  l'assunzione  di  obblighi  internazionali  da  parte  di
ciascuno  di  questi  enti  costituisce un limite di legittimita' per
l'esercizio di competenze normative interne dell'altro;
        che le disposizioni della Carta sociale europea non integrano
«obblighi internazionali» previsti dall'art. 117, primo comma, Cost.,
ma  costituiscono  «impegni  di carattere generalissimo, obiettivi da
perseguire  nell'ambito delle relazioni internazionali, come tali non
direttamente applicabili ai singoli rapporti»;
        che,  peraltro,  l'art. 4  della  Carta contiene una clausola
(«ad  eccezione  di taluni casi particolari»), la quale consente allo
Stato   firmatario   di  regolare  diversamente  la  fattispecie  per
finalita'  rilevanti, e tali sono certamente le fondamentali esigenze
di  riequilibrio  del bilancio statale, oltre che la peculiarita' del
sistema retributivo vigente nel nostro Paese.
    Considerato  che  il  Tribunale  ordinario di Genova dubita della
legittimita'   costituzionale,  in  riferimento  all'art. 117,  comma
primo,   nonche'  (ordinanza  n. 1051  del  2004)  all'art. 11  della
Costituzione,  dell'art. 7,  comma 5,  del decreto-legge 19 settembre
1992,  n. 384  (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanita' e
di  pubblico  impiego, nonche' disposizioni fiscali), convertito, con
modificazioni,  nella  legge  14 novembre  1992, n. 438; dell'art. 3,
comma 36, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi
di  finanza pubblica); dell'art. 1, comma 66, della legge 23 dicembre
1996,  n. 662  (Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica);
dell'art. 22  della  legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2000); dell'art. 36 della legge 27 dicembre 2002, n. 289
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato-legge  finanziaria  2003),  nelle  parti  in  cui, nello
stabilire - per il personale comunque dipendente da enti pubblici non
economici,  nonche'  per  quello degli enti, delle aziende o societa'
produttrici  di  servizi  di  pubblica  utilita'  - il «blocco» degli
aumenti relativamente a «tutte le indennita', compensi, gratifiche ed
emolumenti  di  qualsiasi  genere,  comprensivi,  per disposizioni di
legge  o  atto amministrativo previsto dalla legge o per disposizione
contrattuale,  di una quota di indennita' integrativa speciale di cui
alla  legge  27 maggio  1959,  n. 324,  e successive modificazioni, o
dell'indennita'  di contingenza prevista per il settore privato o che
siano,  comunque, rivalutabili in relazione alla variazione del costo
della  vita», tali norme «non hanno riguardo unicamente ai meccanismi
automatici   di   indicizzazione,   ma  si  estendono  anche  a  voci
contrattate, come il compenso per il lavoro straordinario»;
        che,  ad  avviso dei rimettenti, il contrasto con l'art. 117,
comma primo, nonche' con l'art. 11 Cost. sarebbe determinato da cio',
che  le  norme denunciate impongono di escludere la maggiorazione del
compenso  del  lavoro straordinario, cosi' ponendosi in contrasto con
l'art. 4,  punto  2,  della  parte  II  della  Carta  sociale europea
(riveduta,  fatta  a  Strasburgo  il 3 maggio 1996, ratificata e resa
esecutiva  in  virtu'  della legge 9 febbraio 1999, n. 30; entrata in
vigore  il  1° settembre  1999),  il  quale  prevede  che  gli  Stati
firmatari si impegnano «a riconoscere il diritto dei lavoratori ad un
tasso  retributivo  maggiorato  per le ore di lavoro straordinario ad
eccezione di alcuni casi particolari»;
        che  la  quasi  assoluta  identita' delle questioni sollevate
dalle  due ordinanze di rimessione (anch'esse quasi identiche) impone
la riunione dei due giudizi;
        che preliminare ad ogni altro e' lo scrutinio della rilevanza
delle questioni, per come prospettate dai rimettenti;
        che  le questioni sollevate relativamente agli artt. 22 della
legge  n. 488  del  1999  e  36  della  legge  n. 289  del  2002 sono
manifestamente inammissibili per l'evidente irrilevanza di tali norme
(che  dispongono per gli anni 2000-2005) in giudizi aventi ad oggetto
prestazioni lavorative svolte fino al 31 dicembre 1999;
        che  anche  le  questioni  sollevate relativamente alle altre
norme  -  e  cioe'  all'art. 7, comma 5, del decreto-legge n. 384 del
1992, e successive di proroga - sono manifestamente inammissibili per
carenza della motivazione in ordine alla rilevanza;
        che,   infatti,   le  ordinanze  di  rimessione  omettono  di
precisare  -  pur  dichiarando  di  voler  prendere in considerazione
esclusivamente l'orario legale di lavoro dei ferrovieri, e, pertanto,
la  distinzione  giurisprudenziale  tra lavoro straordinario in senso
stretto   (e   cioe'  eccedente  tale  orario)  e  lavoro  cosiddetto
supplementare  (e  cioe'  eccedente l'orario normale contrattualmente
fissato)  -  la  natura  delle  prestazioni  lavorative che avrebbero
dovuto  ricevere  una  maggiore  remunerazione;  ed  inoltre omettono
l'indicazione  -  necessaria,  attesa la flessibilita' dell'orario di
lavoro   -  del  periodo  preso  in  considerazione  per  determinare
l'eccedenza delle prestazioni rese dai lavoratori ricorrenti rispetto
all'orario normale, legale o contrattuale che esso sia;
        che  la  insufficiente  descrizione delle fattispecie oggetto
dei  giudizi  a quibus rende del tutto oscuro il significato che - in
assenza, peraltro, di ogni specifica motivazione sul punto - dovrebbe
attribuirsi,   secondo   i   rimettenti,   alla   locuzione   «lavoro
straordinario»  utilizzata  dall'art. 4  della Carta sociale europea,
nonche'  al  riferimento,  operato  dal  secondo  comma  della  norma
pattizia,  alle  «convenzioni  collettive»,  esplicitamente  indicate
quali  strumenti  «per garantire l'effettivo esercizio del diritto ad
un'equa retribuzione».