IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa iscritta al
n. 5026 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno
2005,  promossa  da  M.  S.  e  S.  G.  elettivamente  domiciliati in
Cagliari,  presso  lo  studio  dell'avv.  L. C., che li rappresenta e
difende  per  procura  speciale  a  margine del ricorso introduttivo,
ricorrenti;
    Contro  l'Azienda  U.s.l.  n. 8 di Cagliari con sede in Cagliari,
via  Logudoro  17,  in persona del legale rappresentante pro tempore,
convenuta;
    E contro M. dott. G. quale direttore del Servizio di ostetricia e
ginecologia   dell'Ospedale   per   le   microcitemie   facente  capo
all'Azienda  U.s.l.  n. 8  di  Cagliari,  con  sede  in Cagliari, via
Jenner, convenuto;
    E  con  la  partecipazione del pubblico ministero, in persona del
Sostituito Procuratore della Repubblica dott. M. M., intervenuto.
                    Motivi in fatto ed in diritto
    Con  ricorso depositato il primo giugno 2005 i coniugi S. M. e G.
S. hanno esposto, in fatto, le seguenti circostanze:
        insieme  si  erano  rivolti  all'Ospedale  regionale  per  le
microcitemie di Cagliari, Servizio ostetricia e ginecologia, Diagnosi
genetica  prenatale  e  preimpianto,  facente parte dell'Azienda Usl.
n. 8  di  Cagliari, e precisamente al primario dello stesso servizio,
dott.  G.  M.,  essendo  stata accertata la sterilita' di coppia, per
ottenere la fecondazione in vitro;
        in precedenza, ricorrendo alla stessa procedura, S. M. si era
trovata in stato di gravidanza ma, essendosi accertato, attraverso la
villocentesi praticata all'undicesima settimana della gestazione, che
il  feto  era  affetto da beta-talassemia, la gravidanza aveva dovuto
essere interrotta per ragioni terapeutiche;
        S.  M.,  infatti,  constatato che avrebbe procreato un figlio
portatore della grave malattia, aveva visto compromessa la sua salute
psicofisica  a  causa  di  una  sindrome  ansioso-depressiva, per una
durata di circa un anno;
        a  causa  di questa esperienza aveva richiesto, d'accordo con
il  marito,  nella procedura di procreazione medicalmente assistita e
successivamente   alla   formazione   di  un  embrione,  la  diagnosi
preimpianto  ai  fine  di  accertare  se  lo  stesso fosse affetto da
beta-talassemia,  e  aveva rifiutato l'impianto prima di conoscere il
risultato diagnostico;
        il  dott.  G.  M.  aveva  tuttavia  rifiutato  di eseguire la
diagnosi preimpianto;
        anche    dopo    la   formazione   dell'embrione,   destinato
all'impianto,  il  medico  aveva  ribadito  l'invito ad effettuare il
trasferimento,  ma  la M. lo aveva rifiutato, pretendendo la diagnosi
preimpianto  -  sempre  al  fine di evitare un pregiudizio per la sua
salute  -  temendo  che  l'embrione fosse affetto dalla gia' indicata
malattia genetica;
        per  la  situazione creatasi, S. M., tenuto conto anche della
pregressa  esperienza conclusasi con l'interruzione della gravidanza,
avrebbe  corso  un  serio  pericolo  di pregiudizio per la sua salute
psico-fisica  in  caso  di impianto dell'embrione non preceduto dalla
diagnosi richiesta;
        il  rifiuto  del dott. M. di eseguire la diagnosi preimpianto
era   stato  giustificato  alla  luce  dell'interpretazione  corrente
dell'art. 13  legge  19  febbraio  2004,  n. 40  (Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita);
        la  disposizione,  ha  soggiunto  la  ricorrente, consentendo
unicamente  interventi  sull'embrione aventi finalita' diagnostiche e
terapeutiche   volte  alla  tutela  della  salute  ed  allo  sviluppo
dell'embrione   stesso,   avrebbe   impedito,   secondo  la  suddetta
interpretazione  del  medico,  quelli  aventi  come finalita' il solo
accertamento  di  eventuali  gravi  malattie  genetiche  da cui fosse
affetto, come appunto la beta-talassemia;
        piu'  specificamente,  secondo  tale  tesi  del sanitario, la
diagnosi  preimpianto  non  sarebbe stata consentita neppure quando -
come nel caso concreto - fosse stato comunque sussistente, in assenza
di  tale  diagnosi, un grave pericolo per la salute psicofisica della
donna,  derivante  dal fondato timore che l'embrione fosse affetto da
una grave malattia genetica;
        secondo  l'assunto  di parte ricorrente, invece, tale lettura
della  disposizione  dovrebbe  essere  esclusa  alla luce della norma
costituzionale  che  tutela  il  diritto  alla salute (art. 32, primo
comma,  Cost.).  Un'interpretazione  costituzionalmente orientata non
sarebbe,  infatti,  ostacolata  dal tenore letterale della norma, che
consente  la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano
a  condizione che si perseguano finalita' esclusivamente terapeutiche
e diagnostiche: cio', nonostante la legge sembri fissare un'ulteriore
restrizione, limitando la ricerca al solo fine di tutela della salute
e dello sviluppo dell'embrione stesso.
    S. M. e G. S. hanno quindi domandato che il tribunale dichiarasse
in  via  cautelare, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., il loro diritto di
ottenere  la diagnosi preimpianto dell'embrione gia' formato, al fine
di  evitare  che  l'attesa  della diagnosi prenatale, nel ragionevole
dubbio  che l'embrione fosse portatore di una grave malattia genetica
(la  beta-talassemia),  potesse  arrecare  un  grave pregiudizio alla
salute  psicofisica della madre, che pure desidera la gravidanza e la
procreazione di un figlio non portatore di gravi malattie.
    I   ricorrenti,   facendo   presente   che   gli  embrioni  erano
provvisoriamente  crioconservati,  e  che  il tempo necessario per la
convocazione    della   controparte   avrebbe   potuto   pregiudicare
l'attuazione  del  provvedimento urgente, hanno quindi chiesto che il
tribunale  provvedesse  con  decreto,  a  norma dell'art. 669-sexies,
secondo  comma,  c.p.c.,  ad  ordinare  al dott. M. di procedere alla
diagnosi preventiva.
    S.  M.  e G. S. hanno precisato, quanto all'azione di merito, che
intendevano  far  valere il diritto alla diagnosi preimpianto, e cio'
al  fine  di  procedere  al  successivo  trasferimento  dell'embrione
qualora esso non fosse risultato affetto da gravi malattie genetiche,
onde  evitare  un  serio  pregiudizio  alla  salute  del la madre. Il
fondato  timore  che,  durante  il tempo occorrente per far valere il
diritto  in  via ordinaria, questo fosse minacciato da un pregiudizio
imminente  ed  irreparabile,  coinvolgeva  cosi'  l'embrione  come la
salute dell'attrice.
    I  ricorrenti,  per l'ipotesi in cui il tribunale avesse ritenuto
di  non poter seguire l'interpretazione prospettata, hanno, per altro
verso,    sollevato    questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 13  legge  19  febbraio  2004,  n. 40, con riferimento agli
artt. 2  e 32, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui la
norma  ordinaria  non  prevede la diagnosi preimpianto, ove la stessa
sia  giustificata dalla necessita' di tutelare il diritto della dcnna
alla salute.
    La questione dovrebbe ritenersi rilevante ai fini della decisione
e  non manifestamente infondata, secondo la parte attrice, sulla base
delle valutazioni gia' operate dalla Corte costituzionale in numerose
decisioni  riguardanti  l'interruzione  della  gravidanza,  che hanno
riconosciuto,  da  un lato, il fondamento costituzionale della tutela
del   concepito,   affermando   contemporaneamente,   dall'altro,  la
prevalenza su tale valore del diritto della donna alla salute.
    Disposta  dal  giudice  la  comparizione  delle  parti, l'Azienda
U.s.l.  n. 8  di Cagliari ed il dott. G. M, direttore del Servizio di
ostetricia  e  ginecologia  dell'Ospedale per le microcitemie, non si
sono costituiti nel procedimento.
    E'  intervenuto  in  giudizio  il pubblico ministero, il quale ha
osservato  come  la  diagnosi  consista essenzialmente nella verifica
dello stato di salute dell'embrione, cosi' che dovrebbe riconoscersi,
in  via  di  principio,  trattarsi  di  operazione a contenuto neutro
rispetto  a  qualunque  successivo intervento sull'embrione medesimo,
con  la  conseguenza  che - a differenza delle attivita' di ricerca e
sperimentazione  -  essa  non  potrebbe  essere  sottoposta  a limite
alcuno.
    L'art. 14  legge  cit.,  nell'evidente  intento di evitare abusi,
limiterebbe,  secondo il pubblico ministero, la diagnosi al solo caso
in  cui  ne  abbiano fatto richiesta i componenti della coppia che ha
avuto   accesso   alla  procreazione  medicalmente  assistita  e  che
intendano  conoscere  lo  stato  di  salute dell'embrione, essendo la
diagnosi  preimpianto  vietata  in  ogni  altro  caso. Il diritto dei
soggetti  legittimati  all'informazione  circa  lo  stato  di  salute
dell'embrione   comporterebbe   pertanto  l'obbligo  della  struttura
sanitaria  di  praticare  la  diagnosi.  Seguendo  tale  prospettiva,
l'art. 10 d.m. 22 luglio 2004 (Linee guida in materia di procreazione
medicalmente assistita), che si discosta da questi principi ed impone
alle  strutture sanitarie autorizzate un'interpretazione restrittiva,
prescrivendo  che  ogni  indagine relativa allo stato di salute degli
embrioni   creati  in  vitro  debba  essere  esclusivamente  di  tipo
osservazionale,   dovrebbe   essere   disapplicato,   per  l'evidente
contrasto  con  le  disposizioni degli artt. 13, secondo comma, e 14,
terzo comma, della legge.
    Il  pubblico ministero ha inoltre affermato che, pur essendo vero
che  le tecniche diagnostiche non possono essere talmente invasive da
compromettere  la salute e le potenzialita' di sviluppo dell'embrione
medesimo,   dovrebbe   comunque   riconoscersi   che   tecniche   non
semplicemente osservazionali siano consentite laddove, secondo la lex
artis,  abbiano  un'accettabile probabilita' di rischio, da valutarsi
secondo   parametri   che   tengano   conto  non  solo  della  salute
dell'embrione,  ma  anche  di  quella della futura gestante. Una tale
interpretazione  troverebbe conforto nella disposizione dell'art. 14,
terzo  comma,  legge  cit.,  che  consente la crioconservazione degli
embrioni   «Qualora  il  trasferimento  degli  embrioni  non  risulti
possibile  per  grave  e documentata causa di forza maggiore relativa
allo  stato  di  salute  della donna non prevedibile al momento della
fecondazione»,  dovendo  intendersi  tale riferimento con riguardo ad
una  malattia  fisica  o  mentale,  eziologicamente  collegata  ad un
antecedente  patogeno  di  qualsiasi  natura e, dunque, persino ad un
gravissimo  stress  psichico  indotto  dal  timore  che l'embrione da
impiantare sia affetto da patologia invalidante ed incurabile.
    Il  pubblico  ministero  ha  quindi  concluso perche' il giudice,
disapplicata la disciplina secondaria, ordinasse, in accoglimento del
ricorso,  l'esecuzione della diagnosi preimpianto sull'embrione, alla
stregua  di  parametri  di  rischio  compatibili,  secondo la scienza
medica,  con  la  salute  e  lo  sviluppo  dell'embrione;  ovvero, in
subordine,  perche'  -  dichiarata  rilevante  e  non  manifestamente
infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13,
primo  comma,  legge  19  febbraio  2004,  n. 40,  in  relazione agli
artt. 2,  3  e  32  della Costituzione - sospendesse il procedimento,
disponendo il rinvio degli atti alla Corte costituzionale.
    Il  procedimento  e' stato istruito con produzioni documentali ed
assunzione di sommarie informazioni.
    Cio' premesso, deve prelirninarmente rilevarsi la ammissibilita',
sul  piano  processuale,  del ricorso proposto ai sensi dell'art. 700
c.p.c., non ostandovi la considerazione secondo la quale il contenuto
del   provvedimento  d'urgenza  eventualmente  concesso  verrebbe  in
sostanza  coincidere  con  il  futuro  contenuto  della  decisione di
merito.
    In  proposito  questo  giudice  ritiene  senz'altro condivisibile
l'ormai  affermato  orientamento  giurisprudenziale il quale non solo
ammette   la   possibilita'  che  il  provvedimento  d'urgenza  abbia
contenuto  anticipatorio  della sentenza di merito, ma riconosce come
in  alcune fattispecie la tutela cautelare possa essere efficacemente
assicurata unicamente da una totale anticipazione degli effetti della
pronuncia  di  merito,  potendo  il  successivo giudizio accertare la
fondatezza  del  diritto  azionato  in via d'urgenza e provvedere sul
regolamento delle spese processuali.
    Sotto   diverso   profilo   deve   ritenersi  non  ostativa  alla
ammissibilita'  del ricorso proposto ai sensi dell'art. 700 c.p.c. la
considerazione   della  non  eseguibilita'  in  forma  specifica  del
provvedimento  cautelare  che  ordini la effettuazione della diagnosi
preimpianto,  tenuto  conto  della coazione indiretta derivante dalle
norme  penali  conseguente  alla  mancata ottemperanza all'ordine del
giudice.
    Venendo  all'esame della domanda posta dai ricorrenti, diretta ad
ottenere  che  il  giudice  ordini  la  effettuazione  della diagnosi
preimpianto  sull'embrione,  si  rende  necessaria una breve disamina
delle disposizioni della legge 19 febbraio 2004 n. 40, che disciplina
la  materia  della  «procreazione  medicalmente assistita», approvata
all'esito di un lungo ed acceso dibattito politico e parlamentare.
    In  particolare  l'art. 13 n. 2 della legge citata stabilisce che
«la  ricerca  clinica  e  sperimentale  su  ciascun embrione umano e'
consentita  a  condizione  che si perseguano finalita' esclusivamente
terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della
salute  ed  allo  sviluppo  dell'embrione stesso, e qualora non siano
disponibili metodologie alternative», mentre il successivo n. 3 lett.
B) vieta «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e
dei  gameti  ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione,
di  manipolazione, o comunque tramite procedimenti artificiali, siano
diretti  ad  alterare  il  patrimonio  genetico  dell'embrione  o del
gamete,   ovvero  a  predeterminarne  caratteristiche  genetiche,  ad
eccezione   degli   interventi   aventi   finalita'   diagnostiche  e
terapeutiche, di cui al comma due del presente articolo.
    Il  successivo  art. 14  recita  al  n. 5  che «i soggetti di cui
all'art. 5  sono  informati  sul numero, e - a loro richiesta - sullo
stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire sull'utero».
    Tali norme sono state quasi unanimemente interpretate, anche alla
luce   di  una  considerazione  di  carattere  generale  sugli  scopi
perseguiti   dalla  legge  nel  suo  complesso,  nel  senso  che  non
consentirebbero di procedere alla diagnosi preimpianto.
    Tale  comune  interpretazione restrittiva e' stata poi confermata
con  la emanazione delle linee guida di cui all'art. 7 della legge in
esame (decreto Ministero della salute Gazzetta Ufficiale n 191 del 16
agosto  2004),  con  la precisazione che «ogni indagine relativa alla
salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell'art. 14 comma 5,
dovra' essere di tipo osservazionale».
    I  ricorrenti  hanno  in  primo  luogo  prospettato,  ed  a  tale
prospettazione  ha  sostanzialmente aderito il pubblico ministero, la
possibilita'  di  una  interpretazione delle norme in esame alla luce
dei  principi  costituzionali,  ed  in  particolare  del diritto alla
salute  della donna, che consentirebbe - previa disapplicazione della
previsione  delle  linee guida sulla possibilita' della sola diagnosi
osservazionale   sull'embrione   in   vitro   -  di  ritenere  invece
ammissibile  la  effettuazione  della  diagnosi genetica preimpianto,
laddove il bilanciamento degli interessi costituzionalmente garantiti
dell'embrione  e della donna rendano necessaria tale diagnosi per una
adeguata tutela della salute di quest'ultima.
    E'  ben  vero  che  il  giudice,  chiamato  a decidere su un caso
concreto,  deve  sempre,  nella interpretazione delle disposizioni di
legge  ritenute  applicabili  alla  fattispecie portata al suo esame,
cercare  di  vagliarne le varie possibili interpretazioni scegliendo,
ove   possibile,   quella  non  confliggente  con  principi  o  norme
costituzionali.
    Peraltro  la  norma  di  cui all'art. 13 n. 2 legge n. 40/2004 e'
comunemente  interpretata,  ed  in  tal senso sembrano deporre il suo
contenuto  e  la  sua  formulazione  letterale,  come  escludente  la
possibilita'  di  una  diagnosi  preimpianto sull'embrione laddove la
stessa  non sia finalizzata esclusivamente alla tutela della salute e
allo  sviluppo dell'embrione medesimo. Le linee guida, che sotto tale
profilo  sono  state  recentemente oggetto di impugnazione davanti al
Tribunale amministrativo del Lazio, il quale ha rigettato il ricorso,
hanno - per cio' che puo' rilevare - ulteriormente ristretto l'ambito
della diagnosi, consentendo unicamente quella di tipo osservazionale.
    Il  divieto  della  diagnosi  preimpianto  e' comunemente desunto
anche  dalla  interpretazione  della legge alla luce dei suoi criteri
ispiratori,  dai quali emerge la preoccupazione di restririgere entro
limiti  rigorosi  la  ricerca  scientifica  sugli  embrioni,  in  via
generale  vietata  salvo  le  eccezioni previste dalla legge, nonche'
l'intento  di garantire in tale ottica la massima tutela della salute
e dello sviluppo dell'embrione.
    Ulteriori elementi a conforto di tale interpretazione vengono poi
tratti  dalla  disciplina complessiva della procedura di procreazione
medicalmente  assistita  disegnata dalla legge, laddove si prevede la
revocabilita' del consenso solo fino alla fecondazione dell'ovulo, il
divieto  di  creazione  di  embrioni  in  numero  superiore  a quello
necessario  per un unico impianto - obbligatorio quindi per tutti gli
embrioni  -  ed  il divieto in via generale di crioconservazione e di
soppressione di embrioni.
    Ne'  in  senso  diverso puo' essere letto l'art. 14, terzo comma,
della  legge  in  esame,  che  consente  la  crioconservazione  degli
embrioni  qualora il trasferimento degli stessi non risulti possibile
per  grave  e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato
di salute della donna, non prevedibile al momento della fecondazione.
Infatti  tale  norma, precisando che la crioconservazione puo' essere
mantenuta  fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena
possibile,   fa   evidente   riferimento   ad   ostacoli   patologici
all'impianto  di  natura meramente transitoria, e non potrebbe quindi
essere  applicata  a  fattispecie  quale  quella portata all'esame di
questo giudice.
    Va   infine   detto   che   la  diagnosi  preventiva  finalizzata
all'accertamento  di  eventuali  malattie  genetiche,  come  nel caso
concreto  la beta-talassemia, non potrebbe ritenersi utilizzabile per
«interventi  a  tutela  della salute e dello sviluppo dell'embrione»,
non  sussistendo - sulla base delle attuali conoscenze scientifiche -
alcuna  possibilita' di cura di tali malattie (vedi anche, sul punto,
le  sommarie  informazioni  rese all'udienza del 10 giugno 2005 dalla
dott. C. componente della struttura diretta dal dott. M.).
    Le  considerazioni svolte non consentono, secondo questo giudice,
una  interpretazione adeguatrice della norma di cui all'art. 13 della
legge  in  esame la quale, alla luce del principio costituzionale del
diritto  alla  salute,  permetta di affermare la praticabilita' della
diagnosi  preimpianto  nelle ipotesi in cui la sua mancata esecuzione
possa minacciare seriamente la salute fisica o psichica della donna.
    L'interpretazione   restrittiva   comunemente   accettata   della
suddetta  norma  rende  allora  necessario l'esame della questione di
legittimita' costituzionale sulla stessa sollevata dalle parti.
    In   particolare  deve  accertarsi  se  il  divieto  di  diagnosi
preimpianto,  in  relazione  al  caso in esame, comporti un dubbio di
incostituzionalita' della norma in questione.
    Il  problema, come correttamente inquadrato dalle parti, concerne
l'eventualita'  che il rifiuto della diagnosi preimpianto comporti di
per  se'  il  pericolo  di  una lesione del diritto alla salute della
donna che la richiede.
    Deve   senz'altro  escludersi  qualunque  rilievo  a  motivazioni
soggettive  che ricolleghino la necessita' della diagnosi preimpianto
alla prospettiva di un'eventuale futura interruzione della gravidanza
in  caso di accertamento di anomalie genetiche, dovendo ritenersi non
previsto  dal  nostro ordinamento l'aborto eugenetico, e non tutelato
un  interesse  dei  genitori  ad  avere  un  figlio sano. E' pacifico
infatti  che l'impianto degli embrioni sia obbligatorio, anche se non
coercibile  (come  desumibile  dalla  interpretazione  della  legge e
comunque  specificamente  riconosciuto  dalle  linee  guida),  e  che
l'eventuale  interruzione  della gravidanza potrebbe avvenire solo in
presenza dei presupposti previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194,
che tale materia disciplina.
    La  ricorrente,  secondo  quanto  dimostrato dalla certificazione
medica  prodotta  (v.  certificato  in  data  31  maggio  2005  della
psichiatra  dott.  M. C. P., in atti), gia' in passato aveva sofferto
di  una  depressione  reattiva  conseguente  ad  una  interruzione di
gravidanza attuata alla undicesima settimana di gestazione per motivi
terapeutici,  dopo  che  la diagnosi prenatale aveva accertato che il
feto  era affetto da beta-talassemia, malattia della quale entrambi i
ricorrenti sono portatori sani.
    La  ricorrente, sempre secondo la certificazione medica prodotta,
presenta  allo  stato  un  grave  stato  ansioso  con umore depresso,
strettamente  connesso  al  conflitto  tra  la  scelta  di  procedere
comunque   all'impianto   dell'embrione  ed  il  proprio  vissuto  di
inadeguatezza   di   fronte  ad  una  possibile  malattia  del  feto,
«probabilmente rimosso o sottovalutaro in precedenza per il prevalere
di un fortissimo desiderio di maternita».
    Le  circostanze  di  fatto riferite nel ricorso, e soprattutto la
descritta   situazione   di   salute   della  ricorrente,  consentono
senz'altro  di ritenere la rilevanza, con riguardo al caso di specie,
della  questione di legittimita' costituzionale prospettata, nonche',
per  quanto  di seguito si dira', la non manifesta infondatezza della
questione medesima in relazione agli artt. 2 e 32, primo comma, della
Costituzione  della  Repubblica  italiana, il quale ultimo recita «La
Repubblica  tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
e interessi della collettivita'...».
    Deve  in  primo  luogo  porsi  in  rilievo  la  sussistenza di un
conflitto  coinvolgente,  da  un  lato,  la tutela della salute della
ricorrente  e, dall'altro, la tutela dell'embrione. In proposito deve
tenersi  presente  che  l'embrione si trova, allo stato, sottoposto a
crioconservazione,  in  conseguenza  del  rifiuto della ricorrente di
procedere  all'impianto  senza previa diagnosi; situazione questa che
nel  tempo,  considerata la non coercibilita' dell'impianto, non puo'
che  produrre  danni  biologici  anche  irreversibili  per l'embrione
medesimo.  Non  vi e' dubbio che anche la salute della donna sia, nel
caso   di  specie,  seriamente  minacciata  dalla  impossibilita'  di
conoscere  lo  stato  di  salute  dell'embrione  prima  di  procedere
all'impianto.  In  questa  situazione, in cui «procedere all'impianto
potrebbe  essere  di  grave danno per l'equilibrio psico-fisico della
paziente»  (vedi certificato 31 maggio 2005 gia' citato), e stante il
rifiuto  dell'impianto  se non preceduto dalla diagnosi genetica e la
non  coercibilita' dello stesso, non solo appare inadeguata la tutela
della  salute  della  donna - con conseguente violazione dell'art. 32
della Costituzione - ma non risulta neppure maggiormente garantita la
salute  dell'embrione,  probabilmente condannato a subire, nel tempo,
danni  biologici,  e  destinato invece al tempestivo trasferimento in
utero  nella  ipotesi  che la diagnosi accertasse la insussistenza di
beta-talassemia.  A cio' va aggiunto, sempre nell'ottica della tutela
dell'embrione,  che  il  rischio  di  inutilizzabilita' a causa della
diagnosi  preimpianto  si aggirerebbe statisticamente intorno all'uno
per  cento:  percentuale  inferiore,  quindi, a quella del rischio di
aborto  nelle diagnosi prenatali (v. sul punto le dichiarazioni della
dott.   C.),   mentre,   persistendo   il   rifiuto  dell'interessata
all'impianto,    sarebbe    inevitabile   protrarre   lo   stato   di
crioconservazione  dell'embrione sino alla sopravvenienza di un danno
biologico irreparabile.
    Le  considerazioni che precedono inducono a ritenere giustificato
il   dubbio  sollevato  dalla  parte  ricorrente  sulla  legittimita'
dell'art. 13  della  legge  citata,  in  relazione agli artt. 2 e 32,
primo   comma,   della   Costituzione,  dovendosi  sottolineare  come
l'interpretazione  prevalente della norma in questione condurrebbe ad
una  pronuncia  di  contenuto  negativo  sul ricorso, con conseguente
concretizzazione  del pericolo per la salute della donna e per quella
dell'embrione.
    Deve  infine  ricordarsi  come  la Corte costituzionale, chiamata
piu'  volte  a  pronunciarsi su norme riguardanti analoghe questioni,
abbia  avuto occasione di affermare che non esiste equivalenza fra il
diritto  non  solo  alla  vita,  ma  anche alla salute di chi e' gia'
persona,  come la madre, e la salvaguardia dell'embrione «che persona
deve   ancora  diventare»  (per  tutte,  sentenza  n. 27  del  1975);
ribadendo successivamente in altre pronunce il carattere fondamentale
del  diritto della donna alla salute, e la sua prevalenza, in caso di
conflitto, sulla tutela accordata al concepito.
    Deve pertanto ritenersi non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 13  n. 2  della  legge 19
febbraio  2004  n. 40,  nella parte in cui non consente di accertare,
mediante  la  diagnosi  preimpianto,  se  gli  embrioni da trasferire
nell'utero   della  donna  ammessa  alla  procedura  di  procreazione
medicalmente  assistita siano affetti da malattie genetiche, di cui i
potenziali  genitori  siano  portatori,  quando  l'omissione di detta
diagnosi  implichi  un  accertato  pericolo  grave  ed attuale per la
salute psico-fisica della donna.
    La  questione di legittimita' costituzionale di tale norma appare
non   manifestamente   infondata   e  rilevante  anche  in  relazione
all'ulteriore   profilo   (segnalato  dai  ricorrenti  nelle  memorie
illustrative),  attinente  al  contrasto  della norma medesima con il
principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
    Deve in proposito rilevarsi come sia pacificamente consentita nel
diritto vivente la diagnosi prenatale, e come anzi sia stata ritenuta
piu'  volte  sussistente dalla Corte di cassazione la responsabilita'
del  medico che non abbia fornito informazioni, ovvero abbia riferito
informazioni  errate,  circa  le  condizioni  del  feto.  Puo' quindi
affermarsi  che  sia  garantito  il diritto della donna, che ne abbia
fatto  richiesta  attraverso  l'accesso alla diagnosi prenatale, alla
piu'  ampia e corretta informazione sullo stato di salute del feto, e
sulla eventualita' che lo stesso sia affetto da malattie generiche.
    Ne'  sembra  potersi obiettare che tale diritto sia ricollegabile
unicamente   alla  prospettiva  della  eventuale  interruzione  della
gravidanza,  da un lato perche' non puo' affermarsi la sussistenza di
un  diritto  all'aborto,  essendo  la  possibilita' dell'interruzione
della  gravidanza  -  anche  in  presenza  di  anomalie  genetiche  -
condizionata  alla  sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla
citata  legge  78/194; dall'altro perche' si tratta di un diritto che
garantisce  una  maternita' piu' consapevole, consentendo alla donna,
anzi  ad entrambi i genitori, un'adeguata preparazione psicologica in
relazione ai problemi di salute del nascituro.
    Ritenuto  dunque  in  capo ai genitori il diritto, di cui nessuno
dubita,  all'informazione  sulla  salute  del  feto  nel  corso della
gravidanza  per  le ragioni suddette, non puo' negarsi l'esistenza di
un'analoga   posizione   soggettiva  nella  fase  della  procreazione
assistita   che   precede   l'impianto.   La  contraria  affermazione
comporterebbe   un   diverso   trattamento  di  posizioni  soggettive
sostanzialmente  analoghe,  con conseguente contrasto della norma che
vieta la diagnosi preimpianto con l'art. 3 della Costituzione.
    Deve  essere  quindi sollevata, con riguardo a tutti gli indicati
profili,  la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 13
della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione
medicalmente  assistita), nella parte in cui fa divieto, su richiesta
dei  soggetti  che  hanno avuto accesso alle tecniche di procreazione
medicalmente   assistita,  di  richiedere  ed  ottenere  la  diagnosi
preimpianto  sull'embrione  ai  fini  dell'accertamento  di eventuali
patologie, in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.
    Il  presente  procedimento  cautelare  non  puo'  essere definito
indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale, e deve essere pertanto sospeso.