IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato fuori udienza la seguente ordinanza. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 12 maggio 2005, la Menarini Industrie Farmaceutiche Riunite S.r.l. (qui di seguito chiamata per brevita' Menarini) conveniva in giudizio la Farmacia Centrale dott. Francesco Carla' Campa (qui di seguito chiamata per brevita' Farmacia), per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 43,75, a titolo di merce fornita, previa declaratoria di non manifesta infondatezza di legittimita' costituzionale dell'art. 48, quinto comma, lettera f) del decreto-legge n. 269/2003 e dell'art. 1, terzo comma, del decreto-legge n. 156/2004, per contrasto con gli articoli 3, 9, 11, 23, 24, 32, 41, 53 e 97 della Costituzione. All'udienza del 12 luglio 2005, parte attrice concludeva come segue: in via preliminare in tesi: ritenuta la non manifesta infondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 156, come convertito dall'art. 1, comma 1, legge 2 agosto 2004, n. 202 nonche' in parte qua dell'art. 48, comma 5, lettera f) del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 268, convertito dall'art. 1, comma 1, legge 24 novembre 2003, n. 326, per contrasto con gli articoli 3, 9, 11, 23, 24, 32, 41, 53 e 97 della Costituzione, sospendere il presente giudizio e disporre la remissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Nel merito: accertare il diritto della societa' Menarini al pagamento del prezzo di dieci confezioni di Miocamen, senza tener conto dello sconto obbligatorio imposto dall'art. 1, comma 3, d.l. n. 156/2004 e conseguentemente condannare la Farmacia Centrale del dott. Francesco Carla' Campa, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento della somma di Euro 43,75, altre interessi legali dalla data di notifica della presente domanda al saldo. Con vittoria di diritti e spese del presente giudizio, IVA e CAP come per legge». Parte attrice deduceva quanto segue: in data 7 marzo 2005 la Farmacia Centrale dott. Francesco Carla' Campa, convenuta, aveva ordinato alcuni prodotti medicinali, tra cui 10 confezioni di Miocamen compresse, tutti regolarmente consegnati da parte attrice. La farmacia convenuta si era rifiutata di corrispondere il prezzo intero per il farmaco in questione, come richiesto da Menarini: a suo giudizio, il fatto che il prodotto Miocamen sia inserito nel prontuario farmaceutico nazionale e come tale ammesso a rimborso da parte del SSN, avrebbe dovuto comportare l'applicazione al relativo prezzo dello sconto del 6,8% sul ricavo industria (4,12% del prezzo di vendita al pubblico) imposto - per i medicinali inseriti nel prontuario - dall'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156, convertito con legge 2 agosto 2004, n. 202; Parte attrice, ritenendo la citata normativa costituzionalmente illegittima e come tale suscettiva di disapplicazione, aveva sollecitato la farmacia convenuta a corrispondere il prezzo intero delle 10 confezioni del farmaco, ma quest'ultima era rimasta ferma nel proprio diniego. La Menarini conveniva pertanto in giudizio la Farmacia Centrale dott. Francesco Carla' Campa per la condanna della convenuta al prezzo «pieno» del farmaco acquistato. La Farmacia Centrale dott. Francesco Carla' Campa, ritualmente citata in giudizio, non si costituiva in giudizio, ed era pertanto dichiarata contumace all'udienza del 28 giugno 2005. A sostegno delle eccezioni di illegittimita' costituzionale, parte attrice deduceva che esse erano formulate con riguardo: Alla disposizione dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156, come convertito dalla legge 2 agosto 2004, n. 202, nella parte in cui stabilisce che «il produttore, per i farmaci destinati al mercato interno e rimborsabili dal SSN, ad esclusione dei prodotti dispensati in ospedale, dei medicinali inseriti nelle liste di trasparenza ai sensi dell'art. 7, comma 1, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e successive modificazioni, dei prodotti emoderivati, plasmatici e da DNA ricombinante, dovra' calcolare sul proprio margine definito all'art. 1, comma 40, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, alla distribuzione intermedia e nel caso di forniture dirette alle farmacie direttamente a queste ultime, uno sconto ulteriore del 6,8 per cento pari al 4,12 per cento sul prezzo al pubblico, IVA compresa. Il grossista dovra' trasferire tale sconto alle farmacie le quali, nel richiedere al SSN i rimborsi per l'assistenza farmaceutica erogata, dovranno applicare lo sconto ottenuto dal produttore. Per i prodotti rimborsabili ceduti non attraverso il SSN, le farmacie applicheranno all'acquirente il medesimo sconto. Le quote di spettanza al grossista e alla farmacia restano quelle definite all'art. 1, comma 40, della legge 23 dicembre 1996, n. 662»; all'art. 48, comma 5, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, nella parte in cui pone il principio (attuato dalla norma ora richiamata) secondo cui gli sfondamenti della spesa sanitaria nazionale rispetto al tetto programmato sono «recuperati», al 60%, tramite una riduzione della quota del prezzo, di spettanza al produttore (in pratica si tratta di uno sconto obbligatorio). L'attrice esponeva innanzitutto il meccanismo della disciplina dei prezzi dei farmaci rimborsati dal servizio sanitario nazionale. I medicinali commercializzati in Italia sono suddivisi, ai sensi dell'art. 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in due categorie: A) (farmaci essenziali e per malattie croniche, con oneri a totale carico del servizio Sanitario) e C) (altri farmaci, con oneri a totale carico dell'assistito). Nella fascia A) sono inseriti i farmaci compresi nel prontuario terapeutico nazionale; nella fascia C) sono compresi i farmaci che il SSN non rimborsa ed i cui oneri sono pertanto sopportati integralmente dai pazienti. I farmaci di fascia A) sono rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale secondo il seguente meccanismo: il produttore vende il farmaco al grossista (che paga il prezzo x), il quale lo rivende alla farmacia (che paga il prezzo y: ossia x piu' il margine di legge del grossista) e da questa e' consegnato al paziente, che non paga il prezzo, il quale e' rimborsato al farmacista dal Servizio sanitario nazionale (il Servizio sanitario rimborsa il prezzo z che e' uguale ad y + margine di legge del farmacista). E' anche possibile che un produttore venda direttamente alla farmacia: in questo caso - come nel caso di specie - il farmacista acquista a prezzo x e vende a prezzo z. Sarebbe teoricamente possibile che il medicinale fosse commecializzato ad un prezzo superiore a quello rimborsato dallo Stato. Tuttavia tale evenienza non si verifica, perche' il prezzo di rimborso coincide sempre con il prezzo di vendita al pubblico: infatti se l'impresa immette sul mercato un farmaco di fascia A) ad un prezzo superiore rispetto a quello indicato nel prontuario, l'autorita' preposta alla tutela della salute (oggi: l'Agenzia italiana del farmaco, di recente istituzione) ne dispone il trasferimento nella classe C) (e quindi il paziente deve sopportarne interamente il costo). E' evidente che l'impresa non puo' permettersi di perdere il regime della piena rimborsabilita' dei propri farmaci ed e' quindi indotta a commercializzarli esattamente al prezzo indicato nel prontuario terapeutico. L'art. 9, comma 2 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 ha stabilito che il prezzo di rimborso dei medicinali di fascia A) sia indicato dal Ministero della salute, su proposta della commissione unica del farmaco, in sede di redazione del prontuario. L'art. 48, comma 5, lettera c) del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 ha attribuito alla neoistituita Agenzia italiana del farmaco il potere di compilare il prontuario, individuando il prezzo di rimborso «in base a criteri di costo ed efficacia». L'art. 1, comma 40 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha stabilito per legge le quote di ricavo dei soggetti della filiera sul prezzo dei medicinali: esse sono pari al 66,65% per i produttori; al 6,65% per i grossisti e al 26,7% per i farmacisti, al netto dell'iva. In definitiva, il margine di ricavo delle imprese farmaceutiche sui prezzi dei medicinali e' elemento predeterminato: costituisce una quota, stabilita per legge, del prezzo di rimborso del medicinale, determinato dall'amministrazione dello Stato. L'amministrazione finanziaria dello Stato determina ogni anno un tetto massimo della spesa sanitaria complessiva a gravare sull'esercizio finanziario successivo (la spesa per il rimborso dei farmaci e' una parte della spesa sanitaria complessiva). Attualmente il livello massimo di spesa a carico dello Stato e' stabilito nell'Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano dell'8 agosto 2001, che e' stato reso vincolante mediante l'art. 1, comma 1, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito con modificazioni nella legge 16 novembre 2001, n. 405. In questo quadro si inserisce la disposizione contenuta nella lettera f) dell'art. 48, comma 5, del d.l. n. 269/2003, che attribuisce all'Agenzia italiana del farmaco, in caso di superamento del tetto di spesa programmata, il potere di ridefinire, anche temporaneamente, nella misura del 60 per cento del superamento, la quota di spettanza al produttore prevista dall'art. 1, comma 40, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. In sostanza, con tale disposizione si e' stabilito che lo «sfondamento»" rispetto al tetto di spesa sia parzialmente «recuperato»" attraverso una riduzione ex post della quota (del prezzo di ogni farmaco) di spettanza del produttore. Questo intervento e' calcolato in modo tale da consentire di recuperare il 60% dello sfondamento del tetto di spesa (la quota di spettanza dovuta al farmacista per i prodotti rimborsati dal servizio sanitario nazionale viene rideterminata includendo la riduzione della quota di spettanza al produttore). Il rimanente 40% del superamento deve essere ripianato dalle regioni. Il Governo ha stimato, attualizzando all'anno solare i dati sull'andamento della spesa farmaceutica nel primo semestre 2004, uno sfondamento di 1.241 milioni di euro rispetto al tetto programmato. Al fine di «recuperare» questo disavanzo, ha approvato il decreto-legge 24 giugno 2004, n. 156 (convertito dalla legge 2 agosto 2004, n. 202), che, all'art. 1, comma 3, prevede che il produttore, per i farmaci destinati al mercato interno e rimborsabili dal SSN, (...), dovra' calcolare, sul proprio margine, definito dall'art. 1, comma 40, della legge 23 dicembre 1996, 662, alla distribuzione intermedia e nel caso di forniture dirette alle farmacie direttamente a queste ultime uno sconto ulteriore del 6,8 per cento pari al 4,12 per cento sul prezzo al pubblico, IVA compresa»". Questa disposizione normativa obbliga i produttori a praticare sul prezzo di vendita uno sconto, che deve poi essere trasferito al distributore e da questi al farmacista, con la conseguenza che la richiesta di quest'ultimo di rimborso al servizio sanitario nazionale sara' decurtata dallo sconto ricevuto, con decremento complessivo della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale. La medesima norma e' l'oggetto della questione di costituzionalita' formulata dall'attrice. Peraltro, la questione di legittimita' costituzionale deve essere estesa, precisava l'attrice, all'art. 48, comma 5, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, nella parte in cui pone il principio (attuato dalla norma oggetto di sindacato di legittimita) secondo cui gli sfondamenti della spesa sanitaria nazionale rispetto al tetto programmato sono recuperati, al 60%, tramite una riduzione della quota del prezzo di spettanza del produttore. In atto di citazione l'attrice ha rilevato che la disposizione dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 modifica direttamente ed immediatamente il prezzo di vendita dei farmaci di fascia A. Poiche' l'oggetto della modifica e' il prezzo risultante dal prontuario farmaceutico nazionale (approvato in via amministrativa), appare evidente che la citata disposizione e' autoapplicativa ed ha natura di legge - provvedimento, provvedendo in ordine ad un assetto di interessi pubblici, gia' definito dall'autorita' amministrativa. La Corte costituzionale riconosce la legittimita' dell'esercizio del potere legislativo in funzione provvedimentale; tuttavia, costituendo una deroga ai principi generali in ordine alla distribuzione delle funzioni costituzionali, sottraendo ai cittadini le possibilita' di far valere le proprie istanze partecipative, ordinariamente riconosciute nel procedimento amministrativo, ma preluse nel procedimento legislativo; evitando il controllo giurisdizionale su un atto amministrativo, in deroga agli artt. 24 e 113 Cost., le leggi provvedimento debbono essere soggette a «scrutinio stretto»" di costituzionalita', nel senso che la verifica di costituzionalita' della normativa deve essere particolarmente rigorosa (cfr. Corte cost. 28 luglio 1999, n. 364; id. n. 185/1998; 29 maggio 1997, n. 153; id. 28 febbraio 1997, n. 54; id. 10 gennaio 1997, n. 2). In estrema sintesi, parte attrice precisava quanto segue. Violazione dell'art. 3 Cost. La disposizione dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 non supera il vaglio della non manifesta infondatezza, con riferimento alle seguenti circostanze, che costituiscono altrettanti elementi sintomatici del vizio di irragionevolezza della legge. In primo luogo, l'effetto sfavorevole ad essa connesso (vale a dire la riduzione dei propri margini di ricavo sui prodotti venduti) si verifica in presenza di due fattori: la domanda di farmaci in un dato anno, il tetto annuale di spesa farmaceutica per quell'anno, non ascrivibili alla loro responsabilita', in quanto il primo dipende dal comportamento dei medici e dalla morbilita' dei pazienti; il secondo e' fissato, senza il concorso dei produttori, unilateralmente dallo Stato. Non vi e' dunque una giustificazione logica nell'attribuire ai produttori gli oneri derivanti dalle dinamiche macroeconomiche. Cio' determina un circolo vizioso: il Governo definisce una previsione di spesa per l'assistenza farmaceutica annuale (previsione, gia' contestata dalle Regioni almeno fintanto che esse erano effettivamente tenute a compartecipare di eventuali sforamenti), nonche' i relativi parametri di riferimento (i prezzi rimborsabili); se la previsione di spesa si rivela inesatta, l'eccedenza e' posta a carico di soggetti che non hanno avuto alcun ruolo ne' nella individuazione di tali parametri, ne' nella dimensione effettiva della spesa farmaceutica. Puo' del resto dubitarsi della ragionevolezza in se' del meccanismo di determinazione del «tetto di spesa»" del Servizio sanitario nazionale per l'assistenza farmaceutica, considerando che l'art. 1 del d.l. n. 156/2004 determina l'onere finanziario statale per la spesa farmaceutica in una quota percentuale dell'importo con cui lo Stato concorre alla spesa sanitaria complessiva (detto importo e' individuato nell'Accordo tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano in data 8 agosto 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001). Sennonche' il legislatore ha mantenuto ferma, nel 2004, la percentuale della spesa farmaceutica su tale importo (pari al 13%) - e percio' ha mantenuto fisso, in valori assoluti, l'importo della compartecipazione alla spesa farmaceutica - nonostante che si sia nel frattempo verificato un significativo incremento del volume complessivo della spesa farmaceutica nazionale. Tra i fattori strutturali di aumento della spesa possono indicarsi l'aumento delle vendite delle specialita' medicinali: la regolarizzazione di oltre 700.000 immigrati extracomunitari (che ha notevolmente aumentato la platea dei soggetti assistiti dal Servizio sanitario nazionale); l'invecchiamento della popolazione italiana; la tendenza a far prevalere l'assistenza domiciliare rispetto a quella ospedalizzata. Cio' e' del resto confermato anche dalle stesse previsioni del legislatore, laddove l'art. 3, comma 142, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ha espressamente previsto, nell'ambito della procedura di monitoraggio dell'Accordo tra Governo, regioni e province autonome dell'8 agosto 2001, che debbono essere «analizzati anche gli effetti finanziari della legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari»; e l'art. 1, comma 164, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005) ha previsto un progressivo aumento della spesa sanitaria complessiva: 88.195 milioni di euro per l'anno 2005, 89.960 milioni di euro per l'anno 2006 e 91.759 milioni di euro per l'anno 2007, anche se, contraddittoriamente, il legislatore del 2004 non ha abrogato la disposizione dell'art. 1 del d.l. n. 156/2004, nella parte in cui obbliga i produttori allo sconto, in virtu' del superamento del tetto di spesa basato su calcoli ormai anacronistici. Il legislatore ha quindi determinato la previsione di spesa in modo artificiosamente ridotto (e quindi fittizio), al solo scopo di «scaricare"» sulle imprese farmaceutiche l'aumento dei costi del servizio di assistenza farmaceutica. E' evidente che se e' legittimo che lo Stato adotti correttivi volti a contenere gli oneri finanziari correlati alla spesa farmaceutica, cio' deve avvenire in modo coerente con le dinamiche della spesa: e' pertanto irragionevole che lo Stato mantenga in valori assoluti lo stesso tetto di spesa applicato negli anni precedenti, pur a fronte di un volume di transazioni di farmaci notevolmente superiore. Cio' implica che la questione di costituzionalita' per violazione dell'art. 3 Cost. si estende anche all'art. 1, comma 1, del d.l. n. 156/2004, nella parte in cui fissa in modo arbitrario ed irrazionale il tetto di spesa farmaceutica a carico dello Stato. In secondo luogo, la norma in questione modifica d'autorita' il prezzo definito da organi amministrativi di alta qualificazione tecnica, all'esito di un procedimento tecnico-discrezionale, nel quale lo Stato interviene nella duplice veste di regolatore del mercato ed acquirente monopsonista. Infatti lo Stato, tramite l'intervento dell'Agenzia italiana del farmaco, determina il prezzo di rimborso delle specialita' medicinali di fascia A: in questa veste, esercita un potere tecnico discrezionale, il cui parametro di legittimazione e' la valutazione del rapporto costo/efficacia: cfr. art. 48, comma 5, lett. c) del d.l. n. 269/2003. Ma l'esercizio di tale potere e' connesso alla rendita di posizione del monopsonista: se infatti il produttore non accetta di mantenere il prezzo di vendita entro tale limite, il farmaco in questione sara' escluso dal regime di rimborsabilita'; conseguentemente, per effetto del meccanismo descritto supra sub-4, il medesimo farmaco non sara' piu' acquistato dal paziente (perche' non potra' arrivare gratuitamente al medesimo). Pertanto, dopo che lo Stato, valendosi della doppia funzione di regolatore tecnico e monopsonista, ha fissato il giusto prezzo dei farmaci, e' intervenuto con una disposizione normativa che spezza ex post l'equilibrio economico (prezzo di rimborso del farmaco) definito in sede di amministrazione tecnica. E' tuttavia contraddittorio che le decisioni di natura tecnica siano «corrette»" in sede politica; dall'altro, la normativa in questione, intervenendo d'autorita' sul sistema di determinazione del prezzo, smentisce il principio in base al quale il prezzo dei medicinali deve scaturire da una valutazione tecnica. La norma qui denunciata rovescia la logica del sistema: il legislatore dapprima impone alle imprese un determinato prezzo di vendita, giustificandolo su parametri di natura tecnica; successivamente, modifica quel prezzo, penalizzando il produttore in base ad un'opzione di natura politica. E' altresi' contraddittorio che la riduzione generalizzata dei prezzi dei farmaci imposta dal cit. art. 1 prescinda dalla disamina delle caratteristiche di ciascun farmaco, che pure erano state tenute presenti (in virtu' di quanto disposto dall'art. 48, comma 5, lettera c) del d.l. n. 269/2003) nella determinazione del prezzo indicato nel prontuario. Evidente e' la contraddizione tra il d.l. n. 156/2004 e quanto prescritto dalla norma da ultimo citata, in base alla quale il prezzo di rimborso dei medicinali deve essere fissato dall'Agenzia italiana del farmaco «in base a criteri di costo ed efficacia», e non autoritativamente, in base ad esigenze pressanti di contenimento della spesa pubblica. La disposizione dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 si pone percio' in contrasto con i principi del sistema, rappresentati dall'art. 48, comma 5, lettera c) del d.l. n. 269/2003, nella parte in cui stabilisce il principio di giustificazione tecnica del prezzo delle specialita' medicinali. Il contrasto di una legge provvedimento con i precedenti normativi della materia costituisce vizio in se' di costituzionalita' (cfr. Corte cost., 13 febbraio 2003, n. 48). Infine, l'art. 1, comma 3, del d.l. n. 156/2004 e' intrinsecamente contraddittorio, perche' da un lato individua il proprio elemento logico funzionale in un'esigenza necessariamente provvisoria (il recupero dello «sfondamento del tetto di spesa sanitaria», rispetto ai livelli di spesa programmata nell'anno 2004); dall'altro introduce una misura a tempo indeterminato: pone rimedio ad una situazione provvisoria, tramite misure caratterizzate da definitivita'. In terzo luogo, la disposizione dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 incorre nel vizio di disparita' di trattamento, nella parte in cui tratta in modo differente i soggetti della filiera farmaceutica che si trovano nella medesima posizione economia, rispetto ai fatti che costituiscono il presupposto per l'applicazione della norma censurata. Come noto, nel mercato farmaceutico italiano opera una filiera essenzialmente composta da tre soggetti: i produttori, i grossisti e le farmacie. I produttori vendono una minima parte dei farmaci direttamente alle farmacie ed il resto ai grossisti, i quali a loro volta rivendono alle farmacie, che sono gli ultimi soggetti che dispensano i medicinali ai pazienti. Si e' gia' osservato che i margini dei singoli attori della distribuzione del farmaco sono stabiliti dall'art. 1, comma 40, della legge n. 662/1996. La disposizione dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 impone lo sconto solo ai produttori e non anche agli altri operatori della filiera del farmaco - grossisti e farmacisti. Anzi, per come viene applicato, l'operazione diventa assolutamente neutrale per grossisti e farmacie. Infatti, la loro percentuale (margine) continua ad applicarsi sul prezzo al pubblico originario (non decurtato), per cui tali soggetti continuano a percepire lo stesso introito. Siffatto meccanismo e' tuttavia ingiustificato perche' anche le altre categorie di soggetti (grossisti e farmacie) partecipano, pro quota ai ricavi della filiera e dunque non vi sono ragioni per esentarli da interventi riduttivi dei ricavi indotti da essa. In sostanza, se la spesa farmaceutica aumenta, oltre al fatturato dei produttori aumenta anche quello dei grossisti e delle farmacie. Tuttavia, la legge, sotto forma di riduzione di ricavi, colpisce unicamente i produttori. La discriminazione operata a danno di questi ultimi e' tanto evidente, da presentare alcuni indici di riconoscimento degli aiuti di Stato, ai sensi dell'art. 87 del Trattato CE. Come noto, tale disposizione vieta gli aiuti di Stato alle imprese e si applica alle misure: concesse dallo Stato o mediante risorse statali; in forma selettiva, cioe' al fine di favorire «talune imprese o talune produzioni»; che recano un vantaggio economico per una o piu' imprese beneficiarie; tali da incidere sugli scambi tra Stati membri; suscettibili di falsare o minacciare di falsare la concorrenza. Alcuni di questi connotati sono riferibili all'art. 1 del d.l. n. 156/2004, si tratta infatti: di una «misura»" ai sensi e per gli effetti dell'art. 87 del Trattato: l'esonero dal pagamento di una tassa parafiscale (quale e' il prelievo sul prezzo dei farmaci, che contribuisce al ripianamento della spesa sanitaria nazionale) rappresenta, dal punto di vista del produttore, una rinuncia ad un'entrata da parte dello Stato e, quindi, puo' qualificarsi come risorsa statale (si veda in questo senso la sentenza del 22 novembre 2001, C - 53/00, Ferring SA c. ACOSS). concessa con risorse statali, selettivamente, ai soggetti esclusi dalla previsione dello sconto obbligatorio, cioe' i distributori intermedi (grossisti) e le farmacie, senza essere giustificata dalla struttura del sistema nel contesto del quale essa e' imposta; che determina effetti distorsivi della concorrenza, in quanto produttori e grossisti sono concorrenti, almeno per le vendite dirette; inoltre il termine concorrenza puo' essere inteso anche come concorrenza nei rapporti verticali, analogamente a quando avviene nel diritto della concorrenza. La circostanza che i produttori siano costretti al pagamento di un contributo su tutte le loro vendite -- e non solo su quelle dirette -- indebolisce la loro azione concorrenziale nei confronti dei grossisti, senza che il vantaggio sia in alcun modo giustificato. Pertanto, il fatto che il contributo sia imposto ad uno solo degli attori della filiera farmaceutica (le imprese produttrici di farmaci) distorce la concorrenza nonostante esso gravi anche su un'attivita' (la vendita indiretta) ove tale concorrenza non si esplica direttamente: cio' in quanto la misura e' comunque tale da incidere sul fatturato della societa' produttrice, sulla sua organizzazione commerciale, sul raggiungimento di certe economie di scala, sulle sue spese di distribuzione e, quindi, sui suoi rapporti con i concorrenti grossisti. La disparita' di trattamento sussiste anche in relazione al diverso trattamento che la norma qui contestata produce, in rapporto alle Regioni, alle quali il legislatore attribuisce una parte di responsabilita' nel contenimento della spesa farmaceutica. Infatti, in caso di sfondamento del tetto, solo il 60% dello sfondamento puo' essere recuperato tramite la rideterminazione della quota sul prezzo di vendita dei medicinali di spettanza dei produttori; il restante 40% e' posto a carico delle regioni, (art. 48, comma 5, lett. f) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269). Tuttavia, ai sensi dell'art. 1, comma 182, della legge n. 311/2004, limitatamente all'anno 2004 (esattamente l'anno di operativita' dello sconto obbligatorio), il legislatore ha, tra l'altro, disposto che: l'obbligo di ripiano della quota del 40 per cento «sintende comunque adempiuto, anche qualora la regione non abbia provveduto al previsto ripiano, purche' l'equilibrio complessivo del relativo sistema sanitario regionale venga rispettato»; ed ha anche previsto che con specifica intesa tra Stato e regioni, sulla base dei dati forniti dall'Agenzia italiana del farmaco, su proposta del Ministro della salute, sono definite le eventuali competizioni sugli effetti, per ogni singola regione, derivanti dai provvedimenti a carico delle aziende produttrici.». In pratica, lo Stato ha rinunciato ad ottenere da alcune regioni (quelle in equilibrio finanziario) gli stanziamenti a ripiano della quota del 40%. E cio', sulla base degli indici di riconoscimento elaborati dalla giurisprudenza comunitaria in materia di aiuti di Stato (cfr. C.G.C.E. 22 novembre 2001, C - -53/00, Fering) equivale ad un trasferimento di risorse statali alle regioni medesime; e vengono comunque incrementati i livelli di finanziamento alle Regioni, nelle quali siano verificati gli effetti positivi di contenimento della spesa indotti dallo sconto obbligatorio imposto ai produttori. In altri termini: da un lato l'amministrazione statale esclude alcune regioni dall'obbligo di ripiano dello sfondamento di spesa farmaceutica ed ipotizza anche finanziamenti ulteriori, laddove gli sconti imposti ai produttori abbiano determinato un decremento di spesa; dall'altra le aziende produttrici vengono arbitrariamente penalizzate, perche' vincolate al rispetto di stime rivelatesi erronee o comunque irrealistiche. Si tratta di un'evidente disparita' di trattamento, anche in considerazione del fatto che in entrambi i casi si tratta di soggetti non responsabili dell'aumento della spesa. Violazione dell'art. 41 Cost. Il prezzo su cui incide l'art. 1, comma 3, del d.l. n. 156/2004 non e' liberamente scelto dall'impresa, ma imposto dall'autorita' amministrativa come giusto prezzo, tenendo conto del criterio costo/efficacia. E' in relazione a tale prezzo che le imprese programmano i fattori aziendali, facendo affidamento sui margini di ricavo stimati ed organizzando i fattori produttivi in modo da rendere remunerativo il prezzo stabilito nel prontuario. La norma dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 impone dunque ai produttori un sacrificio, svincolato dai parametri oggettivi necessariamente relazionati ai procedimenti di determinazione dei prezzi (che sono prezzi vincolanti per chi vende -- il produttore - ma anche per chi acquista - lo Stato), e particolarmente del prezzo dei medicinali (come ad esempio l'efficacia terapeutica, l'innovazione scientifica, il rapporto costo/efficacia). La medesima norma, inoltre, opera a posteriori una decurtazione del prezzo di vendita dei farmaci rispetto alla misura prefissata, incidendo sui margini di redditivita' rispetto ai quali le imprese avevano programmato investimenti di lungo periodo (l'attrice ha depositato in causa un estratto del conto economico relativo al fatturato dei farmaci rimborsati dallo Stato, che dimostra che l'effetto combinato dei provvedimenti imposti dall'autorita' di governo e da quella statale hanno portato ad un risultato globale -- una volta detratte le tasse -- negativo per la societa' attrice per circa 10.464.000 euro). Puo' quindi ritenersi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156, per violazione dell'art. 41 Cost., nella parte in cui impediscono alla societa' attrice la copertura dei costi e la realizzazione di un profitto. La Costituzione tutela infatti la liberta' di iniziativa economica dei produttori, la quale, come ha precisato la Corte costituzionale, include «la liberta' di organizzare e gestire l'impresa secondo criteri di economicita» (cfr. Corte cost., 22 novembre 1991, n. 420); una la disciplina di controllo dei prezzi dei farmaci e' legittima nella misura in cui trova un limite naturale nel sistema economico, che impone di «tener conto delle regole proprie di un'economia di mercato, per cui il prezzo deve essere remunerativo, cioe' determinato anche in considerazione della copertura dei costi e della realizzazione di un profitto da parte delle imprese» (Corte cost., 24 luglio 1972, n. 144; id. 8 luglio 1957, n. 103; id., n. 201/1975 e 79/1984). Violazione degli artt. 9 e 32 Cost. L'art. 9 della Costituzione, della parte in cui prevede il dovere della Repubblica di promuovere la ricerca scientifica e tecnica, viene ad essere violato da una norma che di fatto impedisce alla societa' attrice adeguati investimenti nella ricerca di farmaci innovativi. Non solo, ma questa violazione ne comporta direttamente un'altra. Laddove si impedisce alle societa' farmaceutiche l'investimento in ricerca si viene a violare anche il precetto costituzionale contenuto nell'art. 32 della Costituzione, in quanto viene ad essere leso il diritto alla salute dei cittadini. Infatti, per garantire ad una societa' in evoluzione come la nostra il diritto al benessere psico-fisico, non si puo' prescindere da una continua ricerca nel settore farmaceutico, essendo il mondo di oggi caratterizzato dall'emersione di nuove patologie, dal cambiamento degli stili di vita, dall'allungamento della vita media e da altri fattori che costringono le aziende di ricerca a ricercare e sviluppare sempre nuovi farmaci in grado di soddisfare le esigenze di salute dei cittadini. Violazione del principio del legittimo affidamento. E' del pari assistita dal fumus boni juris la questione di costituzionalita' fondata sulla lesione del principio di affidamento rispetto alle scelte del legislatore, che la giurisprudenza costituzionale ha da tempo riconosciuto come valore costituzionale desunto dagli artt. 3 e 24 Cost. Tale principio e' leso da disposizioni legislative che introducano una regolamentazione irrazionale o comunque ingiustificatamente penalizzante di posizioni giuridiche fondate su normative precedenti. Nel caso di specie, la disciplina preesistente all'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 era individuabile nel complesso normativo in base al quale era stato individuato il prezzo di riferimento del prontuario, cio' che costituiva per le societa' produttrici un fattore di programmazione della propria attivita', intorno al quale organizzare tempestivamente ed opportunamente i fattori produttivi aziendali in modo da rendere remunerativo il medesimo prezzo. L'equilibrio economico-aziendale cosi' determinato e' tuttavia travolto dall'art. 1, comma 3, d.l. n. 156/2004, che ha, ex post, ridotto i prezzi indicati nel prontuario, modificando i valori sui quali le imprese avevano poggiato la loro programmazione e che erano tutti fondati sulla legge. Puo' percio' affermarsi che le disposizioni normative di cui in epigrafe contrastano con il principio costituzionale che tutela l'affidamento del cittadino-imprenditore. Violazione degli artt. 23 e 53 Cost. La prestazione cui i produttori sono obbligati in virtu' dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 possiede i tradizionali indici di riconoscimento delle prestazioni di natura tributaria: e' imposta dalla legge, non e' il corrispettivo di un servizio pubblico, ma lo strumento per reperire, da parte dell'amministrazione, le risorse necessarie per far fronte ad una spesa non preventivata (l'eccedenza di spesa sanitaria). La giurisprudenza e' del resto pacifica nel riconoscere natura tributaria agli sconti obbligatori (cfr. Tribunale amministrativo regionale Piemonte 12 luglio 2002, n. 1408; id. 25 maggio 2002, n. 1094; id. 20 aprile 2002, n. 916; Cass. 1° giugno 1991, n. 6207; id. 26 maggio 1980, n. 3433). Come noto, ai sensi dell'art. 53 Cost. «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva». La giurisprudenza della Corte costituzionale e' costante nel ritenere che questa norma pone al legislatore l'obbligo di commisurare il carico tributario alla effettiva capacita' contributiva (cfr., tra le tante, Corte cost. ord. 14 marzo 2003, n. 62). La capacita' contributiva consiste nell'idoneita' ad eseguire la prestazione tributaria, da valutarsi non in termini soggettivi (quale capacita' del soggetto alle obbligazioni di imposta), bensi' in termini oggettivi: esprime l'esigenza che ogni prelievo fiscale abbia causa giustificatrice in indici concretamente (ed obiettivamente) rivelatori di ricchezza (cfr. Corte cost., ord. 18 ottobre 2002, n. 426; id., 10 aprile 2002, n. 103; id., 21 maggio 2001, n. 155; C. Stato, 30 ottobre 1997, n. 1207). La mancanza di collegamento tra il presupposto d'imposta e la capacita' contributiva del privato rende incostituzionale la norma impositiva. Nel caso in esame, il legislatore ha collegato l'onere tributario (lo «sconto») ad un fatto economico - lo sforamento del tetto di spesa - di per se' inidoneo ad indicare la capacita' contributiva. Infatti, lo sforamento della spesa, ed il conseguente ricavo ottenuto dalle aziende produttrici, non sono, da soli, indici di incremento del reddito (lo e', semmai, l'utile dell'impresa). Cio', essenzialmente, per due motivi: a) in primis perche' un aumento di spesa del Servizio sanitario non coincide necessariamente con un maggior utile di impresa e b) perche' il ricavo su cui il legislatore ha agito colpendo i prezzi (cioe' i ricavi unitari) non e' un indice di reddito d'impresa. Utilizzando come indice rivelatore di ricchezza un dato che non ha alcun rapporto con la capacita' contributiva delle imprese soggette al predetto sconto, l'art. 1, comma 3, del d.l. n 156/2004 si pone pertanto in contrasto con l'art. 53 della Costituzione. Violazione dell'art. 97 Cost. Anche ad ammettere (come ha ritenuto l'amministrazione statale), che lo sfondamento del tetto di spesa sanitaria sia derivato da un eccessivo aumento delle prescrizioni mediche dei farmaci, il principio di buon andamento impone l'adozione di politiche strutturali di controllo della spesa, che garantiscano un appropriato funzionamento dei meccanismi di generazione della spesa farmaceutica e tutelino l'interesse dello Stato a rimborsare prescrizioni mediche che rispondano a reali esigenze terapeutiche. L'aver addossato i costi dello sforamento della spesa farmaceutica sulla sola industria, senza intervenire con misure di riequilibrio strutturale, comporta, di fatto, il perpetuarsi di fenomeni di inefficiente gestione delle risorse pubbliche. Cio' determina violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., che -- secondo l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale, osta all'approvazione di discipline che determinano inefficienza nella gestione della cosa pubblica (Corte cost. 18 maggio 1999, n. 171; id. n. 1/1999). Il contrasto con l'art. 97 Cost. e' altresi' ravvisabile nella parte in cui quest'ultima disposizione impedisce al legislatore di introdurre con atto legislativo determinazioni puntuali che, non attenendo all'indirizzo politico generale, trovano la sede appropriata nell'ambito del procedimento amministrativo (cfr. D. Vaiano, La riserva di funzione amministrativa, Milano, 1996). Concludeva parte attrice, osservando che la disposizione normativa dell'art. 1, comma 2, d.l. n. 156/2004 introduce una disciplina chiaramente identificabile, suscettibile di un'unica interpretazione, che evidenzia plurimi profili di contrasto con la Costituzione. Tali spunti di illegittimita', in considerazione dell'impossibilita' di ricorrere ad un'interpretazione adeguatrice, e dello scrutinio stretto cui debbono essere sottoposte le norme, come quella di specie, assimilabili a leggi - provvedimento, confermano che il dubbio di costituzionalita' ha natura ragionevolmente oggettiva e pertanto escludono che possa ricorrere nel caso di specie la certezza che la Corte costituzionale mai accoglierebbe un'eccezione come quella formulata da parte attrice. Motivi della decisione A) E' manifestamente infondata la questione relativa all'art. 3 della Costituzione, la' dove la normativa determinerebbe effetti distorsivi della concorrenza, poiche' non e' dato vedere come i produttori e i grossisti siano in concorrenza tra loro. B) E' manifestamente infondata la questione relativa all'art. 3 della Costituzione, la' dove la normativa stabilirebbe un diverso trattamento tra le regioni, poiche' un simile fatto riguarderebbe terzi soggetti, le regioni appunto, e non l'odierno attore, estraneo ai rapporti tra Stato e regioni. C) E' manifestamente infondata, sotto il profilo dell'inammissibilita', la questione relativa all'art. 9 della Costituzione, poiche' non vi e' agli atti la prova oggettiva che la normativa impedirebbe adeguati investimenti nella ricerca di farmaci innovativi. D) E' manifestamente infondata, sotto il profilo della inammissibilita', la questione relativa all'art. 32 della Costituzione, poiche' non vi e' agli atti la prova che i cittadini subirebbero un danno dai mancati investimenti appena detti. E) E' manifestamente infondata la questione relativa agli articoli 23 e 53 della Costituzione. Quanto all'art. 23, perche' la prestazione patrimoniale non e' stata imposta con atto amministrativo, ma con atto avente forza di legge, salva la sua denuncia nel merito, che sara' esaminata piu' avanti. Quanto all'art. 53, perche' non pare condivisibile la tesi minoritaria, secondo cui gli sconti obbligatori avrebbero natura tributaria. Infatti, il tributo per sua natura e' volto a procurare un'entrata in denaro a favore dello Stato, e non un risparmio di spesa. Diversamente opinando, avrebbero natura tributaria tutte le norme consimili, in particolare quelle contenute nelle leggi di bilancio dello Stato, la' dove esse prevedano tagli alle spese. F) E' manifestamente infondata la questione sollevata in relazione all'art. 97 della Costituzione, in quanto la normativa denunciata non ha per oggetto disposizioni direttamente incidenti sull'attivita' amministrativa. Non sono manifestamente infondate le questioni sollevate in reazione all'art. 3 della Costituzione. 1) E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la norma che consente una nuova determinazione del prezzo, dopo che questo era gia' stato fissato e senza alcun accordo con i produttori, allorquando si verifichino eventi esterni, che costoro non hanno neppure concorso a determinare, vale a dire l'aumento del numero degli assistiti dal servizio sanitario nazionale, l'aumento della morbilita', l'aumento delle prescrizioni dei medici et similia. 2) E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la norma che impone un sacrificio, lo sconto obbligatorio, solo ad uno dei tre soggetti della filiera, e cioe' al solo produttore, lasciandone esenti gli altri due, e cioe' il grossista e il farmacista. Vi e' infatti disparita' di trattamento tra i detti soggetti, allorquano la loro posizione nella filiera e' sostanzialmente identica, concorrendo ciascuno di essi all'unico e medesimo esito finale, rappresentato dalla immissione del farmaco nella disponibilita' dell'utenza. 3) E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la norma che impone un sacrificio, lo sconto obbligatorio, dopo che il prezzo era stato indicato dallo Stato e liberamente accettato (o rifiutato) dal produttore. In altre parole, mentre nella prima fase il produttore aveva la libera scelta di accettare o non accettare quel prezzo, nella fase successiva costui non puo' piu' rifiutare la nuova determinazione in pejus sol perche' aveva concordato in precedenza un prezzo piu' conveniente. 4) E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la norma che consente nella seconda fase, di determinare autoritativamente il nuovo prezzo scontato, non sulla base di una nuova valutazione tecnica, bensi' alla luce di eventi esterni, mentre nella prima fase la p.a. e' tenuta ad osservare i criteri di costo e di efficacia. Infatti, la disposizione dell'art. 1, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 156, e' in netto contrasto con i principi fondamentali del sistema, e cioe' l'art. 48, comma 5, lettera c) del decreto-legge n. 269/2003, il quale stabilisce invece il principio della giustificazione tecnica del prezzo dei farmaci. 5) Non e' manifestamente infondata la questione sollevata in relazione all'art. 41 della Costituzione. La determinazione autoritativa, per di piu' operata ex post del prezzo di un prodotto, lede senz'altro il diritto alla liberta' di iniziativa economica privata, costituzionalmente garantita, la quale deve essere sempre presieduta dai criteri di economicita', e questi vengono frustrati ogni volta che il prezzo non e' piu' il risultato dei costi e dell'utile, ma viene imposto per cosi' dire «alla cieca». Principio questo gia' accolto dalla Corte costituzionale. La denunciata violazione del principio di affidamento rimane assorbita nel motivo che precede. Le questioni di cui sopra sono rilevanti ai fini della decisione di questa causa, poiche' la domanda attrice dovrebbe essere senz'altro respinta, ove la normativa impugnata non fosse affetta da illegittimita' costituzionale. Infatti, la lettera del dettato normativo e' fin troppo chiara, tanto da non consentire altra interpretazione, che possa in qualsiasi modo superare i dubbi di costituzionalita', come sopra esplicitati.