IL GIUDICE DI PACE

    Ha pronunciato fuori udienza la seguente ordinanza.

                      Svolgimento del processo

    Con  atto  di citazione notificato il 12 maggio 2005, la Menarini
Industrie  Farmaceutiche  Riunite S.r.l. (qui di seguito chiamata per
brevita'  Menarini)  conveniva in giudizio la Farmacia Centrale dott.
Francesco   Carla'  Campa  (qui  di  seguito  chiamata  per  brevita'
Farmacia),  per  sentirla  condannare  al  pagamento  della  somma di
Euro 43,75,  a  titolo  di  merce fornita, previa declaratoria di non
manifesta  infondatezza  di legittimita' costituzionale dell'art. 48,
quinto comma, lettera f) del decreto-legge n. 269/2003 e dell'art. 1,
terzo  comma,  del  decreto-legge  n. 156/2004, per contrasto con gli
articoli 3, 9, 11, 23, 24, 32, 41, 53 e 97 della Costituzione.
    All'udienza  del  12  luglio  2005, parte attrice concludeva come
segue:
        in  via  preliminare  in  tesi:  ritenuta  la  non  manifesta
infondatezza    dell'eccezione    di    legittimita'   costituzionale
dell'art. 1,  comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2004, n. 156, come
convertito  dall'art. 1, comma 1, legge 2 agosto 2004, n. 202 nonche'
in  parte  qua dell'art. 48, comma 5, lettera f) del decreto-legge 30
settembre  2003,  n. 268,  convertito  dall'art. 1, comma 1, legge 24
novembre  2003,  n. 326, per contrasto con gli articoli 3, 9, 11, 23,
24,  32,  41,  53  e  97  della  Costituzione, sospendere il presente
giudizio   e   disporre   la   remissione   degli   atti  alla  Corte
costituzionale,  ai  sensi  dell'art. 23  della  legge 11 marzo 1953,
n. 87;
    Nel  merito:  accertare  il  diritto  della  societa' Menarini al
pagamento  del  prezzo  di  dieci confezioni di Miocamen, senza tener
conto  dello  sconto  obbligatorio imposto dall'art. 1, comma 3, d.l.
n. 156/2004  e  conseguentemente  condannare la Farmacia Centrale del
dott.  Francesco  Carla'  Campa, in persona del legale rappresentante
pro  tempore, al pagamento della somma di Euro 43,75, altre interessi
legali  dalla  data  di notifica della presente domanda al saldo. Con
vittoria di diritti e spese del presente giudizio, IVA e CAP come per
legge».
    Parte attrice deduceva quanto segue:
        in  data  7  marzo  2005 la Farmacia Centrale dott. Francesco
Carla'  Campa,  convenuta, aveva ordinato alcuni prodotti medicinali,
tra  cui  10  confezioni  di  Miocamen  compresse, tutti regolarmente
consegnati da parte attrice.
    La farmacia convenuta si era rifiutata di corrispondere il prezzo
intero per il farmaco in questione, come richiesto da Menarini: a suo
giudizio,  il  fatto  che  il  prodotto  Miocamen  sia  inserito  nel
prontuario  farmaceutico  nazionale e come tale ammesso a rimborso da
parte  del  SSN, avrebbe dovuto comportare l'applicazione al relativo
prezzo  dello  sconto del 6,8% sul ricavo industria (4,12% del prezzo
di  vendita  al  pubblico)  imposto  -  per i medicinali inseriti nel
prontuario  -  dall'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156,
convertito con legge 2 agosto 2004, n. 202;
    Parte  attrice,  ritenendo la citata normativa costituzionalmente
illegittima   e   come  tale  suscettiva  di  disapplicazione,  aveva
sollecitato  la  farmacia  convenuta a corrispondere il prezzo intero
delle  10  confezioni  del farmaco, ma quest'ultima era rimasta ferma
nel proprio diniego.
    La  Menarini  conveniva pertanto in giudizio la Farmacia Centrale
dott.  Francesco  Carla'  Campa  per  la  condanna della convenuta al
prezzo «pieno» del farmaco acquistato.
    La  Farmacia  Centrale  dott. Francesco Carla' Campa, ritualmente
citata  in  giudizio,  non si costituiva in giudizio, ed era pertanto
dichiarata contumace all'udienza del 28 giugno 2005.
    A  sostegno  delle  eccezioni  di  illegittimita' costituzionale,
parte attrice deduceva che esse erano formulate con riguardo:
        Alla  disposizione  dell'art.  1, comma 3, del d.l. 24 giugno
2004,  n. 156,  come  convertito  dalla  legge 2 agosto 2004, n. 202,
nella  parte  in  cui  stabilisce  che  «il produttore, per i farmaci
destinati  al  mercato  interno e rimborsabili dal SSN, ad esclusione
dei  prodotti  dispensati  in ospedale, dei medicinali inseriti nelle
liste di trasparenza ai sensi dell'art. 7, comma 1, del decreto-legge
18  settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni dalla legge
16  novembre  2001,  n. 405, e successive modificazioni, dei prodotti
emoderivati,  plasmatici  e da DNA ricombinante, dovra' calcolare sul
proprio  margine  definito  all'art.  1,  comma  40,  della  legge 23
dicembre  1996,  n. 662,  alla distribuzione intermedia e nel caso di
forniture  dirette  alle  farmacie  direttamente a queste ultime, uno
sconto  ulteriore del 6,8 per cento pari al 4,12 per cento sul prezzo
al pubblico, IVA compresa.
    Il  grossista  dovra'  trasferire  tale  sconto  alle farmacie le
quali, nel richiedere al SSN i rimborsi per l'assistenza farmaceutica
erogata,  dovranno applicare lo sconto ottenuto dal produttore. Per i
prodotti  rimborsabili  ceduti  non  attraverso  il  SSN, le farmacie
applicheranno   all'acquirente   il  medesimo  sconto.  Le  quote  di
spettanza  al  grossista  e  alla  farmacia  restano  quelle definite
all'art. 1, comma 40, della legge 23 dicembre 1996, n. 662»;
        all'art.  48,  comma  5,  del d.l. 30 settembre 2003, n. 269,
nella  parte  in  cui  pone  il  principio  (attuato  dalla norma ora
richiamata)   secondo  cui  gli  sfondamenti  della  spesa  sanitaria
nazionale  rispetto  al  tetto programmato sono «recuperati», al 60%,
tramite  una  riduzione  della  quota  del  prezzo,  di  spettanza al
produttore (in pratica si tratta di uno sconto obbligatorio).
    L'attrice  esponeva  innanzitutto  il meccanismo della disciplina
dei prezzi dei farmaci rimborsati dal servizio sanitario nazionale.
    I  medicinali commercializzati in Italia sono suddivisi, ai sensi
dell'art.  8,  comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in due
categorie:  A) (farmaci essenziali e per malattie croniche, con oneri
a  totale  carico  del  servizio  Sanitario) e C) (altri farmaci, con
oneri  a totale carico dell'assistito). Nella fascia A) sono inseriti
i farmaci compresi nel prontuario terapeutico nazionale; nella fascia
C)  sono  compresi  i  farmaci che il SSN non rimborsa ed i cui oneri
sono pertanto sopportati integralmente dai pazienti.
    I  farmaci  di fascia A) sono rimborsabili dal Servizio sanitario
nazionale  secondo  il  seguente  meccanismo:  il produttore vende il
farmaco al grossista (che paga il prezzo x), il quale lo rivende alla
farmacia  (che paga il prezzo y: ossia x piu' il margine di legge del
grossista)  e  da  questa  e' consegnato al paziente, che non paga il
prezzo,  il  quale e' rimborsato al farmacista dal Servizio sanitario
nazionale  (il  Servizio sanitario rimborsa il prezzo z che e' uguale
ad  y  +  margine di legge del farmacista). E' anche possibile che un
produttore  venda  direttamente  alla farmacia: in questo caso - come
nel  caso  di  specie  -  il farmacista acquista a prezzo x e vende a
prezzo  z.  Sarebbe  teoricamente  possibile  che il medicinale fosse
commecializzato  ad  un  prezzo  superiore  a quello rimborsato dallo
Stato.
    Tuttavia  tale  evenienza  non  si verifica, perche' il prezzo di
rimborso  coincide  sempre  con  il  prezzo  di  vendita al pubblico:
infatti  se  l'impresa immette sul mercato un farmaco di fascia A) ad
un  prezzo  superiore  rispetto  a  quello  indicato  nel prontuario,
l'autorita'  preposta  alla  tutela  della  salute  (oggi:  l'Agenzia
italiana   del   farmaco,  di  recente  istituzione)  ne  dispone  il
trasferimento  nella classe C) (e quindi il paziente deve sopportarne
interamente il costo). E' evidente che l'impresa non puo' permettersi
di  perdere  il regime della piena rimborsabilita' dei propri farmaci
ed  e'  quindi  indotta  a  commercializzarli  esattamente  al prezzo
indicato nel prontuario terapeutico.
    L'art.  9,  comma  2  del  decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 ha
stabilito  che  il prezzo di rimborso dei medicinali di fascia A) sia
indicato  dal  Ministero  della salute, su proposta della commissione
unica del farmaco, in sede di redazione del prontuario.
    L'art.  48,  comma  5,  lettera c) del decreto-legge 30 settembre
2003,  n. 269  ha  attribuito  alla neoistituita Agenzia italiana del
farmaco  il potere di compilare il prontuario, individuando il prezzo
di rimborso «in base a criteri di costo ed efficacia».
    L'art.  1,  comma  40  della  legge  23 dicembre 1996, n. 662, ha
stabilito per legge le quote di ricavo dei soggetti della filiera sul
prezzo  dei medicinali: esse sono pari al 66,65% per i produttori; al
6,65% per i grossisti e al 26,7% per i farmacisti, al netto dell'iva.
In  definitiva,  il margine di ricavo delle imprese farmaceutiche sui
prezzi  dei  medicinali  e'  elemento predeterminato: costituisce una
quota,  stabilita  per  legge, del prezzo di rimborso del medicinale,
determinato dall'amministrazione dello Stato.
    L'amministrazione  finanziaria dello Stato determina ogni anno un
tetto   massimo   della   spesa   sanitaria   complessiva  a  gravare
sull'esercizio  finanziario  successivo (la spesa per il rimborso dei
farmaci  e' una parte della spesa sanitaria complessiva). Attualmente
il  livello  massimo  di  spesa  a  carico  dello  Stato e' stabilito
nell'Accordo  tra  Governo,  Regioni  e Province autonome di Trento e
Bolzano  dell'8  agosto  2001,  che e' stato reso vincolante mediante
l'art.  1,  comma  1,  del  decreto-legge  18 settembre 2001, n. 347,
convertito con modificazioni nella legge 16 novembre 2001, n. 405.
    In  questo  quadro  si  inserisce la disposizione contenuta nella
lettera   f)   dell'art. 48,  comma  5,  del  d.l.  n. 269/2003,  che
attribuisce  all'Agenzia italiana del farmaco, in caso di superamento
del  tetto  di  spesa  programmata,  il  potere  di ridefinire, anche
temporaneamente,  nella  misura  del 60 per cento del superamento, la
quota  di  spettanza  al  produttore  prevista dall'art. 1, comma 40,
della   legge  23  dicembre  1996,  n. 662.  In  sostanza,  con  tale
disposizione  si e' stabilito che lo «sfondamento»" rispetto al tetto
di  spesa  sia parzialmente «recuperato»" attraverso una riduzione ex
post  della  quota  (del  prezzo  di  ogni  farmaco) di spettanza del
produttore. Questo intervento e' calcolato in modo tale da consentire
di  recuperare  il 60% dello sfondamento del tetto di spesa (la quota
di  spettanza  dovuta  al  farmacista  per  i prodotti rimborsati dal
servizio   sanitario  nazionale  viene  rideterminata  includendo  la
riduzione  della  quota di spettanza al produttore). Il rimanente 40%
del superamento deve essere ripianato dalle regioni.
    Il  Governo  ha  stimato,  attualizzando  all'anno  solare i dati
sull'andamento  della spesa farmaceutica nel primo semestre 2004, uno
sfondamento  di  1.241 milioni di euro rispetto al tetto programmato.
Al   fine   di   «recuperare»   questo  disavanzo,  ha  approvato  il
decreto-legge 24 giugno 2004, n. 156 (convertito dalla legge 2 agosto
2004,  n. 202),  che, all'art. 1, comma 3, prevede che il produttore,
per  i  farmaci  destinati al mercato interno e rimborsabili dal SSN,
(...),  dovra'  calcolare, sul proprio margine, definito dall'art. 1,
comma  40,  della  legge  23  dicembre  1996, 662, alla distribuzione
intermedia e nel caso di forniture dirette alle farmacie direttamente
a  queste  ultime uno sconto ulteriore del 6,8 per cento pari al 4,12
per cento sul prezzo al pubblico, IVA compresa»".
    Questa  disposizione  normativa  obbliga i produttori a praticare
sul  prezzo  di vendita uno sconto, che deve poi essere trasferito al
distributore  e  da  questi  al farmacista, con la conseguenza che la
richiesta di quest'ultimo di rimborso al servizio sanitario nazionale
sara'  decurtata  dallo  sconto  ricevuto, con decremento complessivo
della spesa a carico del Servizio sanitario nazionale.
    La    medesima    norma   e'   l'oggetto   della   questione   di
costituzionalita'  formulata  dall'attrice. Peraltro, la questione di
legittimita'  costituzionale deve essere estesa, precisava l'attrice,
all'art. 48, comma 5, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, nella parte
in cui pone il principio (attuato dalla norma oggetto di sindacato di
legittimita)  secondo  cui  gli  sfondamenti  della  spesa  sanitaria
nazionale  rispetto  al  tetto  programmato  sono recuperati, al 60%,
tramite  una  riduzione  della  quota  del  prezzo  di  spettanza del
produttore.
    In  atto  di  citazione l'attrice ha rilevato che la disposizione
dell'art. 1,  comma  3,  del  d.l.  24  giugno  2004, n. 156 modifica
direttamente  ed  immediatamente  il prezzo di vendita dei farmaci di
fascia  A.  Poiche'  l'oggetto della modifica e' il prezzo risultante
dal    prontuario    farmaceutico   nazionale   (approvato   in   via
amministrativa),  appare  evidente  che  la  citata  disposizione  e'
autoapplicativa ed ha natura di legge - provvedimento, provvedendo in
ordine   ad   un   assetto   di  interessi  pubblici,  gia'  definito
dall'autorita' amministrativa.
    La  Corte costituzionale riconosce la legittimita' dell'esercizio
del   potere   legislativo  in  funzione  provvedimentale;  tuttavia,
costituendo   una   deroga   ai  principi  generali  in  ordine  alla
distribuzione  delle funzioni costituzionali, sottraendo ai cittadini
le  possibilita'  di  far  valere  le  proprie istanze partecipative,
ordinariamente   riconosciute  nel  procedimento  amministrativo,  ma
preluse   nel   procedimento   legislativo;   evitando  il  controllo
giurisdizionale  su un atto amministrativo, in deroga agli artt. 24 e
113   Cost.,   le  leggi  provvedimento  debbono  essere  soggette  a
«scrutinio  stretto»" di costituzionalita', nel senso che la verifica
di  costituzionalita'  della  normativa  deve  essere particolarmente
rigorosa  (cfr.  Corte cost. 28 luglio 1999, n. 364; id. n. 185/1998;
29  maggio  1997, n. 153; id. 28 febbraio 1997, n. 54; id. 10 gennaio
1997, n.  2).
    In estrema sintesi, parte attrice precisava quanto segue.
    Violazione dell'art. 3 Cost.
    La  disposizione  dell'art. 1,  comma 3, del d.l. 24 giugno 2004,
n. 156  non  supera  il  vaglio della non manifesta infondatezza, con
riferimento  alle seguenti circostanze, che costituiscono altrettanti
elementi sintomatici del vizio di irragionevolezza della legge.
    In  primo  luogo,  l'effetto sfavorevole ad essa connesso (vale a
dire  la riduzione dei propri margini di ricavo sui prodotti venduti)
si  verifica  in presenza di due fattori: la domanda di farmaci in un
dato anno, il tetto annuale di spesa farmaceutica per quell'anno, non
ascrivibili alla loro responsabilita', in quanto il primo dipende dal
comportamento  dei medici e dalla morbilita' dei pazienti; il secondo
e'  fissato,  senza il concorso dei produttori, unilateralmente dallo
Stato.
    Non  vi  e'  dunque una giustificazione logica nell'attribuire ai
produttori  gli oneri derivanti dalle dinamiche macroeconomiche. Cio'
determina  un circolo vizioso: il Governo definisce una previsione di
spesa   per   l'assistenza  farmaceutica  annuale  (previsione,  gia'
contestata   dalle   Regioni   almeno   fintanto   che   esse   erano
effettivamente  tenute  a  compartecipare  di  eventuali sforamenti),
nonche'  i relativi parametri di riferimento (i prezzi rimborsabili);
se  la previsione di spesa si rivela inesatta, l'eccedenza e' posta a
carico  di  soggetti  che  non  hanno  avuto  alcun  ruolo  ne' nella
individuazione  di  tali  parametri,  ne'  nella dimensione effettiva
della spesa farmaceutica.
    Puo'   del  resto  dubitarsi  della  ragionevolezza  in  se'  del
meccanismo  di  determinazione  del  «tetto  di  spesa»" del Servizio
sanitario  nazionale  per l'assistenza farmaceutica, considerando che
l'art. 1  del  d.l. n. 156/2004 determina l'onere finanziario statale
per  la  spesa farmaceutica in una quota percentuale dell'importo con
cui lo Stato concorre alla spesa sanitaria complessiva (detto importo
e'  individuato nell'Accordo tra Governo, regioni e province autonome
di  Trento e Bolzano in data 8 agosto 2001, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale  n. 207 del 6 settembre 2001). Sennonche' il legislatore ha
mantenuto ferma, nel 2004, la percentuale della spesa farmaceutica su
tale  importo (pari al 13%) - e percio' ha mantenuto fisso, in valori
assoluti, l'importo della compartecipazione alla spesa farmaceutica -
nonostante  che  si  sia  nel  frattempo  verificato un significativo
incremento del volume complessivo della spesa farmaceutica nazionale.
    Tra   i  fattori  strutturali  di  aumento  della  spesa  possono
indicarsi  l'aumento  delle  vendite delle specialita' medicinali: la
regolarizzazione  di  oltre 700.000 immigrati extracomunitari (che ha
notevolmente  aumentato la platea dei soggetti assistiti dal Servizio
sanitario nazionale); l'invecchiamento della popolazione italiana; la
tendenza  a  far prevalere l'assistenza domiciliare rispetto a quella
ospedalizzata.
    Cio'  e'  del  resto confermato anche dalle stesse previsioni del
legislatore,  laddove  l'art. 3,  comma  142, della legge 24 dicembre
2003,  n. 350, ha espressamente previsto, nell'ambito della procedura
di monitoraggio dell'Accordo tra Governo, regioni e province autonome
dell'8  agosto 2001, che debbono essere «analizzati anche gli effetti
finanziari    della   legalizzazione   del   lavoro   irregolare   di
extracomunitari»;  e  l'art. 1,  comma  164,  della legge 30 dicembre
2004,   n. 311  (legge  finanziaria  per  il  2005)  ha  previsto  un
progressivo aumento della spesa sanitaria complessiva: 88.195 milioni
di  euro  per  l'anno  2005, 89.960 milioni di euro per l'anno 2006 e
91.759    milioni    di    euro    per   l'anno   2007,   anche   se,
contraddittoriamente,  il  legislatore  del  2004  non ha abrogato la
disposizione  dell'art. 1  del  d.l.  n. 156/2004, nella parte in cui
obbliga i produttori allo sconto, in virtu' del superamento del tetto
di spesa basato su calcoli ormai anacronistici.
    Il  legislatore  ha  quindi determinato la previsione di spesa in
modo  artificiosamente  ridotto (e quindi fittizio), al solo scopo di
«scaricare"»  sulle  imprese  farmaceutiche  l'aumento  dei costi del
servizio di assistenza farmaceutica.
    E'  evidente  che  se e' legittimo che lo Stato adotti correttivi
volti   a   contenere  gli  oneri  finanziari  correlati  alla  spesa
farmaceutica,  cio'  deve  avvenire in modo coerente con le dinamiche
della  spesa:  e'  pertanto  irragionevole  che  lo Stato mantenga in
valori  assoluti  lo  stesso  tetto  di  spesa  applicato  negli anni
precedenti,  pur  a  fronte  di  un  volume di transazioni di farmaci
notevolmente   superiore.   Cio'   implica   che   la   questione  di
costituzionalita'  per  violazione dell'art. 3 Cost. si estende anche
all'art. 1,  comma  1, del d.l. n. 156/2004, nella parte in cui fissa
in  modo  arbitrario  ed irrazionale il tetto di spesa farmaceutica a
carico dello Stato.
    In  secondo  luogo, la norma in questione modifica d'autorita' il
prezzo  definito  da  organi  amministrativi  di  alta qualificazione
tecnica,  all'esito  di  un  procedimento  tecnico-discrezionale, nel
quale  lo  Stato  interviene  nella  duplice  veste di regolatore del
mercato ed acquirente monopsonista.
    Infatti  lo Stato, tramite l'intervento dell'Agenzia italiana del
farmaco, determina il prezzo di rimborso delle specialita' medicinali
di   fascia   A:   in   questa  veste,  esercita  un  potere  tecnico
discrezionale,  il  cui parametro di legittimazione e' la valutazione
del  rapporto  costo/efficacia:  cfr.  art. 48, comma 5, lett. c) del
d.l.  n. 269/2003.  Ma  l'esercizio  di  tale potere e' connesso alla
rendita  di  posizione del monopsonista: se infatti il produttore non
accetta  di  mantenere  il  prezzo  di  vendita entro tale limite, il
farmaco  in  questione  sara'  escluso dal regime di rimborsabilita';
conseguentemente,  per  effetto del meccanismo descritto supra sub-4,
il  medesimo  farmaco non sara' piu' acquistato dal paziente (perche'
non potra' arrivare gratuitamente al medesimo). Pertanto, dopo che lo
Stato,  valendosi  della  doppia  funzione  di  regolatore  tecnico e
monopsonista, ha fissato il giusto prezzo dei farmaci, e' intervenuto
con  una  disposizione  normativa  che  spezza  ex  post l'equilibrio
economico  (prezzo  di  rimborso  del  farmaco)  definito  in sede di
amministrazione tecnica.
    E'  tuttavia  contraddittorio  che le decisioni di natura tecnica
siano  «corrette»"  in  sede  politica;  dall'altro,  la normativa in
questione, intervenendo d'autorita' sul sistema di determinazione del
prezzo,  smentisce  il  principio  in  base  al  quale  il prezzo dei
medicinali  deve  scaturire  da una valutazione tecnica. La norma qui
denunciata  rovescia  la  logica del sistema: il legislatore dapprima
impone alle imprese un determinato prezzo di vendita, giustificandolo
su  parametri  di  natura  tecnica;  successivamente,  modifica  quel
prezzo,  penalizzando  il  produttore in base ad un'opzione di natura
politica.
    E'  altresi'  contraddittorio  che la riduzione generalizzata dei
prezzi  dei  farmaci imposta dal cit. art. 1 prescinda dalla disamina
delle caratteristiche di ciascun farmaco, che pure erano state tenute
presenti (in virtu' di quanto disposto dall'art. 48, comma 5, lettera
c) del d.l. n. 269/2003) nella determinazione del prezzo indicato nel
prontuario.  Evidente  e' la contraddizione tra il d.l. n. 156/2004 e
quanto prescritto dalla norma da ultimo citata, in base alla quale il
prezzo  di  rimborso  dei medicinali deve essere fissato dall'Agenzia
italiana del farmaco «in base a criteri di costo ed efficacia», e non
autoritativamente,  in  base  ad  esigenze  pressanti di contenimento
della spesa pubblica.
    La  disposizione  dell'art. 1,  comma 3, del d.l. 24 giugno 2004,
n. 156  si  pone  percio'  in  contrasto  con i principi del sistema,
rappresentati dall'art. 48, comma 5, lettera c) del d.l. n. 269/2003,
nella parte in cui stabilisce il principio di giustificazione tecnica
del  prezzo  delle  specialita' medicinali. Il contrasto di una legge
provvedimento  con  i  precedenti normativi della materia costituisce
vizio  in  se'  di  costituzionalita'  (cfr. Corte cost., 13 febbraio
2003, n. 48).
    Infine,    l'art. 1,   comma   3,   del   d.l.   n. 156/2004   e'
intrinsecamente  contraddittorio,  perche'  da  un  lato individua il
proprio  elemento  logico  funzionale  in un'esigenza necessariamente
provvisoria  (il  recupero  dello  «sfondamento  del  tetto  di spesa
sanitaria», rispetto ai livelli di spesa programmata nell'anno 2004);
dall'altro  introduce  una misura a tempo indeterminato: pone rimedio
ad  una  situazione  provvisoria,  tramite  misure  caratterizzate da
definitivita'.
    In terzo luogo, la disposizione dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24
giugno  2004,  n. 156 incorre nel vizio di disparita' di trattamento,
nella parte in cui tratta in modo differente i soggetti della filiera
farmaceutica  che  si  trovano  nella  medesima  posizione  economia,
rispetto ai fatti che costituiscono il presupposto per l'applicazione
della norma censurata.
    Come  noto,  nel  mercato farmaceutico italiano opera una filiera
essenzialmente  composta da tre soggetti: i produttori, i grossisti e
le  farmacie.  I  produttori  vendono  una  minima  parte dei farmaci
direttamente  alle  farmacie ed il resto ai grossisti, i quali a loro
volta  rivendono  alle  farmacie,  che  sono  gli ultimi soggetti che
dispensano  i  medicinali  ai  pazienti.  Si  e' gia' osservato che i
margini  dei  singoli  attori  della  distribuzione  del farmaco sono
stabiliti dall'art. 1, comma 40, della legge n. 662/1996.
    La  disposizione  dell'art. 1,  comma 3, del d.l. 24 giugno 2004,
n. 156  impone  lo  sconto  solo ai produttori e non anche agli altri
operatori  della  filiera del farmaco - grossisti e farmacisti. Anzi,
per come viene applicato, l'operazione diventa assolutamente neutrale
per  grossisti  e  farmacie.  Infatti,  la loro percentuale (margine)
continua  ad  applicarsi  sul  prezzo  al  pubblico  originario  (non
decurtato),  per  cui  tali soggetti continuano a percepire lo stesso
introito.  Siffatto  meccanismo  e'  tuttavia  ingiustificato perche'
anche   le   altre  categorie  di  soggetti  (grossisti  e  farmacie)
partecipano,  pro  quota ai ricavi della filiera e dunque non vi sono
ragioni  per  esentarli da interventi riduttivi dei ricavi indotti da
essa.  In  sostanza,  se  la  spesa  farmaceutica  aumenta,  oltre al
fatturato  dei  produttori aumenta anche quello dei grossisti e delle
farmacie.  Tuttavia,  la  legge,  sotto forma di riduzione di ricavi,
colpisce unicamente i produttori.
    La  discriminazione  operata  a  danno  di questi ultimi e' tanto
evidente,  da  presentare alcuni indici di riconoscimento degli aiuti
di  Stato,  ai  sensi  dell'art. 87  del Trattato CE. Come noto, tale
disposizione  vieta gli aiuti di Stato alle imprese e si applica alle
misure:  concesse  dallo  Stato  o mediante risorse statali; in forma
selettiva,  cioe'  al  fine  di  favorire  «talune  imprese  o talune
produzioni»; che recano un vantaggio economico per una o piu' imprese
beneficiarie;  tali  da  incidere  sugli  scambi  tra  Stati  membri;
suscettibili di falsare o minacciare di falsare la concorrenza.
    Alcuni  di  questi  connotati sono riferibili all'art. 1 del d.l.
n. 156/2004, si tratta infatti:
        di  una «misura»" ai sensi e per gli effetti dell'art. 87 del
Trattato:  l'esonero dal pagamento di una tassa parafiscale (quale e'
il  prelievo sul prezzo dei farmaci, che contribuisce al ripianamento
della  spesa sanitaria nazionale) rappresenta, dal punto di vista del
produttore,  una  rinuncia  ad  un'entrata  da  parte  dello Stato e,
quindi,  puo'  qualificarsi  come  risorsa statale (si veda in questo
senso  la  sentenza  del  22  novembre 2001, C - 53/00, Ferring SA c.
ACOSS).
        concessa  con  risorse  statali,  selettivamente, ai soggetti
esclusi   dalla   previsione   dello  sconto  obbligatorio,  cioe'  i
distributori  intermedi  (grossisti)  e  le  farmacie,  senza  essere
giustificata  dalla struttura del sistema nel contesto del quale essa
e' imposta;
        che determina effetti distorsivi della concorrenza, in quanto
produttori  e  grossisti  sono  concorrenti,  almeno  per  le vendite
dirette; inoltre il termine concorrenza puo' essere inteso anche come
concorrenza nei rapporti verticali, analogamente a quando avviene nel
diritto  della  concorrenza.  La  circostanza  che i produttori siano
costretti al pagamento di un contributo su tutte le loro vendite -- e
non   solo   su   quelle   dirette  --  indebolisce  la  loro  azione
concorrenziale  nei  confronti  dei grossisti, senza che il vantaggio
sia  in alcun modo giustificato. Pertanto, il fatto che il contributo
sia  imposto  ad uno solo degli attori della filiera farmaceutica (le
imprese  produttrici  di  farmaci) distorce la concorrenza nonostante
esso  gravi  anche  su  un'attivita'  (la vendita indiretta) ove tale
concorrenza  non si esplica direttamente: cio' in quanto la misura e'
comunque  tale  da incidere sul fatturato della societa' produttrice,
sulla  sua  organizzazione  commerciale,  sul raggiungimento di certe
economie  di  scala,  sulle sue spese di distribuzione e, quindi, sui
suoi rapporti con i concorrenti grossisti.
    La  disparita'  di  trattamento  sussiste  anche  in relazione al
diverso  trattamento che la norma qui contestata produce, in rapporto
alle  Regioni,  alle  quali  il  legislatore attribuisce una parte di
responsabilita'  nel  contenimento della spesa farmaceutica. Infatti,
in  caso di sfondamento del tetto, solo il 60% dello sfondamento puo'
essere  recuperato tramite la rideterminazione della quota sul prezzo
di  vendita  dei  medicinali di spettanza dei produttori; il restante
40%  e' posto a carico delle regioni, (art. 48, comma 5, lett. f) del
d.l. 30 settembre 2003, n. 269).
    Tuttavia,   ai   sensi   dell'art. 1,   comma  182,  della  legge
n. 311/2004,  limitatamente  all'anno  2004  (esattamente  l'anno  di
operativita'  dello  sconto  obbligatorio),  il  legislatore  ha, tra
l'altro,  disposto  che:  l'obbligo di ripiano della quota del 40 per
cento  «sintende  comunque  adempiuto,  anche  qualora la regione non
abbia   provveduto   al   previsto   ripiano,   purche'  l'equilibrio
complessivo   del   relativo   sistema   sanitario   regionale  venga
rispettato»;  ed ha anche previsto che con specifica intesa tra Stato
e  regioni,  sulla  base  dei  dati forniti dall'Agenzia italiana del
farmaco,  su  proposta  del  Ministro  della salute, sono definite le
eventuali  competizioni  sugli  effetti,  per  ogni  singola regione,
derivanti dai provvedimenti a carico delle aziende produttrici.».
    In  pratica, lo Stato ha rinunciato ad ottenere da alcune regioni
(quelle  in  equilibrio finanziario) gli stanziamenti a ripiano della
quota  del  40%.  E  cio',  sulla base degli indici di riconoscimento
elaborati  dalla  giurisprudenza  comunitaria  in materia di aiuti di
Stato  (cfr.  C.G.C.E. 22 novembre 2001, C - -53/00, Fering) equivale
ad  un  trasferimento  di  risorse  statali  alle regioni medesime; e
vengono   comunque  incrementati  i  livelli  di  finanziamento  alle
Regioni,  nelle  quali  siano  verificati  gli  effetti  positivi  di
contenimento della spesa indotti dallo sconto obbligatorio imposto ai
produttori.  In  altri  termini: da un lato l'amministrazione statale
esclude  alcune  regioni dall'obbligo di ripiano dello sfondamento di
spesa farmaceutica ed ipotizza anche finanziamenti ulteriori, laddove
gli sconti imposti ai produttori abbiano determinato un decremento di
spesa;  dall'altra  le  aziende  produttrici  vengono arbitrariamente
penalizzate,  perche'  vincolate  al  rispetto  di  stime  rivelatesi
erronee o comunque irrealistiche. Si tratta di un'evidente disparita'
di  trattamento,  anche in considerazione del fatto che in entrambi i
casi si tratta di soggetti non responsabili dell'aumento della spesa.
    Violazione dell'art. 41 Cost.
      Il prezzo su cui incide l'art. 1, comma 3, del d.l. n. 156/2004
non  e'  liberamente  scelto  dall'impresa, ma imposto dall'autorita'
amministrativa   come  giusto  prezzo,  tenendo  conto  del  criterio
costo/efficacia.  E'  in  relazione  a  tale  prezzo  che  le imprese
programmano  i  fattori aziendali, facendo affidamento sui margini di
ricavo  stimati  ed  organizzando  i  fattori  produttivi  in modo da
rendere  remunerativo  il  prezzo  stabilito nel prontuario. La norma
dell'art. 1,  comma  3, del d.l. 24 giugno 2004, n. 156 impone dunque
ai  produttori  un  sacrificio,  svincolato  dai  parametri oggettivi
necessariamente  relazionati  ai  procedimenti  di determinazione dei
prezzi  (che  sono prezzi vincolanti per chi vende -- il produttore -
ma  anche  per chi acquista - lo Stato), e particolarmente del prezzo
dei    medicinali   (come   ad   esempio   l'efficacia   terapeutica,
l'innovazione scientifica, il rapporto costo/efficacia).
    La  medesima  norma, inoltre, opera a posteriori una decurtazione
del  prezzo  di  vendita dei farmaci rispetto alla misura prefissata,
incidendo  sui  margini  di redditivita' rispetto ai quali le imprese
avevano  programmato  investimenti  di  lungo  periodo  (l'attrice ha
depositato  in  causa  un  estratto  del  conto economico relativo al
fatturato  dei  farmaci  rimborsati  dallo  Stato,  che  dimostra che
l'effetto  combinato  dei  provvedimenti  imposti  dall'autorita'  di
governo  e da quella statale hanno portato ad un risultato globale --
una  volta  detratte le tasse -- negativo per la societa' attrice per
circa 10.464.000 euro).
    Puo'  quindi  ritenersi non manifestamente infondata la questione
di  costituzionalita'  dell'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004,
n. 156,  per  violazione  dell'art. 41  Cost.,  nella  parte  in  cui
impediscono  alla  societa'  attrice  la  copertura  dei  costi  e la
realizzazione  di  un  profitto.  La  Costituzione  tutela infatti la
liberta'  di  iniziativa  economica dei produttori, la quale, come ha
precisato   la   Corte   costituzionale,   include  «la  liberta'  di
organizzare e gestire l'impresa secondo criteri di economicita» (cfr.
Corte  cost.,  22  novembre  1991,  n. 420);  una  la  disciplina  di
controllo  dei  prezzi  dei  farmaci e' legittima nella misura in cui
trova  un limite naturale nel sistema economico, che impone di «tener
conto  delle  regole  proprie  di  un'economia di mercato, per cui il
prezzo   deve   essere   remunerativo,  cioe'  determinato  anche  in
considerazione  della copertura dei costi e della realizzazione di un
profitto  da  parte  delle  imprese»  (Corte  cost.,  24 luglio 1972,
n. 144; id. 8 luglio 1957, n. 103; id., n. 201/1975 e 79/1984).
    Violazione degli artt. 9 e 32 Cost.
    L'art. 9 della Costituzione, della parte in cui prevede il dovere
della  Repubblica  di  promuovere  la  ricerca scientifica e tecnica,
viene  ad  essere  violato  da  una norma che di fatto impedisce alla
societa'  attrice  adeguati  investimenti  nella  ricerca  di farmaci
innovativi.
    Non solo, ma questa violazione ne comporta direttamente un'altra.
Laddove  si  impedisce  alle societa' farmaceutiche l'investimento in
ricerca si viene a violare anche il precetto costituzionale contenuto
nell'art.  32  della  Costituzione, in quanto viene ad essere leso il
diritto  alla  salute  dei  cittadini.  Infatti, per garantire ad una
societa'  in  evoluzione  come  la  nostra  il  diritto  al benessere
psico-fisico,  non  si  puo'  prescindere da una continua ricerca nel
settore   farmaceutico,  essendo  il  mondo  di  oggi  caratterizzato
dall'emersione  di  nuove  patologie,  dal cambiamento degli stili di
vita,  dall'allungamento  della  vita  media  e  da altri fattori che
costringono  le  aziende  di  ricerca a ricercare e sviluppare sempre
nuovi  farmaci  in  grado  di  soddisfare  le  esigenze di salute dei
cittadini.
    Violazione del principio del legittimo affidamento.
    E'  del  pari  assistita  dal  fumus  boni  juris la questione di
costituzionalita'  fondata sulla lesione del principio di affidamento
rispetto   alle   scelte   del  legislatore,  che  la  giurisprudenza
costituzionale  ha  da  tempo riconosciuto come valore costituzionale
desunto   dagli  artt. 3  e  24  Cost.  Tale  principio  e'  leso  da
disposizioni   legislative   che   introducano  una  regolamentazione
irrazionale  o comunque ingiustificatamente penalizzante di posizioni
giuridiche  fondate  su  normative precedenti. Nel caso di specie, la
disciplina preesistente all'art. 1, comma 3, del d.l. 24 giugno 2004,
n. 156 era individuabile nel complesso normativo in base al quale era
stato  individuato  il prezzo di riferimento del prontuario, cio' che
costituiva  per  le societa' produttrici un fattore di programmazione
della propria attivita', intorno al quale organizzare tempestivamente
ed  opportunamente  i fattori produttivi aziendali in modo da rendere
remunerativo il medesimo prezzo.
    L'equilibrio  economico-aziendale  cosi'  determinato e' tuttavia
travolto  dall'art. 1,  comma  3,  d.l. n. 156/2004, che ha, ex post,
ridotto  i  prezzi  indicati nel prontuario, modificando i valori sui
quali  le imprese avevano poggiato la loro programmazione e che erano
tutti   fondati   sulla   legge.   Puo'  percio'  affermarsi  che  le
disposizioni   normative  di  cui  in  epigrafe  contrastano  con  il
principio     costituzionale    che    tutela    l'affidamento    del
cittadino-imprenditore.
    Violazione degli artt. 23 e 53 Cost.
    La   prestazione  cui  i  produttori  sono  obbligati  in  virtu'
dell'art. 1,  comma  3,  del  d.l.  24 giugno 2004, n. 156 possiede i
tradizionali  indici  di  riconoscimento  delle prestazioni di natura
tributaria:  e'  imposta  dalla  legge, non e' il corrispettivo di un
servizio   pubblico,   ma   lo   strumento  per  reperire,  da  parte
dell'amministrazione,  le  risorse  necessarie  per far fronte ad una
spesa   non   preventivata   (l'eccedenza  di  spesa  sanitaria).  La
giurisprudenza   e'   del   resto  pacifica  nel  riconoscere  natura
tributaria  agli  sconti  obbligatori  (cfr. Tribunale amministrativo
regionale  Piemonte  12  luglio  2002,  n. 1408;  id. 25 maggio 2002,
n. 1094;  id.  20 aprile 2002, n. 916; Cass. 1° giugno 1991, n. 6207;
id. 26 maggio 1980, n. 3433).
    Come  noto,  ai  sensi  dell'art. 53  Cost.  «tutti sono tenuti a
concorrere  alle  spese  pubbliche  in  ragione  della loro capacita'
contributiva».   La  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  e'
costante  nel ritenere che questa norma pone al legislatore l'obbligo
di   commisurare   il  carico  tributario  alla  effettiva  capacita'
contributiva  (cfr.,  tra  le  tante, Corte cost. ord. 14 marzo 2003,
n. 62). La capacita' contributiva consiste nell'idoneita' ad eseguire
la  prestazione  tributaria,  da  valutarsi non in termini soggettivi
(quale  capacita'  del soggetto alle obbligazioni di imposta), bensi'
in  termini  oggettivi:  esprime l'esigenza che ogni prelievo fiscale
abbia    causa    giustificatrice   in   indici   concretamente   (ed
obiettivamente)  rivelatori  di  ricchezza (cfr. Corte cost., ord. 18
ottobre  2002,  n. 426;  id.,  10 aprile 2002, n. 103; id., 21 maggio
2001,  n. 155;  C.  Stato,  30 ottobre 1997, n. 1207). La mancanza di
collegamento tra il presupposto d'imposta e la capacita' contributiva
del privato rende incostituzionale la norma impositiva.
    Nel caso in esame, il legislatore ha collegato l'onere tributario
(lo  «sconto»)  ad  un  fatto  economico - lo sforamento del tetto di
spesa  -  di  per se' inidoneo ad indicare la capacita' contributiva.
Infatti, lo sforamento della spesa, ed il conseguente ricavo ottenuto
dalle  aziende  produttrici,  non sono, da soli, indici di incremento
del   reddito   (lo   e',   semmai,   l'utile   dell'impresa).  Cio',
essenzialmente,  per  due  motivi: a) in primis perche' un aumento di
spesa  del  Servizio  sanitario  non  coincide necessariamente con un
maggior utile di impresa e b) perche' il ricavo su cui il legislatore
ha  agito colpendo i prezzi (cioe' i ricavi unitari) non e' un indice
di reddito d'impresa. Utilizzando come indice rivelatore di ricchezza
un dato che non ha alcun rapporto con la capacita' contributiva delle
imprese  soggette  al  predetto sconto, l'art. 1, comma 3, del d.l. n
156/2004   si   pone   pertanto  in  contrasto  con  l'art. 53  della
Costituzione.
    Violazione dell'art. 97 Cost.
    Anche  ad ammettere (come ha ritenuto l'amministrazione statale),
che  lo  sfondamento  del tetto di spesa sanitaria sia derivato da un
eccessivo   aumento   delle  prescrizioni  mediche  dei  farmaci,  il
principio   di   buon   andamento   impone  l'adozione  di  politiche
strutturali di controllo della spesa, che garantiscano un appropriato
funzionamento  dei meccanismi di generazione della spesa farmaceutica
e  tutelino l'interesse dello Stato a rimborsare prescrizioni mediche
che  rispondano  a  reali  esigenze  terapeutiche. L'aver addossato i
costi dello sforamento della spesa farmaceutica sulla sola industria,
senza  intervenire  con misure di riequilibrio strutturale, comporta,
di  fatto,  il perpetuarsi di fenomeni di inefficiente gestione delle
risorse  pubbliche.  Cio'  determina violazione del principio di buon
andamento  della  pubblica  amministrazione di cui all'art. 97 Cost.,
che  --  secondo l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale,
osta  all'approvazione  di  discipline  che  determinano inefficienza
nella  gestione  della  cosa  pubblica  (Corte  cost. 18 maggio 1999,
n. 171; id. n. 1/1999).
    Il  contrasto  con  l'art. 97 Cost. e' altresi' ravvisabile nella
parte  in  cui  quest'ultima disposizione impedisce al legislatore di
introdurre  con  atto  legislativo  determinazioni  puntuali che, non
attenendo   all'indirizzo   politico   generale,   trovano   la  sede
appropriata  nell'ambito  del  procedimento  amministrativo  (cfr. D.
Vaiano, La riserva di funzione amministrativa, Milano, 1996).
    Concludeva   parte   attrice,   osservando  che  la  disposizione
normativa  dell'art. 1,  comma  2,  d.l.  n. 156/2004  introduce  una
disciplina   chiaramente  identificabile,  suscettibile  di  un'unica
interpretazione,  che  evidenzia  plurimi profili di contrasto con la
Costituzione.   Tali  spunti  di  illegittimita',  in  considerazione
dell'impossibilita' di ricorrere ad un'interpretazione adeguatrice, e
dello  scrutinio stretto cui debbono essere sottoposte le norme, come
quella  di  specie,  assimilabili a leggi - provvedimento, confermano
che   il   dubbio  di  costituzionalita'  ha  natura  ragionevolmente
oggettiva e pertanto escludono che possa ricorrere nel caso di specie
la   certezza   che   la   Corte   costituzionale  mai  accoglierebbe
un'eccezione come quella formulata da parte attrice.

                       Motivi della decisione

    A)  E'  manifestamente infondata la questione relativa all'art. 3
della  Costituzione,  la'  dove  la  normativa determinerebbe effetti
distorsivi  della  concorrenza,  poiche'  non  e'  dato vedere come i
produttori e i grossisti siano in concorrenza tra loro.
    B)  E'  manifestamente infondata la questione relativa all'art. 3
della  Costituzione,  la'  dove  la normativa stabilirebbe un diverso
trattamento  tra  le  regioni,  poiche' un simile fatto riguarderebbe
terzi  soggetti, le regioni appunto, e non l'odierno attore, estraneo
ai rapporti tra Stato e regioni.
    C)    E'    manifestamente    infondata,    sotto    il   profilo
dell'inammissibilita',   la   questione   relativa  all'art. 9  della
Costituzione,  poiche'  non vi e' agli atti la prova oggettiva che la
normativa  impedirebbe adeguati investimenti nella ricerca di farmaci
innovativi.
    D)   E'   manifestamente   infondata,   sotto  il  profilo  della
inammissibilita',    la    questione   relativa   all'art. 32   della
Costituzione,  poiche'  non  vi e' agli atti la prova che i cittadini
subirebbero un danno dai mancati investimenti appena detti.
    E)   E'  manifestamente  infondata  la  questione  relativa  agli
articoli 23 e 53 della Costituzione.
    Quanto  all'art. 23,  perche'  la prestazione patrimoniale non e'
stata  imposta  con  atto amministrativo, ma con atto avente forza di
legge,  salva  la  sua  denuncia nel merito, che sara' esaminata piu'
avanti.
    Quanto  all'art. 53,  perche'  non  pare  condivisibile  la  tesi
minoritaria,  secondo  cui  gli  sconti  obbligatori avrebbero natura
tributaria.
    Infatti,   il  tributo  per  sua  natura  e'  volto  a  procurare
un'entrata  in  denaro  a  favore  dello Stato, e non un risparmio di
spesa.
    Diversamente opinando, avrebbero natura tributaria tutte le norme
consimili,  in  particolare  quelle contenute nelle leggi di bilancio
dello Stato, la' dove esse prevedano tagli alle spese.
    F)   E'   manifestamente  infondata  la  questione  sollevata  in
relazione  all'art. 97  della  Costituzione,  in  quanto la normativa
denunciata  non  ha  per  oggetto disposizioni direttamente incidenti
sull'attivita' amministrativa.
    Non  sono  manifestamente  infondate  le  questioni  sollevate in
reazione all'art. 3 della Costituzione.
    1)  E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la
norma  che  consente  una  nuova  determinazione del prezzo, dopo che
questo era gia' stato fissato e senza alcun accordo con i produttori,
allorquando  si  verifichino  eventi  esterni,  che costoro non hanno
neppure  concorso  a  determinare,  vale  a dire l'aumento del numero
degli  assistiti  dal  servizio  sanitario nazionale, l'aumento della
morbilita', l'aumento delle prescrizioni dei medici et similia.
    2)  E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la
norma  che  impone un sacrificio, lo sconto obbligatorio, solo ad uno
dei   tre  soggetti  della  filiera,  e  cioe'  al  solo  produttore,
lasciandone  esenti  gli  altri  due,  e  cioe'  il  grossista  e  il
farmacista.
    Vi  e'  infatti  disparita'  di trattamento tra i detti soggetti,
allorquano   la  loro  posizione  nella  filiera  e'  sostanzialmente
identica,  concorrendo  ciascuno  di  essi all'unico e medesimo esito
finale,    rappresentato   dalla   immissione   del   farmaco   nella
disponibilita' dell'utenza.
    3)  E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la
norma  che  impone un sacrificio, lo sconto obbligatorio, dopo che il
prezzo  era  stato  indicato  dallo  Stato e liberamente accettato (o
rifiutato) dal produttore.
    In  altre  parole, mentre nella prima fase il produttore aveva la
libera  scelta  di  accettare o non accettare quel prezzo, nella fase
successiva  costui non puo' piu' rifiutare la nuova determinazione in
pejus  sol  perche'  aveva  concordato  in  precedenza un prezzo piu'
conveniente.
    4)  E' del tutto irrazionale, e cioe' priva di ragionevolezza, la
norma    che    consente   nella   seconda   fase,   di   determinare
autoritativamente  il  nuovo  prezzo  scontato, non sulla base di una
nuova valutazione tecnica, bensi' alla luce di eventi esterni, mentre
nella  prima fase la p.a. e' tenuta ad osservare i criteri di costo e
di efficacia.
    Infatti,  la disposizione dell'art. 1, comma 3, del decreto-legge
24  giugno  2004,  n. 156,  e'  in  netto  contrasto  con  i principi
fondamentali  del sistema, e cioe' l'art. 48, comma 5, lettera c) del
decreto-legge  n. 269/2003,  il  quale stabilisce invece il principio
della giustificazione tecnica del prezzo dei farmaci.
    5)  Non  e'  manifestamente  infondata  la questione sollevata in
relazione all'art. 41 della Costituzione.
    La  determinazione  autoritativa, per di piu' operata ex post del
prezzo  di  un  prodotto, lede senz'altro il diritto alla liberta' di
iniziativa  economica privata, costituzionalmente garantita, la quale
deve  essere  sempre presieduta dai criteri di economicita', e questi
vengono  frustrati  ogni volta che il prezzo non e' piu' il risultato
dei costi e dell'utile, ma viene imposto per cosi' dire «alla cieca».
    Principio questo gia' accolto dalla Corte costituzionale.
    La  denunciata  violazione  del  principio  di affidamento rimane
assorbita nel motivo che precede.
    Le  questioni di cui sopra sono rilevanti ai fini della decisione
di   questa   causa,  poiche'  la  domanda  attrice  dovrebbe  essere
senz'altro  respinta, ove la normativa impugnata non fosse affetta da
illegittimita' costituzionale.
    Infatti,  la  lettera del dettato normativo e' fin troppo chiara,
tanto da non consentire altra interpretazione, che possa in qualsiasi
modo superare i dubbi di costituzionalita', come sopra esplicitati.