LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 284/04, spedito il
2  febbraio 2004, avverso avviso irrogazione sanzioni n. 859LS0100010
sanz. amministrativa 2003, contro Agenzia Entrate - Ufficio Chiavari,
proposto  dal  ricorrente Mercantesimo s.n.c. di Tiscornia Patrizia e
C.,  via D. Norero, 58 - 16040 San Colombano Certenoli (GE) difeso da
Giovanelli  Elena,  piazza  Ns.  Signora  della Speranza, 7 - Casarza
ligure (GE).
    La  Commissione  tributaria  provinciale  di  Genova, sezione 6ª,
sciogliendo la riserva disposta nell'udienza del 17 giugno 2004,

                            O s s e r v a

    1) La signora Tiscornia Patrizia, quale legale rappresentante pro
tempore  della societa' Mercantesimo s.n.c., corrente in S. Colombano
Certenoli  (GE),  ha impugnato davanti a questa Commissione l'atto di
irrogazione di sanzione emesso dall'Ufficio di Chiavari della Agenzia
delle  entrate  in data 3 novembre 2003, n. 859LS0100010 con il quale
alla societa' ricorrente e' stata inflitta la sanzione amministrativa
pecuniaria  di  euro  11.843,04 (pari all'importo minimo applicabile)
per  aver  impiegato  una lavoratrice dipendente non risultante nelle
scritture  o  da altra documentazione obbligatoria; detta sanzione e'
stata  calcolata  ai sensi dell'art. 3, comma 3, del decreto-legge 22
febbraio  2002,  n. 12,  con  riferimento  al  periodo  compreso  tra
l'inizio  dell'anno e la data di constatazione della violazione (data
che,  nel  caso,  e'  il 6 maggio 2003, quanto alla visita ispettiva,
ovvero  il  28  maggio  2003,  quanto  alla  redazione del verbale di
accertamento).
    Nel  ricorso  si  sostiene  che la lavoratrice - come qualificata
dagli  ispettori  dell'INPS  di  Sestri  Levante - a cui si riferisce
l'accertamento  si  trovava occasionalmente nei locali della societa'
ricorrente  in  quanto  la  stessa,  cliente-fornitrice di un oggetto
usato,  al  commercio  del quale la societa' e' deputata, era passata
per  vedere  se  l'oggetto  portato  precedentemente in conto vendita
fosse  stato  venduto.  Con  l'occasione  si era offerta di pulire la
vetrina   senza   pretendere   alcunche.  Agli  stessi  Ispettori  la
«dipendente»  aveva  dichiarato  di  essere  gia'  stata negli stessi
locali  in data 29 aprile 2004, giorno in cui aveva portato l'oggetto
da  vendere.  Conseguentemente  la  ricorrente  chiede  la revoca e/o
l'annullamento   della  sanzione,  in  quanto  basata  sull'  erroneo
presupposto  che  la  lavoratrice  fosse  stata alle dipendenze della
Societa' a decorrere dal primo giorno dell' anno.
    L'Agenzia  delle Entrate, ufficio di Chiavari, si e costituito in
giudizio e, senza contestare in fatto quanto asserito da controparte,
richiama  il  verbale  dei  verificatori ed afferma che la decorrenza
della  sanzione  amministrativa  dal primo giorno dell'anno in cui e'
avvenuto  l'accertamento,  costituisce  una presunzione assoluta, che
non   ammette   prova  contraria  e  legittima  l'applicazione  della
sanzione«indipendentemente  dalla  durata  effettiva  del rapporto di
lavoro sommerso» in quanto costituisce «un mero sistema di calcolo» e
cio'   allo   scopo  di  favorire  l'emersione  del  lavoro  sommerso
attraverso la repressione rigorosa dei casi accertarti.
    2)  La norma applicata dalla Agenzia delle Entrate per infliggere
la sanzione amministrativa impugnata e' l'art. 3 del decreto-legge 22
febbraio  2002,  n. 12,  come  modificato dalla legge 23 aprile 2002,
n. 73,  secondo  cui  «...  l'impiego  di  lavoratori  dipendenti non
risultanti  dalle  scritture  .... e' altresi' punito con la sanzione
amministrativa  dal  200  al  400 per cento dell'importo, per ciascun
lavoratore  irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei
vigenti  contratti  collettivi nazionali, per il periodo compreso tra
l'inizio dell'anno e la data di constatazione della violazione
    Il  tenore della disposizione normativa e' tale da non consentire
nessuna  interpretazione  che  si discosti da quella letterale: sotto
questo profilo e' esatta la tesi della Agenzia delle Entrate, secondo
cui  la  norma, per conseguire lo scopo di una sanzione rigorosa, non
prevede  la  possibilita'  di  rapportare  quest'ultima  a  parametri
temporali diversi, ne' piu' brevi, ne' piu' lunghi.
    Il risultato e' una sanzione, si potrebbe dire semi rigida, cioe'
variabile  soltanto  in  rapporto  alla data dell'accertamento ma non
rispetto  al  dies a quo, indipendentemente dalla decorrenza iniziale
della  condotta  vietata;  per  cui  tanto  piu'  la  punizione sara'
pesante,  quanto  piu' l'accertamento avverra' a distanza dall'inizio
dell'anno;  quest'ultimo,  in  sostanza  svolge la funzione di ambito
entro il quale la condotta irregolare accertata viene presuntivamente
circoscritta.
    3)  Occorre  pero' valutare se la norma di legge in questione sia
legittima  sotto  il  profilo  costituzionale,  cosa su cui sono gia'
stati   sollevati   dubbi   ad  opera  della  Commissione  tributaria
provinciale  di  Perugia,  con  ordinanza  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale  -  serie speciale, n.  23 del 16 giugno 2004. Secondo tale
ordinanza  l'art. 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 sarebbe
viziato  da  irragionevolezza  perche' punirebbe con sanzioni diverse
comportamenti  identici  e comporterebbe una inaccettabile violazione
del diritto di difesa.
    Occorre  premettere  che non compete al controllo di legittimita'
costituzionale  della  norma  la  valutazione  delle scelte politiche
compiute  dal  legislatore,  sia  in  materia di determinazione degli
illeciti  sanzionatori,  sia  per  quanto  riguarda  l'entita'  delle
sanzioni:  infatti  il  giudizio  di legittimita' costituzionale puo'
soltanto  fare  riferimento  alla eventuale violazione da parte della
norma ordinaria dei principi stabiliti dalla Costituzione. Tra questi
principi,  peraltro,  rientra anche quello di parita' del trattamento
dei  cittadini,  ai  sensi  dell'art. 3 della Costituzione, anche con
riferimento  alla assenza di elementi di irragionevolezza che rendano
aleatorie,  e  quindi  non  eque, le conseguenze sanzionatorie di una
condotta vietata.
    Non  e'  quindi sindacabile, in linea di principio, al scelta del
legislatore  di stabilire una sanzione variabile a seconda del mutare
di  taluni  fattori richiamati dalla norma stessa (nel caso in esame,
il  tempo  durante  il  quale  si  e' protratta la condotta). Occorre
tuttavia  che  la scelta sia ispirata a criteri tali da garantire una
proporzionalita'  della  sanzione.  Viceversa  nel  caso  in esame il
sistema  adottato  dal Legislatore non fa riferimento ne' alla durata
complessiva  della  condotta,  ne' ad alcun altro criterio razionale,
limitandosi   a  stabilire  un  termine  finale  pari  alla  data  di
accertamento)  valido  per  tutti,  collegato  peraltro ad un termine
iniziale  fissato  in  maniera  del  tutto  arbitraria,  prescindendo
completamente  dalla  data di inizio effettivo della condotta. Non si
ha  quindi  ne' una sanzione proporzionale alla durata dell'illecito,
ne'   una  sanzione  fissa  per  tutti  i  casi,  ma,  nella  singola
fattispecie,   una  sanzione  rapportata  ad  una  periodo  di  tempi
inferiore  o  superiore,  in  maniera del tutto casuale rispetto alla
durata  reale  di  commissione dell'illecito. Si ha quindi un sistema
sanzionatorio  arbitrario  ed irrazionale, privo cioe' di riferimenti
logici alla situazione reale che si vuole reprimere.
    4)  La  gia'  rilevata  inderogabilita'  del  dies a quo comporta
altresi'  per  entrambe  le  parti  l'impossibilita'  di  far valere,
nell'esercizio  del  proprio  diritto  di  difesa,  l'esistenza di un
diverso  dies  a  quo  reale.  Per  entrambe le parti, perche' mentre
l'autore dell'illecito non puo' dimostrare che la decorrenza iniziale
e'  posteriore all'inizio dell'anno, anche l'Amministrazione non puo'
far  valere una decorrenza anteriore eventualmente emersa. Tutto cio'
comporta   un'esclusione   ingiustificata   della   possibilita'   di
dimostrare in giudizio, nell' esercizio del diritto di difesa, che la
realta' e' diversa da quella fittizia imposta dalla legge.
    5) Per i motivi sopra esposti gli atti vanno trasmessi alla Corte
Costituzionale sospendendosi nel frattempo il giudizio in corso.