Ricorso  per  il  Presidente  del  Consiglio dei ministri, difeso
dall'Avvocatura  generale  dello Stato, presso la quale ha il proprio
domicilio  in  via  dei  Portoghesi n. 12 - Roma, contro la Provincia
autonoma   di   Bolzano,   in  persona  del  suo  Presidente  per  la
dichiarazione   della   illegittimita'   costituzionale  della  legge
provinciale  30  settembre  2005,  n. 7 (B.U.R. n. 41 dell'11 ottobre
2005)  -  Norme  in  materia di utilizzazione di acque pubbliche e di
impianti elettrici negli articoli 13 e 19.

    L'art.  8  dello  statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto Adige
ricomprende  tra  le  materie  rientranti  nella potesta' legislativa
delle province le acque minerali e termali (n. 14).
    L'art. 9  attribuisce  alle  province  potesta' legislativa sulla
utilizzazione  delle  acque  pubbliche (n. 9) e l'igiene e la sanita'
(n.  10),  richiamando i limiti «indicati nell'art. 5», vale a dire i
«principi  stabiliti  dalle  leggi dello Stato» e quelli dell'art. 4,
richiamato  anche dall'art. 8, che sono «la Costituzione e i principi
dell'ordinamento  giuridico  della Repubblica e con il rispetto degli
obblighi internazionali e degli interessi nazionali».
    L'art. 13 della legge impugnata, al secondo comma, prevede che la
concessione  delle  acque  minerali  esistenti  nel  territorio della
provincia e' rilasciata «previo riconoscimento del carattere minerale
delle acque medesime da parte dell'Agenzia provinciale per l'ambiente
e  previa iscrizione nell'apposito elenco delle acque minerali tenuto
presso l'amministrazione provinciale».
    Nel   terzo  comma  e'  attribuita  all'Agenzia  provinciale  per
l'ambiente,  di  concerto  con  l'Azienda  sanitaria  di  Bolzano, la
competenza   al   riconoscimento   del  carattere  minerale  ai  fini
dell'imbottigliamento e dell'uso termale o terapeutico.
    Nella   legge  provinciale  si  trova,  pertanto,  la  disciplina
integrale  della  materia  per  il  territorio  della provincia senza
nessun coinvolgimento dello Stato.
    Le  acque  minerali  hanno  trovato la loro disciplina nel d.lgs.
n. 105/1992  che  all'art. 4  attribuisce  al  Ministro della sanita'
(oggi   Ministro   della  salute)  la  competenza  a  verificare  «le
caratteristiche   igieniche   particolari,   nonche'   le  proprieta'
favorevoli alla salute dell'acqua minerale naturale, le indicazioni e
le  eventuali  controindicazioni,  che possono essere riportate sulle
etichette  e  ogni  altra  indicazione  ritenuta  opportuna, caso per
caso».
    Il  riconoscimento  delle  proprieta'  terapeutiche  delle  acque
minerali  e termali e la pubblicita' relativa alla loro utilizzazione
a  scopo  sanitario  era gia' stata riservata allo Stato dall'art. 6,
lett. t) della legge n. 833/1978.
    L'acqua  minerale,  oltre  a  far parte del patrimonio idrico, in
quanto potabile con funzione anche terapeutica, incide sulla salute.
    Che la salute debba avere una tutela di base unitaria su tutto il
territorio  nazionale  non dovrebbe dar luogo a dubbi; di conseguenza
non dovrebbe essere messa in dubbio nemmeno la competenza dello Stato
a prevederla in via legislativa.
    Le   norme   nazionali  che  la  predispongono  vengono  cosi'  a
costituire  «i  principi  stabiliti dalle leggi dello Stato», «con il
rispetto...  degli  interessi  nazionali», la cui osservanza la norma
statutaria impone alla legislazione provinciale.
    Le  acque  minerali,  una  volta  verificatane  la potabilita' ed
autorizzato il loro imbottigliamento, entrano nel mercato nazionale e
possono, pertanto, essere vendute in tutte le regioni.
    Se  le  verifiche  non  fossero  effettuate in sede centrale, nel
circuito   commerciale  si  troverebbero  acque  con  caratteristiche
igieniche  diverse  e  sotto il profilo igienico si avrebbero livelli
minimi di tutela diversi.
    Una tale eventualita' risulterebbe non solo contraria ai principi
desumibili  dalla  legge  dello Stato, ma anche pregiudizievole degli
interessi unitari nazionali.
    Ne  verrebbe  anche pregiudicata la concorrenzialita' del mercato
nazionale nel quale l'acqua minerale, in quanto merce, e' destinata a
circolare.
    Il   rapporto  concorrenziale  non  sarebbe  piu'  fondato  sulle
caratteristiche  igieniche,  sulle  proprieta'  terapeutiche  e sulle
eventuali  controindicazioni,  accertate  da  uno stesso organo ed in
base  agli  stessi  criteri,  ma  si sposterebbe sui criteri adottati
dagli organi locali.
    Tali   criteri,  se  anche  fosse  possibile  darne  informazione
sull'etichetta,  non  consentirebbero una informazione sufficiente al
consumatore medio, non provvisto delle necessarie conoscenze tecniche
necessarie.
    Di  conseguenza  sarebbe  alterata anche la posizione competitiva
degli  operatori  economici  del settore, alcuni dei quali potrebbero
essere  autorizzati ad immettere nel mercato acque che non potrebbero
esserlo in altre regioni.
    Come  noto,  la  materia  e'  disciplinata  dalla  direttiva  del
Consiglio  80/777/CEE del 15 luglio 1980, alla quale ha fatto seguito
la direttiva della Commissione 2003/40/CE del 16 maggio 2003.
    Nel  secondo  considerando  della  direttiva del 1980 e' posto in
evidenza  che  le differenze esistenti tra le legislazioni ostacolano
la  libera  circolazione delle acque minerali naturali, dando luogo a
distorsioni   della  concorrenza,  ed  hanno,  conseguentemente,  una
diretta  incidenza  sull'attuazione  e  sul funzionamento del mercato
comune».
    Per  evitare  questi  inconvenienti  si e' ritenuto necessaria la
«emanazione  di  norme  comuni specie per quanto concerne i requisiti
necessari   sotto  il  profilo  batteriologico  ed  i  requisiti  per
l'utilizzazione  di  denominazioni  particolari per determinate acque
minerali».
    Il  venir  meno  dell'unita'  di disciplina nazionale, realizzata
dalle   norme   statali  di  attuazione  della  direttiva  del  1980,
pregiudica  l'attuazione  ed il funzionamento del mercato comune alla
cui salvaguardia la direttiva stessa era rivolta.
    La  provincia  e',  pertanto,  andata  al di la' dei limiti della
propria   potesta'   legislativa  sconfinando  anche  in  materia  di
concorrenza, riservata allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lett.
e), con violazione della normativa comunitaria.
    La   disciplina  di  principio  statale  ha  tenuto  conto  degli
interessi   regionali   in   materia,   prevedendo   (art. 5,  d.lgs.
n. 105/1992)   che   una   sorgente   di   acqua  minerale  naturale,
riconosciuta  ai  sensi  dell'art. 4,  puo' essere utilizzata solo su
autorizzazione  regionale, rilasciata a seguito dell'accertamento che
gli  impianti destinati all'utilizzazione siano realizzati in modo da
escludere  ogni pericolo di inquinamento e da conservare all'acqua le
proprieta',  corrispondenti  alla  sua qualificazione, esistenti alla
sorgente.
    La  valutazione  degli  interessi  locali, che non richiedono una
visione  unitaria su tutto il territorio nazionale, e' stata, dunque,
lasciata alle regioni ed alle province.
    Viene   cosi'   ad   essere  evidente  un  ulteriore  profilo  di
illegittimita'  della  norma  impugnata  che  non ha previsto nessuna
forma  di  collaborazione  con  lo Stato che consentisse la tutela da
parte di quest'ultimo degli interessi unitari di cui e' portatore.
    L'art. 13  impugnato,  pertanto,  viola  gli  artt. 8  e  9 dello
statuto  regionale,  il principio di leale collaborazione e art. 117,
primo   comma,  Cost.,  in  quanto  in  contrasto  con  la  normativa
comunitaria.
    L'art. 19 ha esteso le procedure previste nel comma 3 dell'art. 1
della  legge  provinciale  11 aprile 2005, n. 2, alla valutazione dei
programmi  presentati  ai  sensi  del comma 5 dell'articolo 1-bis del
d.P.R.  26  marzo 1977, n. 235 e dei programmi presentati ai fini del
rinnovo delle concessioni.
    La norma provinciale richiamata e' stata gia' impugnata davanti a
codesta  Corte  e per la discussione del ricorso e' fissata l'udienza
pubblica del 7 febbraio 2005.
    L'art. 9  dello  Statuto  regionale  al n. 9) esclude dalla sfera
legislativa provinciale le grandi derivazioni a scopo idroelettrico.
    La  norma  impugnata,  insieme  a  quella  di  cui costituisce la
modifica,   ha   pertanto   sconfinato   dai  limiti  della  potesta'
legislativa della provincia.
    Come  e'  stato ricordato nel ricorso precedente, in materia sono
in  corso  due  procedure  per infrazione comunitaria per le quali la
Commissione ha emesso un parere motivato il 7 gennaio 2004.
    Per  questo  e'  in  elaborazione  un  decreto  legislativo  che,
attenendosi   alle   indicazioni   desumibili  dal  parere  motivato,
introduce  la  nuova disciplina del rilascio, rinnovo e proroga delle
concessioni idroelettriche, disciplina che dovra' assicurare anche la
concorrenzialita'  del  settore,  da  realizzare  secondo  i principi
comunitari.
    Il  16  dicembre  2004 la Commissione, di cui all'art. 107, primo
comma,  d.P.R. n. 670/1972, ha approvato un testo in sostituzione dei
commi   1,   2  e  3  dell'art. 1-bis  del  d.P.R.  n. 237/1977,  con
abrogazione dei commi da 6 a 12.
    Il nuovo testo normativo prevede che per le grandi derivazioni di
acque  pubbliche  a scopo idroelettrico la provincia provveda con una
legge  che, insieme ad altri aspetti, dovra' disciplinare «la tutela,
la valorizzazione e l'utilizzo del demanio idrico in conformita' alle
previsioni  del piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche
di  cui  all'art. 8  del  decreto  del Presidente della Repubblica 22
marzo  1974,  n. 381»  (comma  2,  lett.  a)  e  dovra' stabilire «le
procedure   di   evidenza   pubblica   nel  caso  di  rilascio  delle
concessioni, regolando anche la durata» (comma 2, lett. b).
    Introducendo  unilateralmente  una  disciplina  differenziata  da
applicare  nel  suo  territorio quando il procedimento di adeguamento
delle  norme  di  attuazione  era nella sua fase finale, la provincia
anche  in questo caso ha sconfinato dalla sua sfera legislativa, come
definita  dallo  statuto,  ha  interferito in materia di concorrenza,
sulla  quale  lo  statuto  non  conferisce alcun potere, ed e' andata
contro  ai  principi comunitari, esponendo lo Stato a responsabilita'
nei  confronti  della  comunita'  europea, cosi' violando l'art. 117,
primo comma, Cost.