IL TRIBUNALE

    A  scioglimento  della  riserva,  pronuncia la seguente ordinanza
nella  causa  previdenziale  corrente  sotto  il  numero  482/05 RGL,
Azienda  energetica  S.p.a.  -  Etshwerke  AG, rappresentate e difese
dagli  avv.  prof.  Cinelli  e Platrinieri, nei confronti dell'INPS -
Istituto  Nazionale  della Previdenza Sociale, rappresentato e difeso
dagli  avv. Bauer  ed  Orsingher,  avente  ad  oggetto  un'azione  di
accertamento negativa avverso una pretesa contributiva dell'INPS.
    L'azienda energetica - Etschwerke appartiene alla categoria delle
aziende  municipalizzate,  trasformate  in  societa'  per  azioni. Il
capitale sociale e' interamente in mano pubblica.
    Per  quanto riguarda le cosiddette assicurazioni minori, compresa
l'assicurazione  contro  le  malattie, tutto il personale e' iscritto
all'Inps.
    La disciplina dei rapporti di lavoro era regolata, in passato, da
contratti  collettivi  corporativi ed e' regolata, ora, dal contratto
collettivo  nazionale  di lavoro per gli addetti al settore elettrico
dd.  24  luglio  2001. Questo, all'art. 32, contenendo una disciplina
migliorativa  per  i  dipendenti  rispetto  alla  disciplina generale
prevista  dalla  legge,  obbliga  i  suoi iscritti all'erogazione del
trattamento   economico   di   malattia  in  misura  pari  all'intera
retribuzione  globale  per un periodo massimo di 12 mesi prolungabile
fino a 32 mesi.
    Di  conseguenza  si  applica la fattispecie dell'art. 6, comma 2,
della  legge  11  gennaio  1943, n. 138 (legge istitutiva dell'INAM e
dell'assicurazione  obbligatoria  contro  le  malattie), ai sensi del
quale  l'indennita'  di malattia non e' dovuta (dall'INAM, ora Inps),
quando il trattamento economico di malattia sia corrisposto per legge
o  per contratto collettivo dal datore di lavoro ... in misura pari o
superiore a quella fissata dai contratti collettivi.
    L'azienda  non  rientra  nel  campo  di  applicazione della cassa
integrazione  guadagni  (cfr.  art. 3  d.lgs.  C.p.S. 12 agosto 1947,
n. 869,  cosi' come interpretato da Cass. n. 4600/1993) ed era finora
anche  esonerata  dall'obbligazione  contributiva per la malattia (da
ultimo vedi circolare Inps datata 27 marzo 1996).
    Con  la  sentenza  n. 10232/03  le  Sezioni  unite della Corte di
cassazione,   componendo   un  contrasto  grurisprudenziale,  avevano
interpretato  l'art, 6 citato nel senso che, non sussistendo un nesso
di   reciproca  giustificazione  causale  fra  le  prestazioni  ed  i
contributi,  l'assunzione  attraverso  il  contratto  collettivo  del
rischio malattia in capo al datore di lavoro (con conseguente esonero
da  parte  dell'Inps), non vale ad esonerarlo dall'obbligo di versare
la contribuzione a favore dell'ente previdenziale.
    Sulla  scia  di questa sentenza, gli ispettori dell'Inps, redatto
un  verbale  ispettivo  culminato in un avviso di pagamento, chiedono
ora  all'azienda  energetica  il pagamento dei contributi di malattia
nella  misura  di  Euro 1.458.691,76  (di  cui a titolo capitale Euro
873.789,00,  il  resto  a  titolo  di  sanzioni e interessi), pari ad
un'aliquota  del  2,22  % sulla base imponibile riferita al personale
con  la  qualifica  operaia (gli impiegati, i quadri e dirigenti sono
espressamente   esclusi   da   detta   assicurazione:   vedi   d.lgs.
n. 213/1946).  Il  periodo preso in considerazione dagli ispettori va
dal 1/99 al 12/04.
    Contro   questa   pretesa  l'azienda  ha  proposto  un'azione  di
accertamento  negativa,  chiedendo  la  dichiarazione di infondatezza
dell'obbligo   contributivo,   previa,  se  ritenuto  necessario,  la
rimessione  degli  atti alla Corte costituzionale al fine di ottenere
la   dichiarazione   di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  6
(secondo  comma)  della  legge  n. 138/1943 nella sua interpretazione
attualmente  vigente  in  seguito  alla  sentenza  delle  S.U.  sopra
accennata.
    L'INPS  si  e'  costituito  in  giudizio  ed  ha  chiesto  in via
riconvenzionale  la  condanna  dell'azienda  energetica  al pagamento
dell'importo ingiunto con l'avviso di pagamento.
    A   parere  di  questo  giudice,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 6, secondo comma della legge n. 138/1943 non
e'  manifestamente  infondata  ed  e'  anche  rilevante ai fini della
decisione della presente vertenza.
    Si  fa  presente  che  questo  giudice  ha gia' sollevato analoga
questione  di legittimita' costituzionale nel processo promosso dalla
societa' «Metro Italia Cash and Carry S.p.a.» nei confronti dell'Inps
(e  nei confronti dell'Esatri-Esazione Tributi S.p.a. e nei confronti
del  SCCI  S.p.a.).  La  presente  ordinanza  ne approfondisce alcuni
aspetti.
    Va  premesso  che l'art. 6, comma 2 della legge n. 138/43, mentre
libera  l'ente  assicurativo pubblico dalla sua obbligazione (obbligo
di  erogare  la  prestazione  di  malattia),  nulla dice in ordine al
permanere  o  meno  dell'obbligo  contributivo  in  capo al datore di
lavoro  che  contrattualmente  si  era  accollato  il  rischio  della
malattia.
    Astrattamente,  il  vuoto  puo'  essere  colmato  attraverso  tre
differenti    variazioni   interpretative:   con   il   venire   meno
dell'obbligazione in capo all'ente assicurativo, e' venuto meno anche
l'obbligo  contributivo  in  capo  al  datore  di  lavoro;  l'obbligo
contributivo  in  capo al datore di lavoro, se non e' venuto meno, si
e'  almeno  ridotto; essendo le due obbligazioni del tutto autonome e
indipendenti,  il  venire  meno  dell'obbligazione  in  capo all'ente
assicurativo,  non  ha  fatto  venire  meno  -  e  neppure  ridotto -
l'obbligo  contributivo  in  capo  al  datore di lavoro. Quest'ultima
interpretazione e' stata accolta da Cass. S.U. 10.232/03.
    Essa sembra violare alcuni precetti costituzionali.
    Violazione degli articoli 3 e 41 della Costituzione
    Da  un  lato  esistono  le  imprese,  quale  l'azienda  elettrica
ricorrente,  che  assumono  su  se  stesse,  attraverso  il contratto
collettivo, il rischio dell'evento malattia, continuando a versare ai
dipendenti la retribuzione all'atto del suo verificarsi.
    Esse,  continuando  a  versare  la  retribuzione piena durante la
malattia,   assolvono   gia'  al  debito  solidaristico,  almeno  nei
confronti  del  proprio personale. Anzi, visto dal punto di vista del
singolo  lavoratore, il trattamento di malattia erogato dal datore di
lavoro  e'  notevolmente  superiore, sia sotto il profilo del quantum
(il  datore  di  lavoro  continua a pagare la retribuzione piena) che
sotto  il profilo del tempo (il datore di lavoro puo' arrivare fino a
32  mesi a sostenere il lavoratore malato) rispetto al trattamento di
malattia  erogato  dall'Inps  (l'indennita'  di  malattia, di regola,
ammonta  al 60% della retribuzione e l'ente previdenziale sostiene il
lavoratore malato per periodi notevolmente inferiori).
    Inoltre,  la stessa retribuzione versata durante la malattia e' a
sua  volta  soggetta  a  imponibile contributivo, di guisa che queste
imprese sono soggette ad una sorta di duplicazione contributiva.
    Benche'  l'Inps  fosse esonerato dalla corrispondente prestazione
di  malattia,  le  imprese,  non avendo alcun vantaggio contributivo,
sono  obbligate  a  versare  in  pieno,  senza  alcuna  riduzione, il
corrispondente contributo di malattia.
    Non  sussiste  alcuna  differenziazione rispetto alle imprese che
non  si  accollano  il  rischio  della  malattia, lasciandolo gravare
sull'Inps.
    Situazioni  sostanziali  differenti  - da una lato le imprese che
accollano  su  se  stesse  il  rischio  malattia,  dall'altro lato le
imprese  che  caricano  il  rischio  malattia  sull'Inps - dovrebbero
trovare  un  trattamento differenziato sotto il profilo contributivo,
pena la violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Ma vi e' di piu'.
    Mentre  sopra  e'  stato  evidenziato come situazioni sostanziali
differenti   non   trovino   un   trattamento  differente,  esistono,
all'inverso,  anche  casi  in  cui  situazioni  sostanziali  omogenee
trovano  ingiustificatamente  un  trattamento  differenziato sotto il
profilo contributivo.
    L'azienda   energetica  opera  nel  medesimo  settore  produttivo
dell'Enel e dell'Italgas di Torino.
    Mentre  l'Enel  e  l'Italgas godono di una riduzione contributiva
(per  l'Enel:  v.  d.P.R.  n. 145/1967),  le  aziende  energetiche ex
municipalizzate  versano  il contributo pieno, con la conseguenza del
venire  meno  delle  piu'  elementari  condizioni di par condicio fra
imprese concorrenti.
    Esistendo  differenze  di  trattamento  all'interno  delle stesse
categorie  produttive,  si  ritiene  violato  anche  l'art. 41  della
Costituzione  che  garantisce  il diritto all'iniziativa economica in
condizioni di parita'.
    Violazione dell'art. 2 della Costituzione.
    Il  dovere  di  solidarieta' e' il criterio ispiratore principale
nell'ambito delle assicurazioni sociali.
    Va  premesso in generale che nella realta' economica il dovere di
solidarieta'   soffre  talmente  tante  eccezioni  ingiustificate  ed
irrazionali,   vaste  e  stratificate,  basate  ora  su  disposizioni
legislative  ora  su  semplici  atti  amministrativi, da far dubitare
addirittura   della   sua   stessa   esistenza.   Per   tentare   una
classificazione  grossolana,  le eccezioni possono riguardare singole
aziende (RAI ecc.), singole categorie di lavoratori (il contributo e'
dovuto  per  gli  operai,  non  invece  per  gli  impiegati, quadri e
dirigenti),  singole  categorie  produttive  e  addirittura la stessa
aliquota  contributiva  che,  essendo differente per i singoli tipi e
settori aziendali, varia in continuazione.
    Nelle intenzioni nobili del legislatore costituzionale, il dovere
di  solidarieta'  non  e'  illimitato,  ma deve essere proporzionato,
circoscritto  entro  il limite della ragionevolezza e contenuto entro
un   giustificabile  bilanciamento  tra  il  vantaggio  destinato  al
beneficiario ed il corrispondente pregiudizio dell'onerato.
    Questi  criteri  della  ragionevolezza  e  della proporzionalita'
mancano nel caso specifico.
    La  violazione  e'  dovuta  soprattutto  alla circostanza che nei
confronti    dell'azienda    energetica    continua    a   sussistere
l'obbligazione  contributiva piena. Il contributo che essa gia' offre
al  dovere di solidarieta' attraverso l'accollo del rischio malattia,
dovrebbe   essere  premiato  quantomeno  attraverso  una  diminuzione
dell'obbligo  contributivo,  se  non addirittura attraverso l'esonero
totale.  Il  principio di solidarieta' non puo' essere sospinto ad un
livello di intensita' e di incidenza redistributiva cosi' alta, come,
appunto, avviene nel caso dell'art. 6, comma 2, legge n. 138/43 nella
sua   versione  interpretativa  fornita  dalla  sentenza  Cass.  S.U.
n. 10.232/03.  Al  contrario,  nell'attuale  fase  storica, l'aspetto
della    solidarieta'   redistributiva   ha   subito   una   notevole
ridimensione,   com'e'   dimostrato   dall'introduzione  del  calcolo
contributivo  delle  pensioni  nella  recente riforma apportata dalla
legge   n. 335/1995   (che   ha   sostituito  il  previdente  sistema
retributivo),    come    e'   altresi'   dimostrato   dall'abolizione
dell'istituto   dell'integrazione   al  trattamento  minimo  (con  il
conseguente  contenimento  della  connotazione  redisiributiva)  e la
ristrutturazione  binaria,  ad  opera  del  d.lgs.  n. 124/1993,  del
sistema  di  previdenza sociale attraverso l'introduzione del secondo
pilastro  della  previdenza  complementare,  notoriamente fondato sul
criterio della capitalizzazione.
    Un'ulteriore  aspetto di violazione dei criteri di ragionevolezza
e   proporzionalita'  cui  dovrebbe  essere  ispirato  il  dovere  di
solidarieta'  emerge  dai dati di bilancio dell'Inps. Essi dimostrano
come  l'ente pubblico sia destinatario di entrate da contribuzione di
malattia  assai  superiore alle uscite per indennita' di malattia. Ne
consegue che il sacrificio imposto alla suddetta categoria di imprese
risulta  privo  di  sostanziale  giustificazione.  Nel «rendiconto di
bilancio  Inps  2003» l'esborso per trattamenti economici di malattia
effettuato  nell'anno  era  pari  a  Euro 1.736.898.101,21,  mentre i
contributi   riscossi   erano   pari   a   Euro 3.120.793.049,38.  La
sperequazione   tra   entrate   e   uscite   e'   evidente.  Essa  e'
ingiustificata,  considerando  che il sistema previdenziale si fonda,
nella  sua  generalita'  sul criterio finanziario della ripartizione,
cioe',   sul  criterio  in  base  al  quale  il  carico  contributivo
complessivo  deve  essere costantemente rideterminato in relazione al
volume  della  spesa.  Nel  caso  di specie, l'onere contributivo non
risulta  aggiornato,  alle  imprese  e'  richiesta  una  solidarieta'
superiore  al  necessario  e,  per di piu', il medesimo viene imposto
anche  a  categorie  di imprese che, essendosi accollato su di se' il
rischio malattia, non concorrono alla spesa.
    Come  controargomento,  per  giustificare l'indipendenza totale e
l'assenza di qualsiasi sinallagmaticita' tra obbligo di contribuzione
e  corrispondente  trattamento di malattia, nella sentenza Cass. S.U.
n. 10.232/03  sono  stati  elencati, quali ipotesi esemplificative, i
casi  di  sospensione  del  lavoro,  di  superamento  del  periodo di
comporto  o  la disoccupazione. In questi casi l'Inps dovrebbe pagare
l'indennita'  al  lavoratore  anche  se  il datore di lavoro si fosse
assunto,  nel  contratto collettivo, l'obbligo di continuare a pagare
la  retribuzione  durante  la  malattia.  A  prescindere  dal rilievo
generale  che  questi  casi,  essendo  marginali, non giustificano la
pretesa   del   contributo  di  malattia  pieno,  occorre  nuovamente
ricordare  che  nei confronti delle aziende energetiche, comprese tra
le imprese industriali degli enti pubblici, non si applicano le norme
sull'integrazione dei guadagni degli operai. Di conseguenza, nei loro
confronti la giustificazione adotta nella sentenza vale ancora meno.
    Violazione dell'art. 38 della Costituzione.
    La costituzione repubblicana non ha inteso espellere il principio
corrispettivo   dal   sistema   delle   assicurazioni  previdenziali.
Preoccupandosi  unicamente ad assicurare mezzi adeguati al lavoratore
al sopravvenire degli eventi malattia e vecchiaia, l'art. 38 (secondo
comma)  della  Costituzione  si  e' occupato del risultato ma non del
mezzo  attraverso il quale il fine andava raggiunto. Non impone alcun
mezzo  o  strumento particolare, non esprime alcuna preferenza per un
determinato  sistema  di  assicurazione  previdenziale.  Sostenere il
contrario,  equivarebbe  a tacitare di incostituzionalita' la recente
riforma  delle  pensioni,  la  quale,  essendo  un sistema improntato
esclusivamente  alla  sola solidarieta' sinonimo di inefficienza e di
debito  pubblico,  aveva  scartato  il  principio  della solidarieta'
generazionale  (sistema  retributivo),  per reintrodurre il principio
assicurativo-contributivo.
    Quella opinione, giurisprudenziale (da ultimo: Cass. 15.112/04) e
dottrinale,   che  riteneva  espulso  il  principio  corrispettivo  o
sinallagmatico  dal  nostro  sistema  assicurativo  e  prevideuziale,
sembra  essere  nel torto. Essa si e' spinta troppo oltre, non avendo
il  principio  di  solidarieta'  mai eliminato del tutto il principio
della  corrispettivita'.  Quest'ultimo  principio  era presente nelle
intenzioni originarie del legislatore, quando aveva emanato l'art. 6,
comma  2  della  legge  n. 138/43.  La  norma,  benche'  nulla avesse
espressamente  sancito,  liberando  l'ente assicurativo pubblico Inam
(ora  Inps) dalla prestazione previdenziale, implicitamente intendeva
liberare il datore di lavoro dall'obbligo contributivo, conformemente
al  principio generale sancito all'articolo 1886 CC, secondo il quale
anche  le  assicurazioni  sociali  andavano inquadrate tra i rapporti
sinallagmatici  quali  le assicurazioni commerciali, disciplinate dal
codice  civile.  Da  cio'  si  evince  che,  quanto  meno  nella fase
genetica,  l'aspetto sinallagmatico sembra ineliminabile. Nel caso in
esame   invece   esso  e'  eliminato  del  tutto,  poiche'  l'azienda
energetica  contribuisce ad alimentare il fondo per le prestazioni di
malattia  ma non ne usufruisce. L'opinione secondo la quale qualsiasi
aspetto di corrispettivita' o sinallagmaticita' sia stato espulso dal
sistema  della  assicurazioni  sociali,  sembra  non  trovare  alcuna
copertura costituzionale.
    Concludendo, a questo giudice sembra non manifestamente infondata
la questione di legittimita' costituzionale. L'art. 6, secondo comma,
della  legge  n. 138/43 sembra porsi in contrasto con gli articoli 2,
3, 38 e 41 della Costituzione.
    La  questione  e'  anche rilevante ai fini' della decisione della
presente  causa.  Dalla  risposta  dipende la fondatezza o meno della
pretesa contributiva dell'Inps nei confronti dell'azienda energetica.