ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 7,
della   legge   della   Regione   Marche   19 dicembre   2001,  n. 35
(Provvedimenti   tributari   in   materia  di  addizionale  regionale
all'IRPEF  e  di  tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle
attivita'   produttive),  e  dell'annessa  tabella  A,  promosso  con
ordinanza  depositata  il  18 marzo 2005 dalla Commissione tributaria
provinciale   di  Ascoli  Piceno,  nella  controversia  vertente  tra
Amilcare  Brugni,  l'Ufficio  di  Ascoli  Piceno  dell'Agenzia  delle
Entrate  e  la  Regione  Marche,  iscritta  al  n. 270  del  registro
ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Visti gli atti di costituzione di Amilcare Brugni e della Regione
Marche;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15 novembre  2005  il giudice
relatore Franco Gallo;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe  Pizzonia  per  Amilcare  Brugni e
Augusto Fantozzi per la Regione Marche.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Nel corso di un giudizio promosso dal contribuente Amilcare
Brugni  nei  confronti  della  Regione  Marche  e dell'ufficio locale
dell'Agenzia  delle  entrate  avverso  il  silenzio-rifiuto formatosi
sulla richiesta di rimborso di quanto versato a titolo di addizionale
regionale   all'IRPEF  per  l'anno 2003,  la  Commissione  tributaria
provinciale  di  Ascoli  Piceno,  con ordinanza datata 3 marzo 2005 e
depositata  il  18  successivo,  ha  sollevato  - in riferimento agli
artt. 3,  16,  41,  53,  117, secondo comma, lettera e), 119, secondo
comma,  e  120  della  Costituzione  -  due questioni di legittimita'
costituzionale  del  combinato  disposto  dell'art. 1, comma 7, della
legge  della  Regione  Marche  19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti
tributari  in  materia  di addizionale regionale all'IRPEF e di tasse
automobilistiche e di imposta regionale sulle attivita' produttive) e
dell'annessa tabella A.
    Il   giudice  rimettente  premette  che  l'addizionale  regionale
all'IRPEF  -  in  quanto  istituita  e disciplinata da norme di legge
statali,  con  attribuzione  alle  Regioni di competenze di carattere
meramente attuativo - non costituisce tributo «proprio» della Regione
(cioe'   da   questa   istituito  e  regolato),  secondo  l'accezione
utilizzata  dall'art. 119,  secondo  comma,  della  Costituzione, nel
testo  risultante  dalla riforma apportata al Titolo V della Parte II
della   Costituzione,   ma   un  tributo  statale,  rientrante  nella
competenza  esclusiva  dello  Stato.  Da tale premessa la Commissione
tributaria  trae la conseguenza che la normativa regionale in tema di
addizionale  all'IRPEF deve rispettare le disposizioni autorizzatrici
della  legge  statale in materia e dubita pertanto della legittimita'
costituzionale delle censurate disposizioni della legge regionale, in
riferimento  a due diverse ipotesi di violazione della legge statale:
la   prima,   concernente   l'applicabilita'   ai  periodi  d'imposta
successivi  al  2002  di un'addizionale regionale superiore all'1,4 %
del  reddito  imponibile  ai  fini  IRPEF;  l'altra,  concernente  la
previsione di aliquote progressive per tale addizionale.
    1.1.  -  La  prima  questione  muove  dal preliminare rilievo che
l'art. 50   del   decreto   legislativo   15  dicembre  1997,  n. 446
(Istituzione   dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive,
revisione   degli   scaglioni,  delle  aliquote  e  delle  detrazioni
dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche'  riordino  della  disciplina dei tributi locali) - istitutivo
dell'addizionale regionale all'IRPEF per un'aliquota pari allo 0,50 %
del  reddito imponibile - e' stato modificato dall'art. 3 del decreto
legislativo  18 febbraio  2000,  n. 56  (Disposizioni  in  materia di
federalismo fiscale, a norma dell'art. 10 della legge 13 maggio 1999,
n. 133),  che,  a  decorrere dall'anno 2000, ha elevato tale aliquota
allo  0,90  %, autorizzando altresi' le Regioni ad aumentarla fino ad
un  massimo  di  un  ulteriore  0,50  %  sul  reddito  imponibile, e,
pertanto,  fino ad un'aliquota massima complessiva dell'1,40 % (cioe'
0,90  %  +  0,50  %).  Tuttavia,  osserva  la  Commissione tributaria
provinciale,  l'art. 4,  comma 3-bis,  «della legge 16 novembre 2001,
n. 405»  (recte: del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, recante
«Interventi  urgenti  in materia di spesa sanitaria», convertito, con
modificazioni,  dall'art. 1 della legge 16 novembre 2001, n. 405), ha
successivamente    stabilito    che    le   Regioni,   «limitatamente
all'anno 2002»  e  «in  deroga  ai  termini e alle modalita' previste
dall'art. 50,   comma 3,   secondo   periodo,   del   citato  decreto
legislativo   n. 446   del   1997»,   possono  maggiorare  l'aliquota
dell'addizionale  regionale  all'IRPEF  «con  propri provvedimenti da
pubblicare  nella  Gazzetta  Ufficiale  entro  il  31 dicembre  2001»
ovvero,  nel  caso di fissazione di un'aliquota superiore allo 0,5 %,
«con  legge  regionale». Per il rimettente, la denunciata legge della
Regione Marche, nello stabilire che l'addizionale regionale all'IRPEF
e' determinata - secondo aliquote fissate in deroga a quanto disposto
dall'indicato  art. 50  del  d.lgs. n. 446 del 1997, quale modificato
dall'art. 3  del d.lgs. n. 56 del 2000 - «a decorrere dall'anno 2002»
(e non «limitatamente all'anno 2002», come invece previsto dal citato
art. 4,  comma 3-bis,  del  decreto-legge  n. 347  del 2001), avrebbe
illegittimamente  esteso  agli anni 2003 e seguenti l'operativita' di
tali  maggiorazioni derogatorie. Ne' potrebbe ritenersi - prosegue il
giudice  a  quo  -  che  l'art. 3,  comma 1,  lettera a), della legge
statale  27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003),
abbia  legittimato la Regione a determinare le suddette maggiorazioni
derogatorie anche per gli anni successivi al 2002, perche' tale norma
si   limita  a  disporre  la  temporanea  sospensione  degli  aumenti
dell'addizionale  regionale all'IRPEF non confermativi delle aliquote
in  vigore  nel  2002  e  deliberati  dopo  il  29 settembre  2002 e,
pertanto,  da  un lato, non sarebbe applicabile alla fattispecie, non
avendo  la  Regione  Marche  assunto,  nel  corso  del  2002,  alcuna
determinazione  in  materia  di  addizionale  regionale  all'IRPEF e,
d'altro  lato,  non  potrebbe  comunque  interpretarsi  nel  senso di
consentire di protrarre oltre l'anno 2002 gli effetti «espansivi» dei
poteri di imposizione tributaria, che l'indicato art. 4, comma 3-bis,
del  decreto-legge  n. 347  del  2001, convertito, con modificazioni,
dall'art. 1 della legge n. 405 del 2001, ha eccezionalmente accordato
alle  Regioni  al  solo  fine  di  contenere  i  livelli tributari di
derivazione  locale  e  regionale  sino  al  completamento  dell'iter
propedeutico   alla   definizione   dei  meccanismi  strutturali  del
federalismo fiscale. Di qui la denunciata violazione degli artt. 117,
secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost.
    1.2.  -  La  seconda  questione poggia sulla constatazione che il
citato  art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997 consente alle
Regioni  di determinare l'addizionale regionale all'IRPEF «applicando
l'aliquota,  fissata  dalla  regione  in  cui  il  contribuente ha la
residenza». Per il rimettente, il testuale riferimento all'«aliquota»
(al  singolare)  e  la  natura  meramente  attuativa delle competenze
regionali in materia escluderebbero la possibilita' per le Regioni di
incidere  sulla  disciplina  sostanziale  del  tributo, articolandone
l'applicazione  in  modo differenziato per tipologie di reddito o per
scaglioni.  Nella  specie, la tabella A annessa alla denunciata legge
regionale,   secondo  il  testo  applicabile  ratione  temporis  alla
fattispecie, determina la misura dell'addizionale regionale all'IRPEF
non  gia'  in  ragione  di un'aliquota unica, ma di quattro aliquote,
sulla  base  di  una modulazione diversa e crescente per scaglioni di
reddito,  e  pertanto, secondo la Commissione tributaria provinciale,
si  porrebbe  in contrasto non solo con gli artt. 117, secondo comma,
lettera e), e 119, secondo comma, Cost., ma anche con l'art. 3 Cost.,
perche',  senza  alcun  coordinamento  con  i  principi della finanza
pubblica  e  del sistema tributario, aggiungerebbe ulteriori elementi
di  progressivita'  ad  un  tributo (l'IRPEF) dotato di una struttura
gia'  di  per se' fortemente progressiva, pregiudicando i principi di
equita' e ragionevolezza che debbono improntare il sistema tributario
ed  in  particolare  creando  una  grave  disparita'  di  trattamento
tributario  a  danno  dei  cittadini  residenti nella Regione Marche,
cosi'  da  ostacolare sia la liberta' di ogni cittadino di fissare la
residenza,  il  domicilio (art. 16 Cost.) o l'impresa (art. 41 Cost.)
in  qualsiasi  parte  del  territorio  nazionale,  sia la correlativa
liberta'  di  circolazione  delle  persone  e  cose  tra  le  Regioni
(art. 120 Cost.).
    1.3.  -  Il  rimettente,  infine,  esclude la possibilita' di una
interpretazione  adeguatrice delle disposizioni denunciate ed afferma
la rilevanza delle sollevate questioni.
    2.   -  Si  e'  tempestivamente  costituita  la  Regione  Marche,
chiedendo  il  rigetto,  per  manifesta infondatezza, delle sollevate
questioni.
    2.1.  - In ordine alla prima questione, la parte pubblica osserva
che  originariamente  il  legislatore,  conferendo  alle Regioni, con
l'art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, la facolta'
di  disporre  -  per  il  solo  anno 2002  - aumenti dell'addizionale
regionale   all'IRPEF  superiori  al  limite  massimo  fissato  dalla
precedente  normativa  statale,  aveva  inteso  fornire  alle Regioni
medesime   un   ulteriore   mezzo   per   provvedere  alla  copertura
dell'eventuale  disavanzo  di  gestione.  Successivamente,  pero', lo
stesso legislatore - prosegue la Regione Marche - avrebbe perseguito,
nella  sua discrezionalita', il diverso obiettivo di salvaguardare le
misure  di  copertura  del  disavanzo gia' adottate dalle Regioni nel
2002,  consentendo  il  mantenimento  per  gli  anni successivi delle
stesse  aliquote relative all'addizionale regionale all'IRPEF fissate
per quell'anno, anche se superiori all'1,40 % dell'imponibile ai fini
IRPEF,  ed  escludendo  ulteriori aumenti di tale addizionale. Per la
Regione,  infatti,  l'art. 3, comma 1, lettera a), della citata legge
statale  n. 289  del  2002,  conterrebbe  due  distinte  norme: una -
esplicita  -  secondo  cui  sono  temporaneamente  sospesi (sino alla
definizione  di  un  quadro  generale  di  coordinamento  tra finanza
statale  e  finanza regionale) gli aumenti dell'addizionale regionale
all'IRPEF   deliberati   successivamente   al  29 settembre  2002  ed
ulteriori  rispetto  a  quelli  gia'  disposti per il 2002; l'altra -
implicita,  perche'  logicamente  e  necessariamente desumibile dalla
precedente  -  secondo cui e' legittima ed efficace la conferma delle
aliquote  dell'addizionale  regionale  all'IRPEF  del  2002 anche per
l'anno 2003.  La  parte  sottolinea, inoltre, che la denunciata legge
regionale   dispone   legittimamente   un   aumento  dell'addizionale
regionale  «valevole  per la pluralita' degli anni a venire», perche'
la  legge  statale,  nel  prevedere  che  i  provvedimenti di aumento
dell'addizionale  regionale  siano  pubblicati  entro  una certa data
«dell'anno  precedente  a quello cui l'addizionale si riferisce», non
impone affatto una cadenza annuale delle deliberazioni, ma fissa solo
il  termine massimo entro il quale il provvedimento puo' intervenire.
Da  queste  premesse  la  Regione  Marche  trae la conseguenza che la
censurata  legge  regionale,  in  quanto  «deliberazione anteriore al
29 settembre   2002   confermativa   delle  aliquote  in  vigore  per
l'anno 2002», e' stata resa legittima dal ius superveniens costituito
dal  citato  art. 3,  comma 1, lettera a), della legge statale n. 289
del 2002.
    2.2.  -  La  stessa  Regione,  in  ordine alla seconda questione,
osserva  che,  contrariamente  a  quanto affermato dal rimettente, la
progressivita'  (o la maggiore progressivita) di un tributo non viola
il  principio  di uguaglianza, perche', al contrario, valorizzando la
differenza  di capacita' contributiva del soggetto passivo d'imposta,
comporta  soltanto  una disciplina diseguale di situazioni diseguali,
maggiormente  aderente  al  dettato  costituzionale. Inoltre - sempre
secondo  la  parte  pubblica - le aliquote della denunciata tabella A
della   legge   regionale  riprodurrebbero,  nella  sostanza,  quelle
dell'IRPEF   (con  l'accorpamento  del  3°  e  del  4°  scaglione)  e
rifletterebbero  pertanto, senza incrementarla, la progressivita' del
tributo  di  base.  Quanto, poi, alla lamentata discriminazione tra i
contribuenti    residenti    nella   Regione   Marche,   assoggettati
all'addizionale  regionale  all'IRPEF  secondo le aliquote censurate,
rispetto  ai contribuenti residenti in altre Regioni, assoggettati ad
addizionali  regionali di minore importo e comunque sulla base di una
sola  aliquota,  l'ente territoriale oppone che l'eccepita differenza
di  prelievo  tra  contribuenti  residenti  in  regioni  diverse  non
discende  dalla  legge regionale impugnata, ma dalla previsione della
legge  statale  di  una  diversa determinazione dell'aliquota rimessa
alle   Regioni,   ed   e'   comunque   legittimata  dai  principi  di
coordinamento della finanza nazionale e locale di cui agli artt. 117,
118   e   119   Cost.,  senza  alcuna  violazione  del  principio  di
uguaglianza,  «posto  che  la  diversa misura di un gettito regionale
corrisponde  alle  diverse scelte delle regioni in materia di finanza
pubblica (e quindi di spesa), talche' riguarda residenti diversamente
serviti,  assistiti e tutelati e quindi in situazioni diseguali». Per
le  stesse  ragioni non sussisterebbe alcuna violazione degli evocati
principi costituzionali della liberta' di circolazione e di soggiorno
e   della  liberta'  di  iniziativa  economica,  perche'  l'eventuale
ostacolo  alla  liberta'  di  circolazione  o di iniziativa economica
derivante  da  un'addizionale  regionale  all'IRPEF  comparativamente
maggiore  rispetto  a  quella  di  altre regioni deriverebbe non gia'
dalla  progressivita' delle aliquote previste dalla tabella A annessa
alla  denunciata  legge  regionale, ma dalla differenziabilita' delle
aliquote  fra  le  diverse  regioni e percio', in primo luogo, «dalla
legge  statale»  e,  in  secondo  luogo,  dalle  concrete  «scelte di
politica  economica regionale (livello di spesa e quindi di servizio,
assistenza   e   tutela   da  parte  dell'ente  pubblico  regionale),
costituenti   anch'esse   fattori   incentivanti   o  disincentivanti
dell'insediamento  in  un  territorio». L'ente territoriale, inoltre,
rileva    che    «la    progressivita'    dell'addizionale   comporta
l'applicazione  dell'aliquota  massima soltanto sull'ultimo scaglione
di  reddito e che la proporzionalita' dell'addizionale, al contrario,
comporta l'applicazione dell'unica aliquota sull'intero reddito», con
la  conseguenza che «la progressivita' rispetto alla proporzionalita'
non  conduce  ad  un'imposizione  maggiore,  bensi' ad un'imposizione
maggiore sui redditi piu' elevati e ad una inferiore sui redditi piu'
contenuti».  Lo  stesso  ente,  infine, sostiene che - contrariamente
all'assunto  del  rimettente  -  il termine «aliquota», al singolare,
utilizzato  dal  legislatore nell'art. 50, comma 3, del d.lgs. n. 446
del  1997,  non  esclude  la  facolta'  per le Regioni di fissare una
pluralita'  di  aliquote  per  l'addizionale regionale all'IRPEF, sia
perche'  l'uso  del  singolare  si  spiega  con la tecnica espositiva
adottata  dal  legislatore,  il  quale,  nel primo periodo del comma,
fissa  una  «aliquota»  di  compartecipazione  valida  in  assenza di
diversa  determinazione  regionale  (necessariamente  unica)  e,  nel
secondo   periodo,   ne   consente   la  maggiorazione;  sia  perche'
l'attribuzione  del  potere  di  maggiorazione  dell'addizionale,  in
assenza di specificazioni, implica la discrezionalita' nell'esercizio
di  tale  potere e, quindi, consente anche di stabilire maggiorazioni
diverse per casi diversi, ad esempio secondo aliquote progressive per
scaglioni   di  reddito;  sia  perche'  altre  volte  il  legislatore
utilizza,  in  materia,  il  termine  «aliquote»,  al  plurale  (come
nell'art. 3,  comma 1,  lettera a,  della  legge  statale  n. 289 del
2002).
    3.  -  Si  e'  costituito  anche il contribuente Amilcare Brugni,
chiedendo  l'accoglimento della sollevata questione e sostanzialmente
riproponendo,   a   sostegno   di   tale   conclusione,   le   stesse
argomentazioni prospettate dal giudice rimettente.
    4.   -  Con  memoria  depositata  nell'imminenza  della  pubblica
udienza,   la   Regione  Marche  eccepisce  l'inammissibilita'  delle
deduzioni  del contribuente, perche' in queste «e' [...] stata omessa
la pagina 9, nella quale [...] dovrebbero essere esposte le ragioni a
sostegno»  della  avversata  tesi  dell'illegittimita' costituzionale
delle   disposizioni   denunciate.  Tale  omissione,  comportando  la
violazione  dei principi del contraddittorio concernenti la posizione
di  parita'  delle parti di fronte al giudice (ai sensi dell'art. 111
Cost.),  si  risolverebbe  in  una  ragione di inammissibilita', come
sarebbe desumibile, secondo la Regione, dalle numerose pronunce della
Corte   di   cassazione   in   merito  all'inammissibilita'  di  atti
processuali privi di una o piu' pagine.
    Nel  merito,  l'ente territoriale ribadisce le proprie precedenti
osservazioni  e  rileva  che  «la questione che ci occupa e' comunque
venuta  meno  a partire dal 1° gennaio 2005», perche' l'art. 17 della
legge  della  Regione  Marche «approvata il 4 ottobre 2005» (rectius:
legge   della   Regione   Marche   11 ottobre  2005,  n. 24,  recante
«Assestamento del bilancio 2005», pubblicata nel Bollettino Ufficiale
della  Regione  Marche  del  14 ottobre  2005,  n. 89), ha sostituito
l'art. 39  della  legge  regionale n. 29 del 2004 con un nuovo testo,
per   effetto   del   quale   l'addizionale  regionale  all'IRPEF  e'
rideterminata,  «a  decorrere dall'anno 2005», nella seguente misura:
aliquota dello 0,9 %, per un reddito fino ad Euro 15.500,00; dell'1,2
%,  per un reddito superiore a tale importo e fino ad Euro 31.000,00;
dell'1,4 %, per un reddito superiore a tale importo.
    5.   -  Anche  il  contribuente  ha  depositato,  in  prossimita'
dell'udienza,  una  memoria,  con  la  quale  ribadisce  ed argomenta
ulteriormente le gia' formulate conclusioni.
    5.1.  -  In  relazione  alla  prima  questione,  la parte privata
insiste  nell'affermare  l'illegittimita' dell'addizionale all'IRPEF,
in  quanto  determinata  dalla  Regione  Marche,  per l'anno 2003, in
misura  eccedente  i  limiti  fissati  dall'art. 50, comma 3, secondo
periodo,  del  decreto  legislativo  n. 446  del  1997.  Al  riguardo
osserva:  a)  che  la denunciata legge regionale, approvata nel 2001,
poteva  superare  i  suddetti limiti solo per l'anno 2002, sulla base
della  legge  statale  che  consentiva tale deroga esclusivamente per
quell'anno  e  non  per gli anni successivi (art. 4, comma 3-bis, del
decreto-legge   n. 347   del  2001,  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1  della  legge n. 405 del 2001); b) che l'art. 3, comma 1,
lettera a),  della legge statale n. 289 del 2002 non vale a sanare la
norma  denunciata,  perche'  stabilisce soltanto la sospensione degli
aumenti  delle  addizionali  regionali  disposti per il 2003, facendo
salvi   quelli  deliberati  prima  della  presentazione  della  legge
finanziaria  statale  per  il  2003  (avvenuta il 30 settembre 2002),
nonche'  quelli  deliberati  successivamente al 29 settembre 2002, ma
meramente   confermativi   dell'aliquota  prevista  per  il  2002,  e
pertanto, poiche' detta norma si limita ad anticipare al 29 settembre
2002   il  termine  ordinario  per  la  determinazione  dell'aliquota
applicabile  nel  2003,  che sarebbe scaduto il 30 novembre 2002, non
consente  -  nella  specie  -  alcuna  deroga  alla sospensione degli
aumenti  di  aliquota,  non  ricorrendo,  in riferimento alla Regione
Marche, ne' l'ipotesi di una delibera di aumento dell'aliquota per il
2003,  anteriore  o successiva al 30 settembre 2002, ne' l'ipotesi di
un   provvedimento,   anteriore   o   successivo  alla  stessa  data,
confermativo  per  il  2003 delle aliquote 2002; c) che, comunque, il
citato  art. 3,  comma 1,  lettera a), della legge statale n. 289 del
2002 prevede la possibilita' di conferma per il 2003 dei soli aumenti
«deliberati», e cioe' (secondo la terminologia impiegata dall'art. 4,
comma 3-bis,  del  decreto-legge  n. 347  del  2001,  convertito, con
modificazioni,  dall'art. 1  della  legge  n. 405  del 2001) dei soli
aumenti  «disposti [...] con provvedimenti» entro la misura dello 0,5
%,   e  non  anche  degli  aumenti  superiori  a  tale  aliquota,  da
«determinarsi»,  invece,  «con  legge  regionale», con la conseguenza
che,  nella  specie, gli aumenti «determinati» con la legge regionale
denunciata  («approvata  e  promulgata»,  ma  non  «deliberata»)  non
potrebbero  mai  rientrare  nell'ambito  di applicazione del suddetto
art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale n. 289 del 2002.
    5.2.  -  In  relazione  alla  seconda  questione, il contribuente
ribadisce   l'illegittimita'  della  previsione,  nella  disposizione
censurata,  di  un'addizionale regionale all'IRPEF modulata in base a
quattro  diverse  aliquote  progressive:  in  primo luogo, perche' la
legge   statale   istitutiva  di  tale  addizionale,  facendo  sempre
riferimento all'«aliquota» del tributo, stabilisce il principio della
riserva  allo  Stato  degli  aspetti  redistributivi del tributo, ivi
compreso   il   carattere   della   progressivita',  con  conseguente
necessaria  proporzionalita'  -  con applicazione, cioe', di un'unica
aliquota  -  dell'addizionale medesima (come risulterebbe anche dalla
Relazione   di   accompagnamento   al   d.lgs.   n. 446   del   1997:
«l'istituzione dell'addizionale [...] risponde alla logica, contenuta
nella   delega,   di   mantenere   allo   Stato   la   determinazione
dell'imponibile  e la funzione redistributiva (progressivita' [...]),
lasciando alle regioni solo il potere di manovrare, entro la forcella
stabilita, l'aliquota di un'addizionale che e' proporzionale rispetto
alla  base  imponibile  dell'imposta  principale»); in secondo luogo,
perche'   il   riferimento  alle  «aliquote»  contenuto  nell'art. 3,
comma 1,  lettera a),  della  legge  statale  n. 289 del 2002 (citato
dalla  difesa  della  Regione  Marche)  si  spiega  non  gia' con una
possibile  pluralita' di aliquote della stessa addizionale, ma con la
pluralita'  delle diverse addizionali, regionali e comunali, previste
dalla citata disposizione; in terzo luogo, perche' la sovrapposizione
di  un'addizionale progressiva ad un'imposta a sua volta progressiva,
come   l'IRPEF,   distorce   la   forma   della  curva  di  prelievo,
accentuandone  la  progressivita',  al  di  fuori  di  un  coerente e
razionale  disegno redistributivo, che compete unicamente allo Stato;
in  quarto  luogo,  perche'  alla  legge  regionale non e' consentito
creare  tributi  progressivi,  perche'  il  tema della progressivita'
(afferente   al   sistema  tributario  nel  suo  complesso,  in  base
all'art. 53  Cost.)  e' riservato dalla Costituzione in via esclusiva
allo Stato - ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
-  lasciando  alla  legislazione concorrente il coordinamento ed alle
leggi  statali  l'istituzione  dei  singoli  tributi  progressivi; in
quinto  luogo,  infine,  perche'  l'istituzione  di tributi regionali
progressivi  e'  in  contrasto  con  i  principi  di uguaglianza e di
capacita' contributiva tra cittadini di Regioni diverse.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno ha
sollevato  due questioni di legittimita' costituzionale del combinato
disposto  dell'art. 1,  comma 7,  della  legge  della  Regione Marche
19 dicembre  2001,  n. 35  (Provvedimenti  tributari  in  materia  di
addizionale  regionale  all'IRPEF  e  di  tasse automobilistiche e di
imposta  regionale sulle attivita' produttive) e dell'annessa tabella
A:  la  prima,  in  riferimento  ai  soli  artt. 117,  secondo comma,
lettera e),  e 119, secondo comma, della Costituzione; la seconda, in
riferimento anche agli artt. 3, 16, 41, 53 e 120 della Costituzione.
    1.1.  -  La  prima  questione  concerne le censurate disposizioni
nella  parte in cui prevedono, per l'anno 2003, la stessa addizionale
regionale   all'IRPEF  determinata  per  l'anno 2002  in  un  importo
superiore  all'1,4  %  del  reddito  imponibile.  Secondo  il giudice
rimettente,  la  previsione di un'addizionale di tale importo per gli
anni  successivi  e, quindi, anche per l'anno 2003 (e non solo per il
2002,  come  consentito  in via eccezionale dall'art. 4, comma 3-bis,
del  decreto-legge  18 settembre  2001,  n. 347,  recante «Interventi
urgenti   in   materia   di   spesa   sanitaria»,   convertito,   con
modificazioni,  dall'art. 1  della  legge  16 novembre  2001, n. 405)
violerebbe  gli  evocati parametri costituzionali (artt. 117, secondo
comma,   lettera   l),   e   119,   secondo  comma,  Cost.),  perche'
contrasterebbe  con  la  norma statale interposta di cui all'art. 50,
comma 3,  secondo  periodo, del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446    (Istituzione   dell'imposta   regionale   sulle   attivita'
produttive,   revisione  degli  scaglioni,  delle  aliquote  e  delle
detrazioni  dell'Irpef  e  istituzione di una addizionale regionale a
tale imposta, nonche' riordino della disciplina dei tributi locali) -
quale  modificato (con effetto a partire dall'anno 2000) dall'art. 3,
comma 1,    del   decreto   legislativo   18 febbraio   2000,   n. 56
(Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'art. 10
della  legge  13 maggio  1999,  n. 133)  -  che  pone  il  divieto di
superare,  nella  determinazione  dell'addizionale, l'indicato limite
dell'1,4  % del reddito imponibile. Ne', sempre ad avviso del giudice
a  quo,  la denunciata violazione di questo limite potrebbe ritenersi
sanata  dal  sopravvenuto  art. 3,  comma 1,  lettera a), della legge
statale  27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003),
perche'  questa  disposizione  -  al  fine  di contenere la pressione
fiscale   regionale   e   locale   sino  al  completamento  dell'iter
propedeutico   alla   definizione   dei  meccanismi  strutturali  del
federalismo    fiscale   -   si   sarebbe   limitata   a   sospendere
temporaneamente  gli aumenti dell'addizionale regionale all'IRPEF non
confermativi  delle  aliquote in vigore nel 2002 e deliberati dopo il
29 settembre 2002, con la conseguenza della sua inapplicabilita' alla
fattispecie,  non  avendo  la  Regione  Marche assunto, nel corso del
2002,  alcuna  determinazione  in  materia  di  addizionale regionale
all'IRPEF.
    1.2.  -  La  seconda  questione concerne le medesime disposizioni
della  suddetta  legge  regionale,  nella parte in cui determinano la
misura  dell'addizionale  all'IRPEF  in  ragione di quattro aliquote,
sulla  base  di una «modulazione diversa e crescente per scaglioni di
reddito».  Per il rimettente, tale previsione di aliquote progressive
sarebbe  illegittima  (in  relazione  agli  artt. 3, 16, 41, 53, 117,
secondo  comma, lettera l), 119, secondo comma, e 120 Cost.), perche'
contrasterebbe  con  il  testuale  riferimento ad un'unica «aliquota»
contenuto  nell'art. 50  del  decreto  legislativo  n. 446 del 1997 e
perche',  conseguentemente,  senza alcun coordinamento con i principi
della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario,  aggiungerebbe
ulteriori  elementi  di  progressivita'  ad  un  tributo  (l'IRPEF) a
struttura  gia'  di  per  se' fortemente progressiva, pregiudicando i
principi  di  equita'  e  ragionevolezza  che  debbono  improntare il
sistema tributario e creando, in particolare, una grave disparita' di
trattamento tributario tra i cittadini residenti nella Regione Marche
e  quelli  residenti  in  altre  Regioni,  cosi' da ostacolare sia la
liberta'  di  fissare  la  residenza,  il domicilio (art. 16 Cost.) o
l'impresa   (art. 41   Cost.)   in  qualsiasi  parte  del  territorio
nazionale,  sia  la correlativa liberta' di circolazione di persone e
cose tra le Regioni (art. 120 Cost.).
    2.  - La difesa della Regione Marche ha espressamente dichiarato,
in  udienza,  di  «rinunciare  all'eccezione  di  inammissibilita'  o
irricevibilita»  delle  deduzioni  del  contribuente, sollevata nella
propria  memoria  illustrativa e basata sull'affermata mancanza della
pagina 9 di tali deduzioni nella copia depositata dalla parte privata
e ritirata dalla Regione.
    3.  -  Deve  preliminarmente  escludersi  quanto  affermato nella
memoria  illustrativa della Regione, e cioe' che «la questione che ci
occupa  e' comunque venuta meno» per effetto dell'art. 17 della legge
della   Regione  Marche  11 ottobre  2005,  n. 24  (Assestamento  del
bilancio  2005), il quale ha rideterminato l'ammontare delle aliquote
dell'addizionale   regionale   all'IRPEF.   Tale  articolo,  infatti,
espressamente stabilisce che detta rideterminazione ha efficacia solo
«a  decorrere  dall'anno 2005»  e, pertanto, non puo' essere invocato
per  sostenere  la cessazione della materia del contendere riguardo a
questioni  che,  invece,  concernono  il  periodo  d'imposta relativo
all'anno 2003.
    4. - Nel merito, entrambe le questioni non sono fondate.
    Il   rimettente  muove  dall'esatta  premessa  che  l'addizionale
regionale  in  questione,  in  quanto  istituita e disciplinata dalla
legislazione  statale  (art. 50  del  decreto  legislativo n. 446 del
1997),  e'  da  considerarsi  -  secondo  la  costante giurisprudenza
costituzionale  -  tributo statale e non «proprio» della Regione (nel
senso  di  cui  al  vigente  art. 119  Cost.), senza che in contrario
rilevino   ne'  l'attribuzione  del  gettito  alle  Regioni  ed  alle
Province,  ne'  le determinazioni espressamente attribuite alla legge
regionale  dal  citato decreto legislativo (v., ex plurimis, sentenze
n. 37  e n. 381 del 2004); con la conseguenza che la disciplina della
misura  di  tale  addizionale  rientra  nella  competenza legislativa
esclusiva   dello  Stato,  ai  sensi  dell'art. 117,  secondo  comma,
lettera e),  Cost.,  e  che  e' precluso alle Regioni integrare detta
disciplina, se non nei limiti stabiliti dalla legislazione statale.
    Tuttavia,  lo  stesso  rimettente,  nella specie, ricostruisce in
modo  inesatto  la normativa statale di riferimento - cioe' l'art. 3,
comma 1,  lettera a), della legge n. 289 del 2002, relativamente alla
prima  questione,  e il citato art. 50 del decreto legislativo n. 446
del 1997, relativamente alla seconda questione - giungendo all'errata
conclusione della violazione dei parametri evocati.
    4.1.  - In ordine alla prima questione, il rimettente prende atto
che,  ai  sensi  della  denunciata  legge regionale, l'addizionale in
questione  e' determinata, «a decorrere dall'anno 2002», nella misura
indicata  dalla  tabella  A  allegata  alla  stessa  legge,  mediante
l'applicazione  di  quattro diverse aliquote, in relazione a distinti
scaglioni  di  reddito  imponibile  (cioe'  dello 0,9 %, fino ad Euro
15.493,71;  dell'1,91 %, oltre tale importo e fino ad Euro 30.987,41;
del  3,6  %,  oltre tale importo e fino ad Euro 69.721,68; del 4,0 %,
oltre  tale  importo). Da cio' deduce che il legislatore regionale ha
previsto,  per  il  2003, un'addizionale di importo identico a quello
gia'  stabilito  per  il 2002 e quindi, in riferimento alle classi di
reddito  piu'  elevate,  un'aliquota  complessivamente  superiore  al
limite   massimo   dell'1,4   %   del   reddito   imponibile  fissato
dall'art. 50,  comma 3,  secondo  periodo,  del  decreto  legislativo
n. 446   del  1997  (nel  testo  applicabile  ratione  temporis  alla
fattispecie).  La  stessa  Commissione  tributaria  completa  la  sua
argomentazione rilevando che l'art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge
n. 347  del  2001,  convertito,  con modificazioni, dall'art. 1 della
legge  n. 405  del  2001,  ha  consentito,  in  via  eccezionale,  il
superamento del suddetto limite massimo dell'addizionale, ma solo per
l'anno 2002  («Limitatamente all'anno 2002»). Conclude, pertanto, per
l'illegittimita'  costituzionale della norma censurata, che ha invece
fissato  anche per l'anno 2003 un'addizionale superiore all'1,4 % del
reddito imponibile.
    Tale  rilievo  di  illegittimita'  costituzionale tuttavia non e'
fondato,  perche'  il  rimettente  non tiene conto che il legislatore
statale,  con  il menzionato art. 3, comma 1, lettera a), della legge
n. 289  del  2002,  ha  inteso  perseguire  l'obiettivo  di  politica
economica di evitare - con decorrenza dal 30 settembre 2002 e fino al
raggiungimento   di   un   accordo  sui  meccanismi  strutturali  del
federalismo  fiscale  in  sede  di  Conferenza  unificata  tra Stato,
Regioni  ed  enti  locali, ai sensi del decreto legislativo 28 agosto
1997,  n. 281  (Definizione  ed  ampliamento delle attribuzioni della
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie
ed  i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni,  con  la  Conferenza  Stato-citta'  ed autonomie locali) - la
maggiore  pressione  fiscale  dell'IRPEF  e  dell'IRAP  che  potrebbe
derivare  dall'ulteriore  incremento  delle  addizionali  regionali e
locali  a  tali  tributi,  e,  nel  contempo,  di mantenere lo stesso
livello  delle  addizionali legittimamente stabilite per l'anno 2002.
In   particolare,   l'art. 3,   comma 1,  lettera a),  stabilisce  la
sospensione,  fino  al  raggiungimento del suddetto accordo, dei soli
«aumenti  delle  addizionali  all'imposta  sul  reddito delle persone
fisiche  per  i comuni e le regioni, [...] deliberati successivamente
al  29 settembre  2002 e che non siano confermativi delle aliquote in
vigore  per  l'anno 2002».  L'aumento  dell'addizionale all'IRPEF per
l'anno 2003,  disposto  nel  2001 dalla Regione Marche per un importo
identico   a   quello   vigente  nel  2002  -  anche  se  comportante
l'applicazione  di  un'addizionale  superiore  all'1,4  % del reddito
imponibile, come consentito per l'anno 2002 dall'art. 4, comma 3-bis,
del  decreto-legge n. 347 del 2001 - non rientra, dunque, nella sfera
di  applicazione  dell'indicata  norma di sospensione e va ricompreso
nell'ambito  di  quei  provvedimenti  che  il  legislatore  ha inteso
confermare,  in  attuazione  della  indicata  politica di tendenziale
mantenimento  della  pressione  fiscale. La legge regionale che lo ha
stabilito   non   risponde,  infatti,  alle  condizioni  temporali  e
quantitative previste dal citato art. 3, comma 1, lettera a), ai fini
della sospensione, essendo essa confermativa delle aliquote in vigore
nel  2002  ed  essendo stata deliberata anteriormente al 30 settembre
2002 (perche' promulgata il 19 dicembre 2001) .
    Non  puo'  opporsi,  in  proposito,  che  la norma statale che ha
disposto  la  sospensione  riguarderebbe,  per  la  sua  formulazione
letterale, soltanto gli «aumenti deliberati» dalla Giunta regionale e
non   anche   quelli  disposti  da  leggi  regionali,  «approvate»  e
«promulgate»,  ma non «deliberate». Contrariamente a quanto sostenuto
dalla  difesa  del contribuente, la legge regionale viene «approvata»
mediante   «deliberazione»   consiliare   e,  percio',  l'espressione
«aumenti  deliberati»,  di cui al citato art. 3, comma 1, lettera a),
si  riferisce  agli aumenti stabiliti non solo mediante provvedimento
amministrativo  (nel  caso  -  contemplato dall' art. 4, comma 3-bis,
primo  periodo,  del  decreto-legge  n. 347 del 2001, convertito, con
modificazioni,  dall'art. 1  della  legge  n. 405  del  2001 - di una
maggiorazione dell'aliquota fino allo 0,5 %), ma anche mediante legge
regionale  (nel  caso - contemplato dallo stesso art. 4, comma 3-bis,
secondo  periodo,  del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con
modificazioni,  dall'art. 1  della  legge  n. 405  del  2001 - di una
maggiorazione dell'aliquota superiore allo 0,5 %).
    Ne',  per escludere la legittimita' dell'aumento dell'addizionale
in  questione,  assume  rilievo  la  circostanza  che  il legislatore
regionale abbia deliberato, con la legge denunciata, tale aumento nel
2001,   per   una   pluralita'   indefinita  di  anni,  «a  decorrere
dall'anno 2002», e non con distinte leggi o provvedimenti annuali. Il
citato  art. 50,  comma 3,  secondo  periodo, del decreto legislativo
n. 446 del 1997 non prevede, infatti, alcun obbligo per le Regioni di
determinare  gli  aumenti dell'addizionale singulatim, anno per anno,
ma  si  limita  a  stabilire che i «provvedimenti» di aumento debbono
essere  pubblicati «nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 30 novembre
dell'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce».
    4.2.  -  In  ordine  alla  seconda  questione,  il giudice a quo,
fondando   la  propria  argomentazione  sulla  parola  «aliquota»  al
singolare, utilizzata dall'art. 50 del decreto legislativo n. 446 del
1997, muove dal presupposto interpretativo che la legge statale vieti
al  legislatore  regionale  di  strutturare  l'addizionale  all'IRPEF
secondo   piu'   aliquote   crescenti   per   scaglioni  di  reddito.
Dall'affermata violazione di tale divieto il rimettente fa discendere
il  contrasto  delle  censurate  disposizioni,  da  un  lato, con gli
artt. 117,  secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost. e,
dall'altro, con gli artt. 3, 16, 41, 53 e 120 Cost.
    L' assunto interpretativo del rimettente e' errato.
    Per quanto attiene al contrasto con gli artt. 117, secondo comma,
lettera e), e 119, secondo comma, Cost., va rilevato che ne' la norma
statale  istitutiva  dell'addizionale  (art. 50, commi 2 e 3, secondo
periodo,  del  decreto  legislativo n. 446 del 1997), ne' la relativa
legge  di  delegazione  (art. 3,  comma 143,  lettera a), della legge
23 dicembre  1996, n. 662, recante «Misure di razionalizzazione della
finanza  pubblica), nell'impiegare il termine «aliquota» al singolare
per   la  determinazione  degli  aumenti  dell'addizionale  medesima,
impediscono   che   tali   aumenti  siano  improntati  a  criteri  di
progressivita'.  Infatti,  la parola «aliquota», usata al singolare e
senza  altra  specificazione,  ben  puo' essere interpretata, secondo
l'uso linguistico generale e specialistico del settore tributario, in
senso  neutrale,  e  cioe' sia nel senso di «aliquota proporzionale»,
sia  nel  senso  di  «aliquota progressiva». Ne consegue che l'uso di
tale   parola,   da   parte  del  legislatore  statale,  consente  al
legislatore   regionale  di  realizzare  la  maggiorazione  non  solo
attraverso  un'unica  aliquota  proporzionale, ma --come avvenuto nel
caso   di   specie  -  anche  attraverso  un'«aliquota  progressiva»,
articolata in piu' aliquote crescenti in funzione del reddito.
    Deve  inoltre  negarsi che la Costituzione stabilisca una riserva
esclusiva   di   competenza   legislativa  dello  Stato  in  tema  di
progressivita'  dei  tributi.  Al  contrario,  ai sensi dell'art. 53,
secondo  comma,  Cost.,  la  progressivita'  e'  principio  che  deve
informare  l'intero  sistema  tributario ed e', quindi, legittimo che
anche   le  Regioni,  nell'esercizio  del  loro  autonomo  potere  di
imposizione,  improntino  il  prelievo a criteri di progressivita' in
funzione  delle  politiche  economiche  e fiscali da esse perseguite.
Nella  specie,  la  scelta  del  legislatore  regionale di articolare
l'addizionale  all'IRPEF  secondo  scaglioni crescenti di reddito non
solo  rispetta  i limiti di imposizione posti dalla legge statale, ma
sviluppa coerentemente, a livello regionale, la struttura tipicamente
«progressiva» di detta imposta erariale.
    Anche  per quanto attiene al denunciato vulnus degli artt. 3, 16,
41,  53  e  120  della  Costituzione  -  che  il  rimettente connette
strettamente  e  consequenzialmente  alla violazione degli artt. 117,
secondo  comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost. - l'ordinanza
di  rimessione  si  fonda  sul presupposto dell'esistenza del divieto
della  legge  statale di introdurre addizionali all'IRPEF strutturate
secondo  un'aliquota  progressiva. E dalla violazione di tale divieto
da parte della legge regionale la medesima ordinanza fa conseguire la
denuncia  di  una ingiustificata disparita' di trattamento tributario
tra  i cittadini residenti nella Regione Marche e quelli residenti in
altre  Regioni,  dipendente  dal  fatto  che  solo  i primi sarebbero
assoggettati ad un'addizionale all'IRPEF con aliquota progressiva. Va
pero'  rilevato  che,  contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a
quo,  detta  diversita'  di  trattamento  tra  contribuenti aventi lo
stesso  reddito  imponibile,  costituirebbe la necessaria conseguenza
non  gia'  della  progressivita'  dell'addizionale, ma dell'esercizio
dell'autonomo potere degli enti territoriali di liberamente prevedere
-  entro  i limiti stabiliti dalla legge statale - aliquote anche non
progressive  della  stessa addizionale che possono risultare tra loro
diverse.  E  cio'  a prescindere dal rilievo che dall'attribuzione di
tale  autonomo potere deriva che i lamentati effetti della diversita'
di  carico  fiscale  sarebbero  imputabili  non gia' (come ritiene il
rimettente)  alla denunciata legge regionale, che costituisce atto di
esercizio  di tale potere, ma semmai alla non censurata norma statale
di cui all'art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997, che detto
potere attribuisce.