IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale n. 21508/05 R.G. N.R.
contro  Galan  Gheorghe,  nato  a Podu Turculiu (Romania) il 7 agosto
1973,  imputato  del  reato  di  cui  all'art.  14, comma 5-ter primo
periodo,  come  modificato  dalla  legge  12  novembre  2004, n. 271,
perche',  cittadino  straniero,  destinatario  di  provvedimento  del
Questore  di  Torino,  (notificatogli  il  2 luglio 2005 a seguito di
decreto  di  espulsione  del  prefetto fondato sui motivi di cui alla
lettera  b)  dell'art.  13, comma 2, decreto legislativo citato), con
intimazione  di  allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non
ottemperava   alla  stessa,  trattenendosi  nello  Stato  ove  veniva
reperito.
    Accertato in Venaria Reale il 25 ottobre 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputato,  tratto  in  arresto  in  data  25  ottobre  2005 per
violazione  all'art.  14,  comma 5-ter, decreto legislativo 25 luglio
1998,  n. 286, modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12
novembre  2004, n. 271, veniva presentato dal pubblico ministero, per
la  convalida  dell'arresto  ed il conseguente giudizio direttissimo,
all'udienza  del 27 ottobre 2005. Convalidato l'arresto e disposta la
liberazione  del  Galan,  non  avendo il p.m. richiesto l'adozione di
alcuna   misura   cautelare,   il   medesimo  presentava  istanza  di
applicazione pena ex art. 444 c.p.p. cui seguiva il consenso del p.m.
All'esito della discussione questo giudice ritiene di dover sollevare
incidente  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 5-bis,
legge  citata  nella parte in cui prevede la pena della reclusione da
uno  a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si
trattiene  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine
impartito  dal questore ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli
articoli  3  e  27, comma terzo della Costituzione, pena edittale che
consente anche l'adozione delle misure cautelari di cui agli articoli
280 e segg. c.p.p.
    La  rilevanza  della  questione risiede nel fatto che, qualora si
dovesse pervenire all'applicazione nei confronti del Galan della pena
concordata  dalle parti, sarebbe comminata la sanzione prevista dalla
norma  della  cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita ed al cui
riguardo si svolgono i seguenti rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
ordinario  dell'art.  14, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
era  sprovvista  di  specifica  sanzione,  pur essendo controverso se
fosse  sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale
di  cui  all'art.  650  c.p.  La  legge  30  luglio  2002, n. 189, ha
introdotto  una  fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un  anno,  con arresto obbligatorio del
contravventore  e  sua  espulsione  eseguita  tramite accompagnamento
coattivo alla frontiera. Caduta la porzione della norma che prevedeva
l'arresto   obbligatorio  per  effetto  della  sentenza  della  Corte
costituzionale  in  data  15  luglio  2004, n. 223, che ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies per
contrasto  con  gli  articoli  3  e  13  Cost.  «nella  parte  in cui
stabilisce  che  per  il  reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto», interveniva
il  legislatore  con  la  legge 12 novembre 2004, n. 271, operando un
ampio   rimaneggiamento   della   norma  e  reintroducendo  l'arresto
obbligatorio   per   le  fattispecie  trasformate  in  delitto.  Tale
intervento   ha   determinato   un   effetto  pirotecnico  nel  magma
indefferenziato  della previgente fattispecie, che sanzionava in modo
identico  le  permanenze  ingiustificate nel territorio in violazione
dei  provvedimenti del questore che davano esecuzione a provvedimenti
di  espulsione  ministeriali  o  prefettizi.  Ora  la stessa condotta
diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una  contravvenzione ovvero non
configura   alcun   illecito  penale  (esiste  soltanto  la  sanzione
amministrativa  dell'accompagnamento  alla frontiera) a seconda della
provenienza  e  della  natura  dell'espulsione presupposta. Pertanto,
permane  l'illeceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal
prefetto cui e' data esecuzione da parte del questore.
    Se  essa  e'  stata disposta per ingresso illegale sul territorio
nazionale  «ai  sensi  dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c)» ovvero
per aver omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel termine di
legge,   il  reato  di  inottemperanza,  senza  giustificato  motivo,
all'ordine del questore e' un delitto punito con la reclusione da uno
a  quattro  anni;  se il motivo che ha determinato l'espulsione e' la
mancata  richiesta  del  rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da
piu'  di  sessanta  giorni, resta l'illecito contravvenzionale punito
con  l'arresto  da sei mesi ad un anno. Se l'ingiunzione del questore
e'  attuativa  di  una  espulsione disposta dal Ministro dell'interno
«per  motivi  di  ordine  pubblico  o  di sicurezza dello stato» (es.
espulsione per i motivi suddetti di donna incinta di cui si ignora la
nazionalita'  e,  pertanto,  non suscettibile di esecuzione immediata
con  accompagnamento  alla  frontiera),  la  sua  inosservanza non e'
assistita  dalla  tutela  penale in quanto le ragioni dell'espulsione
avvengono  per  tipologie  non omologhe a quelle per le quali e' data
ricorrere  da  parte  del  prefetto  (cui nell'esempio citato sarabbe
precluso  il  rinvio della straniera allo stato di appartenenza), ne'
e'  dato  avvalersi  di operazioni ermeneutiche basate sull'analogia,
vietata nel campo penale.
    Il  reato per cui e' stato tratto in arresto Galan Gheorghe e per
il quale il p.m. ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in
base  alla  nuova  normativa,  una delle ipotesi delittuose che hanno
avuto  un  notevole  inasprimento  di pena e che, ad avviso di questo
giudice,  presenta  profili di incostituzionalita' con riferimento ai
citati articoli della costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore   e'   possibile  soltanto  ove  «l'operazione  normativa
contrasti   con   il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il  profilo
dell'assoluta   arbitrarieta'  o  della  manifesta  irragionevolezza»
(sentenze  n. 206 del 2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche'
ordinanze  n. 323  del 2002, n. 110 del 2002, n. 144 del 2001 e n. 58
del  1999).  Occorre, in altri termini, interrogarsi «sul perche' una
determinata  disciplina  operi,  all'interno  del tessuto egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a secondo
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di   un  tertium  compartionis,  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alla  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
decreto   legislativo   n. 286/1998,   l'altro  con  fattispecie  non
contemplate dalla disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo, altre condotte che parimenti si sostianziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  sessanta  giorni  successivi alla scadenza, fruisce di un doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il territorio nazionale entro quindici giorni dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  stato,  e'  punti  con
l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Viceversa lo straniero che sia stato espulso o perche' entrato in
Italia  sottraendosi  ai  controlli  di  frontiera  e  non  e'  stato
respinto, o perche' si e' trattenuto nel territorio dello Stato senza
aver  chiesto  il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo
che  il  ritardo  sia  dipeso  da  forza  maggiore,  ovvero quando il
permesso  di  soggiorno  e'  stato  revocato  o  annullato  o perche'
appartiene  a taluna delle categorie indicate nell'art. 1 della legge
27  dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3
agosto  1988,  n. 327,  o  nell'art.  1  della  legge 31 maggio 1965,
n. 575,  come  sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982,
n. 646 e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. Ne discende
che  condotte  analoghe  a  quella  contravvenzionale  in  precedenza
indicata  sono  sanzionate,  non solo a titolo di delitto, ma con una
pena  il  cui minimo e' parametrato al massimo dell'unica fattispecie
rimasta   di  natura  contravvenzionale.  Ora,  se  il  principio  di
uguaglianza  esige  che  «la  pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia,
nel  contempo,  alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali»  (sentenza n. 409 del 18 luglio 1989),
tutte  le  condotte  di  trattenimento dello straniero nel territorio
italiano ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E',
infatti dalla inosservanza dell'ordine del questore di lasciare entro
cinque  giorni il territorio nazionale che prende avvio l'aggressione
al  bene  giuridico  tutelato  ed in cui si sostanzia la colpevolezza
dell'autore  del  fatto.  Differenziare identiche fattispecie (talune
penalmente  indifferenti,  altre  punite in modo lieve, altre in modo
estremamente  pesante) in base a situazioni che precedono la condotta
e non rivelano una reale dannosita' sociale, significa disancorare il
giudizio  di offensivita' (che costituisce la sintesi della relazione
sussistente tra il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice
e   il  fatto)  dal  fatto  stesso;  significa,  in  ultima  analisi,
sanzionare   in   modo   differenziato,   e  percio',  arbitrario  ed
irragionevole, situazioni omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatrici    presenti    in    campi   diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista  dall'art.  650  c.p., laddove punisce con l'arresto
fino  a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento
legalmente  dato  dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o
d'ordine  pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del
provvedimento  di  rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2
della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e punita con l'arresto da uno a
sei  mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in
vigore  del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza
si fosse posto il problema se l'inosservanza da parte dello straniero
della  intimazione  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato  fosse
rapportabile   alla  violazione  dell'art.  650  c.p.  e  si  dovesse
applicare  la  pena  prevista  da  tale  norma. La risposta era stata
negativa  sol  perche'  si  era  osservato  che per la violazione era
prevista  la  sanzione  amministrativa dell'immediato accompagnamento
alla  frontiera  ai  sensi  dell'art.  7,  comma  9 del decreto-legge
citato,  disposizione  speciale  rispetto alla generica previsione di
cui  all'art.  650 c.p. (Cass. pen., sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229).
Tutto  cio'  dimostra  la  stretta  parentela  esistente tra la norma
contenuta  nel  codice  penale  e  quella speciale prevista nel campo
dell'immigrazione,  parentela  non  rinnegata  dalla  formulazione in
termini   di   «reato   di  flagranza»,  modulata  sulla  persistente
illiceita'   del  trattenersi  in  Italia,  situazione  che  comunque
consegue   ad   una  ingiustificata  non  attivazione  a  fronte  del
provvedimento  di  allontanamento  del questore. Si deve ancora tener
presente  che  l'espulsione  puo' essere disposta dal prefetto per le
stesse   categorie  di  persone  destinatarie  del  provvedimento  di
rimpatrio  con  una  comunanza  di esigenze di tutela della sicurezza
pubblica  davvero eclatante Eppure, a fronte delle stesse esigenze di
tutela  della  collettivita',  il  trattamento  sanzionatorio  appare
smaccatamente  differenziato  e ben piu' favorevole per il cittadino,
che,  per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal
territorio  nazionale.  Non  solo,  come  tra  breve  si  vedra',  la
irragionevole  ed  arbitraria disparita' di trattamento di situazioni
omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo discrimina dal cittadino con
riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della  sanzione  criminale  sancita  dall'art. 27, terzo comma Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione  da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva   rispetto   al  disvalore  dell'illecito  «produce...  una
vanificazione  del  fine  rieducativo della pena prescritto dall'art.
27,  terzo comma Costituzione, che di quella liberta' costituisce una
garanzia   istituzionale  in  relazione  allo  stato  di  detenzione»
(sentenza  343 del 1993). A fronte di cio', occorre domandarsi: a due
anni di distanza dall'emanazione della legge n. 189/2002 il sensibile
inasprimento  di  pena  per  molte delle ipotesi di inottemperanza da
parte  dello straniero all'ordine del questore e' almeno giustificato
da  finalita'  generalpreventive? La risposta pare essere negativa se
si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione  clandestina  nella  sua
dimensione  storica  (e  comunque i mutamenti sanzionatori non paiono
rapportabili  all'eventuale modesto incremento dei flussi migratori).
In ogni caso non va dimenticato quando osservato, in via generale, da
codesta  Corte  e  cioe' che «il principio di proporzionalita'... nel
campo   del  diritto  penale  equivale  a  negare  legittimita'  alle
incriminazioni  che,  anche  se  presumibilmente idonee a raggiungere
finalita'  statuali  di  prevenzione,  producono, attraverso la pena,
danni  all'individuo  (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa'
sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da
quest'ultima  con  la  tutela dei beni e valori offesi dalle predette
incriminazioni» (sentenza n. 409 del 1989).
    Peraltro, leggendo la relazione all'emendamento del decreto-legge
n. 241/2004,  che  ha  introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota
come  i  relatori  giustifichino la modifica legislativa soltanto con
riferimento  alla  necessita'  di adeguarsi alla sentenza della Corte
costituzionale  n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente
illegittimo    l'art.    14,    comma    5-quinquies    della   legge
sull'immigrazione  «nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art.  14  e' obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la manifesta irragionevolezza
della  previsione  di  una  misura  precautelare  non suscettibile di
sfociare  in  alcune  misura cautelare in base al vigente ordinamento
processuale.   In  altri  termini  la  trasformazione  in  delitto  e
l'aumento  di  pena  e'  stato dettato dal solo scopo di ripristinare
l'arresto  obbligatorio  ritenuto illegittimo dalla Corte; non a caso
il  limite  edittale massimo della pena e' fissato in quattro anni di
reclusione,   presupposto   minimo   per  l'adozione  della  custodia
cautelare  in  carcere  (art. 280, secondo comma c.p.p.). Pertanto la
risposta  sanzionatoria e' stata scollegata dal grado di offensivita'
della   condotta   e  strumentalizzata  ad  una  finalita'  meramente
processuale,   quella   di  giustificare  l'arresto  obbligatorio  in
flagranza  e di garantire lo svolgimento del giudizio direttissimo in
tutte  le ipotesi previste dal codice di procedura penale. Ora, se si
ritorna   al   raffronto   tra   la   disciplina  dell'ingiustificato
trattenimento   in   Italia  dello  straniero  e  l'inosservanza  del
provvedimento    di   rimpatrio   si   osserva   un   differente   ed
incomprensibile  trattamento  del  bene  della liberta' personale nel
caso in cui i destinatari siano le persone pericolose di cui all'art.
1,   legge  n. 1243/1956,  e  cio'  nonostante  codesta  Corte  abbia
affermato  che  «per  quanto  gli  interessi pubblici incidenti sulla
materia  dell'immigrazione  siano  molteplici  e  per  quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto essere
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.