IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  presente  ordinanza,  sul ricorso in appello
n. 7580 del 2005 proposto dal dott. Benedetto Bultrini, rappresentato
e  difeso  dagli  avv. prof. Mario  Racco  e  prof. Mario Sanino, con
domicilio  eletto  in  Roma, viale Maggini n. 114/B, presso lo studio
del primo;
    Contro  la  Regione Lazio, in persona del presidente della giunta
regionale,   rappresentata   e   difesa   dagli   avv.  prof. Gennaro
Terracciano  e  Francesco  Vannicelli, con domicilio eletto presso lo
studio  del  primo in Roma, piazza di Spagna n. 35; la Presidenza del
Consiglio   dei  ministri,  in  persona  del  Presidente  in  carica,
rappresentata   e   difesa   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
domiciliata  per  legge  in  Roma,  via  dei  Portoghesi n. 12; e nei
confronti del dott. Alfonso Pipino, reppresentanto e difeso dall'avv.
Rosaria Russo Valentini, con domicilio eletto in Roma, corso Vittorio
Emanuele  II  n. 284,  per l'annullamento e la riforma dell'ordinanza
n. 4774  del 2 settembre 2005, pronunciata tra le parti dal Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede di Roma, sezione III, di
reiezione della domanda cautelare proposta in primo grado;
    Visti gli atti e documenti depositati con l'appello;
    Visto  l'atto di costituzione in giudizio del dott. Pipino, della
Regione Lazio e della Presidenza del Consiglio dei ministri;
    Relatore il cons. Corrado Allegretta;
    Uditi  nella  camera  di consiglio del giorno 11 ottobre 2005 gli
avv. Racco,   Sanino,  Terracciano,  Vannicelli,  Russo  Valentini  e
l'avv. dello Stato, Bacosi;
    Vista l'ordinanza n. 4814 in data 11 ottobre 2005;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    e   d i r i t t o      Il  ricorrente  ha  impugnato  innanzi  al
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma  il
provvedimento  con  il  quale  la  Regione  Lazio ne ha dichiarato la
decadenza   dall'incarico   di   direttore   generale  di  un'Azienda
ospedaliera, in applicazione dell'art. 55, comma 4, del nuovo statuto
regionale,  approvato  con legge regionale 11 novembre 2004, n. 1. Ha
impugnato,  altresi', il successivo provvedimento di nomina del nuovo
direttore generale.
    La  domanda  di  sospensione  dell'esecuzione  del  provvedimento
impugnato,  avanzata  in  via  incidentale,  e'  stata  respinta  con
ordinanza   n. 4774   del   2 settembre   2005,   avverso   la  quale
l'interessato  ha proposto l'appello in epigrafe indicato, rinnovando
la domanda cautelare.
    In  relazione al danno lamentato ed ai motivi gia' dedotti con il
ricorso originario, l'appellante deduce, in sostanza, che:
        1) e'  errato  il presupposto sul quale l'ordinanza si fonda,
secondo  cui  le  aziende  ospedaliere  e le aziende sanitarie locali
avrebbero   natura  di  enti  strumentali  della  regione  da  questa
dipendenti,  in  quanto  tali,  rientranti  nell'ipotesi di decadenza
degli  organi  istituzionali  in  conseguenza  dell'insediamento  del
consiglio  regionale,  prevista  dal citato art. 55 del nuovo statuto
regionale;
        2) detta  disposizione non e' applicabile, in quanto relativa
agli  incarichi  di  direzione  delle  strutture  degli enti pubblici
dipendenti  istituiti con specifiche leggi regionali, tra i quali non
possono   ricomprendersi   le   aziende  sanitarie  locali  e  quelle
ospedaliere   perche'   istituite  con  legge  statale,  non  essendo
sufficiente la loro soggezione alla vigilanza regionale;
        3) ove   ritenuta   applicabile,  la  normativa  relativa  al
cosiddetto  «spoil system» deve ritenersi incostituzionale sotto vari
profili.
    Si  e' costituita in giudizio per resistere la Regione Lazio, che
ha  eccepito,  in  rito,  il  difetto  di  giurisdizione  del giudice
amministrativo,  la  tardivita'  e l'inammissibilita' dell'originario
ricorso per difetto d'interesse, e, nel merito, la sua infondatezza.
    Anche   il   controinteressato  si  e'  costituito  in  giudizio,
chiedendo   che   la   domanda   cautelare   sia   respinta,   attesa
l'inammissibilita' e l'infondatezza del ricorso sotto vari profili.
    In giudizio si e' costituita, infine, la Presidenza del Consiglio
dei ministri, che ha concluso per l'accoglimento dell'appello.
    Con  ordinanza n. 4814 del giorno 11 ottobre 2005, questa sezione
ha  disposto  la  sospensione  del  giudizio cautelare in vista della
rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    La decisione si fonda sulle seguenti considerazioni.
    La  Regione  Lazio  ha ritenuto di far applicazione del combinato
disposto   dell'art. 55,   comma 4,   del  nuovo  statuto  regionale,
approvato  con  legge  regionale 11 novembre 2004, n. 1 e dell'art 71
della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9.
    La  prima  disposizione,  dopo aver stabilito che «Possono essere
istituiti,  con  specifiche leggi regionali, enti pubblici dipendenti
dalla  regione per l'esercizio di funzioni amministrative, tecniche o
specialistiche,  di  competenza  regionale,  nel  rispetto  di  norme
generali  stabilite  da apposita legge regionale la quale preveda, in
particolare,  i  criteri  da  seguire  ai fini dell'istituzione degli
enti, dell'individuazione degli organi istituzionali e delle relative
funzioni  ed  indennita'  di carica nonche' dell'esercizio dei poteri
d'indirizzo, direttiva, vigilanza e controllo della giunta regionale.
La  legge  regionale  prevede  altresi'  la  disciplina dell'apparato
organizzativo»   ...  (comma 1),  prevede  al  comma  quarto  che  «I
componenti  degli  organi  istituzionali  decadono  dalla  carica  il
novantesimo   giorno  successivo  alla  prima  seduta  del  Consiglio
(regionale),  salvo  conferma con le stesse modalita' previste per la
nomina».
    Con  il  secondo  articolo  si  dispone  che  «1.  -  Nelle  more
dell'adeguamento  della normativa regionale ai sensi dell'art. 80 del
"Nuovo  Statuto  della  Regione Lazio" approvato con legge statutaria
11 novembre  2004,  n. 1,  di seguito denominato Statuto, le norme di
cui  agli  artt.  23, comma 2, lettera p), 41, comma 8, 53, comma 2 e
55,  commi 3,  4 e 5, si applicano, anche in deroga alle disposizioni
contenute nelle specifiche leggi vigenti in materia, nel rispetto dei
criteri  di  cui  ai  successivi  commi.  3.  -  Le  norme statutarie
concernenti  la  decadenza  dalla  carica  di componente degli organi
istituzionali  degli  enti  pubblici  dipendenti  e  la cessazione di
diritto  degli  incarichi  dirigenziali  presso la Regione e gli enti
pubblici  dipendenti, di cui agli artt. 53, comma 2 e 55, commi 4 e 5
si  applicano  a decorrere dal primo rinnovo, successivo alla data di
entrata  in  vigore  dello Statuto, degli organi di riferimento della
Regione  o degli enti pubblici dipendenti. 4. - Al fine di dare piena
applicazione  a  quanto  disposto  dalle  norme  statutarie di cui al
comma 3:
        a) nelle  ipotesi in cui la carica di organo istituzionale di
ente  pubblico  dipendente,  anche  economico,  in  atto alla data di
entrata  in  vigore  dello  Statuto,  sia svolta mediante rapporto di
lavoro  regolato  da  contratto  di  diritto  privato,  la durata del
contratto   stesso   e'  adeguata  di  diritto  ai  termini  previsti
dall'art. 55, comma 4».
    Alla  stregua  delle  disposizioni sopra riportate, non si dubita
che,   nella   specie,   sussista   la   giurisdizione   del  giudice
amministrativo,  in  quanto  i  provvedimenti  impugnati  sono chiara
espressione     di     uno     straordinario     potere    attribuito
all'amministrazione regionale in ordine all'organizzazione degli enti
da essa dipendenti, sulla base di una valutazione discrezionale circa
la  sussistenza dei presupposti di legge, a fronte del quale non sono
ipotizzabili  se non posizioni di interesse legittimo al suo corretto
esercizio.
    Non   appaiono   fondati,   inoltre,   per   quanto  la  sommaria
deliberazione  propria della sede cautelare consente di valutare, gli
altri profili d'inammissibilita' rappresentati dalle parti appellate.
    Con  riguardo  alla tempestivita' del ricorso originario, invero,
non  sembra  possa riconoscersi efficacia lesiva attuale alla nota in
data  24 maggio  2005  del  presidente  della regione, della quale si
segnala  la  mancata  impugnazione,  concretandosi  essa  nella  mera
comunicazione   dell'intendimento   di   avvalersi  della  contestata
normativa.
    Neppure    si   dubita   dell'integrita'   del   contraddittorio,
diversamente   da   quanto   eccepiscono   le  parti  appellate,  non
necessitando la notificazione del ricorso all'azienda ospedaliera, in
capo  alla  quale non e' riconoscibile alcun interesse tutelato circa
la  preposizione di una persona piuttosto che di un'altra alla carica
di direttore generale.
    E'  evidente, infine, l'interesse del ricorrente all'impugnazione
della  nomina  del  suo  successore  nella  carica,  che  conclude la
complessa azione amministrativa diretta alla sua sostituzione.
    Superate  in  tal  modo  le  questioni  di  rito, occorre passare
all'esame  della  domanda  cautelare  sotto i combinati profili della
«ragionevole  previsione sull'esito del ricorso» e della «valutazione
del  pregiudizio  allegato» dal ricorrente, come prescrive l'art. 21,
legge  6 dicembre  1971,  n. 1034  nel  testo  modificato dalla legge
21 luglio 2000, n. 205.
    Sotto  quest'ultimo  aspetto,  peraltro,  la gravita' e difficile
riparabilita'   del   pregiudizio,   non   solo  economico  ma  anche
professionale   e  sociale,  che  dall'esecuzione  dei  provvedimenti
impugnati   deriva  a  carico  dell'interessato,  pur  immediatamente
percepibile,  non  e'  suscettibile di adeguata valutazione se non in
relazione al fumus boni juris della doglianza dedotta.
    Questa   ha   il   suo   punto  cruciale  nell'argomento  che  le
disposizioni  regionali sopra riportate, siccome concernenti gli enti
dipendenti  dalla  regione  istituiti  con  legge regionale, non sono
applicabili   alle   aziende   sanitarie   locali   ed  alle  aziende
ospedaliere,  mancando  queste  della natura di ente dipendente dalla
Regione e non risultando istituite con legge regionale.
    Non si ritiene, pero', che la tesi possa essere condivisa.
    E'   sufficiente   in   proposito   considerare  che  detti  Enti
costituiscono  lo  strumento  attraverso il quale la regione provvede
all'erogazione  dei  servizi sanitari nell'esercizio della competenza
in   materia   di  tutela  della  salute  ad  essa  attribuita  dalla
Costituzione   (cfr.   Corte  cost.  24 giugno  2003,  n. 220).  Enti
strumentali,  peraltro,  costituiti  con  legge regionale (secondo la
previsione,  per  quanto  qui  interessa,  della l.r. Lazio 16 giugno
1994,  n. 18), assoggettati al controllo, alla vigilanza ed al potere
d'indirizzo  regionali,  sia  quanto  all'attivita'  che  quanto agli
organi;  i cui bilanci e rendiconti sono approvati dalla regione, che
assicura  loro  le  necessarie  risorse  finanziarie;  il  cui organo
istituzionale  di  vertice,  il  direttore  generale, e' nominato dal
presidente della regione.
    La  stessa  Regione  Lazio,  con l'art. 56 l.r. 20 novembre 2001,
n. 25,  ha  avuto  cura  di  definire  enti pubblici dipendenti dalla
regione   tutti   quelli  «che  operano  nell'ambito  del  territorio
regionale  e  nelle  materie  riservate alla competenza della regione
stessa».
    Alla  stregua  di  quest'ultima  notazione,  ad  ogni modo, perde
qualsiasi  eventuale  rilevanza  l'argomento  - in verita' di per se'
infondato,   siccome   basato   su  di  un  ingiustificato  disparato
trattamento  tra  enti  dipendenti  -  che il ricorrente ricava dalla
previsione  dell'istituzione  mediante  legge  regionale  degli  enti
pubblici   dipendenti   assoggettati   al   sistema   delle   spoglie
dell'art. 55 del nuovo Statuto (l.r. 11 novembre 2004, n. 1).
    Nella  specie,  quindi,  deve  ritenersi  carente  il  prescritto
requisito  del  fumus  boni  juris;  il  che comporterebbe il rigetto
dell'appello cautelare in esame.
    La     normativa    applicata,    tuttavia,    appare    sospetta
d'incostituzionalita' sotto vari profili.
    Come  piu'  sopra  si e' visto, l'art. 55 dello Statuto regionale
stabilisce  la  decadenza  generalizzata  dalla carica dei componenti
degli  organi  istituzionali di tutti gli enti dipendenti, decorso il
novantesimo giorno dalla prima seduta del Consiglio regionale.
    La norma statutaria, peraltro, e' stata estesa dall'art. 71 della
legge  regionale  17 febbraio 2005 n. 9, «in deroga alle disposizioni
contenute  nelle  specifiche leggi vigenti in materia» e «a decorrere
dal  primo  rinnovo,  successivo alla data di entrata in vigore dello
Statuto,  degli  organi  di  riferimento  della  Regione»  anche alle
ipotesi  in  cui la carica sia in atto alla data di entrata in vigore
dello  statuto,  disponendo,  a tal fine, l'adeguamento di diritto ai
termini  previsti  dall'art. 55,  comma 4, della durata del contratto
regolante il rapporto di lavoro sottostante.
    Ancorche' differita di novanta giorni, la cessazione dalla carica
e',  evidentemente,  connessa  al  rinnovo  del  consiglio regionale,
massimo  organo  politico  della regione, con l'evidente finalita' di
consentire  alle  forze  politiche  di  cui  e'  espressione il nuovo
consiglio di sostituire i preposti agli organi istituzionali.
    La  disciplina,  tuttavia, e' atta ad introdurre una cesura nella
continuita'  dell'azione  amministrativa esplicata dal titolare della
carica,  non  in  dipendenza  di  una  valutazione  della qualita' di
questa,  ma  di un evento oggettivo, qual e' l'insediamento del nuovo
consiglio all'esito della consultazione elettorale.
    Cio'  appare  in contrasto con i principi costituzionali del buon
andamento    e    dell'imparzialita'   dettati   dall'art. 97   della
Costituzione.  Invero,  la norma di cui al ripetuto art. 55, comma 4,
come  attuata  con  l'art. 71,  l.r.  n. 9/2005,  anche  in relazione
all'eventualita'  di  cessazioni  infrannuali,  comporta la possibile
incisione,  avvulsa  da  ogni vaglio di rendimento (cfr. in proposito
Corte   cost.  16 maggio  2002,  n. 193),  di  quella  stabilita'  ed
autonomia  che  consente al dirigente di improntare il suo operato al
rispetto dei richiamati principi.
    In  proposito, peraltro, non puo' trascurarsi di osservare che la
dilazione  trimestrale  della  decadenza e l'ampiamente discrezionale
facolta'  dell'amministrazione  di  conferma  nella carica, lungi dal
dissipare  il  dubbio  d'incostituzionalita', lo confortano in quanto
suscettibili di condizionare il comportamento dell'interessato ancora
in servizio proprio in vista della possibile riconferma.
    Quando  si  consideri,  inoltre,  che  l'attivita'  del direttore
generale  della  A.s.l.  si  svolge nel settore della sanita' e della
tutela  della  salute,  la  normativa  che  sia  idonea  a ridurne la
conformita'  ai  principi  suddetti si appalesa, altresi', lesiva dei
fondamentali obiettivi posti dall'art. 32 Cost.
    Le  considerazioni che precedono mettono in evidenza, altresi' la
violazione di un principio fondamentale della materia e, pertanto, il
contrasto  delle  disposizioni  in esame con l'art. 117, terzo comma,
della  Costituzione. Invero, la legislazione statale in materia, vale
a dire il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dal d.lgs.
19 giugno  1999,  n. 229, nel regolamentare i contratti di lavoro dei
direttori   generali,  prescrive  all'art. 3-bis,  comma 8,  che  «il
rapporto  di  lavoro ...  e' esclusivo ed e' regolato da contratto di
diritto  privato,  di  durata  non  inferiore a tre e non superiore a
cinque anni, rinnovabile» e, al comma 10, che «la carica di direttore
generale  e'  incompatibile  con  la sussistenza di altro rapporto di
lavoro,  dipendente  o  autonomo».  Ai  sensi  del precedente art. 3,
comma 6,  dello  stesso  decreto  legislativo, «Al direttore generale
compete  in  particolare  verificare ...  la  corretta  ed  economica
gestione    delle    risorse   attribuite   ed   introitate   nonche'
l'imparzialita' ed il buon andamento dell'azione amministrativa».
    Appare evidente, allora, come, pur non rilevando l'indicazione di
una  specifica  durata assegnata al rapporto (nel testo del 1992 essa
era,  infatti,  di  cinque  anni),  da  queste disposizioni emerga il
principio fondamentale della materia, secondo il quale al rapporto di
lavoro  del  direttore generale della A.s.l. dev'essere garantita una
stabilita'   ed   autonomia   in   misura,  certamente  rimessa  alla
valutazione  discrezionale  del  legislatore  regionale,  ma comunque
congrua  per  l'esercizio  da  parte  di  tali funzionari, delle loro
specifiche  attribuzioni secondo i canoni - ora precisati dall'art. 1
della   legge   7 agosto  1990,  n. 24,1  come  novellato  con  legge
11 febbraio  2005,  n. 15 - di adeguatezza dell'azione amministrativa
all'art. 97 Cost.
    La   contestata   normativa   regionale,  invece,  introduce  una
condizione  di  precarieta' di quel rapporto che, evidentemente, urta
con  il  principio ora indicato. Il che si riscontra proprio nel caso
di  specie, in cui, in forza dei provvedimenti impugnati, il rapporto
e'  stato  sciolto  in  anticipo  rispetto  alla sua durata triennale
stabilita in contratto.
    Non  puo',  infine,  omettersi il rilievo che la previsione della
decadenza  dalla  carica  sembra esulare dalla competenza legislativa
regionale,  in  quanto  incidendo  sulla  disciplina  del sottostante
rapporto  di  lavoro,  di  cui determina la cessazione, si esplica in
realta'    nella    materia   dell'«ordinamento   civile»,   affidato
dall'art. 117,  comma 2,  lett. l),  Cost.  alla potesta' legislativa
esclusiva dello Stato.
    Per  le  ragioni  fin  qui  esposte,  la  delineata  questione di
legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto  dell'art. 55,
comma 4,  dello  statuto  della  Regione Lazio, approvato con decreto
regionale  11 novembre  2004,  n. 1  e  dell'art. 71, commi 1, 3 e 4,
lett. a), della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 9, per contrasto
con  gli  artt. 97, 32, 117, comma 3, ultimo periodo, e 117, comma 2,
lett. l), della Costituzione, e' rilevante ai fini del decidere e non
e'  manifestamente  infondata.  Pertanto, anche in accoglimento della
puntuale sollecitazione della parte appellante, essa va sottoposta al
vaglio della Corte costituzionale nei termini che precedono.