IL TRIBUNALE

    Nel  giudizio  direttissimo  incardinato,  a seguito dell'arresto
eseguito  addi 8 ottobre 2005 d'iniziativa della Stazione Carabinieri
di Gorizia Principale, ai sensi dell'art. 13, comma 13-ter del d.lgs.
n. 286/1998  come modificato dalla legge 12 novembre 2004 n. 271, nei
confronti  dei  cittadini  stranieri  extracomunitari Georgieva Zhana
Robertinova  e Zhelyazkov Emil Samuilov (di nazionalita' bulgara) per
il  reato  di  cui  all'art. 13,  comma  13, d.lgs. n. 286/1998, come
sostituito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271.
    A  scioglimento  della  riserva  presa all'udienza del 10 ottobre
2005;
    Rilevato  che  entrambi gli imputati hanno richiesto, all'udienza
del  10  ottobre  2005  applicazione  di pena ex artt. 444 ss. c.c.p.
sulla quale il p.m. ha espresso il proprio consenso;
    Ritenuto  che dall'esame degli atti del fascicolo non emergano, a
fronte  dell'istanza  di  patteggiamento  elementi  su cui fondare un
eventuale  proscioglimento  degli  imputati  ai  sensi  dell'art. 129
c.p.p.;
    Ritenuto  che peraltro debba essere sollevata d'ufficio questione
di legittimita' costituzionale, in rel. all'art. 13, comma 13, d.lgs.
n. 286/1998  - come sostituito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271 -
nella  parte  in  cui prevede il limite minimo edittale di un anno di
reclusione  per lo straniero espulso che rientri nel territorio dello
Stato  senza  la  speciale  autorizzazione del Ministro dell'interno,
norma in concreto applicabile alla fattispecie per cui si procede, ha
pronunciato la seguente ordinanza.

                       In fatto ed in diritto

    E' pregiudiziale rispetto a ogni altro profilo la risoluzione del
dubbio  di  costituzionalita',  sollevato  dalla  difesa e che questo
giudice,  condividendolo,  reputa  di  dover  comunque specificare ed
integrare  d'ufficio  circa  la  norma  di cui all'art. 13, comma 13,
d.lgs.  n. 286/1998  -  come sostituito dalla legge 12 novembre 2004,
n. 271  -  nella parte in cui prevede il limite minimo edittale di un
anno   di  reclusione  per  lo  straniero  espulso  che  rientri  nel
territorio  dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro
dell'interno,  per  contrasto  con gli articoli 2, 3, 10 e 27 comma 3
della Costituzione.
    Va  rilevato che non essendo state richieste misure cautelari gli
imputati  sono  stati  posti  in  stato di liberta' dopo la convalida
dell'arresto  e che prima dell'apertura del dibattimento gli imputati
hanno  chiesto l'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. nei seguenti
termini:  pena base anno uno di reclusione, ridotta per le attenuanti
generiche  a  mesi  otto  di reclusione, ulteriormente ridotta a mesi
cinque  e  giorni  dieci  di  reclusione,  pena  sospesa.  Il p.m. ha
prestato il consenso.
    Va ritenuto preliminarmente di dover escludere il proscioglimento
ex art. 129 c.p.p. in quanto:
        il provvedimento di espulsione appare legittimo, con riguardo
ad  entrambi  gli  imputati e risulta eseguito - previa convalida del
giudice  di  pace  mediante  accompagnamento  alla frontiera aerea di
Milano  Malpensa  dell'imputata  Georgieva,  avendo invece l'imputato
Zhelyazkov  ottemperato  spontaneamente  all'intimazione del questore
pedissequa  al  decreto  di  esplusione lasciando il territorio dello
Stato;
        risulta altresi' provato il rientro di entrambi i sunnominati
in Italia senza autorizzazione.
    Il  vaglio  dell'istanza  di  patteggiamento  impone  peraltro di
effettuare  anche  una  valutazione  di  congruita'  della  sanzione,
concordata dalle parti ai sensi dell'art. 444 c.p.p.
    In proposito va richiamata la sentenza della Corte costituzionale
n. 313  dd.  26 giugno  1990  giusta cui la valutazione di congruita'
demandata   al   giudice   del  patteggiamento,  costituisce  diretta
espressione  del  «...parametro  costituzionale  di  cui all'art. 27,
terzo  comma,  che  impone  al  giudice  di valutare l'osservanza del
principio   di  proporzione  fra  quantitas  della  pena  e  gravita'
dell'offesa,  e  quindi  il concreto valore rieducativo della pena in
relazione alla sua pregnante finalita».
    Nel  caso  in  esame, va quindi senz'altro dato atto che le parti
hanno   correttamente   determinato   la  pena,  concordando  sia  la
concedibilita' delle attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p., sia la
massima riduzione consentita per il rito ex art. 444 c.p.p., ma hanno
effettuato   il   computo   muovendo,  comunque,  da  una  pena  base
rigidamente  fissata  sul  limite  edittale  minimo  di  un  anno  di
reclusione.
    Cio'  che precede parendo senz'altro integrare la rilevanza della
questione  (data  dalla necessita' di determinare in concreto la pena
congrua  da  applicarsi  per  il  fatto  accertato) si osserva quanto
segue.
    I  dubbi  di  costituzionalita'  in  ordine  alla  norma  di  cui
all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 (nella parte in cui prevede
il  limite  minimo edittale di un anno di reclusione), paiono trovare
in    primo   luogo   fondamento   nei   principi   giurisprudenziali
costituzionali   elaborati   in   materia   di  discrezionalita'  del
legislatore  nella  determinazione  della  quantita' e qualita' della
sanzione penale.
    In  particolare  la  Corte  costituzionale,  in  diverse pronunce
richiamate   e   ribadite   nella  sentenza  n. 341/1994,  dopo  aver
riaffermato il principio secondo cui appartiene alla discrezionalita'
del  legislatore  la  determinazione della quantita' e qualita' della
sanzione  penale  e non spetta quindi alla Corte stessa rimodulare le
scelte   punitive   effettuate   dal   legislatore,   ne'   stabilire
quantificazioni  sanzionatorie, ha pero' evidenziato come «alla Corte
rimane  il  compito  di  verificare  che l'uso della discrezionalita'
legislativa in materia rispetti il limite della ragionevolezza».
    Detto   principio  e'  stato  cosi'  testualmente  esplicitato  e
ricostruito in prosieguo della sentenza n. 341/1994:
        «Con  la sentenza n. 409 del 1989 la Corte ha definitivamente
chiarito  che  "il principio di uguaglianza, di cui all'art. 3, primo
comma,  Cost.,  esige  che la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia
nel  contempo  alla  funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali; ... le valutazioni all'uopo necessarie
rientrano  nell'ambito  del  potere discrezionale del legislatore, il
cui   esercizio   puo'  essere  censurato,  sotto  il  profilo  della
legittimita'  costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato
rispettato  il  limite  della  ragionevolezza"  (v. pure nello stesso
senso  sentenze  nn. 343  e 422 del 1993). Infatti, piu' in generale,
"il  principio  di  proporzionalita' ... nel campo del diritto penale
equivale  a  negare  Iegittimita'  alle  incriminazioni che, anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi   diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionalmente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni"
(seritenza n. 409 del 1989).
    In  altre  recenti  decisioni,  inoltre,  la Corte ha maturato la
convinzione  che la finalita' rieducativa della pena non sia limitata
alla  sola  fase  dell'esecuzione, ma costituisca "una delle qualita'
essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
ontologico,   e   l'accompagnano   da   quando  nasce,  nell'astratta
previsione  normativa,  fino  a quando in concreto si estingue"; tale
finalita'  rieducativa  implica  pertanto  un  costante "principio di
proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e
offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990; v. pure sentenza n. 343
del 1993, confermata dalla sentenza n. 422 del 1993).
    In   applicazione  di  questi  principi  le  sentenze  da  ultimo
ricordate  sono  giunte  a dichiarare costituzionalmente illegittime,
come palesemente irragionevoli, diverse previsioni di sanzioni penali
giudicando   che  la  loro  manifesta  mancanza  di  proporzionalita'
rispetto  ai  fatti-reato si traduceva in arbitrarie e ingiustificate
disparita' di trattamento, o in violazioni dell'art. 27, terzo comma,
Cost..  In  particolare  la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che
"la  palese  sproporzione  del  sacrificio  della liberta' personale"
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  "produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, che di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione"».
    Tutto  cio'  premesso,  va  osservato  -  che  nella  specie - la
discrezionalita'   del  legislatore  non  pare  esplicata  secondo  i
parametri sopra richiamati.
    Si   deve   premettere   come  la  mera  disamina  della  vicenda
legislativo-giurisprudenziale  che  ha  portato - nel novembre 2004 -
all'inasprimento  della  sanzione  penale  in  questione,  denoti che
l'intervento   del   legislatore,   benche'  abbia  riguardato  norme
sostanziali,  direttamente  incidenti  sulla  liberta' personale, sia
stato  ispirato  da  valutazioni ed esigenze di natura essenzialmente
processuale.
    In  proposito  va  osservato  in  primis  che dagli stessi lavori
preparatori  della  legge  271/2004 non emerge alcuna enunciazione di
ragioni supportanti l'inasprimento delle sanzioni penali (tra l'altro
di  recente  introduzione,  nella misura precedente alla modifica, ex
legge   189/2002)  che  siano  riconducibili  a  scelte  di  politica
criminale  esercitate  discrezionalmente  innanzi  all'insorgenza, in
concomitanza  con  l'intervento  legislativo  de  quo,  di situazioni
particolari legate al fenomeno dell'immigrazione, venendo invece piu'
volte  rimarcata  espressamente, la necessita' di superare le censure
mosse  dalla  Corte  costituzionale  con le sentenze n. 222 e 223 del
2004  (cfr.  A.C.5369  discussione  d.d.  2  novembre  2004 sul testo
approvato  in  Senato  il 20 ottobre 2004, repliche del relatore alla
legge).
    Va   in   proposito   rammentato  che  le  sentenze  della  Corte
costituzionale  n. 222  e  223  del 2004 hanno avuto ad oggetto norme
diverse - rispettivamente, l'art. 13, comma 5-bis, e l'art. 14, comma
5-quinquies  del  d.lgs.  n. 286/1998  -  dalla fattispecie della cui
legittimita' si verte.
    In particolare, la sentenza n. 223 ha dichiarato l'art. 14, comma
5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998  (nel  testo  integrato dalla legge
n. 189/2002)  illegittimo  nella  parte  in  cui  stabiliva l'arresto
obbligatorio  per  la  contravvenzione  prevista al comma 5-ter dello
stesso articolo.
    A  seguito  di  cio',  il legislatore del novembre 2004 ha inteso
intervenire  a modifica del presupposto su cui si fondava la sentenza
n. 223/2004.
    Piu'  precisamente,  la  fattispecie  di  cui  all'art. 14, comma
5-ter,   d.lgs.   286/1998   -  gia'  contravvenzionale  -  e'  stata
trasformata  in  delitto  (prima  parte),  e  stata sanzionata con la
reclusione  da uno a quattro anni, ed e' stata nuovamente individuata
come  fattispecie  per  la  quale  e' previsto l'arresto obbligatorio
(gia'  ritenuto  illegittimo  in relazione alla precedente previsione
contravvenzionale   atteso   che  detta  limitazione  della  liberta'
personale  non era comunque suscettibile di trasformarsi in qualsiasi
misura   coercitiva...   e   percio'  ...privo  di  qualsiasi  sbocco
processuale: cfr. sent. 223/2004).
    In  sostanza,  tale intervento legislativo ha reso possibile - in
astratto  -  l'applicazione  alla fattispecie delle misure coercitive
secondo i limiti previsti dall'art. 280, comma 2 c.p.p.
    Del  tutto simile e' stato l'intervento legislativo operato sulla
norma  della  cui  ragionevolezza  qui  si  dubita, una tale modifica
dell'art. 13,  comma 13, d.lgs. 286/1998 avendo evidentemente assunto
carattere    preventivo    rispetto    ad    eventuali   censure   di
incostituzionalita'.
    In  particolare,  l'art. 1,  comma  2-ter  lett. a), c), legge 12
novembre 2004, n. 271:
        ha  trasformato la fattispecie da contravvenzione in delitto,
irrogando  la  sanzione  della  reclusione  da uno a quattro anni, in
luogo  dell'arresto  da sei mesi ad un anno (sanzione che era stata a
sua  volta  aggravata  dalla  legge 189/2002, rispetto all'originario
testo  del  d.lgs.  286/1998,  che  prevedeva  l'arresto da due a sei
mesi);
        ha  previsto  l'arresto  obbligatorio anche fuori dai casi di
flagranza, in luogo dell'arresto facoltativo in flagranza;
        ha  cosi'  esteso  anche  a  detta  fattispecie,  per effetto
dell'innalzamento   della   pena   massima   edittale,   l'ambito  di
operativita'  del  sistema  generale  di  applicabilita' delle misure
coercitive, ai sensi dell'art. 280 comma 2 c.p.p.
    Alla  luce  di quanto sopra esposto, si ravvisano plurimi profili
per  dubitare  della  ragionevolezza  dell'art. 13,  comma 13, d.lgs.
n. 286/1998,  come  sostituito  dalla legge 12 novembre 2004, n. 271,
nella  parte  in cui e stato introdotto il minimo edittale di un anno
di reclusione.
    Anche   a   prescindere   da  quanto  gia'  osservato  in  ordine
all'insussistenza  di  ragioni contingenti, individuate a supporto di
un aggravamento sanzionatorio di portata cosi' rilevante (consistito,
di  fatto,  nel  raddoppio  del  precedente minimo edittale oltre che
nella     trasformazione     in     delitto     dell'illecito    gia'
contravvenzionale), detta sanzione non sembra fondata su un ponderato
bilanciamento  tra  la  tutela  dei  sottesi  interessi dell'ordine e
sicurezza  pubblica  da un lato e quello della liberta' personale del
soggetto agente dall'altra e, pertanto, non pare conforme al criterio
di  ragionevolezza,  sotto  i  profili  della proporzione ex art. 3 e
della  finalita' rieducativa della pena ex art. 27, terzo comma Cost.
come delineati nelle decisioni menzionate in precedenza.
    Una  tale  sproporzione  risulta  peraltro  evidente dal semplice
raffronto  con  le  analoghe  ipotesi  di reato esistenti nel vigente
ordinamento  nelle  quali,  similmente alla fattispecie oggetto della
presente   ordinanza,   e'   cioe'   sanzionata   una   condotta   di
inottemperanza   ad   un   ordine  dell'autorita'  amministrativa  in
particolare:
        con  la  contravvenzione  prevista dall'650 c.p (inosservanza
dei provvedimenti dell'autorita), sanzionata con l'arresto fino a tre
mesi o con l'ammenda fino a euro 206,00, nonche'
        con   la   contravvenzione  prevista  dall'art. 2,  legge  27
dicembre  1956/1423  (inosservanza  di  provvedimenti del questore da
parte  di  persone  pericolose) sanzionata con l'arresto da uno a sei
mesi.
    Sotto  altro profilo, con riferimento alla sanzione in esame, non
e' dato neppure poter ravvisare la ratio piu' volte rimarcata in sede
di  adozione  del  d.l.  241/2004  e  di  approvazione della legge di
conversione  271/2004,  ovvero  la necessita' di «rimodulare il testo
della  norma censurata» (ed invero, le declaratorie di illegittimita'
costituzionale hanno investito altre norme (gli artt. 13, comma 5-bis
e  14,  comma 5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998) e, segnatamente, in
relazione    all'art. 14,   comma   5-quinques   la   declatoria   di
illegittimita' ha riguardato la previsione dell'arresto obbligatorio,
previsione  allora  non  contemplata  (neppure  a seguito della legge
189/2001)  per la fattispecie che qui si esamina ed invece introdotta
dalla legge 271/2004 anche fuori dai casi di flagranza.
    La previsione di un minimo edittale cosi elevato, sembra comunque
irragionevole    anche   nell'ottica   della   stessa   ratio   posta
essenzialmente alla base dell'inasprimento sanzionatorio complessivo,
vale  a  dire  dell'esigenza  di  rendere  la  fattispecie  in  esame
compatibile  con  il  sistema  generale  di applicazione delle misure
coercitive,  invero  disegnato  in relazione al parametro dei massimi
edittali  inderogabili  (cfr.  274, lett. c), e 280, comma 2 c.p.p.),
non assumendovi invece alcun rilievo i minimi edittali di pena.
    Oltre  che  rispetto  ai profili sin qui evidenziati, la norma in
oggetto  pare  altresi'  in  contrasto  con  gli artt. 3 e 2, in rel.
all'art. 10   della   Costituzione   (cio'  anche  al  di  la'  della
significativita'  dello stesso art. 3 Cost. gia' ritenuta dalla Corte
costituzionale   in  relazione  all'art. 27  c.p.  a  fondamento  del
parametro della proporzionalita).
    Va infatti considerato che tali articoli sanciscono e delineano i
principi  fondamentali  di  uguaglianza  davanti  alla  legge  e pari
diginita'  sociale,  nonche'  di  garanzia  dei  diritti  inviolabili
dell'uomo  tra i quali rientra evidentemente il diritto alla liberta'
individuale,  e  non  pare  dubitamente  che, in ragione dell'art. 10
della   Costituzione,  tali  principi  fondamentali  spieghino  piena
vigenza  anche  nei confronti degli stranieri presenti sul territorio
della Repubblica.
    Ed   alla   luce   di  tali  principi  non  pare  ragionevolmente
giustificata  la  sostanziale  disparita'  di  trattamento data dalla
sottoposizione  dei  cittadini  stranieri extracomunitari ad una pena
minima  edittale  di  un  anno  di reclusione per la violazione di un
ordine  amministrativo,  quando  le gia' citate fattispecie del tutto
analoghe  suscettibili  di applicazione ai cittadini italiani (vale a
dire gli artt. 650 c.p. e 2, legge 27 dicembre 1956/1423) sono invece
sanzionate  con pene di natura contravvenzionale e di entita' di gran
lunga  inferiori a quella prevista dalla norma oggetto della presente
ordinanza  (l'art. 650 c.p. prevedendo addirittura la possibilita' di
comminare la sola pena pecuniaria).
    Gli argomenti che precedono, confermando la rilevanza ai fini del
decidere  della  questione  proposta  e la non manifesta infondatezza
della stessa, inducono questo giudice a rimettere gli atti alla Corte
costituzionale per le valutazioni di competenza.