ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 166 codice di
procedura  civile,  promosso  con  ordinanza  del 1° ottobre 2004 dal
Tribunale  di  Milano,  in composizione monocratica, nel procedimento
civile  vertente  tra  M.P.  Informatica S.r.l. e T.C. Sistema S.p.A.
iscritta  al  n. 258  del  registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 20,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 25 gennaio 2006 il giudice
relatore Franco Bile.
    Ritenuto  che il Tribunale di Milano, in composizione monocratica
-   chiamato   a   decidere,   nel   corso  di  un  processo  civile,
sull'eccezione  di tardivita' della domanda riconvenzionale formulata
dalla  parte  convenuta  -  ha  sollevato,  con  ordinanza  emessa il
1° ottobre   2004   e   in   riferimento  agli  artt. 3  e  24  della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 166
del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che il
convenuto,  in  ipotesi di abbreviazione dei termini ex art. 163-bis,
secondo comma, cod. proc. civ., possa costituirsi almeno dieci giorni
prima  dell'udienza  di  comparizione  quando  la  stessa  sia  stata
differita  ai  sensi  dell'art. 168-bis,  quinto  comma, dello stesso
codice;
        che  -  dopo aver precisato che la convenuta si e' costituita
in  giudizio (il 5 luglio 2004 ossia) dieci giorni prima dell'udienza
di  comparizione,  differita ai sensi dell'art. 168-bis, quinto comma
(e  fissata per il 15 luglio 2004), mentre avrebbe dovuto costituirsi
(entro  il  25 giugno  2004  ossia)  venti  giorni prima dell'udienza
differita,  come  testualmente  prescrive  la  norma  censurata  - il
rimettente   osserva  che,  per  verificare  la  tempestivita'  della
costituzione,  a  nulla rileverebbe il provvedimento presidenziale di
abbreviazione dei termini concesso ex art. 163-bis;
        che  infatti  la  norma impugnata, mentre distingue i termini
per  la  costituzione  rispetto  all'udienza  indicata  nell'atto  di
citazione  a  seconda  che  vi  sia  stato  o  meno  un provvedimento
presidenziale   di   abbreviazione,   non   «sembra»  operare  alcuna
differenziazione  rispetto  all'udienza  differita  ex  art. 168-bis,
quinto  comma, prescrivendo in ogni caso la costituzione almeno venti
giorni prima di tale udienza;
        che  secondo  il  giudice a quo - sebbene l'abbreviazione del
termine  a difesa provochi «la variazione, automatica ed a catena, di
tutti  i  successivi  termini  che il codice di procedura impone alle
parti  per  lo svolgimento delle ulteriori operazioni caratterizzanti
la  fase  introduttiva  del  giudizio di cognizione» - «atteso che la
formulazione  letterale della norma non pare agevolmente superabile»,
«analoghe  differenziazioni  non  sembrano  essere state previste dal
legislatore allorche' l'udienza di prima comparizione venga differita
ai sensi del quinto comma dell'art. 168-bis»;
        che,  dunque, la norma impugnata si porrebbe in contrasto: a)
con l'art. 3 Cost., per l'irragionevole disparita' di trattamento tra
la  situazione del convenuto che deve parametrare la sua costituzione
sull'udienza  indicata  nell'atto  di  citazione  e quella di chi ha,
invece,  come  termine  di  riferimento  l'udienza differita ai sensi
dell'art. 168-bis,  quinto  comma,  potendo  solo  il primo fruire di
termini  differenziati  nel  caso  in  cui  ricorra  un provvedimento
presidenziale ex art. 163-bis, secondo comma; b) con l'art. 24 Cost.,
giacche'  la conseguente limitazione del diritto di difesa non appare
giustificata  dalla  configurabilita'  di  un interesse superiore che
motivi   il   differente   e   deteriore  trattamento  riservato  dal
legislatore  all'ipotesi  di costituzione del convenuto a seguito del
differimento dell'udienza ex art. 168-bis, quinto comma;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo  per  l'inammissibilita'  o, comunque, per l'infondatezza
della sollevata questione.
    Considerato   che   il   rimettente   fonda   i   suoi  dubbi  di
costituzionalita'  sulla  considerazione  che  la  norma  impugnata -
mentre distingue i termini per la costituzione del convenuto rispetto
all'udienza indicata nell'atto di citazione, secondo che vi sia stato
o meno il provvedimento presidenziale di abbreviazione - non «sembra»
operare  alcuna  differenziazione  rispetto  all'udienza differita ex
art. 168-bis,  quinto comma, del codice di rito, prescrivendo in ogni
caso la costituzione almeno venti giorni prima di tale udienza;
        che,   in   particolare,   il   rimettente   -  rilevato  che
l'abbreviazione   del   termine  a  difesa  «provoca  la  variazione,
automatica  ed  a catena, di tutti i successivi termini che il codice
di  procedura  impone  alle  parti per lo svolgimento delle ulteriori
operazioni  caratterizzanti  la  fase  introduttiva  del  giudizio di
cognizione»  -  sottolinea  tuttavia che, «atteso che la formulazione
letterale  della  norma  non  pare agevolmente superabile», «analoghe
differenziazioni  non  sembrano essere state previste dal legislatore
allorche'  l'udienza  di  prima comparizione venga differita ai sensi
del quinto comma dell'art. 168-bis»;
        che,   al   di   la'   del   carattere   perplesso   di  tale
argomentazione,  il rimettente si arresta di fronte al dato meramente
letterale  della  norma,  senza  neppure  tentare  una  ricostruzione
sistematica    dell'istituto    che    ne    consenta   una   diversa
interpretazione;
        che,  cosi' facendo, il giudice a quo - nel rilevato silenzio
della  legge  ed  in  assenza  di  un «diritto vivente» - non assolve
all'onere  di  sperimentare  letture  alternative  della disposizione
impugnata,  ricavandole  dai  principi,  e  quindi  non  rispetta  la
necessita'  di  motivare sull'impossibilita' di interpretare la norma
in  senso  conforme  alla Costituzione (da ultimo, ordinanze n. 427 e
n. 420 del 2005);
        che,   pertanto,   la   questione   deve   essere  dichiarata
manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.