IL TRIBUNALE Letti gli atti ed i documenti di causa; a scioglimento della riserva di cui all'udienza del 13 dicembre 2005; nella causa vertente tra Cuozzo Gaetano, selettivamente domiciliato in Roma, via Bergamo n. 3 presso lo studio dell'avv. A. Andreoni che lo rappresenta, anche disgiuntamente, con gli avv. L. Torchia, V. Angiolini e T. Di Nitto per procura in atti; e Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, i persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Poroghesi n. 12 e' per legge domiciliato; O s s e r v a Con ricorso ex artt. 669-bis e 700 c.p.c. il dott. Gaetano Cuozzo proponeva domanda cautelare avverso: a) la nota prot. n. 11278/MR del 24 settembre 2002, nella parte in cui il M.I.U.R. disponeva la non conferma di esso istante nell'incarico dirigenziale precedentemente coperto e nella parte in cui disponeva la non attribuzione al medesimo di un incarico di funzione e di livello retributivo equivalente; b) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 ottobre 2002 con il quale al dott. Massara era stato conferito l'incarico di funzione dirigenziale generale di direttore dell'Ufficio sco1astico regionale della Liguria, in precedenza espletato dal ricorrente; c) i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri tutti datati 8 ottobre 2002, con i quali venivano conferiti a dirigenti di prima e seconda fascia del M.I.U.R. nonche' a soggetti esterni gia' titolari di altri incarichi conferiti a seguito di stipula di apposito contratto, incarichi dirigenziali di livello funzionale e retributivo equivalente a quello precedentemente svolto da esso ricorrente; d) la circolare del Dipartimento della funzione pubblica del 31 luglio 2002 nella parte in cui prevedeva, in merito all'attribuzione al dirigente generale di un incarico diverso da quello in corso, che disponibilita' va verificata all'esito delle altre assegnazioni agli uffici di livello dirigenziale generale, non essendo configurabile una sorta di prelazione del dirigente cessato dall'incarico sui posti vacanti alla data di entrata in vigore della legge. Rivolgeva, in sostanza, il gravame avverso tutti gli atti posti in essere dal M.I.U.R. in attuazione dell'art. 3, comma 7, n. 145/2002 per la mancata riattribuzione dell'incarico precedentemente svolto e per la mancata attribuzione di un incarico di livello retributivo equivalente; chiedeva, pertanto, in via d'urgenza la reintegra ne1l'incarico precedentemente ricoperto prospettando l'incostituzionalita' dell'art. 3, comma settimo, legge n. 145/2002 nella parte in cui dispone la cessazione di tutti gli incarichi dirigenziali a decorrere dal sessantesimo giorno dalla entrata in vigore della legge e configurando l'attribuzione della direzione di uffici di livello dirigenziale generale come atto conclusivo di una selezione di natura sostanzialmente concorsuale. A sostegno della domanda deduceva che l'operato delle amministrazioni resistenti era viziato per invalidita' derivata dall'incostituzionalita' dell'art. 3, comma settimo, legge n. 145/2002 ravvisata: a) nell'asserita irragionevolezza della previsione, per una sola volta, all'atto dell'entrata in vigore della n. 145/2002 della cessazione ope legis di tutti gli incarichi di livello dirigenziale generale e non solo, secondo il regime ordinario, di quelli di segretario generale e capo dipartimento, con discriminazione dei dirigenti generali di secondo livello in servizio alla data dell'8 agosto 2002; 2) nell'asserita violazione del principio di stabilita' dei contratti individuali di lavoro; 3) nella violazione del diritto alla personalita' professionale (artt. 1, 2, 3, 4 della Costituzione) in quanto il dirigente pubblico avrebbe diritto a non essere declassato come il dirigente privato; 4) nella violazione del diritto all'affidamento del cittadino avendo la norma censurata inciso su rapporti contrattuali liberamente stretti tra le parti; 5) l'asserita violazione degli artt. 97 e 98 della Costituzione (principio di bun andamento e imparzialita' dell'Amministrazione); 6) nell'eccesso di potere legislativo in relazione agli artt. 70 e 97 della Costituzione in quanto il Parlamento avrebbe adottato una legge con effetti che sono quelli propri di un atto amministrativo (revoca dell'incarico e/o licenziamento). Sotto altro e distinto profilo, poi, veniva dedotta la violazione dell'art. 3, comma settimo, legge n. 145/2002 e dell'art. 19 d.lgs. n. 165/2001 nonche' eccesso di potere per assoluta carenza di istruttoria e difetto di motivazione e violazione della circolare della PCM 31 luglio 2002 in quanto i provvedimenti adottati sarebbero stati assunti senza l'espletamento di alcun tipo di istruttoria e insufficientemente motivati. In subordine, affermava l'illegittimita' del diniego di incarico equivalente per carenza di istruttoria, difetto di motivazione e violazione di legge e, per converso, l'illegittimita' dell'attribuzione di incarichi equivalenti ai controinteressati per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, nonche' illegittimita' della circolare 31 luglio 2002 per violazione di legge; sosteneva, poi, l'illegittimita' della mancata conferma dell'incarico ricoperto per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, illegittimita' del diniego di incarico equivalente per violazione degli artt. 7 e ss. n. 241/1990 e violazione del principio del giusto procedimento ed, infine, l'illgittimita' dei provvedimenti di in conferimento di incarico dirigenziale per violazione dell'art. 3, legge n. 241/1990 per assoluta carenza di motivazione e difetto dei presupposti. Le amministrazioni resistenti si costituivano resistendo alla domanda cautelare con articolata memoria. Si costituiva, altresi', il controinteressato chiedendo la reiezione del ricorso. La domanda cautelare di parte attrice, sia in prima istanza che in sede di reclamo (ordinanza del 18 giugno 2003), veniva respinta. In data 30 giugno 2003 il ricorrente presentava domanda di dimissioni dal servizio ritenendosi gravemente declassato e leso nella propria immagine professionale. Con ricorso depositato in data 23 ottobre 2003, ritualmente notificato, il ricorrente conveniva in giudizio il M.I.U.R. in via ordinaria dinanzi al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, rassegnando le seguenti conclusioni: ritenute non manifestamente infondate le questioni di costituzionalita' dell'art. 3 comma settimo secondo periodo legge n. 145/2002, nella parte in cui ha disposto la decadenza ope legis dagli incarichi dirigenziali, nonche' dell'art. 3 comma primo lett. B), legge n. 145/2002 nella parte in cui ha abrogato la durata minima garantita degli incarichi dirigenziali, sospendere il presente giudizio ed all'esito positivo del procedimento avanti la Corte costituzionale: a) accertare e condannare il Ministro dell'istruzione, dell'umversita' e della ricerca a corrispondere al dott. Cuozzo il risarcimento del danno da dimissioni per giusta causa per differenze retributive, commisurato alla retribuzione convenuta nel contratto stipulato tra le parti il 1° febbraio 2001, come integrato dall'atto del 1° giugno 2001 ovvero commisurato al diverso importo ritenuto di giustizia, dal 1° ottobre 2003, giorno successivo alle dimissioni del ricorrente, al 31 gennaio 2006 ovvero alla diversa data ritenuta di giustizia, dedotto quanto percepito medio tempore; b) accertare e condannare il Ministro medesimo a corrispondere al dott. Cuozzo il risarcimento del danno subito per effetto del demansionamento inflittogli a decorrere dall'8 ottobre 2002, in misura pari ad una mensilita' per ogni mese di demansionamento ovvero nella diversa misura ritenuta di giustizia; c) accertare e condannare il Ministro medesimo a corrispondere al dott. Cuozzo il risarcimento del danno da perdita di chance nell'accesso ad incarichi dirigenziali subito dall'8 ottobre 2002 al compimento del 67° anno di eta', nella misura pari al 90% della retribuzione convenuta nel 2001 ovvero in quella ritenuta di giustizia; d) accertare e condannare il Ministro medesimo a corrispondere al dott. Cuozzo il risarcimento del danno subito alla propria reputazione personale, al prestigio ed alla dignita' professionale, a seguito del mancato ed immotivato reincarico, in misura pari ad Euro 120.000,00 o nella diversa misura secondo giustizia; e) accertare e condannare il Ministero medesimo a corrispondere il danno da dimissioni per giusta causa per differenze pensionistiche derivanti dalla minore retribuzione pensionabile; f) accertare e condannare il Ministero medesimo a corrispondere al dott. Cuozzo il risarcimento del danno biologico subito a seguito del demansionamento, nella misura di giustizia. Si costituiva il Ministero convenuto resistendo - con articolate argomentazioni - al ricorso di cui chiedeva il rigetto. Il procedimento subiva alcuni rinvii in attesa della pronuncia della Corte costituziona1e su identiche questioni di legittimita' preventivamente proposte in analoghi giudizio. Con ordinanza n. 398/2005 la Corte costituzionale ordinava la restituzione degli atti ai giudici a quo affinche' venir valutata la rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni riguardanti l'art. 3,comm 7, legge n. 145/2002 alla luce dell'entrata in vigore dell'art. 14-sexies d.l. n. 115/2005 conv. in legge n. 168/2005. Ritiene questo giudicante che la questione di costituzionalita' - proposta dal ricorrente sin dall'atto introduttivo del giudizio e sostanzialmente reiterata dopo l'ordinanza del Giudice delle leggi - appare rilevante nel presente giudizio, sebbene peculiare rispetto a quelli vertenti su questioni analoghe in quanto avente ad oggetto esclusivamente rivendicazioni economiche e risarcitorie anche con riferimento alla asserita «giusta causa» delle dimissioni. Giova, a questo punto, una separata disamina delle singole norme oggetto di dubbio di costituzionalita'. 1. - Art. 3, comma 7, legge n. 145/2002. La norma indicata recita «Fermo restando il numero complessivo degli incarichi attribuibili, le disposizioni di cui al presente articolo trovano immediata applicazione relativamente agli incarichi di funzione dirigenziale generale e a quelli di direttore generale degli enti pubblici vigilati dallo Stato ove e' prevista tale figura. I predetti incarichi cessano il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge, esercitando i titolari degli stessi in tale periodo esclusivamente le attivita' di ordinaria amministrazione». Ai fini della deliberazione della domanda risarcitoria proposta dal ricorrente non puo' prescindersi dalla applicazione di tali norme che precludono l'accoglimento della domanda stessa: di contro, l'eventuale dichiarazione di incostituzionalita' di detta norma - nella parte in cui dispone per legge la cessazione anticipata dell'incarico - renderebbe illegittimo il provvedimento di revoca dell'incarico stesso, fatto storico dal quale e' derivata tutta la vicenda lavorativa del ricorrente, ivi comprese le dimissioni «per giusta causa» rectius imputabili al comportamento datoriale, con tutte le conseguenze economiche prospettate nelle conclusioni del ricorso. 2. - Art. 3, comma1, lett. b) legge n. 145/2002. Detta norma risulta rilevante li' ove impone la durata massima triennale per gli incarichi in essere: anche nel caso in cui fosse dichiarata incostituzionale l'art. 3, comma 7, gia' citato, comunque limiterebbe la «quantificazione» del danno risarcibile proprio a causa della maggiore durata degli incarichi stabilita convenzionalmente (alla quale il ricorrente ha pure fatto riferimento nella detta quantificazione dei danni). 3. - Art. 14-sexies d.l. n. 115/2005 conv. in legge n. 168/2005: ininfluenza sulla rilevanza dell'art. 3, comma 1, lett. b) e comma 7 legge n. 145/2002. La normativa sopravvenuta ha modificato la disciplina a regime della durata degli incarichi dirigenziali, reintroducendo per tali incarichi la durata minima - fissata in tre anni - e portando la durata massima a cinque anni (v. art. 14-sexies, comma 1). Va evidenziato, pero', che il comma 2 del citato art. 14 ha precisato che «La disposizione non si applica agli incarichi di direzione di uffici dirigenziali resi vacanti prima della scadenza dei contratti dei relativi dirigenti per effetto dell'art. 3, comma 7, legge n. 145/2002». Ebbene, la nuova disciplina sulla durata temporale degli incarichi dirigenziali in esame non puo' trovare applicazione nel caso in esame, non essendo operante nei confronti dei incarichi di direzione di uffici dirigenziali' generali resi vacanti prima della scadenza dei contratti dei relativi dirigenti a causa della cessazione ex lege dell'incarico. Dunque, permane allo stato la rilevanza delle dette questioni nei termini gia' sopra espressi, considerando peraltro che nella fattispecie trattasi di «vecchio incarico» al quale non e' garantita alcuna durata minima contrariamente a quanto ora previsto dall'art. 14-sexies citato, circostanza rilevante ai fini della gia' indicata misura risarcitoria richiesta dal ricorrente. Non manifesta infondatezza delle questioni sollevate Questo giudicante ritiene di dover riproporre all'attenzione della Corte costituzionale il contrasto tra il sistema normativa sopra delineato ed alcuni principi di rango costituzionale, condividendo le valutazioni dei altri giudici di questo Tribunale. a) Artt. 97 e 98 della Costituzione. La legge n. 145/2002 ha introdotto il principio della «cessazione automatica» per i dirigenti generali allo scadere del sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge in esame: trattasi, dunque, di risoluzione automatica anticipata di diritto, prevista una tantum che consente di fatto solo al Governo attualmente in carica di provvedere alla nomina di personale di propria fiducia da collocare al vertice di tutti gli uffici. Tale cessazione per legge sembra ledere i principi di imparzialita' e di servizio esclusivo dei pubblici impiegati a favore della Nazione: come gia' evidenziato da altri giudici remittenti, la scelta legislativa tradisce l'intento di affidare la gestione amministrativa a persone scelte per affinita' ideologica, incidendo sugli equilibri tra potere politico ed amministrazione. Inoltre non e' ragionevole ritenere che i dirigenti generali in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 145/2002 avendo ricevuto l'incarico sotto la vigenza del precedente Governo, non avrebbero con professionalita' e competenza perseguito gli obiettivi posti dalla nuova autorita' politica. In ogni caso, se cosi' non fosse stato, l'organo di indirizzo avrebbe comunque potuto revocare l'incarico per mancato raggiungimento degli obiettivi ovvero per inosservanza (anche non grave) delle direttive impartite (v. art. 21, d.lgs. n. 165/2001). In ogni caso, qualora la cessazione ante tempus degli incarichi sia incostituzionale e il consequenziale diritto alla prosecuzione del rapporto fino alla naturale scadenza dei contratti originari sia contra legem perche' di durata superiore a quella legale massima applicabile alla fattispecie, la questione di costituzionalita' assume rilevanza anche con riferimento all'art. 3, comma 1, lett. b) legge n. 145/2002. b) Art. 3 della Costituzione. La cessazione una tantum degli incarichi e' disposta soltanto per i dirigenti generali: questi, dunque, subiscono un trattamento deteriore rispetto a quello di regola riservato a tutti gli altri lavoratori, siano essi pubblici o privati, per i quali sono previsti meccanismi di tutela a garanzia dell'immotivato ed ingiustificato recesso dal contratto. Peraltro, se la ratio della deroga alle garanzie dirigenziali risiede nell'esigenza di continuita' dei livelli decisionali non si giustifica l'uniformita' di regimi tra dirigenti generali e capi dipartimento, segretari generali e figure equivalenti, rappresentanti queste ultime categorie il vero anello di congiunzione tra la sfera politica e quella amministrativa (v. Corte cost. n. 313/1996). c) Artt. 1, 2, 4 e 35 della Costituzione. La deroga ingiustiflcata al principio di stabilita' dei contratti di lavoro - pubblici o privati - viola i principi della libera esplicazione della personalita' professionale sul luogo di lavoro, della liberta' negoziale, che possono essere sacrificati solo in presenza di doverose e ragionevoli motivazioni.