ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a seguito delle disposizioni di cui all'art. 18-bis del d.P.R.
30 marzo  1957,  n. 361  (Approvazione  del  testo  unico delle leggi
recanti  norme per l'elezione della Camera dei deputati) e all'art. 9
del  d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti
norme  per  l'elezione del Senato della Repubblica), come sostituiti,
rispettivamente,  dall'art. 1, comma 6, e dall'art. 4, comma 3, della
legge  21 dicembre  2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l'elezione
della  Camera  dei  deputati e del Senato della Repubblica), promosso
con  ricorso  dell'associazione  politica  «La Rosa nel Pugno - Laici
Socialisti Liberali Radicali» nei confronti della Camera dei deputati
e   del   Senato  della  Repubblica,  depositato  in  cancelleria  il
7 febbraio 2006 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri
dello Stato 2006, fase di ammissibilita'.
    Udito  nella  camera di consiglio del 22 febbraio 2006 il giudice
relatore Sabino Cassese.
    Ritenuto  che  l'associazione  politica  denominata  «La Rosa nel
Pugno  -  Laici  Socialisti  Liberali  Radicali», in persona dei soci
fondatori e legali rappresentanti Giuseppe Albertini, Maurizio Turco,
Cecilia  Maria  Angioletti  e  Rapisardo Antinucci, ha sollevato - in
riferimento  agli  artt. 3  e  49  della  Costituzione - conflitto di
attribuzione  nei  confronti  della  Camera dei deputati e del Senato
della  Repubblica  in  relazione  all'art. 18-bis del d.P.R. 30 marzo
1957,  n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme
per  l'elezione  della  Camera  dei deputati) e all'art. 9 del d.lgs.
20 dicembre  1993,  n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per
l'elezione   del   Senato   della   Repubblica),   come   sostituiti,
rispettivamente,  dall'art. 1, comma 6, e dall'art. 4, comma 3, della
legge  21 dicembre  2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l'elezione
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica);
        che  la  ricorrente,  premesso  che  l'associazione e' nata -
dall'incontro  tra  due soggetti politici (radicali e socialisti) che
hanno avuto un ruolo di primo piano nella storia politica del Paese -
allo  scopo  di  presentarsi,  con  proprio  simbolo, ad ogni tipo di
elezioni   a  partire  dalle  prossime  politiche,  deduce  che  tale
obiettivo  trova  un  ostacolo  nelle  regole  dettate, dalla riforma
elettorale  del  2005,  per  la  raccolta delle firme necessarie alla
presentazione delle liste dei candidati;
        che,  ad  avviso  della ricorrente, sussiste il rischio della
esclusione  dalla competizione elettorale in numerose circoscrizioni,
stante  lo strettissimo lasso di tempo a disposizione per la raccolta
delle  firme  e  la necessita' di definire le candidature in anticipo
rispetto alle altre formazioni politiche, con conseguente lesione del
diritto  di  parteciparvi  in  condizioni  di  parita'  con gli altri
partiti, ai sensi dell'art. 49 Cost;
        che,  infatti, nel previgente sistema, l'onere della raccolta
delle firme sussisteva per tutti i partiti o gruppi politici, mentre,
per effetto della riforma, sono esonerati solo:
            1)  i  partiti  o  i gruppi politici costituiti in gruppi
parlamentari  in  entrambe le Camere «all'inizio della legislatura in
corso al momento della convocazione dei comizi»;
            2)  i  partiti o i gruppi che si presentano in coalizione
con  almeno  due  partiti che hanno costituito gruppi parlamentari in
entrambe  le  Camere  all'inizio della legislatura e abbiano ottenuto
almeno  un  seggio  alle  ultime  elezioni per il Parlamento europeo,
purche'  si  presentino  con  l'identico  contrassegno delle elezioni
europee;
            3) i partiti o i gruppi politici rappresentanti minoranze
linguistiche  che  abbiano  conseguito  almeno  un seggio alle ultime
elezioni politiche alla Camera o al Senato;
        che,  conseguentemente, «La Rosa nel Pugno - Laici Socialisti
Liberali  Radicali» ha l'onere della raccolta delle firme, nonostante
i  diciassette  parlamentari italiani, i tre parlamentari europei e i
numerosi  eletti  negli  enti territoriali, in contrasto con la ratio
dell'obbligo  stesso,  che  e' quella di evitare che possano prendere
parte  alla  competizione  elettorale  soggetti  privi di radicamento
politico e sociale;
        che,  in  ordine  alla  propria  legittimazione  a  sollevare
conflitto,  la  ricorrente  sostiene  che  i  partiti  politici  sono
titolari   di   attribuzioni   costituzionali  nei  procedimenti  per
l'elezione  delle assemblee, con conseguente qualificazione di poteri
dello Stato allorche' lamentino la lesione di quelle attribuzioni;
        che,  nel  richiamare la giurisprudenza della Corte, la quale
«ha  ritenuto  legittimati  i  promotori  di referendum abrogativi» -
secondo  cui  per configurare un potere dello Stato e' sufficiente la
titolarita'  di  attribuzioni  costituzionali  il  cui  esercizio sia
essenziale per il funzionamento degli organi costituzionali, restando
secondario  se  il  soggetto  sia  o meno organo dello Stato in senso
proprio  - deduce che, a maggior ragione, sono legittimati i partiti,
non dotati di vita effimera;
        che,  ad avviso della ricorrente, fra le diverse funzioni che
svolgono  i  partiti,  quella  relativa  alle competizioni elettorali
rappresenta   un'attribuzione   costituzionale  che  l'art. 49  Cost.
assegna   loro   in   via  esclusiva,  non  essendo  configurabile  a
Costituzione vigente altra forma di rappresentanza politica;
        che,  sebbene  il  partito  politico  sia una associazione di
diritto  comune,  esso  svolge il ruolo di strumento attraverso cui i
cittadini  concorrono a determinare la politica nazionale, assurgendo
ad  elemento  essenziale  del rapporto di rappresentanza politica che
caratterizza la forma di Stato disegnata dalla Costituzione; concorso
che,  sempre ad avviso della ricorrente, avviene fondamentalmente con
la  partecipazione  alle competizioni elettorali, nel cui ambito sono
essenziali   la   «presentazione  di  alternative  elettorali»  e  la
«selezione  dei  candidati alle cariche elettive pubbliche»; inoltre,
solo la natura costituzionale delle attribuzioni assegnate ai partiti
nel  procedimento  elettorale  giustifica la legislazione relativa al
finanziamento  delle  campagne  elettorali,  con i relativi limiti di
spesa e le procedure di controllo;
        che, quanto alla natura legislativa dell'atto cui e' riferita
la   lesione  delle  attribuzioni  costituzionali,  la  ricorrente  -
consapevole  dell'orientamento restrittivo della giurisprudenza della
Corte   -  reputa  soddisfatta  la  condizione  residuale  che  rende
ammissibile il conflitto;
        che, in particolare, ad avviso della ricorrente, nella specie
non  sussiste  neanche  in  astratto  la  possibilita' di un giudizio
incidentale,  atteso  che,  ai  sensi  degli artt. 23 e 87 del d.P.R.
n. 361  del  1957  e  dell'art. 66  Cost.  e  secondo  giurisprudenza
consolidata,   la   verifica  degli  atti  preparatori  del  processo
elettorale  -  comprensiva del controllo in ordine alla esclusione di
nuove  liste  - e' priva di tutela giurisdizionale, essendo demandata
all'Ufficio  centrale nazionale, che ha natura amministrativa, e alle
Camere;
        che,  nel  merito,  «La  Rosa  nel  Pugno  - Laici Socialisti
Liberali Radicali» sostiene che la nuova legge elettorale lede il suo
diritto,  garantito  dall'art. 49 Cost., di partecipare in condizioni
di  parita'  con  gli  altri  partiti  alla competizione elettorale e
deduce  l'irragionevolezza  della  nuova  disciplina  rispetto  a tre
profili: la ratio legis, il ruolo «identitario» del simbolo, il favor
legislativo verso la creazione di formazioni politiche piu' ampie;
        che,  secondo  la  ricorrente, la lesione sarebbe determinata
dalla   irragionevole  esclusione,  dalle  eccezioni  che  consentono
l'esonero  della  raccolta  delle firme, dei nuovi partiti nati dalla
federazione  di forze politiche presenti nel Parlamento italiano e in
quello europeo, politicamente e socialmente radicati;
        che,   quanto   al   primo   profilo  di  irragionevolezza  -
sottolineato  che la raccolta delle firme trova il proprio fondamento
nell'apprezzabile esigenza di evitare che possano prendere parte alla
competizione  elettorale  soggetti  totalmente  privi  di radicamento
politico e sociale -, sostiene che l'esonero, per non trasformarsi in
un'inammissibile privilegio dei partiti presenti in Parlamento contro
i  nuovi competitori, dovrebbe includere tutte quelle forze politiche
che  non  debbono  dare  prova  del  proprio  seguito  elettorale;  e
l'irragionevolezza sarebbe ancora piu' evidente in considerazione dei
requisiti  meno  rigidi previsti per l'elezione al Parlamento europeo
(art. 12  della  legge  24 gennaio 1979, n. 18, recante «Elezione dei
membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia»);
        che,  con  riferimento  al  secondo  profilo,  deduce  che il
requisito  della  necessaria  identita' del contrassegno lederebbe il
diritto all'identita' politica dei partiti, penalizzando quelle forze
politiche  che,  federandosi,  danno  vita  a  nuovi competitori, con
conseguente inammissibile privilegio per i partiti maggiori;
        che  il  terzo  profilo di irragionevolezza si sostanzierebbe
nel  contrasto  con il favore della nuova legislazione elettorale per
l'accorpamento  dei  partiti  piu'  piccoli  in  entita'  di maggiore
dimensione;
        che,  in  conclusione,  la ricorrente chiede che - dichiarata
l'ammissibilita'  del  conflitto  -  questa Corte accordi i necessari
provvedimenti d'urgenza per consentire alla associazione «La Rosa nel
Pugno  -  Laici  Socialisti  Liberali  Radicali»  di  partecipare con
proprie  liste alla competizione elettorale per le elezioni politiche
del  prossimo  9 aprile senza sottostare alla raccolta delle firme; e
che,  nel  merito,  dichiari  che  spetta  alla ricorrente presentare
proprie  liste  alle elezioni politiche alla Camera dei deputati e al
Senato  della  Repubblica  fruendo  dell'esonero dalla raccolta delle
firme, annullando, di conseguenza l'art. 18-bis del d.P.R. n. 361 del
1957  e  l'art. 9  del  d.lgs.  n. 533  del  1993,  come  sostituiti,
rispettivamente,  dall'art. 1, comma 6, e dall'art. 4, comma 3, della
legge n. 270 del 2005;
        che,  in prossimita' della data di fissazione della camera di
consiglio,  la  ricorrente  ha  depositato memoria, insistendo, sulla
base   di   ulteriori   argomentazioni,   per   l'accoglimento  delle
conclusioni rassegnate;
        che,  nel  ribadire  la propria legittimazione soggettiva, la
ricorrente premette che e' irrilevante la mancanza del nome «partito»
nel   proprio   statuto,  atteso  che  tale  termine  non  ha  alcuna
definizione formale nella legislazione ordinaria;
        che,  in particolare, il principio, affermato dalla Corte con
riferimento ai comitati promotori di referendum - secondo cui laddove
una  figura  soggettiva  esterna allo Stato-apparato sia titolare, in
forza  di  norme  costituzionali,  di  diritti o poteri da esercitare
all'interno  di  un  procedimento  costituzionalmente rilevante, essa
puo'   senz'altro  agire  per  difendere  l'esercizio  delle  proprie
attribuzioni  nei  confronti  degli  altri  poteri  dello  Stato  che
prendono  parte  al  medesimo procedimento - sarebbe, ad avviso della
ricorrente,  riferibile  anche  al  caso  di  specie, atteso che, nel
contesto   del   procedimento   elettorale,   di  indubbia  rilevanza
costituzionale,  i  singoli  partiti  sono  titolari di una posizione
costituzionale  insostituibile  nella  fase della presentazione delle
candidature, riconosciuta letteralmente dall'art. 49 Cost., nel quale
il  termine «concorrere», con il duplice significato di «contribuire»
e  «gareggiare»,  si  riferisce  anche  al  diritto  dei  partiti  di
partecipare alle competizioni elettorali in condizioni di parita';
        che  la ricorrente si sofferma ancora sulla sussistenza delle
condizioni   per  l'ammissibilita'  del  conflitto  avverso  un  atto
legislativo,  non  potendo essere sollevata questione di legittimita'
costituzionale  in  via incidentale; circostanza che confermerebbe la
rilevanza costituzionale del procedimento per l'elezione della Camera
e del Senato;
        che,  infine,  la  ricorrente  ribadisce  la necessita' di un
intervento  cautelare  per  evitare,  nelle  more  del  giudizio,  la
definitiva e irreversibile lesione dell'attribuzione fatta valere con
il  ricorso, sostenendo che il potere cautelare della Corte - pur non
essendo  espressamente  previsto  per  i  conflitti tra poteri - deve
ritenersi  implicito  nella  sua funzione di garanzia costituzionale,
oltre  che  nel  diritto  di  azione  del  ricorrente,  come  sarebbe
confermato dall'art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione   e   sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale),
relativo  al  conflitto  tra  enti,  e dal nuovo art. 35 della stessa
legge,  che ha esteso la cautela al ricorso in via principale avverso
le leggi.
    Considerato  che,  ai  sensi  dell'art. 37, terzo e quarto comma,
della  legge  n. 87  del  1953,  questa  Corte  e'  chiamata  in  via
preliminare  a  decidere,  con ordinanza in camera di consiglio senza
contraddittorio,  se  il  ricorso  sia  ammissibile  sotto il profilo
dell'esistenza  della  materia  di  un  conflitto, la cui risoluzione
spetti  alla  sua  competenza,  valutando  se  sussistano i requisiti
soggettivi  ed  oggettivi  di un conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato;
        che,  secondo la ricorrente, i partiti politici sono titolari
di    attribuzioni   costituzionali   in   base   all'art. 49   della
Costituzione,  e  che,  pertanto,  sarebbe  ad  essi  applicabile  il
principio  affermato  dalla  Corte  rispetto ai comitati promotori di
referendum;
        che il principio suddetto non puo' essere riferito ai partiti
politici,   mancando   il   presupposto   per  la  sua  applicazione,
consistente  nella  previsione  della  titolarita'  di  uno specifico
potere da parte della Costituzione, laddove l'art. 75 Cost. riconosce
espressamente  ad  una  frazione del corpo elettorale - della quale i
promotori  sono  competenti a dichiarare la volonta' - la titolarita'
del  potere  di  iniziativa  referendaria  e la Corte ha ritenuto che
poteri  dello Stato, ai fini del conflitto di cui all'art. 134 Cost.,
possono   anche   essere  figure  soggettive  esterne  rispetto  allo
Stato-apparato (sentenza n. 69 del 1978);
        che  l'art. 49  Cost.  attribuisce  ai  partiti  politici  la
funzione  di  «concorrere  con  metodo  democratico  a determinare la
politica   nazionale»   e   non   specifici   poteri   di   carattere
costituzionale;
        che, al riguardo, e' decisivo rilevare che i partiti politici
sono  garantiti  dalla  Carta  costituzionale - nella prospettiva del
diritto   dei   cittadini   di   associarsi   -  quali  strumenti  di
rappresentanza  di  interessi  politicamente  organizzati; diritto di
associazione al quale si ricollega la garanzia del pluralismo;
        che  le  funzioni  attribuite ai partiti politici dalla legge
ordinaria  al fine di eleggere le assemblee - quali la «presentazione
di alternative elettorali» e la «selezione dei candidati alle cariche
elettive  pubbliche»  -  non  consentono  di  desumere l'esistenza di
attribuzioni  costituzionali,  ma  costituiscono  il  modo  in cui il
legislatore   ordinario   ha   ritenuto  di  raccordare  il  diritto,
costituzionalmente  riconosciuto  ai  cittadini, di associarsi in una
pluralita'  di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per
concorrere nell'ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un
fondamento nello stesso art. 49 Cost;
        che,  inoltre,  conferma  della  suddetta  interpretazione si
rinviene  nelle  scelte fatte dall'Assemblea costituente, che lascio'
cadere - pur dopo lunga discussione - due proposte diverse: una volta
a   riconoscere   ai   partiti  politici  attribuzioni  di  carattere
costituzionale, comprensive della presentazione di liste elettorali e
del  diritto  di promuovere azioni davanti alla Corte costituzionale;
un'altra,  volta  a rinviare alla legge il conferimento ai partiti di
poteri propri in ordine alle elezioni e di altre funzioni di pubblico
interesse,  previa individuazione - da parte della stessa legge - dei
requisiti  di  cui  i  partiti  avrebbero  dovuto essere in possesso,
l'accertamento dei quali veniva demandato alla Corte costituzionale;
        che,  quindi,  i  partiti  politici  vanno  considerati  come
organizzazioni   proprie  della  societa'  civile,  alle  quali  sono
attribuite  dalle  leggi  ordinarie  talune funzioni pubbliche, e non
come poteri dello Stato ai fini dell'art. 134 Cost;
        che,   pertanto,   ai   partiti  politici  non  e'  possibile
riconoscere   la   natura   di   organi   competenti   a   dichiarare
definitivamente   la  volonta'  di  un  potere  dello  Stato  per  la
delimitazione  di  una  sfera  di  attribuzioni  determinata da norme
costituzionali (art. 37 della legge n. 87 del 1953);
        che,  ad  ulteriore  conferma  della non accoglibilita' della
tesi  prospettata  dalla  ricorrente,  si  deve  considerare  che  il
riconoscimento  ai  partiti politici di poteri costituzionali - posto
che  la  Carta fondamentale non attribuisce espressamente tali poteri
ma  solo  funzioni  aventi  rilevanza  costituzionale - finirebbe con
l'introdurre  un  nuovo  tipo  di  giudizio costituzionale, avente ad
oggetto  la  procedura  di  elezione  delle  Assemblee,  e persino il
procedimento di approvazione delle leggi;
        che,  infine,  dalla  negazione per i partiti politici di una
sfera  di  attribuzioni  determinata da norme costituzionali discende
l'assorbimento  degli  ulteriori  profili relativi all'ammissibilita'
del ricorso.