ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli artt. 9, 10 e 11
del   decreto   legislativo   19 novembre   2004,   n. 297,   recante
«Disposizioni  sanzionatorie  in  applicazione  del regolamento (CEE)
n. 2081/92,  relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e
delle  denominazioni  di origine dei prodotti agricoli e alimentari»,
promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento notificato il
14 febbraio  2005,  depositato  in cancelleria il 18 febbraio 2005 ed
iscritto al n. 23 del registro ricorsi 2005;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  24 gennaio  2006  il  giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Uditi  gli  avvocati  Giandomenico  Falcon  e  Luigi Manzi per la
Provincia  autonoma  di  Trento  e  l'avvocato dello Stato Danilo Del
Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato alla Presidenza del Consiglio dei
ministri  in data 14 febbraio 2005 la Provincia autonoma di Trento ha
chiesto  alla  Corte  costituzionale  di  dichiarare l'illegittimita'
costituzionale  degli  artt. 9,  10  e  11  del  decreto  legislativo
19 novembre  2004,  n. 297,  recante  «Disposizioni  sanzionatorie in
applicazione   del   regolamento   (CEE)  n. 2081/92,  relativo  alla
protezione  delle  indicazioni  geografiche  e delle denominazioni di
origine   dei   prodotti   agricoli  e  alimentari»,  per  violazione
dell'art. 10   della   legge  costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3
(Modifiche  al Titolo V della parte seconda della Costituzione) e, in
connessione con esso, degli artt. 117 e 118 della Costituzione; degli
artt. 8,  numero  21,  9,  numero  3, e 16 dello statuto di autonomia
approvato  con  d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico  delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per
il  Trentino-Alto Adige) e delle relative norme di attuazione, fra le
quali,  in  particolare,  gli  artt. 1  e 2 del d.P.R. 22 marzo 1974,
n. 279  (Norme  di  attuazione  dello statuto speciale per la Regione
Trentino-Alto Adige in materia di minime proprieta' colturali, caccia
e  pesca,  agricoltura  e  foreste),  l'art. 6 del d.P.R. 19 novembre
1987,  n. 526  (Estensione  alla  Regione  Trentino-Alto Adige e alle
Province  autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto
del  Presidente  della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) e l'art. 4,
comma 1,  del  decreto  legislativo  16 marzo  1992, n. 266 (Norme di
attuazione   dello   statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige
concernenti   il  rapporto  tra  atti  legislativi  statali  e  leggi
regionali  e  provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e
coordinamento),  nonche'  per  violazione  dei  principi  di cui alla
sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 2001.
    Espone  la  ricorrente,  a  sostegno  dell'impugnativa, di essere
dotata  di  potesta'  legislativa primaria in materia di agricoltura,
foreste e patrimonio zootecnico e di potesta' legislativa concorrente
in  materia di commercio e di essere, inoltre, titolare, nei relativi
settori,  delle  corrispondenti  funzioni  amministrative  in  forza,
rispettivamente,  degli  artt. 8,  numero 21, 9, numero 3, e 16 dello
statuto speciale, di cui al d.P.R. n. 670 del 1972.
    Aggiunge  che,  in virtu' dell'art. 10 della legge costituzionale
n. 3    del   2001,   la   competenza   provinciale   nelle   materie
dell'agricoltura  e  del commercio e' diventata piena, non risultando
esse   menzionate   nell'art. 117,   commi  secondo  e  terzo,  della
Costituzione.
    Precisa  anche  che  l'art. 1  del  d.P.R.  n. 279  del  1974  ha
trasferito  alle  province  le  attribuzioni  esercitate  dallo Stato
direttamente,  a  mezzo  di  suoi  organi  centrali  e  periferici, o
indirettamente,  per  il  tramite  di  enti  e  istituti  pubblici  a
carattere  nazionale o sovranazionale, nelle materie dell'agricoltura
e della zootecnica, mentre l'art. 2 della medesima fonte normativa ha
previsto  che  le province esercitano le funzioni amministrative, ivi
comprese quelle di vigilanza e di tutela, gia' spettanti allo Stato e
alla   regione,   «in   ordine   agli   enti,  consorzi,  istituti  e
organizzazioni  locali  operanti» nel loro territorio, nei settori di
cui innanzi.
    Peraltro,  posto  che  l'art. 8,  lettera g), del d.P.R. 22 marzo
1974,  n. 279,  continua  a  riservare  allo  Stato  la competenza in
materia   di  «repressione  delle  frodi  nella  preparazione  e  nel
commercio  di  sostanze  ad  uso  agrario  e  di prodotti agrari», il
riparto  di  competenze  e' stato inteso nel senso che alla Provincia
spetti  «il  momento  della  vigilanza»  e  allo Stato invece «quello
sanzionatorio».
    Proprio   muovendo   da  tale  ricostruzione  del  sistema  delle
autonomie,  la  Corte costituzionale, nella sentenza n. 371 del 2001,
accogliendo  il  conflitto  sollevato  dalla  Provincia  autonoma  di
Trento,  annullo' una norma statale che attribuiva al Ministero delle
politiche  agricole e forestali il compito di provvedere ai controlli
di  cui  al regolamento CEE n. 2815/98 (sulle denominazioni d'origine
degli  oli d'oliva), in quanto nella fattispecie veniva in rilievo il
momento  precedente  l'esercizio dei poteri sanzionatori, vale a dire
la  fase  dei  controlli  e  della prevenzione, di spettanza, questa,
della Provincia ricorrente.
    Osserva  l'impugnante  che  nelle  materie delle denominazioni di
origine protette (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP)
e'  necessario distinguere i controlli su chi usa le denominazioni, e
cioe'  sui  produttori, dai controlli sugli organismi che svolgono la
vigilanza  a  garanzia  dei consumatori, segnalando che la materia e'
disciplinata   dall'art. 53   della   legge  24 aprile  1998,  n. 128
(Disposizioni   per   l'adempimento   di   obblighi  derivanti  dalla
appartenenza  dell'Italia  alle Comunita' europee - Legge comunitaria
1995-1997),  come  modificato  dall'art. 14  della  legge 21 dicembre
1999, n. 526 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'  europee  -  Legge
comunitaria  1999),  norma  che,  nel regolamentare, come indicato in
rubrica,  i  controlli e la vigilanza «sulle denominazioni protette e
sulle  attestazioni di specificita», ha assegnato alle Regioni, anche
a   statuto  ordinario  (comma  12),  funzioni  di  vigilanza  «sugli
organismi di controllo privati autorizzati» e ha Comunque dettato una
clausola  di  salvaguardia  a  tutela  delle  competenze  di quelle a
statuto speciale (comma 19).
    Del  resto  -  segnala  la  deducente - la spettanza alle Regioni
della  vigilanza sugli organismi di controllo in materia di uso delle
denominazioni  protette  dei  prodotti  agricoli  e'  stata  in tempi
recenti ribadita nel decreto del Ministero delle politiche agricole e
forestali  27 agosto  2004  (Definizione  dell'attivita' di vigilanza
sulle  strutture autorizzate a svolgere il controllo e certificazione
delle  produzioni agroalimentari regolamentate da norme comunitarie),
che  ha anche fatte salve «le specifiche competenze e attribuzioni di
cui  agli  statuti  delle  province  autonome  di  Trento  e Bolzano»
(art. 2,   comma 5);   la   materia  e'  stata  inoltre  direttamente
disciplinata  dalla  Provincia  di  Trento,  la  quale  con  la legge
provinciale  5 novembre  1990,  n. 28  (Istituto  agrario San Michele
all'Adige),   come   modificata  dalle  leggi  provinciali  n. 1  del
2 febbraio  1996 e n. 11 del 4 settembre 2000, ha istituito l'Agenzia
per  la  garanzia  della  qualita'  in  agricoltura,  quale organismo
deputato  ad  effettuare  il controllo sulle denominazioni di origine
protetta dei prodotti trentini (art. 4-bis).
    In  tale contesto normativo l'art. 3 della legge 3 febbraio 2003,
n. 14   (Disposizioni   per   l'adempimento   di  obblighi  derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'  europee  -  Legge
comunitaria  2002) - che delegava il Governo ad adottare disposizioni
recanti  sanzioni penali o amministrative per violazione di direttive
e  regolamenti comunitari - andava attuato con norma che doveva tener
conto,   ove   si   fosse   ritenuto   di   optare  per  le  sanzioni
amministrative,  delle  competenze  piene  spettanti  alle Regioni in
materia   di   agricoltura   e   commercio,  a  seguito  della  legge
costituzionale  n. 3  del 2001, dovendosi ritenere non piu' operante,
in  forza  dell'art.  10  della  predetta  legge,  in  relazione alle
sanzioni  amministrative, la riserva di funzioni statali di carattere
locale,  di  cui  all'art. 8, lettera g), del d.P.R. n. 279 del 1974,
ormai  priva  di  fondamento  nel  nuovo assetto costituzionale delle
competenze.  Il  d.lgs.  n. 297 del 2004, invece, non solo ignora del
tutto  tale  criterio di riparto ma, addirittura, disconosce i poteri
provinciali  di  vigilanza  nella  materia  in  questione,  ancorche'
espressamente  previsti  dalle  norme  di  attuazione  dello statuto,
consentendo  l'esercizio  in capo allo Stato di funzioni di carattere
locale in materia provinciale.
    Segnatamente  sarebbero  illegittimi,  secondo  la  Provincia  di
Trento,  gli artt. 9 e 10 che - inseriti in un contesto normativo che
al  Capo I  si occupa degli illeciti dei produttori (art. 3, commi 1,
2,  3  e 4) e al Capo II di quelli degli organismi di controllo e dei
consorzi  di tutela (artt. 4 e 6), nonche' degli illeciti a danno dei
consorzi  di tutela (art. 5) - riservano al Ministero delle politiche
agricole  e  forestali  (e  quindi  ad  un organo statale), il primo,
l'accertamento delle violazioni previste dall'art. 3, commi 1, 2 e 3,
e dall'art. 4, e il secondo, l'accertamento delle violazioni previste
dall'art. 3, comma 4, e dall'art. 6 del decreto stesso, e cioe' parte
dei poteri amministrativi di vigilanza in materia di DOP e di IGP, in
ambito provinciale, in violazione degli artt. 8, numero 21, 9, numero
3,  e  16  del  d.P.R.  n. 670 del 1972; degli artt. 1 e 2 del d.P.R.
n. 279 del 1974 e dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.
    Ne'  la  competenza  statale  in  parte  qua  potrebbe  ritenersi
giustificata  dal  fatto  che  le  norme impugnate danno attuazione a
norme   comunitarie,   perche',  anche  a  prescindere  dal  disposto
dell'art. 117,  comma quinto, della Costituzione, l'art. 6 del d.P.R.
n. 526  del  1987  stabilisce  che  spetta alla Regione Trentino-Alto
Adige  e  alle  Province  autonome  di  Trento e Bolzano provvedere a
tanto,  nelle  materie  di  rispettiva  competenza, ove i regolamenti
comunitari  richiedano  «una  normazione  integrativa  o un'attivita'
amministrativa di esecuzione».
    In  ogni  caso,  la  legittimazione dello Stato a intervenire, al
fine  di  evitare  il  maturare  di  situazioni di inadempimento e in
considerazione  della  necessita'  di scegliere tra sanzione penale e
sanzione  amministrativa, comporterebbe che il legislatore, una volta
che abbia optato per queste ultime, non possa poi ignorare il riparto
costituzionale delle competenze in materia.
    Sarebbe    comunque    difficile   dubitare   dell'illegittimita'
costituzionale  degli artt. 9 e 10 del d.lgs. n. 297 del 2004, dopo i
rilievi contenuti nella gia' richiamata sentenza n. 371 del 2001, che
ravviso'  nell'attribuzione  al  Ministero delle politiche agricole e
forestali  dei controlli previsti dal regolamento CEE n. 2815/98 «una
stabile  alterazione  dell'assetto  delle  competenze delineato dallo
statuto   speciale   e   dalle   norme   di   attuazione  statutaria,
inconciliabile,  in  particolare,  con il citato art. 4, comma 1, del
decreto legislativo n. 266 del 1992»; situazione che gli artt. 9 e 10
del d.lgs. n. 297 del 2004 verrebbero in sostanza a riprodurre.
    In   definitiva,   gli   accertamenti   che  le  norme  impugnate
riconoscono  di competenza del Ministero spetterebbero alla Provincia
autonoma  di  Trento sia nel quadro delle nuove competenze in materia
di   agricoltura   e   commercio,  acquisite  in  forza  della  legge
costituzionale  n. 3  del  2001,  sia  in forza delle disposizioni di
attuazione dello statuto e segnatamente dell'art. 2 del d.P.R. n. 279
del 1974 e dell'art. 4 del d.P.R. n. 266 del 1992.
    Quanto  all'art. 11  del  d.lgs.  n. 297  del 2004, la ricorrente
evidenzia che la norma illegittimamente attribuirebbe al Ministero la
competenza ad adottare le sanzioni accertate dai soggetti individuati
negli  artt. 8,  9  e  10, nonche', in genere, quelle accertate dagli
organi  competenti  in materia di prodotti DOP e IGP; invero, essendo
divenuta piena, come gia' detto, a seguito della legge costituzionale
n. 3   del   2001,  la  competenza  della  Provincia  in  materia  di
agricoltura  e  commercio,  non  potrebbe  piu' invocarsi, a sostegno
della  scelta  normativa  censurata,  la competenza statale in ordine
alla  repressione  delle frodi «nella preparazione e nel commercio di
sostanze   ad   uso  agrario  e  di  prodotti  agrari»,  riconosciuta
dall'art. 8, lettera g), del d.P.R. n. 279 del 1974.
    Nella  nuova  prospettiva, ferma la legittimita' della disciplina
statale delle sanzioni (giustificata dalla necessita' di adempiere ai
doveri  comunitari  e  di  scegliere il tipo di misura da applicare),
tutta  la «repressione amministrativa delle frodi» rientrerebbe nella
competenza   provinciale  e,  invero,  ad  avviso  della  ricorrente,
«l'applicazione  delle  sanzioni predeterminate per legge puo' e deve
avvenire a livello locale».
    Ne'  si  potrebbe  eccepire che per le autonomie speciali le piu'
ampie  funzioni  attribuite  dall'art. 10  della legge costituzionale
n. 3  del  2001  diventerebbero  operative  solo  con l'emanazione di
apposite  norme  di  attuazione:  ad  avviso della ricorrente, queste
ultime  sarebbero  in  realta'  necessarie per le «ulteriori materie»
attribuite  alle Regioni ad autonomia speciale, al fine di provvedere
al  trasferimento  dei corrispondenti uffici dall'uno all'altro ente,
ma  non  per quelle in relazione alle quali le Province gia' svolgono
funzioni  amministrative  e in cui sono, quindi, pronte ad esercitare
le piu' ampie competenze attribuite loro dal menzionato art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001.
    Del  resto la possibilita' di un diretto esercizio delle maggiori
autonomie  derivanti  dal  Titolo V e' stata riconosciuta dalla Corte
costituzionale,  sia  pure  con  riferimento  alle Regioni ordinarie,
nella sentenza n. 13 del 2004.
    L'art. 11  del  d.lgs.  n. 297  del  2004,  demandando  ad organi
statali   l'applicazione   di  misure  di  carattere  amministrativo,
violerebbe pertanto gli artt. 117, comma quarto, e 118, commi primo e
secondo,  della  Costituzione,  in  collegamento  con l'art. 10 della
legge costituzionale n. 3 del 2001, posto che, in assenza di esigenze
unitarie,  la disciplina e l'esercizio della «funzione amministrativa
sanzionatoria  in  materia di DOP e IGP», spetterebbe senz'altro alla
Provincia.
    2.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in
giudizio  a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto il
rigetto del ricorso.
    Ha  osservato  la  difesa  erariale che la normativa impugnata e'
stata  dettata in attuazione di obblighi assunti in sede comunitaria,
ed  e' pertanto espressione della potesta' legislativa spettante allo
Stato  ai  sensi  dell'art. 117,  comma  secondo,  lettera a),  della
Costituzione.
    Cio'  posto,  le  argomentazioni  della  ricorrente  -  la quale,
titolare  in  materia  di  competenza  concorrente,  ritiene non piu'
operativa   la   riserva  di  funzioni  a  carattere  locale  di  cui
all'art. 8, lettera g), del d.P.R. n. 279 del 1974, invocando le piu'
ampie  attribuzioni  riconosciute  alle regioni ordinarie dalla legge
costituzionale  n. 3  del  2001 - non terrebbero conto del fatto che,
allorche' una Regione o una Provincia autonoma, in forza dell'art. 10
della  legge n. 3 del 2001, rivendichi competenze ulteriori, rispetto
al  proprio statuto di autonomia, deve ritenersi soggetta ai medesimi
limiti  cui,  nell'esercizio  di  quelle  funzioni,  sono soggette le
regioni ordinarie.
    In  realta',  secondo l'Avvocatura, le funzioni di vigilanza e di
controllo  -  e  la  connessa  potesta'  sanzionatoria - spettanti in
materia   al   Ministro   delle   politiche   agricole   e  forestali
risponderebbero  all'esigenza  di  assicurare  un  esercizio unitario
delle  funzioni  amministrative  nel  settore della repressione delle
frodi,  in forza del disposto del nuovo art. 118 della Costituzione e
in   ottemperanza  alla  previsione  dell'art.  117,  comma  secondo,
lettera m),  della  medesima  Carta,  che attribuisce alla competenza
esclusiva dello Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto il territorio nazionale». Non a caso, segnala la
deducente,  la  Corte costituzionale ha ripetutamente evidenziato che
la  predetta  norma,  piu'  che  individuare  una  specifica materia,
prevede l'assunzione, da parte dello Stato, di un particolare compito
di  carattere  trasversale,  nel  cui  esercizio esso ha il potere di
dettare  uno  standard  di  protezione  uniforme  valido  in tutte le
Regioni  e  da  queste  non derogabile (v. sentenze n. 307 del 2003 e
n. 407 del 2002).
    Ne  deriva che, a giudizio della difesa erariale, le disposizioni
che  mirano  a  dettare  regole omogenee su tutto il territorio della
Repubblica  a salvaguardia di interessi di rilievo nazionale, sono da
ritenere  efficaci  anche  se  connesse  con  materie attribuite alla
competenza concorrente o residuale delle Regioni.
    3.  -  Nella  memoria  depositata  in  prossimita' della pubblica
udienza,   la   Provincia   autonoma  di  Trento  contesta  l'assunto
dell'Avvocatura  secondo  cui  la  disciplina impugnata sarebbe stata
adottata   in  attuazione  di  obblighi  comunitari  e  costituirebbe
pertanto  esplicazione  della  potesta'  legislativa  statale  di cui
all'art. 117, comma secondo, lettera a), della Costituzione.
    Rileva  sul  punto  che  la  competenza esclusiva, prevista dalla
disposizione  costituzionale  innanzi menzionata, attiene ai rapporti
tra lo Stato e l'Unione europea e non ha pertanto niente a che vedere
con l'adozione delle leggi necessarie a dare attuazione agli obblighi
comunitari,  materia  che  trovasi invece disciplinata nell'art. 117,
comma  quinto, della Costituzione e, per quanto riguarda la Provincia
autonoma di Trento, nell'art. 6 del d.P.R. n. 526 del 1987.
    Ne'  le  contestate  attribuzioni  del  Ministero delle politiche
agricole  e forestali potrebbero fondarsi sull'asserita necessita' di
«assicurare  l'esercizio  unitario  delle funzioni amministrative nel
delicato   settore   della   repressione   delle   frodi»,  in  forza
dell'art. 118 della Costituzione, come pretende la difesa erariale.
    Sul  punto  la  Provincia,  premesso  di avere invocato l'art. 10
della   legge  costituzionale  n. 3  del  2001  (solo)  in  relazione
all'art. 11  del  decreto legislativo n. 297 del 2004 - che prevede e
disciplina  la  competenza  ad  irrogare  le  sanzioni  connesse alle
violazioni  in  materia  di  prodotti  DOP  e IGP - e di avere invece
rivendicato le funzioni di vigilanza e di accertamento degli illeciti
in  base  alle  norme  dello  statuto  e a quelle di attuazione dello
stesso, ribadisce l'insussistenza delle pretese esigenze di esercizio
unitario delle funzioni, ex art. 118 della Costituzione, fatte valere
dalla   controparte,  rilevando  che  la  controversia  attiene  alla
spettanza  della mera fase applicativa di sanzioni predeterminate per
legge in misura fissa, o fra un minimo e un massimo, e talvolta anche
di carattere accessorio e ad applicazione necessaria.
    Ribadisce quindi che l'applicazione di tali sanzioni «puo' e deve
avvenire a livello locale».
    Sostiene  inoltre  che la tesi secondo la quale l'art. 118, comma
primo, della Costituzione, consentirebbe allo Stato di intervenire in
tutti  i  settori  «delicati»,  o  ritenuti  tali,  oltre  ad  essere
contraddetta  dalla lettera della disposizione costituzionale, si' da
risultare  affatto  arbitraria, nega l'articolazione della Repubblica
in  comunita' territoriali, che costituisce invece l'impianto sotteso
al disegno costituzionale.
    Osserva  infine  che  del  tutto  improprio  e'  il richiamo alla
potesta'   legislativa   riconosciuta   allo   Stato   in   punto  di
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e  sociali»,  di cui all'art. 117, comma secondo,
lettera m),  della Costituzione, perche' la controversia non riguarda
affatto  le  norme che definiscono le sanzioni e che sono volte, esse
si',  a  dettare  regole uniformi a «garanzia di interessi di rilievo
nazionale»,    ma    l'accentramento,    lesivo   delle   prerogative
costituzionali della Provincia, di funzioni amministrative in capo ad
un organo statale. Del resto la Corte costituzionale ha ripetutamente
affermato  che  il  parametro evocato non e' utilizzabile «al fine di
individuare  il  fondamento costituzionale della disciplina, da parte
dello  Stato,  di  interi  settori materiali», ma solo in relazione a
specifiche  prestazioni «delle quali la normativa nazionale definisca
il  livello  essenziale  di  erogazione», secondo una prospettiva che
evidenzia l'assoluta estraneita' della disciplina impugnata al titolo
di legittimazione invocato.
    4.  - Nella sua memoria il Presidente del Consiglio dei ministri,
ricordato  che il d.lgs. n. 297 del 2004 ha ad oggetto la definizione
dell'impianto  sanzionatorio correlato al Regolamento CEE n. 2081 del
1992,  sostiene che la disciplina delle indicazioni geografiche (IGP)
e  delle  denominazioni  di  origine (DOP) non puo' essere inquadrata
nell'ambito  della  materia  del  commercio  e  dell'agricoltura,  ma
rientra  piuttosto,  ai  sensi  dell'art. 117  della Costituzione, in
quello   delle   opere   dell'ingegno  e  della  tutela  della  leale
concorrenza, attribuite alla competenza esclusiva dello Stato.
    Rileva inoltre che le disposizioni del citato Regolamento n. 2081
del  1992  -  in  attuazione  del  quale  sono state emanate le norme
censurate - mirano a sanzionare ogni forma di impiego di DOP o di IGP
che  si  traduca  in una «usurpazione, imitazione o evocazione» della
denominazione  protetta,  cosi'  tutelando  direttamente le posizioni
soggettive  di coloro che hanno diritto di utilizzare tali segni, con
un  obbiettivo di salvaguardia delle regole della concorrenza, che e'
del  tutto  estraneo invece alle norme in tema di commercializzazione
dell'olio  di oliva - oggetto del regolamento n. 2815 del 1998, posto
a  base  del  d.P.R.  n. 458  del  1999, impugnato dalla Provincia di
Trento  col  ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  deciso  dalla
sentenza  n. 371  del  2001  -  che  si preoccupano esclusivamente di
evitare l'inganno dei consumatori.
    Sul   punto   segnala   l'Avvocatura   che   la   formula  «opere
dell'ingegno»,  contenuta  nel  testo  dell'art. 117,  comma secondo,
della Costituzione, alla lettera r), e' da ritenere omologa a quella,
«proprieta'   intellettuale»,   spesso   utilizzata   in  alternativa
all'espressione   «proprieta'   industriale»  e  indicativa  di  beni
astratti  o  immateriali  i  quali,  si concretino o meno in prodotti
tangibili, possiedono, come evidenziato dalla dottrina, «un'autonomia
esistenziale propria, a prescindere dal prodotto stesso».
    Sarebbe  del  resto  irragionevole,  e  lesivo  dell'art. 3 della
Costituzione,  restringere  la  formula  «opere dell'ingegno» al solo
diritto  d'autore,  laddove essa appare, invece, idonea a comprendere
tutti  i  beni immateriali che, in considerazione anche del principio
di  territorialita',  devono  avere  eguale  «efficacia»  e  identica
disciplina sull'intero territorio nazionale.
    L'inquadrabilita'  delle denominazioni protette nell'ambito della
materia   «proprieta'  intellettuale  (o  industriale)»  -  per  vero
condivisa  anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia  delle  Comunita'  europee,  e  confermata dal fatto che la
relativa regolamentazione tende ad intersecarsi con quella dei marchi
(in  particolare  dei  marchi  geografici  e dei marchi collettivi) -
sarebbe  poi  supportata  da  vari  indici  normativi e segnatamente:
dall'Accordo   Trips,   firmato  a  Marrakech  il  15 aprile  1994  e
ratificato  dall'Italia  con legge 29 dicembre 1994, n. 747, che, nel
Capo II,  contiene  una  Sezione, la 3° (artt. 22, 23 e 24), dedicata
proprio   alle   indicazioni  geografiche;  dal  decreto  legislativo
19 marzo  1996,  n. 198  (Adeguamento  della  legislazione interna in
materia  di  proprieta'  industriale  alle  prescrizioni obbligatorie
dell'accordo   relativo   agli  aspetti  dei  diritti  di  proprieta'
intellettuale  concernenti  il  commercio  -  Uruguay  Round), il cui
capo VI  e'  intitolato  «Disciplina  delle indicazioni geografiche»;
dall'art. 1  del  decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice
della  proprieta'  industriale,  a norma dell'articolo 15 della legge
12 dicembre  2002,  n. 273),  nel  quale si precisa che l'espressione
proprieta'  industriale  comprende anche le indicazioni geografiche e
le denominazioni di origine.
    A  cio'  si  aggiunga che le denominazioni protette si atteggiano
come  istituti  di  diritto  industriale  - segnatamente inquadrabili
nella  categoria  dei diritti di monopolio - idonei ad attribuire una
posizione  di  esclusiva  a coloro che si trovano nelle condizioni di
poterne  fare  legittimamente uso. Del resto, proprio aderendo a tale
prospettiva,  le  violazioni  in  materia  di  DOP  e  di IGP vengono
qualificate  dalla  giurisprudenza  come  fattispecie  di concorrenza
sleale,  per  appropriazione di pregi (rilevante ex art. 2598, numero
2,  del  codice  civile)  ovvero  per  contrarieta' ai principi della
correttezza  professionale  (rilevante  ex  art. 2598, numero 3, cod.
civ).
    Quanto   poi   all'estensione  della  nozione  di  «tutela  della
concorrenza»,  ricorda  l'Avvocatura  come  la Corte ne abbia in piu'
occasioni   affermato   il  carattere  trasversale,  posto  che  essa
inevitabilmente  si  intreccia  con  altre  materie, rientranti nella
competenza concorrente o residuale delle Regioni, tutte implicate nei
processi  di  sviluppo  economico-produttivo  del  Paese: di modo che
criterio   valutativo   della   legittimita'   degli  interventi  del
legislatore  statale  in  parte  qua  finisce per essere quello della
proporzionalita-adeguatezza.
    In   tale  ottica,  e  avuto  riguardo  agli  indici  ermeneutici
estrapolabili  dal  diritto  comunitario,  il  quale  privilegia  una
nozione   dinamica  della  tutela  della  concorrenza,  la  Corte  ha
affermato,  nella  sentenza  n. 14 del 2004, che la politica agricola
rientra  nella  competenza  esclusiva  dello Stato, attraverso la sua
riconducibilita'  alla  materia della concorrenza, cosi' rigettando i
ricorsi  proposti da alcune regioni contro l'art. 52, comma 83, della
legge   28 dicembre   2001,   n. 448  recante  «Disposizioni  per  la
formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2002)», norma che attribuisce al Ministro delle politiche
agricole  e  forestali  il  potere  di  disciplinare  con  decreto le
modalita'  operative  e  gestionali  del  fondo  di cui all'art. 127,
comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
    Nella   stessa   prospettiva  la  Corte,  nella  sentenza  n. 274
(rectius:  272)  del  2004,  non  ha ritenuto lesivo delle competenze
regionali  l'art.  14,  comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269  (Disposizioni  urgenti  per  favorire  lo  sviluppo  e per la
correzione   dell'andamento  dei  conti  pubblici),  convertito,  con
modificazioni,  dalla legge 24 settembre 2003, n. 326, contenente una
regolamentazione  dettagliata  e autoapplicativa dei servizi pubblici
locali,  in  quanto disciplina volta a garantire, in forme adeguate e
proporzionate, la piu' ampia liberta' di concorrenza.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Provincia autonoma di Trento denuncia l'illegittimita'
costituzionale  degli  articoli 9,  10  e  11 del decreto legislativo
19 novembre  2004,  n. 297,  recante  «Disposizioni  sanzionatorie in
applicazione   del   regolamento   (CEE)  n. 2081/92,  relativo  alla
protezione  delle  indicazioni  geografiche  e delle denominazioni di
origine   dei   prodotti   agricoli  e  alimentari»,  in  riferimento
all'art. 10   della   legge   costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3
(Modifiche  al Titolo V della parte seconda della Costituzione) e, in
connessione  con  esso,  agli  artt. 117 e 118 della Costituzione, ed
inoltre  in  riferimento  agli  artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e 16
dello  statuto  di  autonomia  approvato  con  d.P.R. 31 agosto 1972,
n. 670  (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi costituzionali
concernenti  lo  statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e delle
relative  norme  di  attuazione,  fra  le  quali, in particolare, gli
artt. 1  e  2  del  d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione
dello  statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia
di  minime  proprieta'  colturali,  caccia  e  pesca,  agricoltura  e
foreste),  l'art. 6  del  d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione
alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e
Bolzano   delle   disposizioni   del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  24 luglio  1977, n. 616) e l'art. 4, comma 1, del decreto
legislativo  16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto
speciale  per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti
legislativi  statali  e  leggi  regionali  e  provinciali, nonche' la
potesta'   statale   di   indirizzo   e  coordinamento);  infine,  in
riferimento   ai   principi   di   cui   alla  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 371 del 2001.
    2.  -  Debbono  preliminarmente essere esaminate le censure mosse
dalla  Provincia  autonoma  ricorrente nei confronti dell'art. 11 del
d.lgs.  n. 297 del 2004: norma con la quale e' riservata al Ministero
delle  politiche  agricole  e  forestali la competenza ad adottare le
sanzioni  amministrative accertate ai sensi degli artt. 8, 9 e 10 del
medesimo decreto legislativo.
    2.1. - Tali censure non sono fondate.
    La  Provincia  non contesta la competenza dello Stato non solo ad
operare  la  scelta tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, ma
anche,  una  volta  effettuata  tale  scelta, a determinare l'entita'
delle sanzioni amministrative.
    Questa  premessa contraddice l'assunto della Provincia autonoma -
nei   termini  precisati  nella  memoria  depositata  in  prossimita'
dell'udienza  -  secondo  il  quale  la disciplina dettata dal d.lgs.
n. 297    del   2004   rientrerebbe   integralmente   nelle   materie
«agricoltura»  e  «commercio» e, pertanto, nell'area della competenza
legislativa   residuale   che   l'art. 117,   comma   quarto,   della
Costituzione, riserva alle Regioni.
    Il   carattere  accessorio  della  potesta'  di  disciplinare  le
sanzioni  rispetto  alla  materia  presidiata dalle sanzioni stesse -
carattere  piu'  volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte
(sentenze  n. 384  e  n. 50 del 2005; n. 428 e n. 12 del 2004; n. 307
del  2003)  - implica, ove la potesta' in questione spetti allo Stato
(cio'  che,  nella  specie, non e' contestato), la compresenza di una
pluralita'  di  materie, talune delle quali spettanti alla competenza
(quanto  meno concorrente) dello Stato e, comunque, l'esigenza di una
disciplina  uniforme  che  solo il legislatore statale e' in grado di
assicurare (sentenza n. 361 del 2003; n. 63 del 2006).
    2.2. - Da quanto appena rilevato discende che l'attribuzione allo
Stato  del potere di irrogare le sanzioni previste dalla legislazione
statale  non  contrasta  con  le  norme costituzionali invocate dalla
Provincia ricorrente, in quanto rispondente alla medesima esigenza di
uniformita'   -   contemplata   dall'art. 118,   comma  primo,  della
Costituzione  -  che  giustifica  il potere di dettarne la disciplina
(sentenza n. 63 del 2006).
    3. - Non fondate sono altresi' le censure mosse agli artt. 9 e 10
del d.lgs. n. 297 del 2004 con riferimento esclusivo - come precisato
nella   memoria   depositata   in  prossimita'  dell'udienza  -  alle
previsioni dello statuto speciale (artt. 8, numero 21, 9, numero 3, e
16  del  d.P.R. n. 670 del 1972) e delle relative norme di attuazione
(artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 279 del 1974; art. 6 del d.P.R. n. 526 del
1987;  art. 4,  comma 1,  del d.lgs. n. 266 del 1992): censure con le
quali  si  lamenta,  in  sostanza,  la sottrazione alla Provincia del
potere amministrativo di vigilanza sugli organi di controllo operanti
in  materia  di  denominazione  di  origine  (DOP)  e  di indicazioni
geografiche protette (IGP).
    3.1.  -  Le norme impugnate riconoscono al Ministero il potere di
«accertamento  delle  violazioni»  di quanto prescritto dagli artt. 3
(commi  1,  2, 3 e 4), 4 e 6, in relazione, rispettivamente, al piano
di  controllo,  alle inadempienze della struttura di controllo e alle
inadempienze dei consorzi di tutela.
    Poiche' la giurisprudenza di questa Corte e' ferma nel negare che
il  potere  di  vigilanza  sia  autonomo  rispetto  alla  materia cui
inerisce,    in   quanto   «la   vigilanza   e'   spesso   la   fonte
dell'individuazione di fattispecie sanzionabili o comunque di carenze
che   richiedono   interventi   anche  non  sanzionatori  diretti  ad
assicurare  il  rispetto  di  una  determinata  disciplina «(sentenze
n. 384  del  2005;  n. 63  del  2006),  deve  escludersi che le norme
censurate, nella parte in cui prevedono l'esercizio di tale potere da
parte   di   organi   statali,   siano   affette   da  illegittimita'
costituzionale.
    3.2.  -  La  censura  di  illegittimita'  costituzionale  deve, a
fortiori,   essere   respinta  ove  si  consideri  che  la  locuzione
«accertamento  delle violazioni» e' tale da riservare alla competenza
esclusiva  del  Ministero  soltanto  l'esito finale dell'attivita' di
vigilanza,  e  cioe'  soltanto  il  potere  di  qualificazione,  come
«violazione»,  dei comportamenti accertati dagli organi preposti alla
vigilanza,   ma   non  implica  affatto  la  competenza  ministeriale
esclusiva in ordine alle attivita' di vigilanza.
    Questa  conclusione  non  contrasta  con il principio per cui «la
legge    non   puo'   attribuire   agli   organi   statali   funzioni
amministrative,   comprese   quelle   di   vigilanza   e  di  polizia
amministrativa   e  di  accertamento  di  violazioni  amministrative,
diverse  da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e
le  relative norme di attuazione» (art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 266
del  1992),  in  quanto  questa  norma  presuppone  che  le  funzioni
amministrative  inibite  allo  Stato  siano  relative  a  «materie di
competenza propria della regione o delle province autonome».
    D'altra parte, la conclusione sopra enunciata e' suffragata dalla
circostanza  che  il  d.lgs.  n. 297  del  2004  e'  stato emanato in
attuazione  della delega conferita al Governo dall'art. 3 della legge
3 febbraio  2003,  n. 14  (Disposizioni per l'adempimento di obblighi
derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'  europee -
Legge  comunitaria  2002),  per l'emanazione di «disposizioni recanti
sanzioni  penali  o  amministrative  per  la  violazione di direttive
comunitarie  attuate  in  via regolamentare o amministrativa ai sensi
[...]  della  legge  24 aprile 1998, n. 128»; legge, quest'ultima, il
cui  art. 53  -  come sostituito dall'art. 14 della legge 21 dicembre
1999,  n. 526  -  esplicitamente  dispone  che  «il  Ministero  delle
politiche  agricole  e forestali e' l'autorita' nazionale preposta al
coordinamento   dell'attivita'  di  controllo  e  responsabile  della
vigilanza sulla stessa» (comma 1) e che «la vigilanza sugli organismi
di  controllo  privati  autorizzati»  con  decreto  del  Ministro «e'
esercitata dal Ministero delle politiche agricole e forestali e dalle
regioni o province autonome per le strutture ricadenti nel territorio
di propria competenza» (comma 12).
    Deve,  ancora, rilevarsi che - in dichiarata attuazione di quanto
disposto  dalla  norma  appena ricordata - con d.m. 27 agosto 2004 il
Ministro  delle  politiche  agricole  e  forestali  ha  provveduto ad
istituire   (art. 1)   l'Unita'   nazionale  di  coordinamento  della
vigilanza  (UNCV)  ed  ha  disposto che «ciascuna regione o provincia
autonoma  entro  dodici mesi dalla pubblicazione del presente decreto
deve  attivare  l'unita'  territoriale  di  vigilanza  (UTV)  secondo
criteri  e  modalita'  definiti  dai  singoli  enti»  (art. 2) per lo
svolgimento  dell'attivita'  di  vigilanza  «sull'operativita'  delle
organizzazioni  autorizzate/designate  per  il controllo...» e «sulla
corretta   attuazione   del/della  piano/procedura  di  controllo...»
(art. 3)   organizzandosi  secondo  linee-guida  elaborate  dall'UNCV
(art. 5).
    3.3.   -  L'analitica  disciplina  dell'attivita'  di  vigilanza,
incentrata sulla competenza degli organi sia statali sia regionali (e
delle  province  autonome), rende manifesto che tale attivita' non e'
riservata  in  via esclusiva allo Stato dagli artt. 9 e 10 del d.lgs.
n. 297  del 2004, e cioe' da un atto normativo emanato ai sensi della
medesima  legge  che,  nel  disciplinare l'attivita' di vigilanza, ne
attribuisce  la competenza sia allo Stato che alle regioni e province
autonome.
    In   conclusione,   deve   ribadirsi  che  l'«accertamento  delle
violazioni»,  di cui agli artt. 9 e 10 censurati, consente anche allo
Stato l'esercizio dell'attivita' di vigilanza, ma non ne espropria le
regioni  e  province autonome, mentre riserva allo Stato il potere di
qualificare  come  «violazione»  i comportamenti accertati in sede di
vigilanza  e di irrogare (ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 297 del
2004) le relative sanzioni.