ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3,
4,  5,  commi 3  e  4,  6,  7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004,
n. 279  (Disposizioni  urgenti  per  assicurare la coesistenza tra le
forme   di   agricoltura  transgenica,  convenzionale  e  biologica),
convertito,  con  modificazioni,  in  legge  28 gennaio  2005,  n. 5,
promosso  con  ricorso  della  Regione  Marche notificato il 22 marzo
2005, depositato in cancelleria il 30 marzo 2005 ed iscritto al n. 41
del registro ricorsi 2005.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri  nonche'  l'atto  di  intervento della AS.SE.ME Associazione
Sementieri Mediterranei;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  7 febbraio  2006  il  giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi   l'avvocato   Stefano  Grassi  per  la  Regione  Marche  e
l'avvocato  dello  Stato  Maurizio  Fiorilli  per  il  Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato  il 22 marzo 2005 e depositato il
30 marzo  2005,  la  Regione  Marche,  in  persona del Presidente pro
tempore  della  Giunta  regionale,  ha  promosso  in  via  principale
questioni  di  legittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4,
5,  commi 3  e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279
(Disposizioni  urgenti  per assicurare la coesistenza tra le forme di
agricoltura   transgenica,  convenzionale  e  biologica),  nel  testo
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, per
violazione  degli artt. 117, commi primo, secondo, lettera s), terzo,
quarto,  quinto e sesto, e 118 della Costituzione, anche in relazione
agli artt. 9, 32, 33, 72, 76 e 77 della Costituzione.
    2.  -  La  Regione  ricorrente  sostiene,  in primo luogo, che il
procedimento  legislativo di conversione del decreto-legge n. 279 del
2004  sarebbe  viziato,  stante la «assenza palese dei presupposti di
straordinaria  necessita'  ed  urgenza»  richiesti dall'art. 77 della
Costituzione,  cio'  che  ridonderebbe  nella  lesione dell'autonomia
legislativa  regionale,  in  quanto essa verrebbe ad essere compressa
nella materia oggetto di decretazione d'urgenza.
    Erroneamente  il legislatore statale, infatti, avrebbe stimato di
essere  obbligato  a  conferire attuazione alla raccomandazione della
Commissione 2003/556/CE  del 23 luglio 2003 (recante orientamenti per
lo  sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire
la coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche),
trattandosi  di  atto privo di contenuto vincolante; al contrario, si
sarebbe  ricorsi alla decretazione d'urgenza, nonostante il carattere
«estremamente  delicato  e rischioso» della materia, e nonostante «le
regole  relative alla coesistenza delle colture [...] «siano rinviate
all'adozione    di    un   provvedimento   successivo,   di   livello
regolamentare»  da  adottarsi  «per  di  piu' [...] in termini ampi e
inammissibili (anche in violazione dell'art. 76 Cost.)».
    Sarebbe    stato    invece   necessario   realizzare   forme   di
«consultazione   e   di   dibattito   ampio   e  condiviso»,  in  se'
incompatibili con la natura del decreto-legge, anche in attuazione di
quanto  previsto  dagli  artt. 9 e 32 della Costituzione, nonche' dal
decimo  «considerando»  della  direttiva  2001/18/CE  (Direttiva  del
Parlamento   europeo   e   del  Consiglio  sull'emissione  deliberata
nell'ambiente  di  organismi geneticamente modificati e che abroga la
direttiva  90/220/CEE  del Consiglio), e dal protocollo di Cartagena,
reso  esecutivo  con  la  legge  15 gennaio  2004, n. 27 (Ratifica ed
esecuzione  del  Protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi
biotecnologici  relativo alla Convenzione sulla diversita' biologica,
con Allegati, fatto a Montreal il 29 gennaio 2000).
    Da  cio'  la dedotta lesione dell'art. 117, terzo e quarto comma,
della  Costituzione,  con  riferimento  agli  artt. 72, 76, 77 e 117,
primo comma, della Costituzione.
    In  secondo  luogo,  le  norme impugnate violerebbero l'art. 117,
commi  secondo,  terzo,  quarto  e  quinto  della  Costituzione,  con
riferimento  all'art. 117,  primo comma, della Costituzione, poiche',
fondandosi  sull'«erroneo  presupposto  di  fatto»,  secondo  cui gli
organismi   geneticamente   modificati   (OGM)   non  comporterebbero
irreversibili  danni  all'ambiente, all'agricoltura e alla salute (in
difetto  di  una  preventiva  «valutazione  dell'impatto  ambientale,
economico e agronomico»), verrebbero ad impedire alla legge regionale
la  tutela  «della  salute  umana,  animale  e  vegetale»  secondo «i
principi   della   prevenzione  e  della  precauzione»,  tramite,  in
particolare, l'individuazione di «criteri di esclusione delle colture
transgeniche,  in  considerazione  delle  particolari  condizioni del
territorio regionale».
    La  Regione  sarebbe  percio'  legittimata  a denunciare anche la
violazione    dell'art. 117,   secondo   comma,   lettera s),   della
Costituzione,  in forza del «diritto-dovere e, quindi, dell'interesse
ad  intervenire,  nel  caso  di inadempimento statale, a tutela della
popolazione di cui la stessa e' espressione».
    In  terzo  luogo,  le  norme impugnate verterebbero nella materia
«agricoltura»  (come  individuabile  anche alla luce dell'art. 32 del
Trattato  CE e dell'art. 2135 del codice civile), oggetto di potesta'
legislativa  residuale  della Regione, sicche' lo Stato, legiferando,
avrebbe   violato   l'art. 117,  quarto  comma,  della  Costituzione;
sarebbe,  infatti,  «evidente che solo le Regioni possono adottare le
misure   necessarie   ad  assicurare  la  coesistenza  tra  forme  di
agricoltura  transgenica,  convenzionale  e  biologica, stabilendo le
aree  «OGM  free»,  le  quote di colture OGM, il numero ed il tipo di
varieta'  vegetali  che  devono coesistere, le distanze tra le aree a
coltivazione  transgenica  e  quelle a coltivazione convenzionale, le
pratiche regionali di gestione delle imprese agricole».
    In quarto luogo, quand'anche lo Stato avesse proceduto ad attuare
la  normativa  comunitaria,  cio'  dovrebbe  ritenersi precluso al di
fuori  delle  materie  attribuite  in  via  esclusiva  dall'art. 117,
secondo   comma,  della  Costituzione,  sicche'  la  legge  impugnata
violerebbe anche l'art. 117, quinto comma, della Costituzione.
    In  quinto  luogo,  gli artt. 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, e l'art. 8
del  decreto-legge  n. 279  del  2004, nel testo risultante a seguito
della conversione in legge, avrebbero altresi' carattere dettagliato,
in violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, al pari
dell'art. 7,  che,  nell'attribuire  ad  un  comitato  in cui sarebbe
privilegiata  la  rappresentanza  di  membri  statali  il  compito di
proporre  linee  guida  per  la  coesistenza,  opererebbe una «palese
sottrazione  alle  Regioni  (titolari  della  competenza  legislativa
esclusiva  nella  materia  «agricoltura»  e di competenza legislativa
concorrente   nell'«alimentazione»),   del   controllo  del  settore,
riservando  agli  organi  regionali solo un ruolo esecutivo marginale
nella regolazione degli OGM».
    Con  specifico  riguardo  agli  artt. 2,  comma 2, 3, comma 2, 5,
commi 3  e  4,  7,  comma 4,  e  all'art. 8,  la  Regione  ricorrente
ribadisce   il   carattere   dettagliato   di  tali  previsioni,  con
conseguente    violazione    dell'art. 117,    terzo   comma,   della
Costituzione, in relazione alla materia «tutela della salute».
    Inoltre,  l'art. 1  non  terrebbe  conto del «valore fondamentale
della ricerca scientifica» quale strumento preliminare di valutazione
dell'impatto    ambientale,    con    cio'    ledendo    il    valore
costituzionalmente  protetto  dell'ambiente, alla cui tutela non puo'
ritenersi estranea la legislazione regionale.
    Gli  artt. 1, 2, comma 2, 3, comma 2, 5, commi 3 e 4, 7, comma 4,
e l'art. 8 si porrebbero percio' in contrasto con l'art. 117, terzo e
quarto  comma,  della  Costituzione «anche in relazione all'art. 117,
secondo   comma,   lettera s),   e  agli  artt. 9,  32  e  33»  della
Costituzione.
    In  sesto  luogo,  l'art. 3,  comma 1  (che  affida ad un decreto
ministeriale «non regolamentare», adottato a seguito di intesa con la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province  autonome  di  Trento e Bolzano, la definizione delle «norme
quadro  per  la coesistenza»), l'art. 4, comma 3-bis, (che demanda al
predetto  decreto  la determinazione delle modalita' di funzionamento
del  fondo  di  ripristino dei danni conseguenti all'inosservanza del
piano  di  coesistenza)  e  l'art. 7, comma 2, (che attribuisce ad un
decreto  ministeriale,  adottato anch'esso a seguito di intesa con la
Conferenza  permanente  per  i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province   autonome  di  Trento  e  Bolzano,  l'organizzazione  e  le
modalita'   di   funzionamento   del  comitato  di  cui  alla  stessa
disposizione) e comma 4 (che prevede il ricorso alle modalita' di cui
all'art. 3,    comma 1,    in    ordine   alle   misure   concernenti
l'omogeneizzazione   delle   modalita'   di  controllo)  violerebbero
l'art. 117,  sesto comma, della Costituzione, «dovendosi escludere la
possibilita'  per  lo  Stato  di intervenire nella materia oggetto di
intervento (agricoltura) con atti normativi di rango sublegislativo»,
cui  le Regioni non soggiacciono nell'ambito della propria competenza
legislativa.
    In   particolare,  premessa  l'irrilevanza  della  qualificazione
legislativa   dell'atto   quale   «non   regolamentare»,  la  Regione
ricorrente  evidenzia  che  esso  non  si limita ad esprimere un mero
«coordinamento tecnico», poiche' pone in essere «norme quadro» per la
coesistenza,  benche'  lo  stesso  art. 8,  comma 6,  della  legge  5
giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento
della  Repubblica  alla  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3),
escluda  il  ricorso  da  parte  dello Stato agli atti di indirizzo e
coordinamento,  nelle  materie  di  cui  all'art. 117, terzo e quarto
comma, della Costituzione.
    Ove, invece, si ritenesse che il Governo intenda «autodelegare se
stesso»  in  deroga  all'art. 15,  comma 2,  lettera a),  della legge
23 agosto  1988,  n. 400  (Disciplina  dell'attivita'  di  Governo  e
ordinamento  della  Presidenza  del  Consiglio dei Ministri), sarebbe
leso  l'art. 76  della Costituzione, che impone il ricorso alla legge
in ordine all'atto di conferimento della delega legislativa.
    In  settimo  luogo,  anche  l'art. 5,  commi 3 e 4, (in relazione
all'obbligo  di  conservare  registri  aziendali  sulle  modalita' di
gestione  adottate da chi mette a coltura OGM e di definire, da parte
di Regioni e Province autonome, modalita' e procedure per la raccolta
dei dati) e l'art. 7 (che istituisce il Comitato consultivo presso il
Ministero   delle   politiche   agricole   e   forestali)   sarebbero
illegittimi,  per  violazione dell'art. 117, sesto comma, e 118 della
Costituzione,   poiche'  disciplinerebbero  «funzioni  amministrative
relative  ad  una materia di competenza legislativa regionale», senza
che  sussista alcuna ragione giustificatrice per la sottrazione delle
stesse al livello regionale.
    In  ottavo  luogo, l'invocata competenza legislativa regionale in
materia  di  «agricoltura»  imporrebbe,  in  forza  del principio del
parallelismo,  che  la disciplina dell'illecito amministrativo spetti
anch'essa  alla  Regione,  sicche'  sarebbe  illegittimo l'art. 6 del
decreto-legge  impugnato,  mediante il quale lo Stato, al comma 1, ha
introdotto  sanzioni amministrative pecuniarie, in caso di violazione
del piano di coesistenza.
    Infine,  la  ricorrente, con riguardo all'art. 3 e all'art. 4 del
decreto   legge  impugnato,  lamenta  che  l'adozione  del  piano  di
coesistenza  da  parte della Regione stessa debba avvenire attraverso
l'adozione  di  un  «provvedimento»,  e non tramite l' utilizzo della
fonte   ritenuta  discrezionalmente  piu'  idonea  nel  rispetto  dei
principi  internazionali e comunitari, quali potrebbe essere anche la
legge regionale.
    3. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il
rigetto del ricorso.
    La difesa erariale contesta, anzitutto, la riconducibilita' delle
norme impugnate alla materia «agricoltura».
    Esse,  infatti,  si  inserirebbero «nell'ambito di una produzione
normativa,  a livello europeo e nazionale, finalizzata, da un lato, a
non  vietare  l'immissione  in  commercio  di organismi geneticamente
modificati,  in  coerenza  con il principio di liberta' di iniziativa
economica,  e  dall'altro  a  circoscrivere  tale  facolta'  mediante
l'adozione  di  precauzioni tecniche idonee a contenere il rischio di
impatto ambientale e di danno alla salute».
    In  particolare,  l'Avvocatura  dello Stato fa presente che nella
direttiva  2001/18 CE e nel decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224
(Attuazione   della   direttiva  2001/18/CE  concernente  l'emissione
deliberata  nell'ambiente di organismi geneticamente modificati), che
le ha conferito attuazione, al principio di libera circolazione degli
OGM  si  accompagnano misure precauzionali che, anche in relazione al
Protocollo   di   Cartagena   sulla   biosicurezza,   impongono  «una
valutazione  preventiva  del  «rischio ambientale», nell'ambito della
quale  prevede  vengano  considerati  anche  i  potenziali danni alla
salute umana e animale».
    In  tale contesto, e a fronte di iniziative legislative regionali
intese  a  vietare  la  produzione  e  la  coltivazione di specie che
contengano  OGM  sull'intero territorio regionale - lo Stato rammenta
in proposito proprio la legge della Regione Marche 3 marzo 2004, n. 5
(Disposizioni  in  materia di salvaguardia delle produzioni agricole,
tipiche,  di qualita' e biologiche), impugnata innanzi a questa Corte
-,  le  norme  impugnate  avrebbero  lo  scopo  precipuo di «tutelare
l'ambiente  dai  rischi  di  commistione delle diverse colture», come
reso  esplicito in particolare dagli artt. 1, 2 e 3 del decreto-legge
n. 279 del 2004.
    La  stessa  ricorrente,  aggiunge lo Stato, riconosce che sarebbe
invocabile  la  potesta'  legislativa  esclusiva di cui all'art. 117,
primo   comma,  lettere e)  e  s),  della  Costituzione,  sicche'  il
decreto-legge  n. 279 del 2004 non avrebbe affatto invaso la sfera di
competenza legislativa regionale.
    Quand'anche    fosse   richiamabile   la   potesta'   legislativa
concorrente  in  materia  di  tutela  della  salute e degli alimenti,
infatti,  dovrebbe  ritenersi  che  le  norme impugnate si limitino a
determinare  i  principi  fondamentali,  «rinviando  alle  Regioni la
definizione  dei  piani  per  un'effettiva  coesistenza»;  quanto  al
decreto  ministeriale  di cui all'art. 3 del decreto-legge n. 279 del
2004,  esso «dovrebbe avere natura di atto di coordinamento tecnico»,
in  quanto  «finalizzato a raccordare le numerose e diverse normative
di  carattere  tecnico che le Regioni dovranno emanare con l'adozione
dei piani di coesistenza».
    Ne'  si  potrebbe  contestare  al  legislatore  statale  di avere
trascurato  i  profili  legati  alla ricerca scientifica preliminare,
che,  estranei  alle norme impugnate, trovano tuttavia disciplina nel
decreto  ministeriale  19 gennaio  2005,  n. 72  (Prescrizioni per la
valutazione  del  rischio per l'agrobiodiversita', i sistemi agrari e
la  filiera  agroalimentare, relativamente alle attivita' di rilascio
deliberato   nell'ambiente   di   OGM   per  qualsiasi  fine  diverso
dall'immissione sul mercato), in attuazione dell'art. 8, comma 6, del
d.lgs.  n. 224  del  2003  in  punto  di «valutazione del rischio per
l'agrobiodiversita».   Vengono   per   tale   via   disciplinati,  in
particolare,  i  protocolli  tecnici  per la gestione del rischio per
l'agrobiodiversita',  i sistemi agrari e la filiera agroalimentare in
caso  di  emissione  deliberata  nell'ambiente  di OGM, ed e' inoltre
garantita   la   consultazione   ed   informazione  pubblica  di  cui
all'art. 12  del  d.lgs.  n. 224  del  2003.  Le Regioni, cui sarebbe
precluso  inibire  sull'intero  proprio territorio le coltivazioni di
OGM   in   base  alla  decisione  della  Commissione 2003/653/CE  del
2 settembre 2003 (relativa alle disposizioni nazionali sul divieto di
impiego di organismi geneticamente modificati nell'Austria superiore,
notificate dalla Repubblica d'Austria a norma dell'art. 95, paragrafo
5,  del  trattato CE), potrebbero in ogni caso delimitare, sulla base
del piano di coesistenza, aree «OGM free».
    Infine,  lo  Stato reputa conforme a Costituzione il ricorso alla
decretazione  d'urgenza.  Per  un verso, posto che le norme impugnate
esulerebbero  dalla  sfera  di  competenza  legislativa regionale, la
censura  fondata  sulla  violazione  dell'art. 77  della Costituzione
sarebbe  inammissibile.  Per  altro  verso,  dovrebbe  escludersi  la
evidente  mancanza  dei  presupposti  di  straordinaria necessita' ed
urgenza,  alla  luce  della necessita' di prevenire l'introduzione da
parte di leggi regionali di divieti all'utilizzo di OGM, in contrasto
con  la  normativa  comunitaria  (la Commissione CE, osserva la parte
resistente,  avrebbe  gia'  autorizzato  la  commercializzazione e la
coltivazione  nel territorio comunitario di 17 varieta' geneticamente
modificate),  e  nel contempo della necessita' di «evitare il rischio
che  l'assenza  di  alcuna  regolamentazione  al riguardo consentisse
liberamente l'utilizzo di colture transgeniche senza l'adozione delle
necessarie cautele».
    Rileva,  pertanto,  il Presidente del Consiglio dei ministri, che
il  decreto-legge  in questione e la conseguente intesa in Conferenza
Stato-Regioni  del  3 febbraio  2005 permetterebbero «di differire la
coltivazione  di colture OGM fino al luglio 2006, in attesa dei piani
di coesistenza regionali».
    Inoltre, la decretazione d'urgenza poggerebbe sulla necessita' di
conferire  tempestiva attuazione alla raccomandazione 2003/556/CE del
23 luglio    2003    (Raccomandazione   della   Commissione   recante
orientamenti  per  lo  sviluppo  di  strategie  nazionali  e migliori
pratiche  per  garantire  la  coesistenza  tra  colture transgeniche,
convenzionali  e  biologiche),  la quale, a propria volta, si sarebbe
«resa   necessaria»   in   forza   dell'art. 43  del  regolamento  CE
n. 1829/2003   del  22 settembre  2003  (Regolamento  del  Parlamento
europeo   e  del  Consiglio  relativo  agli  alimenti  e  ai  mangimi
geneticamente  modificati),  che  ha  introdotto  l'art. 26-bis nella
direttiva  2001/18/CE,  il quale impegna gli Stati membri ad adottare
tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM
in altri prodotti.
    Infine,  l'invocato obbligo di consultazione del pubblico sarebbe
gia'   stato  assolto  sulla  base  delle  procedure  previste  dalla
direttiva   2001/18/CE,   posto  che  la  raccomandazione 2003/556/CE
avrebbe ad oggetto i soli prodotti OGM gia' autorizzati sulla base di
tale normativa comunitaria.
    4.   -  E'  intervenuta  in  giudizio  l'Associazione  Sementieri
Mediterranei   (AS.SE.ME),   «che   rappresenta  statutariamente  gli
interessi  delle  industrie  sementiere  nazionali»,  concludendo per
l'accoglimento del ricorso.
    In  via  preliminare,  l'Associazione  ritiene  di  poter fondare
l'ammissibilita'  del proprio intervento sulla circostanza per cui il
ricorso  alla  decretazione d'urgenza avrebbe impedito lo svolgimento
delle  consultazioni  con  la cittadinanza, imposte dal Protocollo di
Cartagena,  recepito dall'art. 23 della direttiva 2001/18/CE, sicche'
l'intervento  in  giudizio  costituirebbe  «il solo strumento offerto
dall'ordinamento per reagire contro la lesione del proprio diritto di
partecipare  al  processo decisionale relativo agli organismi viventi
modificati».
    Nel merito, l'interveniente sottolinea il carattere irreversibile
dei  danni  a  salute ed ambiente che la coltivazione di OGM «a cielo
aperto»  potrebbe  comportare,  invitando  questa  Corte  a  disporre
istruttoria sul punto.
    In  ragione  di tali premesse, l'interveniente sottolinea come la
Regione  Marche abbia vietato, con la citata legge regionale n. 5 del
2004,  la  coltivazione  di  OGM sul proprio territorio; posto che il
ricorso   dello   Stato   avverso  tale  legge  e'  stato  dichiarato
inammissibile  da  questa  Corte  con  la  sentenza  n. 150 del 2005,
«dovrebbe concludersi nel senso della radicale inapplicabilita' della
disciplina  statale  introdotta dal decreto legge impugnato», poiche'
la  Regione  avrebbe  gia' esercitato la propria potesta' legislativa
nella materia «agricoltura».
    5. - Nell'imminenza dell'udienza, la Regione Marche ha depositato
memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso.
    Dopo  avere replicato alle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato,
la   ricorrente  ribadisce  che  «la  immissione  nella  specificita'
territoriale   della   coltura   e   delle   tecniche  di  produzione
transgeniche» non potrebbe «non essere classificata all'interno della
materia  «agricoltura»»,  oggetto  di  potesta' legislativa residuale
della  Regione,  tenendo  conto  della  «specificita' territoriale» e
corrispondendo ai «differenti bisogni delle agricolture nazionali».
    Viene  altresi' sostenuto nuovamente che l'intervento legislativo
statale  porrebbe norme di dettaglio in materia oggetto di competenza
concorrente  (tutela  della  salute),  precludendo  alla  Regione  la
individuazione  di  uno  standard  di  tutela piu' rigoroso, sanche a
presidio dell'ambiente.
    Tale  potesta' regionale sarebbe inoltre conseguente al principio
comunitario  di precauzione, il quale comporterebbe «l'illegittimita'
di  una normativa comunitaria che imponga ai singoli Stati il divieto
di  misure precauzionali piu' rigide» e la garanzia che «le finalita'
ambientali  possono  essere  realizzate  dalla normativa regionale in
materia  di  competenza  propria o concorrente proprio al fine di una
maggiore protezione dell'ambiente».
    In attuazione di tale principio, prosegue la Regione Marche, sono
intervenute numerose leggi regionali, non impugnate dallo Stato.
    La  ricorrente  insiste  anche  sulla  gia' denunciata violazione
dell'art. 117,  sesto  comma,  della  Costituzione, poiche' lo Stato,
tramite gli artt. 3, comma 1, 4, comma 3-bis, 7, comma 2, 7, comma 4,
dell'impugnato   decreto-legge   n. 279   del  2004,  avrebbe  inteso
disciplinare  materia  di  competenza  regionale,  mediante  un  atto
normativo  «di rango sublegislativo», seppure artatamente qualificato
quale  «non  regolamentare»,  allo  scopo  di  eludere  la previsione
costituzionale.
    In  conclusione,  la  Regione  Marche  insiste nelle censure gia'
svolte  e  conclude  nuovamente  affinche'  le  norme impugnate siano
dichiarate costituzionalmente illegittime.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La Regione Marche ha impugnato gli articoli 1, 2, 3, 4, 5,
commi 3  e  4,  6,  7  e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279
(Disposizioni  urgenti  per assicurare la coesistenza tra le forme di
agricoltura   transgenica,  convenzionale  e  biologica),  nel  testo
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, per
violazione  degli artt. 117, commi primo, secondo, lettera s), terzo,
quarto,  quinto e sesto, e 118 della Costituzione, anche in relazione
agli artt. 9, 32, 33, 72, 76 e 77 della Costituzione.
    La   ricorrente   afferma,  anzitutto,  la  «assenza  palese  dei
presupposti   di   straordinaria  necessita'  ed  urgenza»  richiesti
dall'art. 77  della  Costituzione,  posto il carattere non vincolante
della raccomandazione 2003/556/CE e la necessita', invece, sulla base
della  normativa  comunitaria  ed  internazionale,  di  realizzare in
materia forme di «consultazione e di dibattito ampio e condiviso»: da
cio'  la  violazione  degli articoli 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione,  con  riferimento  agli  artt. 72,  76, 77 e 117, primo
comma, della Costituzione.
    Tutte  le  norme  impugnate  sarebbero  altresi' in contrasto con
l'art. 117,  commi  secondo, lettera s), terzo, quarto e quinto della
Costituzione,   con  riferimento  all'art. 117,  primo  comma,  della
Costituzione,   poiche'  pregiudicherebbero  interventi  regionali  a
tutela  dell'ambiente  e  della  salute  umana,  animale  e vegetale,
secondo i principi di prevenzione e precauzione.
    Inoltre, tutte le norme censurate violerebbero l'art. 117, quarto
comma,  della  Costituzione,  giacche'  recherebbero  una  disciplina
vertente nella materia «agricoltura», oggetto di potesta' legislativa
residuale:  la  minuziosa disciplina contenuta, in particolare, negli
articoli 2,  3, 4, 5, commi 3 e 4, 7 e 8 del decreto-legge impugnato,
sottrarrebbe  in  modo  palese  alle Regioni il controllo del settore
agricolo relativo agli OGM.
    La   natura   dettagliata  di  tali  norme  le  renderebbe  anche
illegittime   con   riferimento  alle  materie  oggetto  di  potesta'
legislativa  concorrente  dell' «alimentazione» e della «tutela della
salute».
    Ne'  lo Stato potrebbe appellarsi ad obblighi di attuazione della
normativa   comunitaria   al   di   fuori   delle   materie  indicate
dall'art. 117,  secondo  comma,  della  Costituzione, se non violando
anche l'art. 117, quinto comma, della Costituzione.
    Inoltre, premesso che la tutela dell'ambiente non potrebbe essere
prerogativa  esclusiva  dello  Stato,  laddove incida su interessi di
competenza   regionale,   le   disposizioni   impugnate   lederebbero
l'articolo 117,  terzo  e  quarto comma, della Costituzione «anche in
relazione all'art. 117, secondo comma, lettera s), e agli artt. 9, 32
e 33 della Costituzione».
    Gli  articoli 3,  comma 1,  4, comma 3-bis, e 7, commi 2 e 4, del
decreto-legge   impugnato   violerebbero   anche   il   sesto   comma
dell'art. 117   della   Costituzione,   poiche'   tali   disposizioni
disciplinerebbero    l'adozione   di   «atti   normativi   di   rango
sublegislativo» in una materia che e' oggetto di potesta' legislativa
residuale  della Regione. Qualora, invece, si ritenesse che tali atti
abbiano    carattere   primario,   sarebbe   leso   l'art. 76   della
Costituzione.
    Gli  artt. 5,  commi 3  e  4,  e  7  del  decreto-legge impugnato
violerebbero  anche  gli  articoli 117,  sesto  comma,  e  118  della
Costituzione,  poiche'  disciplinerebbero  funzioni amministrative di
spettanza  regionale,  in  difetto  dei presupposti per allocare tali
competenze a livello centrale.
    L'art. 6  del decreto-legge impugnato, a sua volta, violerebbe il
principio   del   parallelismo  tra  competenza  a  disciplinare  una
determinata   materia  ed  introduzione  di  sanzioni  amministrative
pecuniarie vertenti sulla medesima.
    Infine,  illegittimamente  gli  articoli 3  e 4 del decreto-legge
impugnato  imporrebbero  l'adozione dei piani di coesistenza mediante
«provvedimento», anziche' mediante legge regionale.
    2.   -   Preliminarmente   va   dichiarata   la  inammissibilita'
dell'intervento dell'Associazione Sementieri Mediterranei (AS.SE.ME),
dal  momento  che  il  giudizio  in via principale si svolge di norma
esclusivamente   fra  i  titolari  delle  competenze  legislative  in
contestazione,  secondo  quanto  questa  Corte  ha  gia'  piu'  volte
affermato (fra le molte, le sentenze n. 51 del 2006, n. 383, n. 336 e
n. 150 del 2005, n. 196 del 2004).
    3.   -  Inammissibile  e'  la  censura  sollevata  dalla  Regione
ricorrente   in   riferimento   alla   mancata   consultazione  delle
popolazioni interessate prima di adottare le norme impugnate, secondo
quanto  prescriverebbe  la  normativa  comunitaria ed internazionale:
anche   volendosi   prescindere   dalla  dubbia  riferibilita'  delle
disposizioni  comunitarie e internazionali richiamate ai procedimenti
legislativi, le Regioni non sono legittimate a far valere nei ricorsi
in  via  principale  gli ipotetici vizi nella formazione di una fonte
primaria  statale,  se  non «quando essi si risolvano in violazioni o
menomazioni  delle  competenze» regionali (in particolare le sentenze
n. 398  del  1998;  fra  le molte analoghe anche le sentenze n. 383 e
n. 50 del 2005).
    Del  pari inammissibili sono le censure che la ricorrente svolge,
evocando  a parametro l'art. 117, secondo comma, lettera s), anche in
relazione agli artt. 9, 32 e 33 della Costituzione.
    I suddetti parametri, secondo la ricorrente, sarebbero invocabili
in  forza del «diritto-dovere» della Regione «ad intervenire nel caso
di inadempimento statale, a tutela della popolazione di cui la stessa
e'  espressione  in  ordine  a  materie  e  valori costituzionalmente
garantiti».  Al  riguardo,  tuttavia,  va osservato che il perimetro,
entro il quale assumono rilievo gli interessi al cui perseguimento e'
tesa  l'attivita' legislativa, risulta rigorosamente conformato dalle
norme  costituzionali  attributive  di  competenza,  sicche'  non  e'
concesso  alla  Regione  di  dedurre,  a  fondamento  di  un  proprio
ipotetico  titolo di intervento, una competenza primaria riservata in
via  esclusiva  allo  Stato,  neppure  quando  essa  si intreccia con
distinte   competenze  di  sicura  appartenenza  regionale:  saranno,
semmai,  queste  ultime  a  poter  essere  dedotte a fondamento di un
ricorso  di legittimita' costituzionale in via principale promosso da
una Regione.
    Quanto  agli  artt. 9,  32  e 33 della Costituzione, fermo quanto
appena  precisato  circa  l'ambito  entro  cui  interessi, principi e
valori  costituzionali  assumono  rilievo ai fini del giudizio in via
principale delle leggi promosso dalle Regioni, non puo' che ribadirsi
che  queste  possono far valere il contrasto con norme costituzionali
diverse  da  quelle attributive di competenza legislativa soltanto se
esso si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali,
senza   che  possano  avere  rilievo  denunce  di  illogicita'  o  di
violazione  di  principi  costituzionali che non ridondino in lesione
delle  sfere di competenza regionale (tra le molte, sentenze n. 383 e
n. 50 del 2005; n. 287 del 2004).
    4.  -  L'esame  nel  merito  delle questioni di costituzionalita'
poste  alla  Corte  esige  un previo chiarimento del quadro normativo
comunitario e nazionale in tema di organismi geneticamente modificati
(OGM).
    4.1.  -  La direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 (Direttiva del
Parlamento   europeo   e   del  Consiglio  sull'emissione  deliberata
nell'ambiente  di  organismi  geneticamente modificati, che abroga la
direttiva  90/220/CEE  del  Consiglio) costituisce il testo normativo
fondamentale,  in punto sia di «immissione in commercio» di OGM (tale
essendo,  ai sensi dell'art. 2, comma 1, numero 2, di detta direttiva
«un  organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico
e'  stato  modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con
l'accoppiamento  e/o  la  ricombinazione  genetica naturale»), sia di
«emissione deliberata» di OGM nell'ambiente.
    Tali  nozioni,  benche' distinte e fondate su separate previsioni
normative   (sentenza   n. 150  del  2005),  sono  nel  loro  insieme
sufficientemente  ampie  per ricomprendervi ogni fase dell'impiego di
OGM   in  agricoltura,  una  volta  superate  le  complesse  fasi  di
autorizzazione  previste  dalla  medesima  direttiva:  tali procedure
comportano una penetrante valutazione, caso per caso, degli eventuali
rischi  per  l'ambiente e la salute umana, connessi all'immissione in
commercio, ovvero anche all'emissione di ciascun OGM ai fini dell'uso
agricolo.
    Le originarie disposizioni in tema di coltivazione degli OGM sono
state  specificate  dalla  decisione della Commissione n. 2002/623/CE
del   24 luglio   2002  (recante  note  orientative  ad  integrazione
dell'Allegato  II  della  direttiva  2001/18/CE) che ha ulteriormente
arricchito  i  criteri  cui  attenersi per la valutazione del rischio
ambientale,  anche  con  particolare  ed  espresso  riferimento  alle
«pratiche agricole».
    Sulla  base  di tali presupposti, il regolamento n. 1829/2003 del
22 settembre 2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio
relativo  agli  alimenti  ed  ai  mangimi  geneticamente modificati),
disciplinando  con  analoghe forme di tutela il regime degli alimenti
geneticamente   modificati,   ha   chiarito   (art. 7,  comma 5)  che
«l'autorizzazione  concessa  secondo  la procedura [...] e' valida in
tutta  la  comunita»,  ed  ha  introdotto  nel  corpo della direttiva
2001/18/CE  l'art. 26 bis, secondo il quale «gli Stati membri possono
adottare   tutte   le   misure  opportune  per  evitare  la  presenza
involontaria di OGM in altri prodotti». Questa stessa disposizione si
riferisc   espressamente   anche   alla   «coesistenza   tra  culture
transgeniche, convenzionali ed organiche».
    Con  cio'  si  viene  a completare il quadro di tutela approntato
dalla normativa comunitaria in tema di OGM a presidio dell'ambiente e
della salute.
    Su un piano connesso, ma distinto, la raccomandazione 2003/556/CE
del   23 luglio   2003  (Raccomandazione  della  Commissione  recante
orientamenti  per  lo  sviluppo  di  strategie  nazionali  e migliori
pratiche  per  garantire  la  coesistenza  tra  culture transgeniche,
convenzionali  e biologiche) disciplina in modo espresso ed analitico
la  coesistenza  tra culture transgeniche, convenzionali e biologiche
nell'ambito  della  produzione  agricola,  ponendo  inoltre  come sua
esplicita  premessa  il  principio  che «nell'Unione europea non deve
essere  esclusa alcuna forma di agricoltura, convenzionale, biologica
e che si avvale di OGM» (primo «considerando»).
    Al  riguardo,  deve  essere evidenziato che tale raccomandazione,
muovendo  dalla  premessa  secondo  cui  «gli  aspetti  ambientali  e
sanitari» connessi alla coltivazione di OGM sono affrontati e risolti
esaustivamente alla luce del regime autorizzatorio disciplinato dalla
direttiva  2001/18/CE,  circoscrive  espressamente  il  proprio campo
applicativo  ai soli «aspetti economici connessi alla commistione tra
culture   transgeniche   e   non  transgeniche»,  in  relazione  alle
«implicazioni»   che   l'impiego   di   OGM   puo'  comportare  sulla
«organizzazione  della  produzione agricola» (introduzione, paragrafo
1.1).
    Si  tratta  di  «orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non
vincolanti  rivolte  agli Stati membri», il cui campo di applicazione
si  estende dalla produzione agricola a livello dell'azienda al primo
punto di vendita, ossia «dal seme al silo» (punto 1.5).
    Il  fatto  che  l'impiego  di  OGM autorizzati in agricoltura sia
garantito  dalla  normativa comunitaria ha trovato ulteriore conferma
nella decisione 2003/653/CE della Commissione europea del 2 settembre
2003  (relativa alle disposizioni nazionali sul divieto di impiego di
organismi geneticamente modificati nell'Austria superiore, notificate
dalla Repubblica d'Austria a norma dell'art. 95, par. 5, del Trattato
CE),  con  cui, ai sensi dell'art. 95 del Trattato, e' stato respinto
un  progetto  di  legge  del  Land  dell'Austria  superiore, inteso a
vietare  in via generale sul proprio territorio l'utilizzo di OGM, al
fine  di proteggere i sistemi di produzione agricola tradizionali. In
questa  decisione si e' affermato che, in presenza delle disposizioni
comunitarie  in  materia miranti a «ravvicinare la legislazione degli
Stati  membri»,  questi  ultimi  non possono impedire la coltivazione
delle  sementi OGM autorizzate, ma semmai eventualmente utilizzare la
apposita «clausola di salvaguardia» di cui all'art. 23 della medesima
direttiva, peraltro sempre in riferimento all'impiego di singoli OGM.
    4.2.  -  Per  cio'  che  riguarda la normativa italiana in questa
materia,  il  decreto  legislativo  8 luglio  2003 n. 224 (Attuazione
della   direttiva   2001/18/CE   concernente  l'emissione  deliberata
nell'ambiente  di  organismi  geneticamente modificati), recependo la
direttiva  2001/18/CE,  pone  un'analitica  e complessa disciplina di
tutela  allo specifico fine di «proteggere la salute umana, animale e
l'ambiente  relativamente  alle  attivita'  di  rilascio di organismi
geneticamente modificati» (art. 1, comma 1).
    Con   specifico  riguardo  all'impiego  di  OGM  in  agricoltura,
l'art. 8,  comma 2,  lettera c),  del medesimo d.lgs. n. 224 del 2003
impone  che  la  notifica  preliminare all'emissione nell'ambiente di
OGM,  necessaria  ai fini dell'autorizzazione da parte dell'autorita'
nazionale  competente,  contenga  la  «valutazione  del  rischio  per
l'agrobiodiversita', i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, in
conformita'  alle  prescrizioni  stabilite  dal  decreto»  di  cui al
successivo comma 6.
    E'  palese  la  strumentalita'  della disciplina cosi' approntata
rispetto  a  finalita'  di  tutela  dell'ambiente  e della salute: il
Ministro  dell'ambiente  e'  individuato  come  «autorita'  nazionale
competente»   (art. 2);   presso  il  Ministero  dell'ambiente  viene
costituita  una  «Commissione  interministeriale di valutazione» (con
una  presenza solo minoritaria di rappresentanti regionali) (art. 6);
si  regolano  analiticamente  procedure di autorizzazione, controllo,
vigilanza,  sanzionate  anche penalmente, e si introduce l'obbligo di
risarcimento  per  chi provochi, in violazione delle disposizioni del
decreto   legislativo   stesso,  danni  «alle  acque,  al  suolo,  al
sottosuolo  e  ad altre risorse ambientali» che non siano eliminabili
«con la bonifica ed il ripristino ambientale» (art. 36).
    Il  decreto  interministeriale previsto dall'art. 8, comma 6, del
d.lgs.  n. 224  del  2003  e'  stato adottato in data 19 gennaio 2005
(Prescrizioni per la valutazione del rischio per l'agrobiodiversita',
i  sistemi  agrari  e  la  filiera  agroalimentare relativamente alle
attivita'  di  rilascio deliberato nell'ambiente di OGM per qualsiasi
fine  diverso  dall'immissione  sul  mercato): questo testo normativo
reca    dettagliate    previsioni   concernenti   il   «rischio   per
l'agrobiodiversita',  i  sistemi agrari e la filiera agroalimentare»,
attribuendo  ad un decreto interministeriale il potere di definire «i
protocolli  tecnici  operativi  per  la  gestione  del  rischio delle
singole  specie  GM»  (art. 1,  comma 2).  Al  tempo  stesso,  alcune
funzioni  vengono  attribuite  alle  Regioni  e  queste compongono in
maggioranza il Comitato tecnico di coordinamento, che opera presso il
Ministero delle politiche agricole e forestali.
    In   particolare,   si   prevede   che  la  emissione  degli  OGM
nell'ambiente,  per  qualsiasi  fine  diverso  dalla  immissione  sul
mercato,  debba  avvenire  in  appositi  «siti»  - e cioe' terreni di
proprieta'  o  gestiti «da istituti di ricerca pubblici, universita',
enti  di  sviluppo  agricolo, sistema delle agenzie per la protezione
dell'ambiente  (APAT/ARPA), regioni e province autonome, enti locali»
- individuati dalle Regioni interessate (art. 3).
    4.3  -  In  tale  contesto  e' stato approvato il testo normativo
oggetto  del  presente  giudizio e cioe' il decreto-legge 22 novembre
2004,  n. 279 (Disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra
le  forme  di  agricoltura  transgenica,  convenzionale e biologica),
successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio
2005,  n. 5: testo normativo che esplicitamente si dichiara attuativo
della raccomandazione 2003/556/CE, al fine di disciplinare il «quadro
normativo  minimo  per  la coesistenza tra le colture transgeniche, e
quelle  convenzionali e biologiche» ed esclude, invece, dalla propria
area  di  competenza le colture per fini di ricerca e sperimentazione
autorizzate ai sensi del d.m. 19 gennaio 2005.
    Gli  artt. 1  e  2  del  decreto-legge  impugnato  muovono  dalla
sussistenza del principio, di derivazione comunitaria, di coesistenza
tra  le colture transgeniche e quelle convenzionali e biologiche, per
poi articolarlo in alcune regole generali.
    L'adozione  delle  «misure  di  coesistenza»  necessarie per dare
ulteriore   attuazione   a  tale  principio  e',  peraltro,  affidata
dall'art. 3  del  decreto-legge  n. 279  del  2004  ad un decreto «di
natura  non  regolamentare»  del Ministro per le politiche agricole e
forestali,  «adottato  d'intesa  con  la  Conferenza permanente per i
rapporti  tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e
di  Bolzano,  emanato  previo  parere  delle  competenti  Commissioni
parlamentari».  A questo atto e' attribuito il potere di definire «le
norme quadro per la coesistenza», in coerenza con le quali le Regioni
approveranno  i  propri  piani  di  coesistenza,  adottando  appositi
«provvedimenti»  (artt. 3  e 4); questo stesso atto statale individua
«le  diverse  tipologie  di  risarcimento dei danni» per inosservanza
delle  misure  del  piano di coesistenza e definisce «le modalita' di
accesso  del conduttore agricolo danneggiato al Fondo di solidarieta'
nazionale»;   esso  disciplina  inoltre  le  forme  di  utilizzo  «di
specifici  strumenti  assicurativi  da parte dei conduttori agricoli»
(art. 5,  comma 1-ter)  e  definisce  «le  modalita'  di  accesso del
conduttore  agricolo  danneggiato  al  Fondo di solidarieta» (art. 4,
comma 3-bis);  infine,  con  un  atto  analogo si deliberano le norme
sulle «modalita' di controllo» (art. 7, comma 4).
    In  questo  contesto,  il  piano  di  coesistenza e' adottato con
«provvedimento»  di ciascuna Regione e Provincia autonoma e «contiene
le   regole   tecniche  per  realizzare  la  coesistenza,  prevedendo
strumenti  che garantiscono la collaborazione degli enti territoriali
locali, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e
adeguatezza» (art. 4.1).
    Fino  all'adozione  dei singoli piani di coesistenza, «le colture
transgeniche,  ad eccezione di quelle autorizzate per fini di ricerca
e di sperimentazione, non sono consentite» (art. 8).
    Infine  l'art. 7 prevede un altro organo consultivo nazionale, il
«Comitato   consultivo   in   materia   di  coesistenza  tra  colture
transgeniche, convenzionali e biologiche», a composizione mista e con
una  presenza  minoritaria  di  esperti  designati  dalla  Conferenza
permanente Stato-Regioni.
    5.  - Alla luce del quadro normativo appena indicato e' possibile
affrontare il merito delle questioni poste dalla Regione ricorrente.
    Infondata   e'   anzitutto   la  censura  relativa  alla  lesione
dell'art. 77  della  Costituzione  sulla  base  della asserita palese
carenza dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza, anche
a  volerla  considerare  ammissibile in quanto intesa a far valere in
via indiretta una lesione delle competenze regionali.
    Premesso  che,  rispetto  alla sussistenza dei presupposti di cui
all'art. 77  della  Costituzione,  il  sindacato  di  questa Corte e'
circoscritto a verificare l'eventuale carattere «evidente» della loro
supposta  carenza  (tra le molte, le sentenze n. 272 del 2005 e n. 62
del  2005, n. 6 del 2003), vi e' da considerare nel caso in questione
la  necessita'  di  superare  con immediatezza la situazione prodotta
dalla  vigenza  di  diverse  leggi  regionali  che  prescrivevano, in
termini piu' o meno rigorosi, il divieto di impiego, ovvero l'obbligo
di   attenersi  a  particolari  limitazioni  di  impiego,  degli  OGM
autorizzati      dalla      comunita'      europea,     mentre     la
raccomandazione 2003/556/CE  muove dal presupposto che sia lecito nel
diritto  comunitario  l'impiego  nella  produzione  agricola  di OGM,
purche'  autorizzati.  Specie  dopo  la  decisione 2003/653/CE  della
Commissione  europea,  puo'  essere  pacificamente escluso l'asserito
manifesto  difetto  di  una situazione di straordinaria necessita' ed
urgenza  ai fini dell'adozione di un testo normativo che eliminasse o
riducesse  una  situazione  di  evidente  contrasto  con  il  diritto
comunitario,  e  consentisse  di  avviare,  pur nel doveroso rispetto
delle   competenze  regionali,  un  procedimento  di  attuazione  del
principio  di coesistenza tra colture, con la celerita' imposta dall'
«imminente  approvvigionamento delle sementi per la prossima campagna
di semina».
    6. - Per risolvere le ulteriori questioni poste dal ricorso della
Regione ricorrente, occorre confrontare il complesso quadro normativo
in  tema  di  organismi  geneticamente modificati con la ripartizione
delle competenze che e' contenuta nel Titolo V della Costituzione.
    Non  vi  sono  dubbi  che  il  d.lgs.  8 luglio  2003  n. 224, di
ricezione della direttiva 2001/18/CE, ed il d.m. 19 gennaio 2005, che
ad   esso   ha   dato   attuazione,   operano  in  un'area  normativa
riconducibile  in  via  primaria alla tutela dell'ambiente, e solo in
via  secondaria alla tutela della salute e della ricerca scientifica.
D'altronde  appare  significativo  del  condiviso  primato in materia
dello  Stato,  pur in presenza di alcune competenze regionali, sia il
riconoscimento  in  esse di un ruolo sostanzialmente secondario delle
Regioni,  sia  la stessa mancata impugnativa di questi atti normativi
statali da parte delle Regioni.
    Diverso  e'  l'esito del processo di individuazione della materia
entro  cui  ricondurre  la coltivazione degli organismi geneticamente
modificati a fini produttivi.
    Il  decreto-legge  n. 279  del 2004, oggetto di ricorso, e' stato
espressamente  adottato  «in  attuazione  della raccomandazione della
Commissione 2003/556/CE    del   23 luglio   2003»   (art. 1),   atto
comunitario   che   disciplina   l'«organizzazione  della  produzione
agricola»  per  gli  aspetti  «economici» conseguenti all'utilizzo in
agricoltura  di  OGM  ed,  invece,  estraneo  a profili «ambientali e
sanitari».  Si  tratta  di un atto comunitario che si inserisce in un
preesistente  quadro  normativo vincolante, relativo alla prevenzione
di  potenziali  pregiudizi  per  l'ambiente  e la salute umana legati
all'impiego  di  OGM. Inoltre, nel formulare tale raccomandazione, la
Commissione europea muove dal presupposto, ormai non piu' controverso
nel  diritto comunitario, costituito dalla facolta' di impiego di OGM
in agricoltura, purche' autorizzati.
    Per   la   parte,  quindi,  che  si  riferisce  al  principio  di
coesistenza    e    che    implicitamente   ribadisce   la   liceita'
dell'utilizzazione  in  agricoltura  degli  OGM autorizzati a livello
comunitario,  il legislatore statale con l'adozione del decreto-legge
n. 279  del  2004  ha  esercitato la competenza legislativa esclusiva
dello Stato in tema di tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma,
lettera s, della Costituzione), nonche' quella concorrente in tema di
tutela  della salute (art. 117, terzo comma, della Costituzione), con
cio'   anche  determinando  l'abrogazione  per  incompatibilita'  dei
divieti  e delle limitazioni in tema di coltivazione di OGM che erano
contenuti in alcune legislazioni regionali.
    Infatti,  la  formulazione  e  specificazione  del  principio  di
coesistenza  tra  colture  transgeniche,  biologiche e convenzionali,
rappresenta  il  punto  di  sintesi  fra  i  divergenti interessi, di
rilievo  costituzionale,  costituiti  da  un  lato  dalla liberta' di
iniziativa  economica  dell'imprenditore  agricolo  e dall'altro lato
dall'  esigenza che tale liberta' non sia esercitata in contrasto con
l'utilita'  sociale,  ed  in particolare recando danni sproporzionati
all'ambiente e alla salute.
    Va  aggiunto  che  l'imposizione  di  limiti  all'esercizio della
liberta'   di  iniziativa  economica,  sulla  base  dei  principi  di
prevenzione e precauzione nell'interesse dell'ambiente e della salute
umana, puo' essere giustificata costituzionalmente solo sulla base di
«indirizzi  fondati  sulla  verifica  dello  stato  delle  conoscenze
scientifiche   e   delle  evidenze  sperimentali  acquisite,  tramite
istituzioni  e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a cio'
deputati, dato l'essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli
organi tecnico scientifici» (sentenza n. 282 del 2002).
    Inoltre,  l'elaborazione  di tali indirizzi non puo' che spettare
alla  legge  dello  Stato,  chiamata  ad  individuare  il  «punto  di
equilibrio fra esigenze contrapposte» (sentenza n. 307 del 2003), che
si  imponga,  in  termini  non derogabili da parte della legislazione
regionale,  uniformemente  sull'intero territorio nazionale (sentenza
n. 338 del 2003).
    Sulla  base  di  tali  premesse, sono da ritenersi non fondate le
censure  rivolte avverso gli artt. 1 e 2 del decreto-legge n. 279 del
2004,  giacche'  tali  disposizioni,  nel  fornire una definizione di
colture   transgeniche,   biologiche   e  convenzionali  (art. 1),  e
nell'affermare  il principio di coesistenza di tali colture, in forme
tali  da  «tutelarne  le  peculiarita' e le specificita' produttive»,
sono  espressive della competenza esclusiva dello Stato nella materia
«tutela  dell'ambiente», e della competenza concorrente nella materia
«tutela della salute».
    7.  -  Venendo  all'esame  delle  questioni poste sulle ulteriori
disposizioni  impugnate, la Corte osserva che, mentre il rispetto del
principio  di  coesistenza delle colture transgeniche con le forme di
agricoltura  convenzionale e biologica inerisce ai principi di tutela
ambientale elaborati dalla normativa comunitaria e dalla legislazione
statale,   invece   la   coltivazione   a  fini  produttivi  riguarda
chiaramente il «nocciolo duro della materia agricoltura, che ha a che
fare   con   la   produzione   di   vegetali   ed  animali  destinati
all'alimentazione» (come si esprime la sentenza di questa Corte n. 12
del  2004). Infatti, il decreto-legge n. 279 del 2004, mentre esclude
in  modo  espresso  dalla  sua  area  di efficacia proprio le colture
transgeniche  realizzate sulla base del d.m. 19 gennaio 2005, atto di
attuazione  del  d.lgs.  8 luglio  2003  n. 224  (che,  a  sua volta,
recepisce  la  direttiva 2001/18/CE), mira palesemente a disciplinare
la produzione agricola in presenza anche di colture transgeniche.
    Cio'   non  toglie  che  questa  disciplina,  pur  essenzialmente
riferita  alla  materia  agricoltura,  di competenza delle Regioni ai
sensi  del  quarto comma dell'art. 117 Cost. (sentenze n. 282 e n. 12
del  2004), debba o possa essere accompagnata dal parallelo esercizio
della  legislazione  statale  in ambiti di esclusiva competenza dello
Stato  (come,  ad  esempio,  per  quanto  attiene alla disciplina dei
profili della responsabilita' dei produttori agricoli) o in ambiti di
determinazione  dei  principi  fondamentali,  ove  vengano  in  gioco
materie legislative di tipo concorrente.
    Tale   non  e'  tuttavia  il  caso  degli  artt. 3,  4  e  7  del
decreto-legge  n. 279 del 2004, quali convertiti dalla legge n. 5 del
2005.
    In  queste  norme  anzitutto  si  stabiliscono  le  modalita' per
adottare le «norme quadro per la coesistenza» (art. 3), prevedendo un
atto  statale  dalla  indefinibile  natura giuridica (cui peraltro si
attribuisce  la  disciplina  di  materie  che necessiterebbero di una
regolamentazione  tramite  fonti  primarie).  In  secondo  luogo,  si
prevede  lo sviluppo ulteriore di queste «norme quadro» tramite piani
regionali  di  natura amministrativa (art. 4). Scelte del genere sono
peraltro  lesive  della  competenza  legislativa  delle Regioni nella
materia  agricoltura, dal momento che non puo' essere negato, in tale
ambito, l'esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni per
disciplinare   le   modalita'   di   applicazione  del  principio  di
coesistenza  nei  diversi  territori  regionali,  notoriamente  molto
differenziati  dal  punto  di vista morfologico e produttivo. Infine,
neppure  appare  giustificabile  la  creazione  di  un  nuovo  organo
consultivo statale, strettamente strumentale all'esercizio dei poteri
ministeriali di cui all'art. 3 (art. 7).
    Tali    disposizioni    devono    pertanto    essere   dichiarate
costituzionalmente illegittime.
    Del  pari,  va  dichiarata  la  illegittimita' costituzionale del
primo  comma  dell'art. 6  del  decreto-legge  n. 279 del 2004, quale
convertito   dalla   legge   n. 5   del  2005,  dal  momento  che  la
regolamentazione  delle  sanzioni  amministrative  spetta al soggetto
nella  cui sfera di competenza rientra la disciplina della materia la
cui inosservanza e' in tal modo sanzionata (fra le molte, le sentenze
n. 63 del 2006; n. 384 e n. 50 del 2005).
    Quanto  agli artt. 5, commi 3 e 4, ed 8, prescindendosi in questa
sede  dalle censure avanzate dalla ricorrente, appare sufficiente per
la   loro   dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale   la
constatazione che le loro discipline si pongono in nesso inscindibile
con  le  norme  che  questa Corte ha appena ritenuto illegittime, con
particolare riferimento alle «norme quadro» statali di cui all'art. 3
del  decreto-legge  n. 279  del  2004  ed  ai  piani  di  coesistenza
regionali di cui all' art. 4 del medesimo testo normativo.
    Del  pari  va  dichiarato  illegittimo l'art. 6, comma 2, recante
sanzioni   penali   in   caso   di  inosservanza  del  divieto  posto
dall'art. 8, a causa del suo stretto rapporto con quanto disciplinato
in tale ultima disposizione.