IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento penale n. 21485/05 R.G. n. R. a carico di Marincovic Goran, imputato del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter primo periodo, come modificato dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, perche', cittadino straniero, destinatario di provvedimento del Questore di Torino, (notificatogli il 7 ottobre 2005 a seguito di decreto di espulsione del Prefetto fondato sui motivi di cui alla lettera b) dell'art. 13, comma 2, d.lgs. citato), con intimazione di allontanarsi dal territorio entro cinque giorni non ottemperava alla stessa, trattenendosi nello Stato ove veniva reperito. Accertato in Torino il 25 ottobre 2005. O s s e r v a L'imputato, tratto arresto in data 25 ottobre 2005 per violazione all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12 novembre 2004, n. 271, veniva presentato dal pubblico ministero, per la convalida dell'arresto ed il conseguente giudizio direttissimo, all'udienza del 27 novembre 2005. Convalidato l'arresto, in base alla richiesta dell'imputato si procedeva con rito abbrevito. All'esito della discussione questo giudice disponeva la liberazione dell'imputato ritenendo di dover sollevare incidente di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 5-bis legge citata nella parte in cui prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis, in riferimento agli artt. 3 e 27 comma 3 della Costituzione, pena edittale che consente anche l'adozione delle misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p. La rilevanza della questione risiede nel fatto che, qualora si dovesse pervenire ad un giudizio di colpevolezza del Marincovic, sarebbe comminata la pena prevista dalla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita ed al cui riguardo si svolgono i seguenti rilievi. La permanenza in Italia dello straniero «senza giustificato motivo» e nonostante il provvedimento del questore di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza del termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo originario dell'art. 14, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, era sprovvista di specifica sanzione, pur essendo controverso se fosse sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale di cui all'art. 650 c.p. La legge 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto una fattispecie contravvenzionale ad hoc punibile con l'arresto da sei mesi ad un anno, con arresto obbligatorio del contravventore e sua espulsione eseguita tramite accompagnamento coattivo alla frontiera. Caduta la porzione della norma che prevedeva l'arresto obbligatorio per effetto della sentenza della Corte costituzionale in data 15 luglio 2004, n. 223, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies per contrasto con gli articoli 3 e 13 Cost. «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto», interveniva il legislatore con la legge 12 novembre 2004, n. 271, operando un ampio rimaneggiamento della norma e reintroducendo l'arresto obbligatorio per le fattispecie trasformate in delitto. Tale intervento ha determinato un effetto pirotecnico nel magma indifferenziato della previgente fattispecie, che sanzionava in modo identico le permanenze ingiustificate nel territorio in violazione dei provvedimenti del questore che davano esecuzione a provvedimenti di espulsione ministeriali o prefettizi. Ora la stessa condotta diventa un delitto ovvero rimane una contravvenzione ovvero non configura alcun illecito penale (esiste soltanto la sanzione amministrativa dell'accompagnamento alla frontiera) a seconda della provenienza e della natura dell'espulsione presupposta. Pertanto, permane l'illiceita' penale nel caso di espulsione pronunciata dal prefetto cui e' data esecuzione da parte del questore. Se essa e' stata disposta per ingresso illegale sul territorio nazionale «ai sensi dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c)» ovvero per aver omesso di richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge, il reato di inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del questore e' un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni; se il motivo che ha determinato l'espulsione e' la mancata richiesta del rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni, resta l'illecito contravvenzionale punito con l'arresto da sei mesi ad un anno. Se l'ingiunzione del questore e' attuativa di una espulsione disposta dal Ministro dell'interno «per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello stato» (es. espulsione per i motivi suddetti di donna incinta di cui si ignora la nazionalita' e, pertanto, non suscettibile di esecuzione immediata con accompagnamento alla frontiera), la sua inosservanza non e' assistita dalla tutela penale in quanto le ragioni dell'espulsione avvengono per tipologie non omologhe a quelle per le quali e' dato ricorrere da parte del prefetto (cui nell'esempio citato sarebbe precluso il rinvio della straniera allo stato di appartenenza), ne' e' dato avvalersi di operazioni ermeneutiche basate sull'analogia, vietata nel campo penale. Il reato per cui e' stato tratto in arresto Marincovic Goran e per il quale p.m. ha proceduto con giudizio direttissimo configura, in base alla nuova normativa, una delle ipotesi delittuose che hanno avuto un notevole inasprimento di pena e che, ad avviso di questo giudice, presenta profili di incostituzionalita' con riferimento ai citati articoli della costituzione. E' insegnamento costante di codesta Corte che uno scrutinio che investa direttamente il merito delle scelte sanzionatorie del legislatore e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti con il principio di eguaglianza, sotto il profilo dell'assoluta arbitrarieta' o della manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206 del 2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323 del 2002, n. 110 del 2002, n. 144 del 2001 e n. 58 del 1999). Occorre, in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto egualitario dell'ordinamento, quella specifica equiparazione (oppure, a seconda dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa o ragione della disciplina introdotta potra' dirsi realizzato un vizio di legittimita' costituzionale della norma, proprio perche' fondato sulla irragionevole omologazione di situazioni diverse» (sentenze n. 5 del 2000 e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone l'individuazione di un tertium comparationis, rappresentato da fattispecie omologhe a quella prevista dalla norma censurata, ricavabili da norme incriminatrici poste a tutela degli stessi interessi (individuati nell'ordine e nella sicurezza pubblica) e strutturanti con modalita' identiche o, quantomeno, analoghe la condotta (sentenze n. 409 del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura uno ristretto alle fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter n. 286/1998, l'altro con fattispecie non contemplate dalla disciplina sull'immigrazione. Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame non mira a reprimere la semplice clandestinita', che continua a restare penalmente irrilevante, ma quella qualificata dal previo ordine del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si vuole combattere il fenomeno della irregolare permanenza dello straniero nel territorio dello stato, di per se' considerato come lesivo dell'ordine pubblico. Ora, se questa e' la funzione della comminatoria penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di irregolare permanenza (e si tratta di casi di alto allarme sociale perche' riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico e sicurezza pubblica), diversamente da quanto accadeva in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non solo, altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti in forma differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e' gia' osservato che l'elemento differenziatore prescelto dal legislatore non e' la condotta, ma il fatto che ha determinato il provvedimento di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante, il cui permesso sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo nei sessanta giorni successivi alla scadenza, fruisce di un doppio trattamento di favore: la sua espulsione non viene in prima battuta eseguita coattivamente, ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare il territorio nazionale entro quindici giorni dalla notificazione del provvedimento; inoltre, se si trattiene in spregio all'ordine del questore di lasciare il territorio dello stato, e' punito con l'arresto da sei mesi ad un anno. Viceversa lo straniero che sia stato espulso o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o annullato o perche' appartiene a taluna delle categorie indicate nell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall'art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, e' punito con la reclusione da uno a quattro anni. Ne discende che condotte analoghe a quella contravvenzionale in precedenza indicata sono sanzionate, non solo a titolo di delitto, ma con una pena il cui minimo e' parametrato al massimo dell'unica fattispecie rimasta di natura contravvenzionale. Ora, se il principio di uguaglianza esige che «la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (sentenza n. 409 del l8 luglio 1989), tutte le condotte di trattenimento dello straniero nel territorio italiano ledono con modalita' oggettive identiche lo stesso bene. E', infatti, dalla inosservanza dell'ordine del questore di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale che prende avvio l'aggressione al bene giuridico tutelato ed in cui si sostanzia la colpevolezza dell'autore del fatto. Differenziare identiche fattispecie (talune penalmente indifferenti, altre punite in modo lieve, altre in modo estremamente pesante) in base a situazioni che precedono la condotta e non rivelano una reale dannosita' sociale, significa disancorare il giudizio di offensivita' (che costituisce la sintesi della relazione sussistente tra il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice e il fatto) dal fatto stesso; significa, in ultima analisi, sanzionare in modo differenziato, e percio', arbitrario ed irragionevole, situazioni omologhe. La comparazione si presenta fattibile anche con altre norme incriminatici presenti in campi diversi dalla materia dell'immigrazione. Cosi' appare similare alla fattispecie in esame quella prevista dall'art. 650 c.p., laddove punisce con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda l'inottemperanza ad un provvedimento legalmente dato dall'autorita' per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico. Tutela parimenti tale interesse la violazione del provvedimento di rimpatrio emesso dal questore ai sensi dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e punita con l'arresto da uno a sei mesi. Al riguardo pare interessante notare come con l'entrata in vigore del d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, la giurisprudenza si fosse posto il problema se l'inosservanza da parte dello straniero della intimazione di lasciare il territorio dello stato fosse rapportabile alla vioiazione dell'art. 650 c.p. e si dovesse applicare la pena prevista da tale norma. La risposta era stata negativa sol perche' si era osservato che per la violazione era prevista la sanzione amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi dell'art. 7, comma 9 del d.l. citato, disposizione speciale rispetto alla generica previsione di cui all'art. 650 c.p. (Cass. pen. sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229). Tutto cio' dimostra la stretta parentela esistente tra la norma contenuta nel codice penale e quella speciale prevista nel campo dell'immigrazione, parentela non rinnegata dalla formulazione in termini di «reato di flagranza», modulata sulla persistente illiceita' del trattenersi in Italia, situazione che comunque consegue ad una ingiustificata non attivazione a fronte del provvedimento di allontanamento del questore. Si deve ancora tener presente che l'espulsione puo' essere disposta dal prefetto per le stesse categorie di persone destinatarie del provvedimento di rimpatrio con una comunanza di esigenze di tutela della sicurezza pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte delle stesse esigenze di tutela della collettivita', il trattamento sanzionatorio appare smaccatamente differenziato e ben piu' favorevole per il cittadino, che, per quanto pericoloso egli sia, non puo' essere allontanato dal territorio nazionale. Non solo, come tra breve si vedra', la irragionevole ed arbitraria disparita' di trattamento di situazioni omologhe sfavorisce lo straniero e lo discrimina dal cittadino con riferimento ad uno dei diritti fondamentali (liberta' personale). Esiste stretta connessione tra il principio di proporzionalita' della pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa della sanzione criminale sancita dall'art. 27, comma 3 Cost., finalita' non limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» (sentenza n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato che «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale» provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito «produce ... una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, comma 3 della Costituzione, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione» (sentenza n. 343 del 1993). A fronte di cio', occorre domandarsi: a due anni di distanza dall'emanazione della legge n. 189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte delle ipotesi di inottemperanza da parte dello straniero all'ordine del questore e' almeno giustificato da finalita' generalpreventive? La risposta pare essere negativa se si osserva il fenomeno dell'immigrazione clandestina nella sua dimensione storica (e comunque i mutamenti sanzionatori non paiono rapportabili all'eventuale modesto incremento dei flussi migratori). In ogni caso non va dimenticato quando osservato, in via generale, da codesta Corte e cioe' che «il principio di proporzionalita'.., nel campo del diritto penale equivale a negare legittimita' alle incriminazioni che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali di prevenzione, producono, attraverso la pena, danni all'individuo (ai suoi diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la tutela dei beni e valori offesi dalle predette incriminazioni» (sentenza n. 409 del 1989). Peraltro, leggendo la relazione all'emendamento del decreto-legge n. 241/2004, che ha introdotto una cosi' elevata sanzione, si nota come i relatori giustifichino la modifica legislativa soltanto con riferimento alla necessita' di adeguarsi alla sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 che aveva ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. 14, comma 5-quinquies della legge sull'immigrazione «nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto» per la manifesta irragionevolezza della previsione di una misura precautelare non suscettibile di sfociare in alcuna misura cautelare in base al vigente ordinamento processuale. In altri termini la trasformazione in delitto e l'aumento di pena e' stato dettato dal solo scopo di ripristinare l'arresto obbligatorio ritenuto illegittimo dalla Corte; non a caso il limite edittale massimo della pena e' fissato in quattro anni di reclusione, presupposto minimo per l'adozione della custodia cautelare in carcere (art. 280, comma 2 c.p.p.). Pertanto la risposta sanzionatoria e' stata scollegata dal grado di offensivita' della condotta e strumentalizzata ad una finalita' meramente processuale, quella di giustificare l'arresto obbligatorio in flagranza e di garantire lo svolgimento del giudizio direttissimo in tutte le ipotesi previste dal codice di procedura penale. Ora, se si ritorna al raffronto tra la disciplina dell'ingiustificato trattenimento in Italia dello straniero e l'inosservanza del provvedimento di rimpatrio si osserva un differente ed incomprensibile trattamento del bene della liberta' personale nel caso in cui i destinatari siano le persone pericolose di cui all'art. 1, legge n. 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte abbia affermato che «per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non puo' risultarne minimamente scalfito il carattere universale della liberta' personale, che, al pari degli altri diritti che la costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri umani (sentenza n. 105 del 2001). In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata: