ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 9, comma 1,
della legge 29 marzo 1985, n. 113 (Aggiornamento della disciplina del
collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non
vedenti),  promosso  con ordinanza del 4 settembre 2003 dal Tribunale
di  Pescara,  nel  procedimento  civile vertente tra Angelo Marzola e
l'ASL  di  Pescara-Penne,  iscritta  al n. 465 del registro ordinanze
2005  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 39, 1ª serie speciale,
dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consigli dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  dell'8 marzo 2006 il giudice
relatore Luigi Mazzella.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento civile promosso da Angelo
Marzola  contro  l'Azienda  sanitaria  locale  di  Pescara-Penne,  il
Tribunale  di  Pescara, con ordinanza del 4 settembre 2003 (pervenuta
alla Corte il 29 agosto 2005), ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 9,  comma 1,  della  legge  29 marzo  1985,
n. 113  (Aggiornamento  della disciplina del collocamento al lavoro e
del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti), in riferimento
agli   artt. 3   e   36   della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
consentirebbe   di   concedere   l'indennita'  di  mansione  solo  ai
centralinisti  non  vedenti  occupati  in base alle norme relative al
loro collocamento obbligatorio.
    L'Azienda convenuta aveva revocato l'indennita' di mansione, gia'
da  vari  anni  in  godimento  da  parte del ricorrente, ai sensi del
citato  art. 9  della  legge  n. 113  del  1985,  proprio  perche' il
ricorrente   non  era  stato  assunto  attraverso  la  procedura  del
collocamento  obbligatorio,  ma  all'esito di una ordinaria procedura
concorsuale pubblica.
    Il  rimettente  ravvisa  nella norma impugnata una violazione del
principio   di   uguaglianza   e  del  diritto  ad  una  retribuzione
proporzionata  all'attivita'  lavorativa  effettivamente  svolta,  in
quanto  a  lavoratori  che si trovano nelle medesime condizioni e che
svolgono  identiche  mansioni  sarebbero attribuiti irragionevolmente
trattamenti  economici  differenti sul solo presupposto delle diverse
modalita' di accesso all'impiego.
    Rileva  il  giudice  a  quo  che,  ai sensi della disposizione in
esame,  l'erogazione della indennita' di mansione e' correlata, oltre
che   al   profilo  afferente  alle  modalita'  di  assunzione,  alla
connotazione   oggettiva  della  «particolare  usura»  propria  delle
prestazioni svolte dai centralinisti telefonici non vedenti, e che il
riduttivo  ambito  di  operativita'  della medesima disposizione, nei
termini   invocati   dall'Amministrazione   resistente,  si  pone  in
contrasto, in primo luogo, con l'art. 3 Cost., nella misura in cui, a
parita'  di  contenuti  e  di  modalita'  esplicative della mansione,
nonche'   del   tenore  particolarmente  usurante  della  stessa,  il
discrimine  ai  fini  dell'accesso o meno al trattamento indennitario
venga  identificato  esclusivamente  in  base al titolo di immissione
nella mansione medesima.
    A   giudizio  del  rimettente,  dalla  disposizione  della  norma
impugnata  risulterebbe vulnerato anche l'art. 36, primo comma, Cost.
laddove  l'attribuzione  del trattamento integrativo, riconosciuto in
favore  dei  non  vedenti  che appartengono alla rispettiva categoria
protetta,  proprio  in funzione della maggiore penosita' insita nella
mansione  di  centralinista, venisse negata all'omologo centralinista
non vedente, ad altro titolo adibito alla stessa mansione.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  il  quale  ha  eccepito  anzitutto  l'inammissibilita'  della
questione  in  quanto,  avendo  l'ordinanza  di  rimessione omesso di
ricostruire  i  dati  di  fatto (in particolare, quelli relativi alle
modalita'  di  assunzione del ricorrente da parte dell'ASL convenuta,
nonche'  concernenti  la  retribuzione  corrisposta),  non  era  dato
riscontrare la rilevanza della questione di costituzionalita'.
    A  giudizio  dell'interveniente, inoltre, l'interpretazione della
norma  impugnata  adottata  dal  rimettente non e' l'unica possibile,
potendosi  considerare  altra opzione ermeneutica pienamente conforme
al dettato costituzionale.
    Nel  merito,  l'Avvocatura  erariale  ha  eccepito l'infondatezza
della  questione  osservando  che la legge n. 113 del 1985 si colloca
nell'ambito delle disposizioni volte ad assicurare la possibilita' di
svolgere  proficua attivita' lavorativa a categorie di persone che si
trovino  in  particolari  situazioni  di difficolta' ad inserirsi nel
mercato  del  lavoro. Ma cio' non preclude ai soggetti considerati di
entrare nel mercato del lavoro seguendo le vie ordinarie di accesso.
    La  norma  in  esame - secondo l'Avvocatura - impone ai datori di
lavoro pubblici e privati di riservare una determinata quota di posti
alle  categorie  svantaggiate:  in  sostanza,  il fine della legge e'
quello  di  assicurare  un posto di lavoro e, solo successivamente ed
indirettamente,  lo sviluppo e la progressione giuridica ed economica
peculiari del personale assunto con le procedure ordinarie.
    Al   fine,   tuttavia,   di   premiare   l'impegno   profuso,  in
comprensibili  condizioni  di  difficolta',  si  e' attribuito al non
vedente  un'indennita'  di  mansione  che  costituisce  una  sorta di
compensazione   alla  mancata  opportunita'  di  accesso  a  mansioni
diverse.
    Secondo  l'interveniente  tale lettura trova conferma nella legge
28 marzo  1991,  n. 120  (Norme  in  favore dei privi della vista per
l'ammissione  ai  concorsi  nonche'  alla  carriera  direttiva  nella
pubblica amministrazione e negli enti pubblici, per il pensionamento,
per  l'assegnazione  di sede e la mobilita' del personale direttivo e
docente  della  scuola), che ha esteso a tutti i privi della vista il
beneficio dell'anzianita' assicurativa previsto dall'art. 9, comma 2,
della  legge impugnata e non anche la particolare indennita' prevista
dal comma 1 del medesimo art. 9.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il   Tribunale  di  Pescara  dubita  della  legittimita'
costituzionale   -   in   riferimento  agli  artt. 3  e  36  Cost.  -
dell'art. 9,    comma 1,    della   legge   29 marzo   1985,   n. 113
(Aggiornamento  della  disciplina  del  collocamento  al lavoro e del
rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti), nella parte in cui
consentirebbe   di   concedere   l'indennita'  di  mansione  solo  ai
centralinisti  non  vedenti  occupati  in base alle norme relative al
loro  collocamento  obbligatorio  e non anche a quelli assunti in via
ordinaria.
    La  disposizione  impugnata  riproduce  testualmente  quanto gia'
stabilito  dall'art. 4  della  legge  3  giugno 1971, n. 397 (Norme a
favore   dei   centralinisti   ciechi)  e  prevede  che  «A  tutti  i
centralinisti  non  vedenti  occupati  in base alle norme relative al
loro  collocamento  obbligatorio  e'  corrisposta  una  indennita' di
mansione  pari  a  quella  che si riconosce agli operatori dipendenti
dall'Azienda di Stato per i servizi telefonici».
    Sul  regime  del  collocamento  obbligatorio  dei non vedenti, il
legislatore  con  la disposizione di cui all'art. 45, comma 12, della
legge  17 maggio  1999,  n. 144  (Misure  in materia di investimenti,
delega  al  Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e
della  normativa  che disciplina l'INAIL, nonche' disposizioni per il
riordino  degli  enti previdenziali), attraverso un rinvio alla legge
n. 113 del 1985, ha esteso la stessa tutela normativa riconosciuta ai
centralinisti  non vedenti iscritti all'apposito Albo nazionale anche
ai  possessori  di  qualifica  equipollente  ancorche'  non  iscritti
all'albo.
    Quanto  alla  rilevanza  della questione di costituzionalita' nel
giudizio  a  quo,  essa  appare  del tutto evidente, essendo la causa
petendi   ed   il  petitum  nella  controversia  a  qua  direttamente
condizionati dalla legittimita' o meno della norma impugnata.
    2.  -  L'eccezione  di inammissibilita' sollevata dall'Avvocatura
dello   Stato   relativamente   ad   una  carente  descrizione  della
fattispecie non puo' essere condivisa.
    E'  sufficiente  rilevare  che  dalla  ordinanza del Tribunale di
Pescara emergono chiaramente i dati, identificativi della fattispecie
in  esame,  concernenti  sia l'assunzione del ricorrente all'esito di
una  ordinaria  procedura  concorsuale  pubblica,  sia l'interruzione
della erogazione dell'indennita' di mansione, rispetto alla quale, in
quanto  caratterizzata  da  una  specifica  causale, non assume alcun
rilievo   conoscere   l'ammontare   complessivo   della  retribuzione
percepita dal ricorrente.
    3.  -  Nel  merito  la questione non e' fondata. E' ben possibile
infatti  un'interpretazione  della  norma  impugnata coerente con gli
stessi parametri costituzionali indicati dal rimettente.
    Ritiene,  in altri termini, questa Corte che le censure mosse dal
Tribunale   di   Pescara   si   possano   superare  partendo  da  una
ricostruzione sistematica della normativa in esame.
    La  coerenza interna del sistema di protezione e retribuzione dei
lavoratori  non  vedenti  ha  la  sua  ratio non gia' nelle modalita'
costitutive  del loro rapporto, ma piuttosto nella maggiore penosita'
del lavoro da essi svolto in condizioni fisiche particolari.
    L'indennita' di mansione non e' riconosciuta ai centralinisti non
affetti da cecita', perche' solo per quelli non vedenti si giustifica
una  maggiore  retribuzione  in  considerazione  della qualita' di un
lavoro  che  presenta  caratteristiche  peculiari  e che e' svolto in
condizioni di menomazione assolutamente evidenti.
    Il  trattamento  preferenziale attribuito ai centralinisti ciechi
integra,  quindi,  una  scelta  del  legislatore  giustificata  dalla
obiettiva  gravosita'  della  prestazione  lavorativa  connessa  alla
menomazione visiva.
    Tra  l'altro  e'  significativo  il  fatto  che  l'indennita'  di
mansione  in  questione  va determinata con riferimento, non tanto al
«premio  industriale»  connesso ai risultati produttivi dell'azienda,
previsto  dall'art. 28  dell'allegato  alla  legge  11 febbraio 1970,
n. 29  (Modificazioni  alle  disposizioni sulle competenze accessorie
del   personale   dipendente   del  Ministero  delle  poste  e  delle
telecomunicazioni),   quanto   al  «premio  di  rendimento»  connesso
all'espletamento     delle    mansioni,    attribuito    dall'art. 32
dell'allegato  alla  medesima  legge soltanto al personale addetto ai
servizi  telefonici, tra cui gli operatori addetti ai posti di lavoro
e di controllo delle sale interurbane e delle accettazioni dirette al
pubblico.
    Una   interpretazione   della   normativa  impugnata,  pienamente
coerente  con  il  dettato  costituzionale,  induce  a  ritenere  che
l'indennita'  di mansione di cui e' questione si ponga essenzialmente
quale  «corrispettivo»  dell'obiettiva  gravosita'  della prestazione
lavorativa   connessa   alla  menomazione  visiva,  oltre  che  della
particolare     natura     delle    mansioni    espletate,    nonche'
dell'impossibilita'  per  i  non vedenti di essere adibiti a mansioni
alternative.  Il  che  rende  del  tutto  irrilevante  la particolare
modalita' di accesso all'occupazione dei centralinisti non vedenti.
    Non  sarebbe ragionevole infatti la distinzione tra un lavoratore
non vedente, che, per qualunque ragione, in regime di piena liberta',
sia stato assegnato a mansioni di centralinista, ed altro lavoratore,
ugualmente  privo  della vista, il quale, avviato obbligatoriamente a
copertura  dei posti di riserva previsti dalla legge n. 113 del 1985,
venga occupato nelle medesime mansioni.
    Ne   deriva   che   non  puo'  ritenersi  di  ostacolo  a  questa
interpretazione   la   formulazione  testuale  dell'art. 9,  comma 1,
impugnato  laddove fa espresso riferimento alla fonte costitutiva del
collocamento obbligatorio.
    Anche  dai  lavori  parlamentari  che  hanno  preceduto  la prima
formulazione  della  norma,  contenuta  nella  legge n. 397 del 1971,
emerge,  del  resto, come la preoccupazione del legislatore sia stata
quella  di  assicurare  una piena tutela retributiva alle prestazioni
rese  dai  lavoratori  non  vedenti nei confronti anche del datore di
lavoro obbligato per legge alla loro assunzione, evitando in tal modo
il rischio di un trattamento discriminatorio ai loro danni.
    Deve  affermarsi  conclusivamente  che  la norma impugnata, cosi'
interpretata, supera le censure mosse dall'ordinanza di rimessione.