ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 213,  comma
secondo,  del  regio  decreto  16 marzo  1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
controllata  e  della liquidazione coatta amministrativa), richiamato
dall'art. 1,   comma   sesto,   secondo   inciso,  del  decreto-legge
30 gennaio  1979,  n. 26 (Provvedimenti urgenti per l'amministrazione
straordinaria   delle  grandi  imprese  in  crisi),  convertito,  con
modificazioni,   nella  legge  3 aprile  1979,  n. 95,  promossi  con
ordinanze  del  18 dicembre 2003 dalla Corte d'appello di Ancona, nel
procedimento civile vertente tra Diana Ponzetti ved. Belardinelli, ed
altri,  e  SIMA  Meccanica  Oleodinamica  s.p.a.  in  amministrazione
straordinaria,  e  del  19 aprile  2005  dal  Tribunale  ordinario di
Verona,  nel  procedimento  civile  vertente tra Banca Intesa - Banca
Commerciale  Italiana  s.p.a.  e  Pagana  s.r.l.  in  amministrazione
straordinaria,  iscritte  al  n. 237 del registro ordinanze 2004 e al
n. 500  del  registro  ordinanze  2005  e  pubblicate  nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  numeri  43  e  41,  1ª  serie speciale,
dell'anno 2005.
    Visto  l'atto di costituzione di Diana Ponzetti ved. Belardinelli
ed altri, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del 7 marzo 2006 e nella camera di
consiglio dell'8 marzo 2006 il giudice relatore Romano Vaccarella;
    Uditi   l'avvocato   Nicola   Sbano   per   Diana  Ponzetti  ved.
Belardinelli ed altri e l'avvocato dello Stato Antonio Palatiello per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Nel corso di un giudizio di opposizione al piano di riparto
finale  di  una  procedura di amministrazione straordinaria di cui al
decreto-legge  30 gennaio  1979,  n. 26  (Provvedimenti  urgenti  per
l'amministrazione  straordinaria  delle  grandi  imprese  in  crisi),
convertito,  con  modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 95, la
Corte  d'appello  di  Ancona,  con ordinanza del 18 dicembre 2003, ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt. 3,  24,  97  e  111 della Costituzione, dell'art. 213 del
regio  decreto  16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del
concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
liquidazione  coatta amministrativa), nella parte in cui fa decorrere
il  termine  di  venti  giorni,  per  la  proposizione  da  parte dei
creditori   delle   contestazioni   al   piano   di  riparto  finale,
dall'inserzione  nella  Gazzetta  Ufficiale dell'avviso dell'avvenuto
deposito  dell'atto  presso  la  cancelleria  del tribunale, anziche'
dalla   ricezione   della  raccomandata  con  avviso  di  ricevimento
contenente la notizia dell'avvenuto deposito.
    1.1.  - Premette la Corte rimettente che un dipendente della SIMA
Meccanica   Oleodinamica  s.p.a.  in  amministrazione  straordinaria,
vantando  nei  confronti di quest'ultima un credito per differenze di
trattamento  di  fine  rapporto, aveva impugnato dinanzi al Tribunale
ordinario  di Ancona il piano di riparto finale redatto a conclusione
della procedura concorsuale.
    La  societa'  convenuta,  costituitasi in persona del commissario
straordinario,  aveva  eccepito  in  rito  la tardivita' del ricorso,
perche'  proposto  oltre  il  termine  di venti giorni dal compimento
delle  formalita'  previste  dall'art. 213  del  r.d. n. 267 del 1942
(legge  fallimentare);  nel merito aveva dedotto l'infondatezza della
domanda.
    Con   sentenza   del   29  giugno 2000  l'adito  Tribunale  aveva
dichiarato  inammissibile  il ricorso perche' tardivo, osservando che
il  decreto-legge  n. 26 del 1979, disciplinante la procedura cui era
sottoposta   la   SIMA   Meccanica   Oleodinamica  s.p.a.,  richiama,
all'art. 1,  sesto  comma, le norme del r.d. n. 267 del 1942 relative
alla  liquidazione  coatta  amministrativa  (artt. 195  e  seguenti);
sicche'  la  fase  di  chiusura  della  procedura  di amministrazione
straordinaria  e' regolata dall'art. 213 della legge fallimentare, il
quale  stabilisce  che il piano di riparto tra i creditori dev'essere
depositato, previa autorizzazione dell'autorita' vigilante, presso la
cancelleria del tribunale; che dell'avvenuto deposito e' data notizia
mediante  inserzione  nella  Gazzetta  Ufficiale e che nel termine di
venti  giorni  dall'inserzione  gli interessati possono proporre, con
ricorso al tribunale, le loro contestazioni.
    Avverso  detta  pronuncia aveva proposto appello il Belardinelli,
deducendo, fra l'altro, la incostituzionalita' del citato art. 213.
    1.2.   -   Affermata  la  sicura  rilevanza  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  ai  fini  della  decisione sul proposto
gravame,  la  Corte  d'appello reputa la questione non manifestamente
infondata.
    La  norma  impugnata sarebbe discriminatoria e lesiva del diritto
di  difesa  dei  creditori ammessi al passivo, laddove impone loro di
impugnare  il  piano  di  riparto  finale nel termine di venti giorni
dalla   pubblicazione,   nella  Gazzetta  Ufficiale  e  nei  giornali
designati  dall'autorita'  che  vigila  sulla  procedura, dell'avviso
dell'avvenuto deposito.
    Osserva il giudice a quo che tale forma di pubblicita' presuppone
un onere di diligenza eccessivo, insostenibile non solo per qualsiasi
privato  cittadino, ma anche per qualsiasi organizzazione, pubblica o
privata.    Occorrerebbe,    infatti,   sobbarcarsi   l'onere   della
consultazione  quotidiana  della  Gazzetta Ufficiale o di imprecisati
giornali  scelti  dall'organo di vigilanza, per tutta la durata della
procedura, la quale puo' protrarsi per vari anni.
    Ad  avviso  della  Corte  rimettente,  invece,  i creditori hanno
diritto  «di ricevere diretta formale comunicazione dall'organo della
procedura del deposito dei piani di riparto».
    La   Corte   costituzionale,   invero,   ha  gia'  dichiarato  la
illegittimita'  costituzionale  di  numerose disposizioni della legge
fallimentare,  che  facevano  decorrere termini di impugnazione dalla
data  di  deposito  o  di  pubblicazione, ponendo il principio che il
termine per la tutela dei diritti decorre dalla data di notifica o di
comunicazione dei provvedimenti.
    In  conclusione,  secondo  il  giudice  a  quo, per effetto della
disposizione  censurata  non  troverebbero realizzazione il principio
costituzionale del giusto processo, l'art. 6 della Convenzione per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali,
l'art. 15  (recte:  14)  del  Patto  internazionale  di  New York sui
diritti civili e politici, come pure molte direttive comunitarie.
    1.3.  -  Con  atto  del  20 gennaio  2004  si sono costituiti nel
giudizio incidentale di costituzionalita' gli eredi del ricorrente, i
quali hanno concluso per l'accoglimento della questione.
    Osserva,  preliminarmente,  la  parte  privata  che il termine di
venti  giorni  per opporsi al piano di riparto decorre esclusivamente
dall'avvenuta  pubblicazione  nella  Gazzetta Ufficiale della notizia
dell'avvenuto deposito, nessun effetto essendo, invece, connesso alla
pubblicazione  sugli altri organi di stampa designati dalla autorita'
di vigilanza.
    Cio'  precisato,  rileva  che la mancata diretta comunicazione ai
creditori   impone  a  costoro  oneri  abnormi,  tenuto  conto  della
indeterminata  durata delle procedure, della inesigibilita' del grado
di diligenza richiesto per soddisfare l'onere in questione, peraltro,
non imposto da alcuna ragione; che, d'altra parte, altre disposizioni
della  stessa legge fallimentare prevedono che i soggetti interessati
ad  opposizioni  o  ad  impugnazioni  di atti della procedura debbono
avere diretta comunicazione di fatti od atti potenzialmente lesivi.
    La  disposizione  impugnata,  oltre  che  irragionevole,  sarebbe
lesiva  sia del diritto alla difesa sia di quello al giusto processo,
nonche'  del principio di buona amministrazione, sotto il profilo del
«giusto procedimento», di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme  in  materia  di  procedimento  amministrativo  e di diritto di
accesso  ai  documenti amministrativi), avendo la liquidazione coatta
amministrativa carattere non giurisdizionale; infine, essa violerebbe
il  principio  di  uguaglianza,  essendo  ingiustificato  il  diverso
trattamento  fatto a chi intenda proporre opposizione od impugnazione
ex  artt. 98  o 100 della legge fallimentare e a chi intenda proporre
ricorso ex art. 213 della stessa legge.
    1.4.  -  E'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.
    Ad  avviso  della  difesa erariale, sebbene la tutela dei diritti
imponga  di  far decorrere il termine per l'impugnazione di qualsiasi
provvedimento   giurisdizionale  dalla  data  della  notificazione  o
comunicazione  nelle  forme  ordinarie, tuttavia il diritto di difesa
puo'    variamente   atteggiarsi,   in   funzione   delle   peculiari
caratteristiche  dei diversi tipi di procedimento e delle esigenze di
giustizia.  In  virtu'  di tale principio, la Corte costituzionale ha
ritenuto  legittimo  l'eccezionale  ricorso  a  strumenti,  quali  la
pubblicazione   nella   Gazzetta   Ufficiale,  idonei  a  creare  una
presunzione   di   conoscenza,  anziche'  l'effettiva  conoscibilita'
dell'atto,  nei casi in cui sia impossibile o sommamente difficoltosa
la notificazione nelle forme ordinarie.
    Ipotesi  di  tale genere sono previste sia nella disciplina delle
procedure  concorsuali (artt. 126 e 171 della legge fallimentare) sia
nel codice di procedura civile (art. 150).
    Analogamente  e'  previsto  dalla  disposizione  impugnata, della
quale,  data la particolarita' della fattispecie regolata e l'elevato
livello  di  conoscibilita' assicurato dalle forme di pubblicita' ivi
indicate,  puo'  escludersi  l'irragionevolezza, nonche' il contrasto
con il diritto di difesa o con il principio del giusto processo.
    Infatti,  l'onere  imposto  agli  interessati e la presunzione di
conoscenza  derivante  dal  sistema  di  pubblicita' adottato trovano
giustificazione   nel   rilevante   numero   e   nella   dislocazione
territoriale  (anche  internazionale)  degli  interessati;  elementi,
questi, che renderebbero sommamente difficile, se non impossibile, la
comunicazione  diretta  degli  atti  ai creditori, tenuto anche conto
delle  esigenze  di  celerita'  e  speditezza  che  caratterizzano le
procedure concorsuali, compresa l'amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in crisi.
    1.5.   -  La  costituita  parte  privata  ha  depositato  memoria
illustrativa, nella quale ribadisce le sue conclusioni.
    Nel  mettere  in  evidenza  che  la  procedura di amministrazione
straordinaria  della  SIMA  Meccanica  Oleodinamica  s.p.a. e' durata
circa  diciassette anni, osserva che e' del tutto inesigibile l'onere
di  informazione  che,  ai fini della tempestivita' dell'impugnazione
del  piano  di  riparto,  grava  sui  singoli creditori, ove essi non
ricevano comunicazione diretta dell'avvenuto deposito.
    La  Corte costituzionale ha affermato il diritto del cittadino di
essere  informato  «di  cio' che tocca i suoi diritti», di talche' le
disposizioni  che, come quella denunciata, fanno decorrere un termine
da  un  fatto  ignoto  all'interessato,  vanificandone  il diritto di
difesa,  sono in contrasto con i parametri costituzionali evocati dal
giudice rimettente.
    Infatti,  per  un  verso,  l'onere  di  conoscenza  imposto  agli
interessati  dalla  norma impugnata e' di impossibile assolvimento e,
per  altro  verso,  la  dispensa dell'organo gestorio della procedura
concorsuale  dalla  diretta  comunicazione dell'avvenuto deposito del
piano  di riparto (quanto meno) ai «creditori in prededuzione» (fra i
quali  era  annoverabile  il  ricorrente)  costituisce  esonero da un
incombente di modestissima entita', quanto a impegno e costo.
    La  sproporzione  fra le due situazioni - l'una di onere, l'altra
di  agevolazione  -  e'  indice  della irrazionalita' della norma, la
quale  viola, altresi', il principio di uguaglianza, quello di tutela
delle  posizioni  soggettive  in  giudizio,  quello di buon andamento
della  pubblica  amministrazione,  collocata  senza  ragione su di un
piano di supremazia, nonche' quello del giusto processo.
    Infine,  la  parte  deducente, richiamata la sentenza della Corte
costituzionale   n. 117   del   1994,   circa  la  distinzione  e  il
coordinamento   fra   ordinamento  italiano  e  ordinamento  europeo,
denuncia  il contrasto della norma censurata con diverse disposizioni
internazionali  pattizie,  poste a garanzia dei diritti fondamentali,
fra  i  quali  vi  e'  quello  di  difesa,  che  per il suo effettivo
esercizio esige che sia conosciuto cio' da cui ci si deve difendere.
    1.6.  -  In  prossimita' dell'udienza l'Avvocatura generale dello
Stato   ha   depositato   memoria,  con  la  quale  svolge  ulteriori
argomentazioni,  concludendo  per l'inammissibilita' o l'infondatezza
della questione.
    In  punto  di  rilevanza, la difesa erariale osserva che l'art. 1
del  decreto-legge n. 26 del 1979 e' stato abrogato dall'art. 109 del
decreto   legislativo   8 luglio   1999,   n. 270  (Nuova  disciplina
dell'amministrazione  straordinaria  delle grandi imprese in stato di
insolvenza,  a norma dell'art. 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274),
il  cui  art. 75,  ora,  stabilisce  che  il  bilancio  finale  della
procedura con il conto della gestione sono depositati dal commissario
straordinario   presso   la   cancelleria   del   tribunale,   previa
autorizzazione  del  Ministero vigilante; che un avviso dell'avvenuto
deposito  e',  a  cura  del  cancelliere, comunicato all'imprenditore
insolvente  e  affisso;  che gli interessati possono proporre le loro
contestazioni  con  ricorso al tribunale nel termine di venti giorni,
decorrente  per  l'imprenditore  dalla comunicazione e per ogni altro
interessato dall'affissione; infine, che si osservano le disposizioni
dell'art. 213,  secondo  comma,  secondo e terzo periodo, della legge
fallimentare.
    Orbene,  non  essendo  piu'  in  vigore  la norma denunciata, che
faceva  decorrere  il  termine  dalla pubblicazione dell'avviso nella
Gazzetta  Ufficiale,  l'ordinanza  di  rimessione  risulta carente di
motivazione  in  ordine  alla  rilevanza  della  questione per quanto
attiene all'applicabilita' della norma impugnata nel giudizio a quo.
    Sotto  altro  profilo  ancora, la deducente contesta la rilevanza
della  questione,  per  la  considerazione che con le osservazioni ex
art. 213  della  legge fallimentare, per pacifica giurisprudenza, non
possono   essere  fatte  valere  pretese  attinenti  alla  esistenza,
all'ammontare  e  al  rango  dei  crediti,  le  quali  debbono essere
azionate con l'opposizione allo stato passivo.
    Nel  merito,  la  difesa  erariale  osserva che la giurisprudenza
costituzionale,  nell'accogliere  o  rigettare  eccezioni  analoghe a
quelle  ora  in  esame,  ha  costantemente affermato la necessita' di
contemperare  le  esigenze,  ugualmente  degne  di tutela, di tutti i
protagonisti  della  vicenda  processuale,  e  cosi'  di  attuare  un
bilanciamento  tra  i  contrapposti  interessi,  affinche' il diritto
dell'uno  non  si risolva nella compressione del diritto degli altri.
In  particolare,  poiche'  alla  luce  del novellato art. 111 Cost. e
dell'art. 6  della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo, il
diritto alla durata ragionevole del processo va considerato di valore
equivalente  a  quello  del diritto stesso alla difesa piena e reale,
occorre  considerare  che si tratta, nella specie, di un procedimento
assai   complesso,   con   numerosissimi  creditori,  necessariamente
riguardante  le  «grandi  imprese».  Premesso  che  il  momento della
chiusura  di  tale procedimento e', per forza di cose, molto distante
dal  tempo  della  verifica  dei  crediti, il cui esito e' comunicato
direttamente  ai  singoli interessati, i quali possono far valere con
l'opposizione  le  loro pretese sostanziali, l'Avvocatura dello Stato
sostiene  che  ricorrono  le  speciali  ragioni  di deroga al sistema
ordinario  delle comunicazioni individuali: il numero altissimo degli
interessati; il tempo necessariamente lungo che intercorre dall'epoca
della  formazione  dello  stato  passivo;  il  non  coinvolgimento di
situazioni  soggettive riguardanti l'esistenza, l'entita' e la natura
dei  crediti,  gia' consolidatesi in sede di formazione e opposizione
allo  stato passivo; tutti questi elementi giustificano il ricorso al
ragionevole   sistema   di   conoscenza   alternativo  alla  notifica
individuale  e  permettono di ricondurre la fattispecie nell'alveo di
quelle  situazioni  analoghe, che la Corte ha gia' avuto occasione di
giudicare  compatibili  con  le norme costituzionali (sentenze n. 273
del 1987 e n. 228 del 1995).
    2.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  di opposizione a un piano di
riparto  parziale  di una procedura di amministrazione straordinaria,
il  Tribunale  ordinario  di  Verona  ha sollevato, con ordinanza del
19 aprile   2005,   questione   di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento  all'art. 24  Cost.,  dell'art. 1,  quinto (recte: sesto)
comma, «secondo inciso», della legge 3 aprile 1979, n. 95 (recte: del
decreto-legge  n. 26  del 1979, come convertito nella legge n. 95 del
1979),  «in  relazione  al richiamo ivi operato» agli artt. 212 e 213
della  legge  fallimentare,  «nella  parte in cui non prevede che del
deposito  dei  piani  di riparto parziali se ne debba dare notizia ai
creditori con raccomandata con avviso di ricevimento».
    2.1. - In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che la Banca
Intesa  - Banca Commerciale Italiana s.p.a. ha proposto opposizione a
un piano di riparto parziale dell'amministrazione straordinaria della
societa'  Pagana  s.r.l.,  lamentando la mancata inclusione di alcuni
suoi   crediti,  pur  ammessi  al  passivo;  che  la  Pagana  s.r.l.,
costituitasi in persona del commissario straordinario, ha eccepito la
tardivita'   del   ricorso;   che   la   ricorrente   ha  dedotto  la
illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 212  e  213  della legge
fallimentare per contrasto con l'art. 24 Cost.; che la causa, quindi,
e' passata in decisione.
    2.2.  - In punto di diritto, il giudice rimettente, richiamata la
giurisprudenza  di  legittimita',  che,  nell'interpretare l'art. 212
della    legge    fallimentare,    differenzia,   nell'ambito   della
distribuzione  dell'attivo  della liquidazione coatta amministrativa,
gli  «acconti»  (quali  erogazioni  provvisorie  e  revocabili) dalle
«ripartizioni    parziali»    (quali    attribuzioni   definitive   e
irretrattabili), osserva che a queste ultime, date le caratteristiche
di  obbligatorieta',  stabilita'  e concorsualita', e' applicabile la
disciplina  dettata  dall'art. 213  della  legge  fallimentare per il
riparto finale.
    Di  tal  che',  ai  sensi  dell'or  citato  art. 213, il piano di
riparto   parziale   dev'essere   depositato  nella  cancelleria  del
tribunale  (primo  comma, prima proposizione); dell'avvenuto deposito
dev'essere  data notizia mediante inserzione nella Gazzetta Ufficiale
e  nei  giornali  designati dall'autorita' che vigila sulla procedura
(primo  comma,  seconda proposizione); dall'inserzione nella Gazzetta
Ufficiale  decorre  il  termine  di  venti giorni, entro il quale gli
interessati  possono  proporre,  con  ricorso  al  tribunale, le loro
contestazioni (secondo comma).
    La  medesima  disciplina trova applicazione anche nella procedura
di  amministrazione  straordinaria, di cui al decreto-legge n. 26 del
1979,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge n. 95 del 1979,
posto che l'art. 1, quinto (recte: sesto) comma di tale legge (recte:
di  tale  decreto-legge,  come  convertito),  nel  «secondo  inciso»,
stabilisce   che   la  procedura  «e'  disciplinata,  in  quanto  non
diversamente   stabilito   con   il   presente  decreto-legge,  dagli
articoli 195 e seguenti e dall'art. 237 della legge fallimentare».
    2.3.  -  Quanto  alla rilevanza della questione, il giudice a quo
osserva  che,  avendo  la parte resistente eccepito la tardivita' del
ricorso  per  inosservanza  del  termine di cui all'art. 213, secondo
comma,  della  legge  fallimentare,  e  risultando  effettivamente il
ricorso  depositato  oltre  detto  termine,  la causa non puo' essere
decisa   indipendentemente   dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata.
    2.4.  -  Quanto  alla  non  manifesta infondatezza della medesima
questione,  il  giudice  rimettente  osserva  che  l'inserzione nella
Gazzetta  Ufficiale  dell'avviso dell'avvenuto deposito, non dando ai
creditori  la  possibilita' di effettiva conoscenza di tale deposito,
non   consente  loro  di  proporre  tempestivamente  ricorso  avverso
provvedimenti,  che,  presentando  le  ricordate  caratteristiche  di
definitivita'   e   irretrattabilita',  incidono  sul  loro  «diritto
soggettivo al ricavato della procedura».
    Il  meccanismo  di  pubblicita', previsto dalla norma denunciata,
non attingendo un apprezzabile livello di conoscibilita' da parte dei
creditori,  finisce  col  non  permettere  loro  di  fruire in via di
effettivita'   delle   idonee   garanzie  giurisdizionali  apprestate
dall'ordinamento  a  tutela  dei  loro diritti soggettivi; sicche' e'
palese  -  conclude  il  giudice a quo - la violazione del diritto di
difesa  dei  creditori  e, quindi, del principio sancito dall'art. 24
Cost.
    2.5.  -  E'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha  concluso  per  la inammissibilita' e la infondatezza
della questione.
    La difesa erariale rileva, in via preliminare, che la norma della
cui  costituzionalita'  si  dubita, in realta' non e' l'art. 1, comma
quinto,  della  legge n. 95 del 1979, come indicato nell'ordinanza di
rimessione, bensi' l'art. 1, comma sesto, del decreto-legge n. 26 del
1979, convertito con modificazioni, nella legge n. 95 del 1979.
    Ancora  in  via  preliminare,  l'Avvocatura  osserva che la norma
impugnata  e'  stata abrogata dal d.lgs. n. 270 del 1999, il quale ha
integralmente regolamentato ex novo la materia.
    La questione, dunque, appare inammissibile, oltre che per erronea
identificazione  della  norma  impugnata,  altresi'  per  carenza  di
motivazione   in   ordine  alla  rilevanza,  non  avendo  il  giudice
rimettente  precisato  per  quale  ragione trovi ancora applicazione,
nella controversia al suo esame, la norma abrogata.
    Nel merito, la difesa erariale afferma che la pubblicita', di cui
si   discute,   e'  pienamente  idonea  a  soddisfare  l'esigenza  di
conoscenza  o  conoscibilita'  del  piano  di  riparto  da  parte dei
creditori.
    Ricordato   che   la   Corte   costituzionale  ha  dichiarato  la
contrarieta'  a Costituzione di varie norme della legge fallimentare,
che facevano decorrere termini di impugnativa dalla data del deposito
in  cancelleria  (sentenze n. 155 del 1980 e n. 102 del 1986) o dalla
data  del  provvedimento  (sentenza n. 42 del 1981), osserva che, ben
diversamente   da   quelle  norme,  la  disposizione  ora  censurata,
prevedendo  l'inserzione nella Gazzetta Ufficiale, ossia una forma di
pubblicita'   per   definizione  idonea  a  consentire  una  generale
conoscibilita',  e  un  termine  congruo, fornisce adeguata tutela al
diritto  di  difesa,  nel  contesto  di  una scelta discrezionale del
legislatore,  che,  in  assenza di manifesta irragionevolezza, non e'
sindacabile dal giudice delle leggi.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Ancona dubita della legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli  artt. 3,  24,  97 e 111 della
Costituzione,  dell'art. 213  del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  nella parte in cui fa decorrere il termine di venti
giorni,   per   la   proposizione   da   parte  dei  creditori  delle
contestazioni  al  piano  di  riparto  finale,  dall'inserzione nella
Gazzetta   Ufficiale  dell'avviso  dell'avvenuto  deposito  dell'atto
presso  la  cancelleria del tribunale, anziche' dalla ricezione della
raccomandata   con   avviso  di  ricevimento  contenente  la  notizia
dell'avvenuto deposito.
    Analoga  questione,  in riferimento all'art. 24 Cost., solleva il
Tribunale   ordinario  di  Verona  relativamente  all'art. 1,  quinto
(recte:  sesto)  comma,  «secondo inciso», della legge 3 aprile 1979,
n. 95   -   recte:   del   decreto-legge   30 gennaio   1979,   n. 26
(Provvedimenti  urgenti  per  l'amministrazione  straordinaria  delle
grandi  imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge
3 aprile 1979, n. 95 - per il «richiamo ivi operato» agli artt. 212 e
213  del  r.d.  n. 267 del 1942 (legge fallimentare), «nella parte in
cui  non prevede che del deposito dei piani di riparto parziali se ne
debba  dare  notizia  ai  creditori  con  raccomandata  con avviso di
ricevimento».
    2.  -  La  sostanziale  identita'  delle  questioni  poste  dalle
ordinanze di rimessione impone la riunione dei due giudizi.
    2.1.  - A tale proposito va chiarito che, ai fini della questione
in  esame,  non  rileva  la  circostanza  che,  nel  giudizio  di cui
all'ordinanza   n. 237   del   2004,   si   trattava  di  un  credito
prededucibile  mentre,  nel  giudizio di cui all'ordinanza n. 500 del
2005,  si  trattava di un credito concorsuale, come tale gia' oggetto
di  valutazione  ed  accertamento  in  sede di formazione dello stato
passivo.
    Il  credito prededucibile, infatti, se riconosciuto sia nella sua
esistenza  sia  nella  sua entita' dal commissario - come nel caso di
specie  -  non  necessita  di  alcuna altra verifica ed e', in tutto,
assimilato  ed  assimilabile  ai  crediti ammessi allo stato passivo:
sicche'  nella locuzione «crediti ammessi» devono ritenersi compresi,
pur   se   non   figurano   nello  stato  passivo,  anche  i  crediti
prededucibili  riconosciuti  esistenti, anche nel loro ammontare, dal
commissario.
    3.  -  Le  eccezioni di inammissibilita' proposte dall'Avvocatura
dello  Stato  nei  confronti  dell'ordinanza  n. 500  del 2005 devono
essere respinte.
    Questa Corte ha ripetutamente escluso (da ultimo, sentenza n. 224
del 2004) che «l'erronea indicazione della norma censurata ridondi in
vizio  dell'ordinanza  quando  dal  contesto  della  motivazione  sia
agevolmente  individuabile  la  norma  effettivamente  impugnata  dal
rimettente»:  nella  specie,  e' indubbio che entrambi i rimettenti -
l'uno (ordinanza n. 237 del 2004) omettendo il riferimento alla norma
della  legge  cosiddetta  «Prodi» che la richiama, l'altro (ordinanza
n. 500  del  2005)  errando nell'indicazione del comma (quinto invece
che  sesto)  dell'art. 1  e  riferendo  quest'ultimo  alla  legge  di
conversione   (n. 95  del  1979)  invece  che  al  decreto-legge  poi
convertito  (n. 26  del  1979)  - hanno appuntato le loro censure nei
confronti  dell'art. 213  della  legge fallimentare quale norma della
quale   essi  erano  tenuti  a  fare  applicazione  nelle  rispettive
procedure di amministrazione straordinaria.
    Quanto alla circostanza che i rimettenti non si siano dati carico
della  sopravvenuta  abrogazione  -  ad opera del decreto legislativo
8 luglio   1999   n. 270   (Nuova   disciplina   dell'amministrazione
straordinaria  delle  grandi  imprese in stato di insolvenza, a norma
dell'art. 1  della  legge  30 luglio 1998, n. 274) - della precedente
disciplina, e' sufficiente rilevare che, poiche' l'art. 106, comma 1,
del   d.lgs.   n. 270   del   1999   dispone  che  «le  procedure  di
amministrazione straordinaria in corso alla data di entrata in vigore
del presente decreto continuano ad essere regolate dalle disposizioni
anteriormente  vigenti», non e' implausibile la tesi secondo la quale
le  contestazioni del piano di riparto siano governate, nei giudizi a
quibus dall'art. 213 della legge fallimentare.
    4. - Le questioni sono fondate.
    4.1.  -  Preliminarmente, deve chiarirsi che la disciplina di cui
all'art. 213  della legge fallimentare ha ad oggetto - come osservato
dal   Tribunale   ordinario   di   Verona  sulla  base  del  costante
orientamento  della  giurisprudenza  -  non  solo il piano di riparto
finale,  ma  anche  quelli  parziali,  in  quanto  pure questi ultimi
consistono  in attribuzioni patrimoniali definitive ed irretrattabili
(a  differenza degli «acconti», caratterizzati dalla provvisorieta' e
revocabilita'  dell'erogazione):  sicche'  la  disciplina prevista da
tale  norma (deposito in cancelleria del piano, finale o parziale, di
riparto  autorizzato  dall'autorita'  di  vigilanza; inserzione nella
Gazzetta  Ufficiale dell'avviso dell'avvenuto deposito; decorrenza da
tale  inserzione  del  termine  perentorio  per la proposizione delle
contestazioni  al  tribunale)  concerne ogni ipotesi di riparto tra i
creditori.
    4.2.  - Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi piu' volte - e
proprio  a proposito di disposizioni della legge fallimentare - sulla
possibilita'   che  la  legge  faccia  decorrere  termini  perentori,
previsti   per  impugnare  provvedimenti  (asseritamente)  lesivi  di
diritti   soggettivi,   da  momenti  (emanazione  del  provvedimento,
affissione) diversi da quello della notificazione o comunicazione dei
provvedimenti stessi.
    Da  ultimo,  con  la  sentenza  n. 224  del  2004,  ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 144,  quarto comma, della
legge fallimentare - nella parte in cui prevede che il termine per la
proposizione   del   reclamo   avverso   la   sentenza  che  provvede
sull'istanza   di   riabilitazione  decorre  dalla  affissione  della
sentenza  stessa  anziche'  dalla sua comunicazione -, osservando che
«questa  Corte,  scrutinando altre norme della legge fallimentare, ha
affermato  che  la scelta dell'affissione, quale forma di pubblicita'
idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione di un atto, puo'
essere  giustificata solo dalla difficolta' di individuare coloro che
possono  avere  interesse  a proporre l'impugnazione stessa (sentenze
n. 273  del  1987  e  n. 153  del 1980), risultando priva, invece, di
razionale  giustificazione  se  riferita  a  soggetti preventivamente
individuati  dal  legislatore  (sentenze  n. 211  del  2001, n. 152 e
n. 151  del  1980,  n. 255  del  1974).  Cio'  in quanto l'affissione
determina  una  mera  presunzione  legale,  peraltro insuperabile, di
conoscenza  dell'atto  ed  e'  quindi  compatibile  con il diritto di
difesa  del  destinatario  nei  soli  casi in cui l'individuazione di
questi,  ed  il  conseguente ricorso a mezzi di comunicazione diretta
dell'atto stesso, risultino impossibili o estremamente difficoltosi».
    Tale  pronuncia  e'  a  sua  volta  coerente  -  e  cosi' pure le
decisioni  da  essa  richiamate  -  con  i  principi  enunciati nella
sentenza  n. 881 del 1988, la quale - nel dichiarare l'illegittimita'
costituzionale    dell'art. 190,    secondo    comma,   della   legge
fallimentare,  nella  parte  in  cui  faceva decorrere dalla data del
decreto, anziche' dalla sua rituale comunicazione all'interessato, il
termine  di  decadenza  di  dieci  giorni  per  il reclamo avverso il
provvedimento  del  giudice  delegato  di  cessazione  degli  effetti
dell'amministrazione controllata - ha precisato quanto segue: «Questa
Corte  ha  gia' ritenuto (sentenze numeri 255 del 1974; 120 del 1986;
156  del  1986)  che  del  diritto  di  difesa fa parte integrante il
diritto  dei  soggetti  interessati  ad  impugnare  determinati  atti
processuali di essere posti in grado di averne tempestiva conoscenza,
in  modo da potere utilizzare, nella loro interezza, i termini legali
di  decadenza,  di  volta  in  volta  prestabiliti  dalla  legge  per
l'esperimento  del  gravame.  Ha  anche  affermato  che  alle  stesse
esigenze,  ora  assunte  e  tutelate  a  livello  costituzionale,  e'
informato  il codice di procedura civile che contiene il principio di
ordine  generale  (artt. 133 e 136 cod. proc. civ.) per cui i termini
previsti   per   le   impugnazioni   decorrono   dalla  notificazione
all'interessato  del  provvedimento  da  impugnare  e, in determinati
casi,   dalla   sua  comunicazione.  In  altri  termini,  l'effettivo
esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24
Cost.)   postula   che  il  termine  di  decadenza  previsto  per  le
impugnazioni  decorra  solo  dal  momento  in cui l'interessato abbia
avuto  notizia  dell'atto  da impugnare o, quanto meno, abbia attinto
detta notizia ad un livello di conoscibilita».
    4.3.  -  A  cio'  si  aggiunga che, nella procedura fallimentare,
l'art. 110  della  legge  fallimentare dispone che «tutti i creditori
[...]  siano  avvisati»  del  deposito in cancelleria del progetto di
ripartizione  e  che  il  giudice delegato stabilisce il riparto e lo
rende  esecutivo  con  decreto,  dalla comunicazione del quale - come
statuito  dalla  sentenza  n. 42  del  1981  - decorre il termine per
proporre,  ex art. 26 della legge fallimentare, reclamo (al quale per
la  costante, successiva giurisprudenza, si applica l'art. 739, comma
secondo, cod. proc. civ.).
    4.4.  - La modalita' della comunicazione a mezzo raccomandata con
avviso   di   ricevimento  e'  stata  prescritta  -  «integrando»  le
disposizioni,  rispettivamente,  degli  artt. 98  e  100  della legge
fallimentare  -  dalle  sentenze n. 102 del 1986 e n. 538 del 1990 ai
fini  dell'impugnazione  dello  stato  passivo reso esecutivo e delle
ammissioni  tardive  di  crediti,  ed  e'  stata  estesa  al deposito
dell'elenco  dei crediti ammessi o respinti nella liquidazione coatta
amministrativa  (sentenze  n. 155  del  1980  e  n. 201  del  1993) e
nell'amministrazione straordinaria (sentenza n. 181 del 1987).
    5.  -  Consegue da quanto esposto che, in materia concorsuale, la
legge   prevede,  attualmente,  che  sia  utilizzata  come  forma  di
comunicazione  la  pubblicazione  nella Gazzetta Ufficiale (oltre che
nell'art. 213,  oggetto del presente giudizio) soltanto nell'art. 126
(proposta  di  concordato fallimentare) e nell'art. 171, comma terzo,
della legge fallimentare (proposta di concordato preventivo), e cioe'
in  due  casi  nei  quali  non  soltanto non e' possibile individuare
compiutamente   i   soggetti  interessati  alla  comunicazione  delle
proposte  di  concordato,  ma  anche,  e soprattutto, nei quali dalla
comunicazione  non decorre un termine decadenziale qual e' quello per
impugnare un provvedimento, altrimenti irretrattabile.
    6.   -   Alla   luce   dei   principi   enunciati  nella  copiosa
giurisprudenza,  sopra ricordata, di questa Corte, e' evidente che la
norma     censurata     sacrifica,     tanto     gravemente    quanto
ingiustificatamente, il diritto dei creditori di avere conoscenza del
piano   di   riparto,   totale   o   parziale,   per  poter  proporre
tempestivamente   le   contestazioni   del   caso  avverso  di  esso:
gravemente,  in  quanto  richiede  un  onere di diligenza inesigibile
attesa  la  necessita'  di  consultare,  per tutta la durata (sovente
tutt'altro  che  breve)  della procedura, la Gazzetta Ufficiale dalla
quale  soltanto  decorre  il  termine  de  quo;  ingiustificatamente,
perche'   se   l'indeterminatezza   dei   soggetti  interessati  puo'
giustificare  forme  di  «informazione»  quali  quella prevista dalla
norma  censurata,  cio'  non  puo'  dirsi  quando - come nel caso dei
creditori ammessi (nel senso chiarito sub 2.1.) - tali soggetti siano
non  solo  individuabili,  ma altresi' individuati. In tale ipotesi -
ricorrente  nel  caso  dei  creditori  ammessi  (e  non  degli altri,
possibili   «interessati»)  -  l'onere  di  diligenza  che  la  norma
censurata  impone  ai  creditori e' incomparabilmente piu' gravoso, e
gravido  di  conseguenze  pregiudizievoli,  di  quello  cui  dovrebbe
sottoporsi il commissario ove sia tenuto a dare diretta comunicazione
dell'avvenuto  deposito  del  piano  di  riparto  ai  creditori  (ben
individuati,   per   quanto   numerosi   essi  siano).  Peraltro,  la
sopportabilita'   da   parte   del   commissario  di  tale  onere  e'
testimoniata  inequivocabilmente  dalla  circostanza  che  il  d.lgs.
n. 270  del  1999  prevede  espressamente (art. 67, comma 2) - con il
richiamo  delle  norme  relative  alla  procedura  fallimentare - che
nell'amministrazione   straordinaria  i  creditori  ammessi  ricevano
comunicazione dell'avvenuto deposito del piano di riparto, parziale e
finale.
    7.  -  L'art. 213,  comma  secondo, della legge fallimentare - in
parte qua non modificato dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5
(Riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure concorsuali a
norma  dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80) e
quindi   applicabile   anche   in  futuro  alla  liquidazione  coatta
amministrativa - deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente
illegittimo,  nella  parte  in  cui  fa  decorrere, nei confronti dei
«creditori ammessi» (nell'accezione di cui al precedente punto 2.1.),
il termine perentorio di venti giorni, per le contestazioni del piano
di  riparto,  dalla  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
notizia   dell'avvenuto   deposito   in  cancelleria  anziche'  dalla
comunicazione  dell'avvenuto  deposito  effettuata  a  mezzo  lettera
raccomandata  con  avviso  di  ricevimento  ovvero  a  mezzo di altra
modalita' di comunicazione prevista dalla legge.