ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2 del regio
decreto-legge  19 gennaio  1939,  n. 295  (Ricupero dei crediti verso
impiegati e pensionati, e prescrizione biennale di stipendi, pensioni
ed  altri  emolumenti),  come  modificato  dall'art. 2,  terzo  comma
(recte:   quarto   comma),   della   legge   7 agosto   1985,  n. 428
(Semplificazione   e   snellimento  delle  procedure  in  materia  di
stipendi, pensioni ed altri assegni; riorganizzazione delle direzioni
provinciali  del  tesoro  e  istituzione della Direzione generale dei
servizi   periferici  del  tesoro;  adeguamento  degli  organici  del
personale  dell'amministrazione centrale e del Ministero del tesoro e
del  personale  amministrativo  della  Corte dei conti), promosso con
ordinanza  del 16 giugno 2005 dal giudice unico delle pensioni presso
la Corte dei conti - sezione giurisdizionale per la Regione Calabria,
sul  ricorso  proposto  da  Checco  Antonia ed altre contro l'INPDAP,
iscritta  al  n. 514  del  registro ordinanze 2005 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 42,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2006 il giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Ritenuto  che, con ordinanza del 16 giugno 2005, il giudice unico
delle  pensioni  presso  la Corte dei conti - sezione giurisdizionale
per  la Regione Calabria, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
36,  primo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 2  del regio decreto-legge 19 gennaio 1939,
n. 295   (Ricupero  dei  crediti  verso  impiegati  e  pensionati,  e
prescrizione  biennale  di  stipendi,  pensioni ed altri emolumenti),
come modificato dall'art. 2, terzo comma (recte: quarto comma), della
legge  7 agosto  1985,  n. 428  (Semplificazione  e snellimento delle
procedure   in  materia  di  stipendi,  pensioni  ed  altri  assegni;
riorganizzazione delle direzioni provinciali del tesoro e istituzione
della   Direzione   generale   dei  servizi  periferici  del  tesoro;
adeguamento   degli   organici   del  personale  dell'amministrazione
centrale  e  del  Ministero del tesoro e del personale amministrativo
della Corte dei conti);
        che  il rimettente dubita della legittimita' della denunciata
disposizione  «laddove  con  il  termine  «rate  di  pensione e [...]
differenze  arretrate [...] dovuti dallo Stato che si prescrivono con
il  decorso  di  cinque  anni decorrenti dal giorno in cui il diritto
puo'  essere  fatto  valere»  si accomunano «di fatto», relativamente
alla  maturazione della prescrizione estintiva, sia i ratei accessori
arretrati  delle  pensioni  con  valenza  «retributiva»,  sia  quelli
derivanti     da     pensioni     privilegiate    aventi    connotati
«indennizzatori»»;   mentre  «questi  ultimi,  al  contrario,  avendo
carattere  "reintegrativo  della  lesione derivante da fatto lecito",
dovrebbero seguire la regola generale di tutti i diritti personali di
credito soggetti alla normale prescrizione decennale»;
        che  nel  giudizio  a quo si controverte in ordine al diritto
della  vedova e delle due figlie di un militare appartenente al Corpo
della  Guardia  di  finanza,  deceduto  nel maggio  1976,  a  vedersi
riconosciute,   sulla  pensione  privilegiata  di  reversibilita'  in
godimento,  le  quote  dell'indennita'  integrativa  speciale (IIS) e
della      tredicesima      mensilita',      dapprima     corrisposte
dall'Amministrazione   (Ministero   del  Tesoro  e  poi  INPDAP),  ma
successivamente,  «a  causa  della  contraddittorieta'  in diritto in
ordine  alla  corresponsione  della  detta  IIS e della tredicesima»,
recuperate   «con   trattenute  effettuate  sulla  pensione  e  sullo
stipendio»;
        che, precisa altresi' il rimettente, alle figlie del militare
defunto   «non   sono  state  corrisposte  le  quote  dell'indennita'
integrativa  speciale  e  della  tredicesima mensilita» dal settembre
1984   al luglio   1986,   nonostante  che  le  interessate  avessero
reiteratamente  inoltrato alla Direzione provinciale del Tesoro e poi
all'INPDAP  le  «richieste  di restituzione delle somme indebitamente
trattenute   sulle   pensioni,   sullo   stipendio   [...],   nonche'
l'adeguamento della pensione con la corresponsione» della IIS e della
tredicesima mensilita';
        che,   si  evidenzia  ancora  nell'ordinanza  di  rimessione,
l'INPDAP,   convenuto   in   giudizio,   nel   costituirsi  eccepiva,
preliminarmente,  «l'intervenuta  prescrizione sulla presunta mancata
erogazione  dei  benefici  richiesti  richiamando l'art. 2 del r.d.l.
19 gennaio  1939,  n. 295»,  come  modificato dall'art. 2 della legge
n. 428  del  1985,  sostenendo  che  il termine quinquennale previsto
dalla  citata  disposizione,  di  carattere  speciale, avrebbe dovuto
trovare   applicazione  «per  tutte  le  «pensioni  pubbliche»  senza
distinzione tra quelle di natura «normale» ovvero «privilegiata»»;
        che,  tanto  premesso  in  ordine alla fattispecie oggetto di
cognizione, il giudice a quo argomenta diffusamente sulla inefficacia
del divieto di cumulo degli assegni accessori di pensione in costanza
di   rapporto   di   lavoro,  ricostruendo  il  quadro  normativo  di
riferimento  ed  il  percorso  della giurisprudenza costituzionale in
materia,  cosi' da giungere alla conclusione che, essendo «il divieto
di  cumulo  generalizzato [...] incostituzionale ove non sia previsto
un  ragionevole  limite minimo di trattamento economico complessivo»,
detto  limite, insuperabile dal legislatore, andrebbe ravvisato, alla
luce  della  sentenza  n. 494  del 1993 di questa Corte, nell'importo
«corrispondente  al  trattamento  minimo  di pensione previsto per il
Fondo pensioni lavoratori dipendenti»;
        che  il rimettente sostiene poi, quanto alla decorrenza degli
emolumenti  accessori  alla  pensione, che «il vizio d'illegittimita'
costituzionale non ancora dichiarato costituisce una mera difficolta'
di fatto all'esercizio del diritto assicurato dalla norma, cosi' come
risultante  dalla  pronuncia  della Corte costituzionale e, pertanto,
non impedisce il decorso della prescrizione dal momento in cui (sotto
ogni  altro  profilo)  sussistano  i  presupposti per l'esercizio del
medesimo diritto». Sicche', argomenta ancora il giudice a quo, mentre
il   diritto  a  pensione  e'  imprescrittibile  (art. 5  del  d.P.R.
29 dicembre  1973,  n. 1092,  recante  «Approvazione  del testo unico
delle  norme  sul  trattamento  di quiescenza dei dipendenti civili e
militari  dello  Stato»),  «i  crediti concernenti i singoli ratei di
pensione   privilegiata   ed   i   loro  accessori  sono  soggetti  a
prescrizione   estintiva   quinquennale»   in  base  alla  denunciata
disposizione  di  cui  all'art. 2  del  r.d.l.  n. 295 del 1939, come
sostituito  dall'art. 2  della  legge  n. 428 del 1985, espressamente
richiamato dall'art. 143 del d.P.R. n. 1092 del 1973;
        che,  cio'  posto,  il rimettente motiva ampiamente sul fatto
che nell'ordinamento sussisterebbe «la parificazione tra la categoria
dei  pensionati  privilegiati  per  servizio  e  quelli  di  guerra»,
assumendo   altresi'   che   «il  diritto  soggettivo  alla  pensione
privilegiata  (derivante  da fatto di guerra o di servizio) ha, senza
dubbio, natura di «credito indennitario»»;
        che,  peraltro,  ad  avviso  dello  stesso giudice a quo, «le
pensioni  privilegiate  dei  militari  di  carriera,  a differenza di
quelle  normali,  presentano  la  peculiarita'  di  non  postulare un
precedente  rapporto  contributivo,  ma  di servizio e si sostanziano
nell'attribuzione  di  un  indennizzo  (a  vita o una tantum), che e'
commisurato  alla  gravita'  della menomazione dell'integrita' fisica
subita  a causa dell'incarico prestato», dovendo quindi reputarsi che
«la  malattia  valutata  come  causa  di  servizio  inerisce  ad  una
attivita'   ordinariamente   svolta   a   vantaggio   della  pubblica
Amministrazione   e  deve  considerarsi  come  conseguenza  [...]  di
un'attivita'  lecita».  Sicche',  prosegue  il rimettente, tale e' la
«caratteristica  peculiare  delle pensioni per i militari di carriera
[...]  in quanto le somme erogate dallo Stato a tale titolo non hanno
natura reddituale di quiescenza, ma indennitaria»;
        che  -  si  afferma  ancora nell'ordinanza di rimessione - il
«fondamento  della  natura  indennitaria della pensione privilegiata»
troverebbe  plurime  conferme  nell'ordinamento  e  in  tal  senso si
porrebbe   del   resto   la   consolidata  distinzione  tra  «diritto
all'indennizzo», riferibile ad una pretesa derivante da fatto lecito,
e  «diritto  al  risarcimento del danno», «correlato all'evento di un
danno   ingiusto».   Dunque,  pur  rimanendo  ferma  la  possibilita'
dell'interessato  «di  azionare  l'ordinaria pretesa risarcitoria (ex
art. 2043 cod. civ. in caso di danno illecito)», la disciplina di cui
al  d.P.R.  n. 1092  del 1973 «opera su un piano diverso da quello in
cui  si  colloca quella civilistica in tema di risarcimento del danno
[...] compreso il cosiddetto danno biologico»;
        che,  sostiene sempre il rimettente, anche sul piano fiscale,
l'art. 6  del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo
unico  delle  imposte  sui  redditi) «prevede l'esclusione dall'IRPEF
solo  per  quei «redditi» e quelle «indennita» percepite a seguito di
invalidita'  o  morte conseguite in sostituzione di redditi, dovuti a
titolo  di  risarcimento  dei  danni ristorati per fatto «illecito»»,
mentre  la «pensione privilegiata (non di quiescenza) che presuppone,
viceversa  [...]  un'invalidita'  permanente  o  la  morte, determina
l'erogazione  di  un'indennita'  ristoratrice  per fatto «lecito», e'
quindi  assoggettabile  ad  IRPEF, in quanto reddito (ma solo ai fini
fiscali) derivante da sostituzione di provento c.d. da «lavoro»»;
        che, peraltro, il giudice a quo asserisce di non dubitare del
fatto  che  ai  fini  della  «pensione  privilegiata indennitaria non
tabellare»  si  debba  tener  conto  della  gravita' della malattia o
lesione  contratta  a causa del servizio prestato, della retribuzione
«rapportata  sia  alla differente qualifica funzionale o grado (per i
militari),  sia alla relativa anzianita' di servizio del dipendente»,
ma,   a   suo   avviso,  «il  periodo  di  servizio  prestato  rileva
esclusivamente  come  fatto  giuridico  cui  l'ordinamento  riconduce
effetti  prescindendo  dalla  sua  durata»  e  cio'  a differenza dei
«trattamenti  di  pensione normale ordinaria». Il trattamento normale
di  quiescenza  non  puo'  dunque  -  prosegue il rimettente - essere
«accomunato»  alla  pensione privilegiata, anche perche' «il primo e'
ricompreso,  in modo sistematico, nell'ambito del Titolo III del t.u.
n. 1092/1973, mentre il secondo nel Titolo IV e conseguentemente sono
diversi i principi che regolano e disciplinano i due istituti»;
        che,  sulla  scorta  di  tali  premesse,  il  rimettente, nel
motivare  sulla non manifesta infondatezza della sollevata questione,
sostiene  che «nel nostro sistema giuridico il risarcimento per fatto
lecito  e'  stato  oggetto  di  pronuncia  della Corte di cassazione»
(Cass. civ., sez. I, 8 ottobre 1992, n. 10979), la quale, «in materia
di  occupazione  invertita»,  ha  individuato in 10 anni i termini di
prescrizione,  assumendo  a  riferimento  «quelli  contemplati  dagli
artt. 934  e  ss.  cod.  civ., costitutivi, in capo al privato, di un
diritto  personale  di  credito  soggetto alla prescrizione ordinaria
decennale,  non  a quella quinquennale in materia di risarcimento del
danno da fatto illecito»;
        che  sarebbe, quindi, evidente - argomenta il giudice a quo -
«la  disparita'  di  trattamento  tra coloro che ottengono il ristoro
indennizzatorio  da  fatto  lecito (la cui prescrizione estintiva del
diritto  di  credito  spira  con il raggiungimento del decimo anno) e
coloro  che  fruiscono  di  pensione privilegiata (che ha anch'essa a
fondamento  una funzione di indennizzo derivante da fatto lecito) che
vedrebbero  prescritti  i  loro  diritti  di  credito derivanti dagli
emolumenti  accessori  (13ª  mensilita'  e  I.I.S.), come nel caso in
giudizio,  in  cinque  anni»  in base al denunciato art. 2 del r.d.l.
n. 295  del  1939, come modificato dall'art. 2 della legge n. 428 del
1985;
        che  in  definitiva,  secondo  il rimettente, «il legislatore
richiamando  il  r.d.l. n. 295 del 1939 nell'ambito dell'art. 143 del
t.u.  n. 1092  del  1973  ha inteso sottoporre alla stessa disciplina
tutti  i  trattamenti  di  pensione  che trovano la loro genesi nello
stesso testo unico, ma laddove si accomuni la pensione c.d. «normale»
(con  contenuto  reddituale) con quella «privilegiata» (con contenuto
indennizzatorio  da  fatto lecito), la norma determina, prevedendo un
termine  prescrizionale di cinque anni, una disparita' di trattamento
rispetto  agli  altri  identici  diritti  per  risarcimento per fatto
lecito  che  si  prescrivono  in  dieci  anni  (cfr.  Cass.,  Sez. I,
8 ottobre 1992, n. 10979, gia' citata)»;
        che,  ad avviso del giudice a quo, la disposizione denunciata
sarebbe quindi incostituzionale, in quanto non sussisterebbe «neppure
una  «ragionevole  giustificazione»  della  diversita'  di disciplina
circa  il  termine  prescrizionale  previsto  per  i  ratei arretrati
spettanti  a  fronte  del  riconoscimento di indennizzo scaturente da
fatto lecito (dieci anni), rispetto agli omologhi arretrati derivanti
da pensioni privilegiate dei militari di carriera (cinque anni)»;
        che,  infine,  in  punto di rilevanza, il rimettente sostiene
che    la   controversia   pendente   non   possa   essere   definita
indipendentemente  dalla  risoluzione  della  sollevata  questione di
legittimita'   costituzionale,   «dal  momento  che  il  ricorso,  in
relazione  al provvedimento impugnato, se accolto, dovra' tener conto
di  un  diverso  dies  a  quo  da  cui  partire  per il calcolo della
maturazione   della   prescrizione   estintiva,   a  seconda  che  la
disposizione    normativa    suindicata   sia   o   meno   dichiarata
incostituzionale»;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per  la  declaratoria  di inammissibilita' della
questione;
        che,  secondo  la  difesa erariale, il rimettente dubiterebbe
dell'art. 2 del r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, per contrasto con gli
articoli 3  e 36 della Costituzione, «laddove tale disposizione venga
interpretata  nel  senso  che  in  materia  pensionistica, qualora il
credito  sorga  da  una pronuncia di illegittimita' costituzionale di
una  disposizione  di  legge, il termine di prescrizione quinquennale
decorra  dalla  data  di  pubblicazione della sentenza medesima e non
dalla data in cui il diritto era concretamente azionabile»;
        che,    pertanto,   sostiene   l'Avvocatura,   la   questione
risulterebbe  proposta  «essenzialmente  in  vista  di  una soluzione
interpretativa   alternativa   circa   la  portata  della  menzionata
disposizione  normativa: una alternativa che pero' spetta previamente
al   giudice  a  quo  risolvere  assegnando  alla  norma  un  preciso
significato,  prima  di  prospettare  un problema di conformita' alla
Costituzione».
    Considerato  che  il giudice unico delle pensioni presso la Corte
dei  conti  -  sezione  giurisdizionale  per  la Regione Calabria, ha
denunciato  l'art. 2  del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295
(Ricupero  dei  crediti  verso impiegati e pensionati, e prescrizione
biennale  di stipendi, pensioni ed altri emolumenti), come modificato
dall'art. 2,  terzo comma (recte: quarto comma), della legge 7 agosto
1985,  n. 428  (Semplificazione  e  snellimento  delle  procedure  in
materia  di  stipendi,  pensioni  ed  altri assegni; riorganizzazione
delle  direzioni provinciali del tesoro e istituzione della Direzione
generale   dei  servizi  periferici  del  tesoro;  adeguamento  degli
organici  del personale dell'amministrazione centrale e del Ministero
del  tesoro  e  del  personale amministrativo della Corte dei conti),
«laddove  con  il  termine  "rate  di  pensione  e  [...]  differenze
arretrate  [...] dovuti dallo Stato che si prescrivono con il decorso
di  cinque  anni  decorrenti dal giorno in cui il diritto puo' essere
fatto   valere"   si   accomunano   "di  fatto",  relativamente  alla
maturazione  della  prescrizione  estintiva,  sia  i  ratei accessori
arretrati  delle  pensioni  con  valenza  "retributiva",  sia  quelli
derivanti     da     pensioni     privilegiate    aventi    connotati
"indennizzatori"»;
        che,   ad  avviso  del  rimettente,  posto  che  le  pensioni
privilegiate   avrebbero   «carattere  "reintegrativo  della  lesione
derivante  da  fatto  lecito"»  e  dovrebbero,  pertanto, «seguire la
regola generale di tutti i diritti personali di credito soggetti alla
normale    prescrizione   decennale»,   la   disposizione   censurata
violerebbe,   dunque,   gli   artt. 3   e   36,  primo  comma,  della
Costituzione,  in  quanto non sussisterebbe «neppure una "ragionevole
giustificazione"  della  diversita'  di  disciplina  circa il termine
prescrizionale  previsto per i ratei arretrati spettanti a fronte del
riconoscimento di indennizzo scaturente da fatto lecito (dieci anni),
rispetto  agli  omologhi arretrati derivanti da pensioni privilegiate
dei militari di carriera (cinque anni)»;
        che,  preliminarmente, deve ritenersi non pertinente rispetto
al  thema  decidendum  l'eccezione di inammissibilita' avanzata dalla
difesa  erariale, giacche', come appena evidenziato, la questione che
il  rimettente  sottopone  allo  scrutinio  di  questa Corte riguarda
l'ampiezza  del  termine  di maturazione della prescrizione dei ratei
arretrati  della  pensione  privilegiata «dei militari di carriera» e
non  -  secondo  quanto ritenuto dall'Avvocatura - il diverso profilo
della  decorrenza della prescrizione «qualora il credito sorga da una
pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale  di una disposizione di
legge»;
        che,  nel merito, la prospettazione su cui si fonda il dubbio
di  costituzionalita'  muove  da  premesse  interpretative  non  solo
palesemente erronee, ma anche inconferenti;
        che,    infatti,   il   rimettente   evoca,   quale   tertium
comparationis,  la disciplina recata dagli artt. 934 e ss. del codice
civile  sotto lo specifico profilo della prescrizione del diritto del
proprietario    del   fondo   privato   acquistato   dalla   pubblica
amministrazione  per  «accessione invertita», assumendo che, in forza
dell'interpretazione  fornita  dalla Corte di cassazione (Cass. civ.,
sez.  I,  8 ottobre 1992, n. 10979), verrebbe qui in considerazione -
al  pari  della  pensione  privilegiata  che avrebbe «una funzione di
indennizzo  derivante  da  fatto lecito» - un «risarcimento per fatto
lecito»  e,  segnatamente,  «un diritto personale di credito soggetto
alla  prescrizione  ordinaria decennale, non a quella quinquennale in
materia di risarcimento del danno da fatto illecito»;
        che tra il termine di raffronto individuato dal giudice a quo
e la disciplina recata dalla norma denunciata in tema di prescrizione
dei  ratei pensionistici spettanti ai pubblici dipendenti non e' dato
ravvisare,   con  tutta  evidenza,  alcuna  omogeneita',  risultando,
altresi',  non  pertinente  l'accostamento che il rimettente medesimo
sembrerebbe operare tra la prescrizione quinquennale del risarcimento
del  danno  da  fatto  illecito  e quella prevista dalla disposizione
censurata in relazione ai ratei di pensione;
        che,  peraltro,  il prescelto tertium comparationis, oltre ad
essere  inconferente,  viene  assunto  in  base ad un'interpretazione
quasi  isolata  del  giudice  di legittimita', giacche' il rimettente
ignora  non  solo  la  giurisprudenza precedente a quella citata, ma,
soprattutto,  quella  formatasi successivamente, la quale, in base ad
un  orientamento  ormai  consolidato,  ha  affermato che l'azione del
privato,   volta   ad  ottenere  il  pagamento  di  somma  di  denaro
corrispondente  al  valore del fondo perduto a seguito di occupazione
illegittima  e  di  irreversibile  trasformazione  di  esso  in opera
pubblica,  soggiace al termine quinquennale di prescrizione stabilito
dall'art. 2947, primo comma, cod. civ.;
        che,  inoltre,  il  giudice  a  quo erra nel ritenere che «le
pensioni  privilegiate  dei  militari  di  carriera,  a differenza di
quelle  normali,  presentano  la  peculiarita'  di  non  postulare un
precedente  rapporto  contributivo,  ma  di servizio e si sostanziano
nell'attribuzione  di un indennizzo (a vita o una tantum)», cosi' che
la  loro  «caratteristica  peculiare»  sarebbe  quella  di  non avere
«natura reddituale di quiescenza, ma indennitaria»;
        che,  infatti, contrariamente a quanto afferma il rimettente,
e'  orientamento  consolidato di questa Corte (tra le altre, sentenze
n. 70  del  1999,  n. 431 del 1996, n. 126 del 1991, n. 387 del 1989,
n. 151   del  1981),  condiviso  dalla  giurisprudenza  assolutamente
prevalente della stessa Corte dei conti in materia pensionistica, che
le  pensioni  privilegiate ordinarie, civili e militari, hanno titolo
in   un   rapporto   di  dipendenza,  volontariamente  costituito,  e
rappresentano la proiezione di un precedente trattamento economico di
servizio,  del quale condividono la natura reddituale di retribuzione
differita  e cio' al pari delle pensioni normali di quiescenza, tanto
da   potersi  ravvisare  «l'unicita'  della  figura  del  diritto  al
trattamento  pensionistico  sia  normale  sia privilegiato» (cosi' la
citata sentenza n. 126 del 1991);
        che,  dunque,  non  ha  consistenza  la censura con la quale,
evocando  congiuntamente  la  violazione  degli  artt. 3  e 36, primo
comma, Cost., si assume come ingiustificato ed irragionevole l'eguale
trattamento,   sotto   il   profilo   del   termine  quinquennale  di
prescrizione  stabilito  dalla  denunciata disposizione, tra pensioni
normali di quiescenza e pensioni privilegiate ordinarie;
        che,  invero,  il  giudice  a  quo, nel ricostruire la natura
giuridica  delle pensioni privilegiate ordinarie, delle quali possono
beneficiare  i  militari  di carriera, sembra, piuttosto, confonderle
con  quelle  cd. tabellari spettanti ai «militari di leva», le quali,
diversamente  dalle  prime,  ma analogamente alle pensioni di guerra,
non  hanno  carattere  reddituale, bensi' risarcitorio, rinvenendo il
proprio titolo preminente nella menomazione sofferta nell'adempimento
di  un  obbligo  legalmente  imposto in attuazione dell'art. 52 della
Costituzione;
        che,  infine,  va  comunque  osservato che il legislatore, in
materia  di  fissazione  del  termine  di  prescrizione  dei  singoli
diritti,   gode   di   ampia  discrezionalita',  con  l'unico  limite
dell'eventuale  irragionevolezza  qualora  «esso venga determinato in
modo  da  non  rendere  effettiva  la  possibilita'  di esercizio del
diritto  cui  si  riferisce,  e  di  conseguenza inoperante la tutela
voluta  accordare  al cittadino leso» (tra le tante, ordinanza n. 153
del 2000);
        che  detto  limite,  nel caso di specie, non risulta violato,
tanto  piu'  che  neppure  il  rimettente censura l'art. 2 del r.d.l.
n. 295  del  1939,  come  modificato dall'art. 2, quarto comma, della
legge  n. 428 del 1985, sotto il profilo della congruita' del termine
di  prescrizione  dalla  stessa  norma  fissato, ma adduce argomenti,
privi   di   consistenza,   sulla  presunta  equiparazione  che  essa
opererebbe tra situazioni diverse e disomogenee;
        che,   dunque,  la  questione  va  dichiarata  manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.