LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello R.G. Appelli 157/1997 depositato il 9 luglio 1997 avverso la sentenza n. 333/04/95, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria da: Mauro Antonio, residente a Reggio Calabria in via Borrace, 67; difeso da Paviglianiti Francesco, residente a Reggio Calabria in via D. Marvasi, 6/A; Mauro Pasquale, residente a Reggio Calabria in via Borrace, 67; difeso da Paviglianiti Francesco, residente a Reggio Calabria in via D. Marvasi, 6/A; Mauro Umberto erede di Mauro Domenico, defunto, residente a Reggio Calabria, in via Borrace, 67; difeso da Paviglianiti Francesco, residente a Reggio Calabria in via D. Marvasi, 6/A; Controparti: Intendenza di finanza di Reggio Calabria; atti impugnati: SU I. RIMB-TERRENI. Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 157/1997 depositato il 9 luglio 1997 proposto da Mauro Pasquale + 5 rappresentati e difesi dall'avv. Francesco Paviglianiti ed elettivamente domiciliati presso lo studio dello stesso in Reggio Calabria, via Diomede Marvasi n. 6/A contro la Direzione regionale delle entrate per la Calabria - Sez. staccata di Reggio Calabria, rappresentata e difesa in giudizio dal Direttore regionale pro tempore o da un suo delegato, avverso il mancato rimborso della ritenuta fiscale operata sulle somme percepite a titolo di indennita' di esproprio. Visti gli atti tutti di causa; Ritenuta la immediata rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75, sollevata dagli appellanti in riferimento agli artt. 3, 53, 70 e 77 secondo comma della Costituzione; Ritenuto che il giudizio non puo' essere deciso indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale; Ritenuta la mancanza di pregio dei motivi principali di appello; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue. Esposizione in fatto In data 14 luglio 1992 i germani Mauro Domenico, Pasquale ed Antonio cedevano volontariamente un appezzamento di terreno di cui erano comproprietari, gia' oggetto di procedura espropriativa iniziata con decreto, prefettizio del 19 marzo 1990, per la realizzazione della nuova sede della Facolta' di architettura di Reggio Calabria. Sulla somma corrisposta in sede di liquidazione della indennita' veniva applicata la ritenuta del 20% da versare all'Erario, con riferimento all'art. 11 legge n. 413/1991. Poiche' il terreno espropriato, a seguito di variazione del 18 novembre 1991 documentata dall'UTE in data 7 luglio 1992, nonche' di modificazioni degli strumenti urbanistici certificati dal Comune di Reggio il 14 luglio 1992, da terreno agricolo era stato destinato a zona omogenea di tipo «F» (area a servizio della residenza; aree a verde pubblico; aree per le attrezzature scolastiche di grado superiore), i germani Mauro chiedevano la restituzione delle somme trattenute dall'Erario a titolo di ritenuta. Nell'istanza di rimborso datata 9 luglio 1993, veniva evidenziato che il terreno espropriato non rientrava nella previsione normativa di cui alla legge n. 413/1991 che prevedeva l'applicazione della ritenuta alle sole di tipo A-B-C-D, non essendo stato, inoltre, convertito in legge il piu' volte reiterato d.l. 28 febbraio 1992, n. 194 che estendeva l'operativita' della ritenuta anche alle zone omogenee di tipo «F». L'istanza veniva altresi' prodotta in funzione del d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, che eliminava radicalmente la previsione di cui ai decreti-legge non convertiti, non contemplando l'applicazione della ritenuta di acconto per gli espropri relativi a terreni ricadenti in zone di tipo «F». Rimasta senza esito l'istanza, adivano la commissione tributaria per sentir fare ragione delle superiori richieste e, con memoria del 23 maggio 1993, sollevavano la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, legge n. 75/1993 nel frattempo intervenuta, con riferimento agli artt. 3, 53, 70 e 77 della Costituzione, nella parte in cui rendeva validi gli atti, i provvedimenti assunti ed i rapporti giuridici sorti sotto la vigenza dell'art. 3 dei dd.ll. fotocopia 28 febbraio 1992, n. 197, 27 aprile 1992, n. 268 e 25 giugno 1992, n. 319, tutti non convertiti, che estendevano la tassazione alle zone omogenee di tipo «F». Sempre in via gradata, chiedevano che fosse investita della questione la Corte di Giustizia Cee per la constatazione della violazione del principio di proporzionalita' ed uniformita' della legge n. 73/1995, con riguardo alla normativa Cee nonche' per la interpretazione della normativa fiscale nazionale concernente disposizioni impositive di prestazioni patrimoniali e per la compatibilita' della stesa con il principio di proporzionalita'. Reiteravano in appello le medesime argomentazioni, evidenziando inoltre che, successivamente al deposito della decisione impugnata, era intervenuta la risoluzione n. 111/E/III-5-812 dell'11 luglio 1996 sulla tassazione delle indennita' di esproprio del Dipartimento delle entrate - Direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario, merce' la quale l'amministrazione finanziaria aveva precisato che per quanto concerne l'individuazione del momento in cui si deve avere riguardo per la collocazione del terreno nelle zone omogenee prevista dalla legge al fine di stabilire l'assoggettabilita' o meno a tassazione dell'indennita' di esproprio, si deve fare riferimento non alla emissione del decreto di esproprio, bensi' all'inizio della procedura esecutiva. L'amministrazione finanziaria, costituitasi in giudizio, chiedeva in sostanza il rigetto del ricorso nel merito e la declaratoria di manifesta infondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale e della violazione di principi comunitari. All'udienza del 13 dicembre 2000 l'appello veniva trattenuto in decisione. D i r i t t o In via preliminare, va respinta l'eccezione di violazione dei principi comunitari di proporzionalita' ed uniformita' della legge n. 73/1995, in quanto formulata in modo del tutto generico, non essendo state indicate le norme comunitarie che si assumono violate ne' indicati i motivi in base ai quali la normativa in questione lederebbe i principi sanciti dalla normativa Cee. Va del pari disattesa l'interpretazione, voluta dai germani Mauro, riferita alla citata risoluzione n. 111 dell'11 luglio 1996: come correttamente sostiene l'amministrazione finanziaria, infatti, il presupposto della imposizione e' dato dalla inclusione del terreno in una delle zone omogenee previste dalle norme impositive; e' esclusivamente con riguardo a tale profilo interpretativo che deve considerarsi il riferimento all'inizio della procedura esecutiva, al fine di evitare elusioni della norma impositiva attraverso una diversa classificazione del terreno nel periodo compreso tra l'inizio e la fine della procedura esecutiva. Il momento temporale dell'imposizione e' invece costituito dalla materiale percezione delle somme c.d. principio di cassa - avvenuta il 14 luglio 1992; la ritenuta e' stata pertanto applicata in quanto le somme sono state corrisposte sotto la vigenza dei decreti-legge nn. 174, 269 e 319/1992, che estendevano l'imposizione anche ai terreni ricadenti nelle zone omogenee di tipo «F». Per altro verso, questa Commissione ritiene che le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dagli appellanti siano dirimenti, atteso che il giudizio in corso non potrebbe essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75, in riferimento agli artt. 3, 53, 70 e 77, secondo comma, della Costituzione (per quanto richiesto dagli appellanti) ritenute non manifestamente infondate per i motivi che di seguito si espongono. La legge n. 75/1993, ha convertito in legge il d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, che reiterava tre precedenti atti normativi del Governo - i c.d. «decreti fotocopia» - ossia il d.l. n. 174/1992, il d.l. n. 269/1992 ed il d.l. n. 319/1992, senza tuttavia prevedere la estensione della imposizione fiscale anche ai terreni ricadenti in zone omogenea di tipo «F», a differenza dei tre precedenti d.l. La legge in questione, all'art. 2, primo comma, faceva altresi' salvi gli effetti prodottisi, i rapporti giuridici sorti ed i provvedimenti adottati sotto la vigenza dei citati decreti c.d. fotocopia. L'art. 2 del d.l. n. 16 del 1993, in quanto sostitutivo di quattro precedenti decreti-legge non convertiti, rivela la insussistenza dei requisiti di necessita' ed urgenza che dovrebbero sorreggerlo, ponendosi quindi in contrasto con l'art. 77 Cost. (Comm. imp. distr.le Piacenza, 2 ottobre 1993), pertanto, poiche' la legge disciplinatrice della materia che ha fatto salvi i provvedimenti adottati in base ai decreti non convertiti e' intervenuta nelle more del giudizio, la questione di legittimita' di norme contenute nei decreti-legge non convertiti puo' essere esaminata dalla Corte costituzionale (Corte cost. 17 febbraio 1994, n. 40). Il d.l. n. 174/1992 e' stato iterato e reiterato per ben tre volte da una serie di decreti fotocopia, in assenza di nuove condizioni di straordinaria necessita' ed urgenza, integrando il vizio che la Corte cost. 24 ottobre 1996, n. 360, aveva affermato sussistere in tutti i casi in cui la riproduzione del «contenuto normativo dell'intero testo o di singole disposizioni» di un decreto legge, per qualunque causa non convertito, non sia giustificata da «nuovi (e sopravvenuti) presupposti straordinari di necessita' ed urgenza». Nella stessa Corte cost. n. 360 citata, tuttavia, il giudice delle leggi ha espresso (in realta' in forma di obiter dictum) un orientamento in base al quale il vizio si considera «sanato dalla conversione in legge, con la quale le Camere hanno assunto come propri i contenuti della disciplina adottata dal Governo», ispirandosi all'idea di fondo che i limiti posti dall'art. 77 Cost. si impongono non alle Camere in sede di conversione dell'atto, bensi' esclusivamente al Governo al momento della su emanazione, configurando i vizi del d.l. come autonomi rispetto a quelli della legge di conversione. Esplicando l'intervento del Parlamento, in quest'ottica, efficacia sanante in relazione all'assenza delle condizioni richieste dall'art. 77 Cost. La linea argomentativa propria della decisione de qua si pone, peraltro, in contrasto con quella della Corte cost. 27 gennaio 1995, n. 29, in cui si affermava che l'assenza dei requisiti richiesti dall'art. 77 Cost. per l'emanazione di un d.l. si riflette, come vizio in procedendo, sulla legge di conversione. A parere del giudice remittente, in tale ambito argomentativo, occorre precisare gli esatti termini della questione. Mutuando un orientamento abbastanza autorevole (Note a Corte cost. 26 maggio 1998, ord. n. 194 - Filippo Vari), l'elemento decisivo per accertare se il d.l. e' stato «reiterato conformemente a Costituzione» e' dato dalla sussistenza di quelle condizioni di straordinaria necessita' ed urgenza che devono giustificare ogni ricorso alla decretazione d'urgenza. Seguendo tale orientamento, considerato che ogni decreto integra un nuovo ed autonomo esercizio dell'attivita' di cui all'art. 77 Cost., ne consegue l'impossibilita' di impostare utilmente una distinzione tra provvedimenti (e tra vizi che li inficiano) in funzione della loro collocazione nella sequenza temporale, dal momento che ogni volta che si emana un d.l. si determina una situazione che va valutata - in relazione alla presenza dei requisiti richiesti - sempre allo stesso modo e senza distinzioni di sorta; ne consegue che anche per il d.l. illegittimamente reiterato il problema dei rapporti con la legge di conversione si pone in termini del tutto analoghi a quelli di un decreto emanato per la prima volta in assenza dei presupposti, non potendosi escludere che i vizi di formazione di un atto normativo del Governo possano incidere in modo pregiudizievole sulle sottostanti posizioni giuridiche soggettive anche dopo la conversione. Posto infatti che «non vi e' atto di produzione giuridicamente rilevante come atto di produzione giuridica, senza una norma sulla produzione giuridica» (Perassi, Necessita' e stato di necessita' nella teoria dogmatica della produzione giuridica, in Riv. dir. pubbl., 1917, ora in Id., Scritti giuridici, I, Milano, 1958, 232, nt. 52), non sembra sostenibile, in linea di principio, la facolta' delle Camere di convertire provvedimenti dell'Esecutivo emanati in assenza di una situazione di fatto che possa essere ricondotta al criterio della straordinaria necessita' ed urgenza. Ogni disposizione che contempla lo stato di necessita', come l'art. 77, presenta, infatti, le caratteristiche proprie della norma eccezionale in quanto si sostituisce, come canone di valutazione giuridica di un fatto o di un atto, alla norma comune (cfr. Perassi, nota prec.). E se quest'ultima va senz'altro individuata nell'art. 70, Cost., il meccanismo previsto dall'art. 77, Cost., esige, proprio per la sua eccezionalita', il rigoroso rispetto delle condizioni previste, a meno di non disattendere il principio secondo il quale le norme eccezionali sono di stretta interpretazione e creare, di tal guisa, una nuova norma eccezionale. Ne' puo' trascurarsi la circostanza che non sussiste una perfetta fungibilita' tra una normale legge retroattiva, che faccia proprio il contenuto della disciplina introdotta con un d.l., e la legge di conversione. Infatti non solo la seconda puo' disporre di una serie di ambiti da ritenere preclusi ad una legge retroattiva, pena la violazione della Costituzione, ma mentre quest'ultima puo' al massimo qualificare situazioni precedenti la propria entrata in vigore facendo discendere dei comandi per i sottoposti, il decreto-legge, costituendo un'anticipazione della legge del Parlamento, potra' ben stabilire, oltre a qualificazioni, comandi che, riguardati dal punto di vista della legge di conversione, rappresentano, per cosi' dire, dei comandi retroattivi (Sorrentino - Corte cost. tra decreto-legge e legge di conversione), superandosi, in questo modo, anche i limiti logici di una legge retroattiva. A tal uopo puo' farsi l'esempio di una decadenza fissata con decreto in seguito convertito, la quale non potrebbe essere ottenuta con una semplice legge che retroagisca fino al momento in cui il decreto e' entrato in vigore. E' opportuna, a questo punto, una breve analisi del meccanismo mediante il quale opera una legge di conversione, al fine di evidenziare ed avvalorare ulteriormente l'assunto secondo il quale il vizio derivante da reiterazione continua a produrre effetti nonostante la conversione. Secondo l'orientamento della ben nota n. 360/1996 (e ord. n. 194/1998), quando non si pongano limiti costituzionali alla retroattivita', la legge di conversione puo' intendersi quale una legge ordinaria che fa proprio il contenuto del decreto. Diversamente, pero', si prospetta la questione nel caso in cui con l'effetto prodotto dal congiunto operare di un decreto e della relativa legge di conversione si disciplinano fattispecie che resterebbero precluse ad una legge retroattiva emanata ai sensi dell'art. 70 Cost. (cfr. esempio citato sopra). In questo caso l'illegittimita' del provvedimento del Governo non puo' non riflettersi su quello delle Camere. L'atto del Parlamento, infatti, non puo' essere considerato come una legge che, emanata ex art. 70, stabilisca una disciplina identica a quella contenuta nel decreto legge, in quanto cio' trova impedimento nei limiti posti alla retroattivita' della legge. La rispondenza del provvedimento d'urgenza ai presupposti previsti per la sua emanazione diviene, dunque, condizione imprescindibile perche' la legge del Parlamento possa legittimamente operare in riferimento alle situazioni considerate dal provvedimento medesimo. Il profilo garantistico sotteso alla previsione costituzionale non perde di rilievo, infatti, nel momento della conversione ma, anzi, richiede una maggior considerazione quando la disciplina che incide su di esso da provvisoria sia divenuta definitiva. Cio' comporta che, nei casi in cui una legge ordinaria non possa avere effetto retroattivo, l'invalidita' dell'atto dell'esecutivo, derivante dalla sua «illegittima» reiterazione, non e' sanata dalla legge di conversione, neppure attraverso il richiamo ai poteri del Parlamento ai sensi dell'art. 70 (o 77, seconda parte del terzo comma, poiche' equivalente). Sul punto Corte cost. 24 luglio 1972, n. 144 ha riconosciuto che le leggi che regolano i rapporti sorti sulla base dei decreti non convertiti possono introdurre una disciplina analoga a quella fissata dal decreto non convertito, purche' cio' non sia vietato da altre disposizioni costituzionali. Sara' pertanto opportuno che il giudice delle leggi interferisca nella dialettica tra Governo e Parlamento, nel difficile equilibrio raggiunto con la conversione in legge, al fine di scongiurare la creazione di una zona franca nella quale un vizio che continua a produrre effetti non possa essere eliminato. Riconsiderando, pertanto, il contenuto della n. 360/1996 alla luce delle superiori argomentazioni, quindi estrapolando la clausola di salvezza in essa contenuta e considerando come insaziabili dalla legge di conversione i vizi contenuti nell'atto normativo del Governo, i d.l. c.d. (fotocopia), sopra citati, (devono considerarsi costituzionalmente illegittimi, per violazione dell'art. 77 Cost., ... in quanto il d.l. iterato o reiterato - per il fatto di riprodurre nel suo complesso o in singole disposizioni) il contenuto di un d.l. non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali - collide con la previsione costituzionale sia perche' altera la natura provvisoria della decretazione d'urgenza, procrastinando, di fatto, il termine invalicabile previsto dalla Costituzione per la conversione in legge; sia perche' toglie valore al carattere straordinario dei requisiti della necessita' e dell'urgenza, posto che la reiterazione viene a stabilizzare ed a prolungare nel tempo il richiamo ai motivi gia' posti a fondamento del primo decreto; sia perche' attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito, posto che il ricorso ripetuto alla reiterazione suscita nell'ordinamento l'aspettativa di consolidamento degli effetti determinati dalla decretazione d'urgenza mediante la sanatoria finale della disciplina reiterata; sia perche' la prassi della reiterazione, tanto piu' se diffusa e prolungata nel tempo, incide sugli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo e l'attribuzione della funzione legislativa ordinaria al Parlamento (art. 70 Cost.); sia, infine, perche' siffatta prassi, se diffusa e prolungata, intacca anche la certezza del diritto nei rapporti tra i diversi soggetti per l'impossibilita' di prevedere la durata nel tempo delle norme reiterato e l'esito finale del processo di conversione, con conseguenze ancora piu' gravi nei casi in cui il decreto reiterato incida nella sfera dei diritti fondamentali,... o sia, comunque, tale da determinare effetti irreversibili in ipotesi di mancata conversione finale». Con riferimento alla fattispecie ed esaminando a contrario Corte cost. 17 febbraio 1994, n. 38, «la retoattivita' ivi prevista» non «si giustifica in ragione dell'esigenza di coordinamento e razionale sistemazione delle innumerevoli disposizioni tributarie succedutesi nel tempo.... Tale limitata retrattivita' (non) comporta la violazione del principio di capacita' contributiva; essa, infatti», non «e' volta a conferire certezza a quelle situazioni pregresse nelle quali siano rinvenibili comportamenti che, nell'interpretazione di norme anteriori, si siano conformati alle soluzioni legislative adottate in seguito». Con riferimento, inoltre, a Corte cost. 29 dicembre 1995, n. 553, il terreno espropriato ricadente in zona «F», per l'obiettiva collocazione nell'ambito della citta', non poteva conseguire un indennizzo proprio dei terreni dotati di potenzialita' edificatoria, tant'e' che e' stata corrisposta la somma di lire 154.000, circa, al mq. che all'epoca costituiva una valutazione media dei terreni ricadenti in zone di tipo «F», non dotati di potenzialita' edificatoria. Se cosi' non fosse stato, poiche' il terreno aveva un'estensione di mq. 9.400, con una variante di piano poteva rendersi edificatoria almeno la meta' del suolo espropriato. Questa Commissione, inoltre, ritiene di dover sottoporre d'ufficio al giudice delle leggi ulteriori profili di illegittimita' costituzionale della normativa in esame, per violazione degli artt. 23 ed 81, terzo e quarto comma, della Costituzione. L'art. 23, Cost., risulta violato nella parte in cui prevede che l'imposizione tributaria deve essere fissata per legge; dalla collocazione sistematica dell'art. 23 con gli artt. 24 e 25 Cost., si desume che la imposizione fiscale possa avvenire in virtu' di una legge vigente al momento della imposizione stessa e non in base ad una legge con effetti retroattivi. Nel caso di specie, di fatto, manca la legge impositiva, poiche' l'art. 1, comma secondo, della legge n. 73/1995 ha semplicemente fatto salvi gli effetti dei d.l. non convertiti, ma non ha imposto alcun tributo. Con riferimento, poi, all'art. 81 Cost., l'imposizione tributaria non puo' essere retroattiva poiche' violerebbe le specifiche norme relative alla legge sul Bilancio che ha una durata ben determinata proprio per evitare il verificarsi di effetti retroattivi di aggiustamento delle poste di bilancio che dovrebbero essere oggetto di esame della legge finanziaria dell'anno successivo. Pertanto, poiche' nella decisione della presente controversia la Commissione deve fare applicazione di una normativa della cui costituzionalita' dubita ed apparendo la sollevata questione, di rilevanza dirimente in giudizio, non manifestamente infondata, la stessa va devoluta all'esame della Corte costituzionale. Conseguentemente, sospeso il giudizio, gli atti dovranno essere trasmessi alla Corte costituzionale.