LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

    Ha   emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  R.G.  Appelli
157/1997   depositato   il   9   luglio   1997  avverso  la  sentenza
n. 333/04/95,  emessa  dalla  Commissione  tributaria  provinciale di
Reggio Calabria da: Mauro Antonio, residente a Reggio Calabria in via
Borrace,  67;  difeso  da  Paviglianiti Francesco, residente a Reggio
Calabria  in  via D. Marvasi, 6/A; Mauro Pasquale, residente a Reggio
Calabria  in  via  Borrace,  67;  difeso  da  Paviglianiti Francesco,
residente  a  Reggio  Calabria  in via D. Marvasi, 6/A; Mauro Umberto
erede di Mauro Domenico, defunto, residente a Reggio Calabria, in via
Borrace,  67;  difeso  da  Paviglianiti Francesco, residente a Reggio
Calabria in via D. Marvasi, 6/A;
    Controparti:  Intendenza  di  finanza  di  Reggio  Calabria; atti
impugnati: SU I. RIMB-TERRENI.
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 157/1997
depositato   il  9  luglio  1997  proposto  da  Mauro  Pasquale  +  5
rappresentati   e   difesi   dall'avv.   Francesco   Paviglianiti  ed
elettivamente  domiciliati  presso  lo  studio dello stesso in Reggio
Calabria,  via  Diomede  Marvasi n. 6/A contro la Direzione regionale
delle  entrate  per  la  Calabria - Sez. staccata di Reggio Calabria,
rappresentata  e  difesa  in  giudizio  dal  Direttore  regionale pro
tempore  o  da  un  suo  delegato,  avverso il mancato rimborso della
ritenuta fiscale operata sulle somme percepite a titolo di indennita'
di esproprio.
    Visti gli atti tutti di causa;
    Ritenuta  la  immediata rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  1,  comma  2,  della  legge 24 marzo 1993,
n. 75, sollevata dagli appellanti in riferimento agli artt. 3, 53, 70
e 77 secondo comma della Costituzione;
    Ritenuto che il giudizio non puo' essere deciso indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale;
    Ritenuta la mancanza di pregio dei motivi principali di appello;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue.
                        Esposizione in fatto
    In  data  14  luglio  1992  i germani Mauro Domenico, Pasquale ed
Antonio  cedevano  volontariamente  un appezzamento di terreno di cui
erano   comproprietari,   gia'  oggetto  di  procedura  espropriativa
iniziata   con  decreto,  prefettizio  del  19  marzo  1990,  per  la
realizzazione  della  nuova  sede  della  Facolta' di architettura di
Reggio Calabria.
    Sulla  somma corrisposta in sede di liquidazione della indennita'
veniva  applicata  la  ritenuta  del  20%  da versare all'Erario, con
riferimento all'art. 11 legge n. 413/1991.
    Poiche'  il  terreno  espropriato, a seguito di variazione del 18
novembre  1991 documentata dall'UTE in data 7 luglio 1992, nonche' di
modificazioni  degli  strumenti urbanistici certificati dal Comune di
Reggio  il  14 luglio 1992, da terreno agricolo era stato destinato a
zona  omogenea  di  tipo «F» (area a servizio della residenza; aree a
verde  pubblico;  aree  per  le  attrezzature  scolastiche  di  grado
superiore),  i  germani  Mauro chiedevano la restituzione delle somme
trattenute dall'Erario a titolo di ritenuta.
    Nell'istanza di rimborso datata 9 luglio 1993, veniva evidenziato
che  il  terreno espropriato non rientrava nella previsione normativa
di  cui  alla  legge  n. 413/1991  che prevedeva l'applicazione della
ritenuta  alle  sole  di  tipo  A-B-C-D,  non essendo stato, inoltre,
convertito  in  legge  il piu' volte reiterato d.l. 28 febbraio 1992,
n. 194  che  estendeva  l'operativita' della ritenuta anche alle zone
omogenee di tipo «F».
    L'istanza  veniva  altresi'  prodotta  in  funzione  del  d.l. 23
gennaio  1993, n. 16, che eliminava radicalmente la previsione di cui
ai  decreti-legge  non  convertiti,  non  contemplando l'applicazione
della  ritenuta  di  acconto  per  gli  espropri  relativi  a terreni
ricadenti in zone di tipo «F».
    Rimasta  senza esito l'istanza, adivano la commissione tributaria
per  sentir fare ragione delle superiori richieste e, con memoria del
23   maggio   1993,   sollevavano   la   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  1, comma 2, legge n. 75/1993 nel frattempo
intervenuta,  con  riferimento  agli  artt.  3,  53,  70  e  77 della
Costituzione,   nella  parte  in  cui  rendeva  validi  gli  atti,  i
provvedimenti  assunti ed i rapporti giuridici sorti sotto la vigenza
dell'art.  3 dei dd.ll. fotocopia 28 febbraio 1992, n. 197, 27 aprile
1992,  n. 268  e  25  giugno  1992, n. 319, tutti non convertiti, che
estendevano la tassazione alle zone omogenee di tipo «F».
    Sempre  in  via  gradata,  chiedevano  che  fosse investita della
questione  la  Corte  di  Giustizia  Cee  per  la constatazione della
violazione  del  principio  di  proporzionalita' ed uniformita' della
legge  n. 73/1995,  con  riguardo  alla  normativa Cee nonche' per la
interpretazione   della   normativa   fiscale  nazionale  concernente
disposizioni   impositive   di  prestazioni  patrimoniali  e  per  la
compatibilita' della stesa con il principio di proporzionalita'.
    Reiteravano  in  appello le medesime argomentazioni, evidenziando
inoltre  che,  successivamente al deposito della decisione impugnata,
era intervenuta la risoluzione n. 111/E/III-5-812 dell'11 luglio 1996
sulla tassazione delle indennita' di esproprio del Dipartimento delle
entrate  -  Direzione  centrale  per  gli  affari  giuridici e per il
contenzioso tributario, merce' la quale l'amministrazione finanziaria
aveva  precisato che per quanto concerne l'individuazione del momento
in  cui  si deve avere riguardo per la collocazione del terreno nelle
zone   omogenee   prevista   dalla   legge   al   fine  di  stabilire
l'assoggettabilita' o meno a tassazione dell'indennita' di esproprio,
si deve fare riferimento non alla emissione del decreto di esproprio,
bensi' all'inizio della procedura esecutiva.
    L'amministrazione finanziaria, costituitasi in giudizio, chiedeva
in  sostanza  il  rigetto del ricorso nel merito e la declaratoria di
manifesta  infondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale
e della violazione di principi comunitari.
    All'udienza  del  13 dicembre 2000 l'appello veniva trattenuto in
decisione.

                            D i r i t t o

    In  via  preliminare,  va  respinta l'eccezione di violazione dei
principi  comunitari  di  proporzionalita' ed uniformita' della legge
n. 73/1995,  in  quanto  formulata  in  modo  del tutto generico, non
essendo  state  indicate le norme comunitarie che si assumono violate
ne'  indicati  i  motivi  in  base ai quali la normativa in questione
lederebbe i principi sanciti dalla normativa Cee.
    Va  del  pari  disattesa  l'interpretazione,  voluta  dai germani
Mauro,  riferita  alla citata risoluzione n. 111 dell'11 luglio 1996:
come  correttamente  sostiene l'amministrazione finanziaria, infatti,
il presupposto della imposizione e' dato dalla inclusione del terreno
in  una  delle  zone  omogenee  previste  dalle  norme impositive; e'
esclusivamente  con  riguardo  a tale profilo interpretativo che deve
considerarsi  il riferimento all'inizio della procedura esecutiva, al
fine  di  evitare  elusioni  della  norma  impositiva  attraverso una
diversa classificazione del terreno nel periodo compreso tra l'inizio
e la fine della procedura esecutiva.
    Il  momento temporale dell'imposizione e' invece costituito dalla
materiale  percezione  delle somme c.d. principio di cassa - avvenuta
il  14 luglio 1992; la ritenuta e' stata pertanto applicata in quanto
le  somme  sono  state corrisposte sotto la vigenza dei decreti-legge
nn.  174,  269  e  319/1992,  che  estendevano l'imposizione anche ai
terreni ricadenti nelle zone omogenee di tipo «F».
    Per  altro  verso, questa Commissione ritiene che le questioni di
legittimita'   costituzionale   sollevate   dagli   appellanti  siano
dirimenti,  atteso  che  il  giudizio  in  corso  non potrebbe essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  2, della legge 24
marzo  1993, n. 75, in riferimento agli artt. 3, 53, 70 e 77, secondo
comma,  della  Costituzione  (per  quanto richiesto dagli appellanti)
ritenute  non manifestamente infondate per i motivi che di seguito si
espongono.
    La  legge  n. 75/1993,  ha convertito in legge il d.l. 23 gennaio
1993,  n. 16, che reiterava tre precedenti atti normativi del Governo
-  i  c.d.  «decreti  fotocopia» - ossia il d.l. n. 174/1992, il d.l.
n. 269/1992  ed  il  d.l.  n. 319/1992,  senza  tuttavia prevedere la
estensione  della  imposizione  fiscale anche ai terreni ricadenti in
zone omogenea di tipo «F», a differenza dei tre precedenti d.l.
    La  legge  in questione, all'art. 2, primo comma, faceva altresi'
salvi  gli  effetti  prodottisi,  i  rapporti  giuridici  sorti  ed i
provvedimenti  adottati  sotto  la  vigenza  dei  citati decreti c.d.
fotocopia.
    L'art.  2  del  d.l.  n. 16  del  1993,  in quanto sostitutivo di
quattro   precedenti   decreti-legge   non   convertiti,   rivela  la
insussistenza  dei  requisiti di necessita' ed urgenza che dovrebbero
sorreggerlo, ponendosi quindi in contrasto con l'art. 77 Cost. (Comm.
imp.  distr.le  Piacenza, 2 ottobre 1993), pertanto, poiche' la legge
disciplinatrice  della  materia  che  ha  fatto salvi i provvedimenti
adottati  in base ai decreti non convertiti e' intervenuta nelle more
del  giudizio,  la  questione  di legittimita' di norme contenute nei
decreti-legge  non  convertiti  puo'  essere  esaminata  dalla  Corte
costituzionale (Corte cost. 17 febbraio 1994, n. 40).
    Il  d.l.  n. 174/1992  e'  stato  iterato e reiterato per ben tre
volte  da  una  serie  di  decreti  fotocopia,  in  assenza  di nuove
condizioni  di  straordinaria  necessita'  ed  urgenza, integrando il
vizio  che  la  Corte  cost. 24 ottobre 1996, n. 360, aveva affermato
sussistere  in  tutti  i  casi  in cui la riproduzione del «contenuto
normativo  dell'intero testo o di singole disposizioni» di un decreto
legge,  per  qualunque  causa non convertito, non sia giustificata da
«nuovi  (e  sopravvenuti)  presupposti  straordinari di necessita' ed
urgenza».
    Nella  stessa  Corte  cost.  n. 360  citata, tuttavia, il giudice
delle  leggi  ha  espresso  (in realta' in forma di obiter dictum) un
orientamento  in  base  al  quale il vizio si considera «sanato dalla
conversione  in  legge,  con  la  quale  le Camere hanno assunto come
propri   i   contenuti   della   disciplina  adottata  dal  Governo»,
ispirandosi  all'idea  di fondo che i limiti posti dall'art. 77 Cost.
si impongono non alle Camere in sede di conversione dell'atto, bensi'
esclusivamente   al   Governo   al   momento   della  su  emanazione,
configurando  i  vizi  del d.l. come autonomi rispetto a quelli della
legge di conversione.
    Esplicando   l'intervento   del   Parlamento,   in  quest'ottica,
efficacia sanante in relazione all'assenza delle condizioni richieste
dall'art. 77 Cost.
    La  linea  argomentativa  propria della decisione de qua si pone,
peraltro,  in contrasto con quella della Corte cost. 27 gennaio 1995,
n. 29,  in  cui  si  affermava  che l'assenza dei requisiti richiesti
dall'art.  77  Cost.  per  l'emanazione  di un d.l. si riflette, come
vizio in procedendo, sulla legge di conversione.
    A  parere  del  giudice remittente, in tale ambito argomentativo,
occorre precisare gli esatti termini della questione.
    Mutuando  un  orientamento  abbastanza  autorevole  (Note a Corte
cost.  26  maggio  1998,  ord.  n. 194  -  Filippo  Vari), l'elemento
decisivo per accertare se il d.l. e' stato «reiterato conformemente a
Costituzione»  e'  dato  dalla  sussistenza  di  quelle condizioni di
straordinaria  necessita'  ed  urgenza  che  devono giustificare ogni
ricorso alla decretazione d'urgenza.
    Seguendo  tale orientamento, considerato che ogni decreto integra
un  nuovo  ed  autonomo  esercizio  dell'attivita' di cui all'art. 77
Cost.,  ne  consegue  l'impossibilita'  di  impostare  utilmente  una
distinzione  tra  provvedimenti  (e  tra  vizi  che  li inficiano) in
funzione  della  loro  collocazione  nella  sequenza  temporale,  dal
momento  che  ogni  volta  che  si  emana  un  d.l.  si determina una
situazione che va valutata - in relazione alla presenza dei requisiti
richiesti  - sempre allo stesso modo e senza distinzioni di sorta; ne
consegue che anche per il d.l. illegittimamente reiterato il problema
dei rapporti con la legge di conversione si pone in termini del tutto
analoghi a quelli di un decreto emanato per la prima volta in assenza
dei  presupposti, non potendosi escludere che i vizi di formazione di
un   atto   normativo   del   Governo   possano   incidere   in  modo
pregiudizievole  sulle  sottostanti  posizioni  giuridiche soggettive
anche dopo la conversione.
    Posto  infatti  che  «non vi e' atto di produzione giuridicamente
rilevante  come  atto  di produzione giuridica, senza una norma sulla
produzione  giuridica»  (Perassi,  Necessita'  e  stato di necessita'
nella  teoria  dogmatica  della  produzione  giuridica,  in Riv. dir.
pubbl.,  1917,  ora  in Id., Scritti giuridici, I, Milano, 1958, 232,
nt.  52),  non sembra sostenibile, in linea di principio, la facolta'
delle  Camere  di  convertire provvedimenti dell'Esecutivo emanati in
assenza  di  una  situazione  di fatto che possa essere ricondotta al
criterio della straordinaria necessita' ed urgenza. Ogni disposizione
che  contempla  lo  stato  di  necessita',  come l'art. 77, presenta,
infatti, le caratteristiche proprie della norma eccezionale in quanto
si sostituisce, come canone di valutazione giuridica di un fatto o di
un  atto,  alla  norma  comune  (cfr.  Perassi,  nota  prec.).  E  se
quest'ultima  va  senz'altro  individuata  nell'art.  70,  Cost.,  il
meccanismo  previsto  dall'art.  77, Cost., esige, proprio per la sua
eccezionalita',  il  rigoroso  rispetto  delle condizioni previste, a
meno  di  non  disattendere  il  principio  secondo il quale le norme
eccezionali  sono  di stretta interpretazione e creare, di tal guisa,
una nuova norma eccezionale.
    Ne' puo' trascurarsi la circostanza che non sussiste una perfetta
fungibilita' tra una normale legge retroattiva, che faccia proprio il
contenuto  della  disciplina  introdotta  con  un d.l., e la legge di
conversione.  Infatti  non solo la seconda puo' disporre di una serie
di  ambiti  da  ritenere  preclusi  ad una legge retroattiva, pena la
violazione della Costituzione, ma mentre quest'ultima puo' al massimo
qualificare  situazioni  precedenti  la  propria  entrata  in  vigore
facendo  discendere  dei  comandi per i sottoposti, il decreto-legge,
costituendo  un'anticipazione  della legge del Parlamento, potra' ben
stabilire,  oltre a qualificazioni, comandi che, riguardati dal punto
di  vista  della legge di conversione, rappresentano, per cosi' dire,
dei comandi retroattivi (Sorrentino - Corte cost. tra decreto-legge e
legge  di  conversione),  superandosi, in questo modo, anche i limiti
logici di una legge retroattiva.
    A  tal  uopo  puo'  farsi  l'esempio di una decadenza fissata con
decreto  in seguito convertito, la quale non potrebbe essere ottenuta
con  una  semplice  legge  che  retroagisca fino al momento in cui il
decreto e' entrato in vigore.
    E'  opportuna,  a  questo punto, una breve analisi del meccanismo
mediante  il  quale  opera  una  legge  di  conversione,  al  fine di
evidenziare ed avvalorare ulteriormente l'assunto secondo il quale il
vizio   derivante   da   reiterazione  continua  a  produrre  effetti
nonostante la conversione.
    Secondo   l'orientamento  della  ben  nota  n. 360/1996  (e  ord.
n. 194/1998),  quando  non  si  pongano  limiti  costituzionali  alla
retroattivita',  la  legge  di  conversione puo' intendersi quale una
legge ordinaria che fa proprio il contenuto del decreto.
    Diversamente,  pero',  si  prospetta la questione nel caso in cui
con  l'effetto  prodotto  dal congiunto operare di un decreto e della
relativa   legge  di  conversione  si  disciplinano  fattispecie  che
resterebbero  precluse  ad  una  legge  retroattiva  emanata ai sensi
dell'art.  70  Cost.  (cfr.  esempio  citato  sopra).  In questo caso
l'illegittimita'   del   provvedimento   del  Governo  non  puo'  non
riflettersi  su  quello delle Camere. L'atto del Parlamento, infatti,
non  puo'  essere considerato come una legge che, emanata ex art. 70,
stabilisca  una  disciplina  identica  a quella contenuta nel decreto
legge,  in  quanto  cio'  trova  impedimento  nei  limiti  posti alla
retroattivita' della legge.
    La   rispondenza   del  provvedimento  d'urgenza  ai  presupposti
previsti   per   la   sua   emanazione  diviene,  dunque,  condizione
imprescindibile  perche' la legge del Parlamento possa legittimamente
operare  in riferimento alle situazioni considerate dal provvedimento
medesimo.
    Il  profilo  garantistico  sotteso alla previsione costituzionale
non  perde  di  rilievo,  infatti,  nel momento della conversione ma,
anzi,  richiede  una  maggior considerazione quando la disciplina che
incide su di esso da provvisoria sia divenuta definitiva.
    Cio'  comporta che, nei casi in cui una legge ordinaria non possa
avere  effetto  retroattivo,  l'invalidita' dell'atto dell'esecutivo,
derivante  dalla  sua «illegittima» reiterazione, non e' sanata dalla
legge  di  conversione,  neppure attraverso il richiamo ai poteri del
Parlamento  ai  sensi  dell'art.  70  (o  77, seconda parte del terzo
comma,  poiche'  equivalente).  Sul punto Corte cost. 24 luglio 1972,
n. 144  ha  riconosciuto  che  le leggi che regolano i rapporti sorti
sulla   base  dei  decreti  non  convertiti  possono  introdurre  una
disciplina  analoga  a  quella  fissata  dal  decreto non convertito,
purche' cio' non sia vietato da altre disposizioni costituzionali.
    Sara'  pertanto opportuno che il giudice delle leggi interferisca
nella  dialettica  tra Governo e Parlamento, nel difficile equilibrio
raggiunto  con  la  conversione  in  legge, al fine di scongiurare la
creazione  di  una  zona  franca  nella quale un vizio che continua a
produrre effetti non possa essere eliminato.
    Riconsiderando,  pertanto,  il  contenuto  della n. 360/1996 alla
luce  delle superiori argomentazioni, quindi estrapolando la clausola
di  salvezza  in essa contenuta e considerando come insaziabili dalla
legge  di  conversione  i  vizi  contenuti  nell'atto  normativo  del
Governo,  i d.l. c.d. (fotocopia), sopra citati, (devono considerarsi
costituzionalmente  illegittimi,  per  violazione dell'art. 77 Cost.,
...  in  quanto  il  d.l.  iterato  o  reiterato  -  per  il fatto di
riprodurre  nel suo complesso o in singole disposizioni) il contenuto
di  un d.l. non convertito, senza introdurre variazioni sostanziali -
collide con la previsione costituzionale sia perche' altera la natura
provvisoria  della  decretazione d'urgenza, procrastinando, di fatto,
il   termine   invalicabile   previsto   dalla  Costituzione  per  la
conversione   in  legge;  sia  perche'  toglie  valore  al  carattere
straordinario  dei  requisiti  della necessita' e dell'urgenza, posto
che la reiterazione viene a stabilizzare ed a prolungare nel tempo il
richiamo  ai  motivi  gia'  posti a fondamento del primo decreto; sia
perche'  attenua  la  sanzione della perdita retroattiva di efficacia
del  decreto  non  convertito,  posto  che  il  ricorso ripetuto alla
reiterazione suscita nell'ordinamento l'aspettativa di consolidamento
degli  effetti  determinati  dalla decretazione d'urgenza mediante la
sanatoria  finale  della  disciplina reiterata; sia perche' la prassi
della  reiterazione,  tanto  piu'  se diffusa e prolungata nel tempo,
incide  sugli  equilibri  istituzionali,  alterando i caratteri della
stessa  forma  di governo e l'attribuzione della funzione legislativa
ordinaria  al  Parlamento  (art.  70  Cost.);  sia,  infine,  perche'
siffatta  prassi,  se diffusa e prolungata, intacca anche la certezza
del  diritto nei rapporti tra i diversi soggetti per l'impossibilita'
di  prevedere  la  durata  nel  tempo delle norme reiterato e l'esito
finale del processo di conversione, con conseguenze ancora piu' gravi
nei  casi  in cui il decreto reiterato incida nella sfera dei diritti
fondamentali,...   o  sia,  comunque,  tale  da  determinare  effetti
irreversibili in ipotesi di mancata conversione finale».
    Con  riferimento alla fattispecie ed esaminando a contrario Corte
cost.  17  febbraio  1994, n. 38, «la retoattivita' ivi prevista» non
«si  giustifica in ragione dell'esigenza di coordinamento e razionale
sistemazione  delle  innumerevoli disposizioni tributarie succedutesi
nel   tempo....   Tale   limitata  retrattivita'  (non)  comporta  la
violazione  del  principio di capacita' contributiva; essa, infatti»,
non  «e'  volta  a  conferire  certezza a quelle situazioni pregresse
nelle quali siano rinvenibili comportamenti che, nell'interpretazione
di  norme  anteriori,  si siano conformati alle soluzioni legislative
adottate in seguito».
    Con riferimento, inoltre, a Corte cost. 29 dicembre 1995, n. 553,
il  terreno  espropriato  ricadente  in  zona  «F»,  per  l'obiettiva
collocazione  nell'ambito  della  citta',  non  poteva  conseguire un
indennizzo  proprio dei terreni dotati di potenzialita' edificatoria,
tant'e'  che e' stata corrisposta la somma di lire 154.000, circa, al
mq.  che  all'epoca  costituiva  una  valutazione  media  dei terreni
ricadenti   in   zone  di  tipo  «F»,  non  dotati  di  potenzialita'
edificatoria.
    Se  cosi' non fosse stato, poiche' il terreno aveva un'estensione
di  mq. 9.400, con una variante di piano poteva rendersi edificatoria
almeno la meta' del suolo espropriato.
    Questa   Commissione,   inoltre,   ritiene  di  dover  sottoporre
d'ufficio  al giudice delle leggi ulteriori profili di illegittimita'
costituzionale  della  normativa in esame, per violazione degli artt.
23 ed 81, terzo e quarto comma, della Costituzione.
    L'art.  23, Cost., risulta violato nella parte in cui prevede che
l'imposizione   tributaria  deve  essere  fissata  per  legge;  dalla
collocazione sistematica dell'art. 23 con gli artt. 24 e 25 Cost., si
desume  che  la  imposizione  fiscale possa avvenire in virtu' di una
legge  vigente  al  momento della imposizione stessa e non in base ad
una  legge  con  effetti  retroattivi.  Nel caso di specie, di fatto,
manca  la  legge  impositiva,  poiche' l'art. 1, comma secondo, della
legge  n. 73/1995  ha  semplicemente fatto salvi gli effetti dei d.l.
non convertiti, ma non ha imposto alcun tributo.
    Con riferimento, poi, all'art. 81 Cost., l'imposizione tributaria
non  puo'  essere  retroattiva poiche' violerebbe le specifiche norme
relative  alla  legge  sul Bilancio che ha una durata ben determinata
proprio   per  evitare  il  verificarsi  di  effetti  retroattivi  di
aggiustamento  delle  poste di bilancio che dovrebbero essere oggetto
di esame della legge finanziaria dell'anno successivo.
    Pertanto,  poiche' nella decisione della presente controversia la
Commissione  deve  fare  applicazione  di  una  normativa  della  cui
costituzionalita'  dubita  ed  apparendo  la  sollevata questione, di
rilevanza  dirimente  in  giudizio,  non manifestamente infondata, la
stessa va devoluta all'esame della Corte costituzionale.
    Conseguentemente,  sospeso  il giudizio, gli atti dovranno essere
trasmessi alla Corte costituzionale.